lunedì 26 novembre 2012

Francesco Piu e la maschera blues "Ma-moo tones"







Arriva dalla Sardegna, e più precisamente da Sassari, uno dei bluesmen emergenti più apprezzati del panorama musicale italiano. Il suo nome è Francesco Piu ed è uno degli ospiti più attesi della settima edizione di "Su la Testa", rassegna musicale organizzata dall'associazione Zoo in programma al Teatro Ambra di Albenga dal 6 all'8 dicembre. Piu si esibirà l'ultima sera, sabato, e dividerà il palco con Dolcenera, Gnu Quartet e Federico Sirianni, e il vincitore del contest riservato a musicisti savonesi emergenti. Dopo due album di rodaggio, se così si può dire visto che "Live at Amigdala Theatre" (registrato nel maggio del 2010) ha collezionato ottime recensioni, il cantautore sassarese ha messo a segno il colpo decisivo con "Ma-moo tones". Un album blues moderno che esalta le caratteristiche e la maturità artistica raggiunta da Piu.
Passato, presente ma soprattutto futuro sono gli argomenti affrontati da Francesco in questa intervista in attesa dell'esibizione live di Albenga.


"Ma-moo tones" è il tuo terzo disco e arriva dopo il sorprendente "Live at Amigdala Theatre" e l'album d'esordio "Blues Journey" che sostanzialmente è un cd di cover. Il terzo capitolo della tua ricerca sul blues è entrato di diritto tra i migliori dischi dell'anno. Come è nato?


«Il disco è nato mettendo assieme diverse bozze composte da me negli ultimi due anni. Ogni tanto registravo qualcosa e mettevo da parte, poi a maggio dell'anno scorso ho selezionato le idee secondo me più riuscite ed ho iniziato a lavorarci più assiduamente».


Un importante contributo lo ha dato Daniele Tenca che ha scritto i testi di divese canzoni di "Ma-moo tones". Dove vi siete conosciuti e quale è stata la molla che vi ha fatto collaborare?


«Ci siamo conosciuti tramite il mio batterista Pablo Leoni che ha suonato anche nel suo disco. Mi è piaciuto il suo modo di scrivere e l'ho contattato chiedendogli di collaborare per la stesura di diversi testi dell'album».


Restituirai il favore a Daniele che in questo periodo sta lavorando al suo prossimo disco?


«Francamente non ne so niente, non ti saprei dire».


Per questo tuo terzo album hai potuto contare anche sulla prestigiosa collaborazione di Eric Bibb che ha curato la produzione. Come è nata la vostra collaborazione e quale è stato l'apporto di Bibb alle tue canzoni?

«La collaborazione con Bibb è figlia di due episodi fondamentali: nel 2010 ho avuto la fortuna di aprire un suo concerto e in quell'occasione ci siamo conosciuti di persona, mentre nel 2011 abbiamo addirittura suonato insieme grazie al mio amico Marco Cresci che ha organizzato il concerto. Poi ci siamo tenuti in contatto e grazie al grande lavoro del mio manager Gianni Ruggiero e dell'agente italiano di Bibb, Gigi Bresciani, siamo riusciti ad averlo in studio con noi ai primi di dicembre del 2011. Ha svolto un ottimo lavoro di produzione, soprattutto lasciando ai brani l'impronta di miscela che io avevo in mente, e lavorando sulla mia voce in maniera molto incisiva. Penso che abbia fatto uscire il meglio di me in questo lavoro».


Come si è svolto il lavoro in sala di registrazione?


«Tutte le tracce sono state suonate in diretta dal mio trio - Pablo Leoni alla batteria e percussioni e Davide Speranza all'armonica - sotto la supervisione di Eric. In un secondo momento ho cantato i brani con lui che, al mio fianco, mi indicava la corretta pronuncia e le diverse possibilità in cui potevo modulare la mia voce. A parte "Soul of a man" che è stata cantata e suonata tutta in presa diretta. È stata un'esperienza pazzesca, penso che mi abbia fatto crescere tanto sotto vari aspetti».


"Ma-moo tones" è un disco eterogeneo: undici brani blues che di volta in volta vanno a braccetto con soul, country, rock e funky. Hai un background molto ampio...

«Sì, il mio background parte dalla mia infanzia. Grazie a mio padre e a mio fratello, musicisti per hobby, scoprii il blues ed il rock degli anni '60/'70. Ho poi ascoltato tanti altri generi ed è cambiato anche ciò che mi piaceva suonare: il metal, l'hard rock, il progressive rock, il jazz, il rhythm and blues... Anche l'esperienza a fare piano bar con mio zio Lelle mi ha fatto apprezzare cantautori americani come James Taylor e Neil Young. A livello professionale poi sono maturato molto suonando in tour col cantautore Davide Van De Sfroos, col quale ho girato l'Italia in lungo e in largo per due anni e mezzo. Alla fine di questo percorso, in cui ho "assaggiato" vari stili musicali, mi son reso conto che quello che mi faceva stare bene e che sentivo appartenermi era il blues. Perciò la mia idea ora è quella di partire dal blues e contaminarlo con ciò che di buono mi hanno lasciato gli altri generi».


Nel disco rendi omaggio anche a un mostro sacro come Jimi Hendrix con la canzone "Third stone from the sun" e a Blind Willie Johnson con "Soul of a man". Perché questa scelta?

«Per quanto riguarda Hendrix, da chitarrista, mi piaceva omaggiarlo con una mia rilettura di un suo brano, dato che lo reputo il numero uno in assoluto. "Soul of a man" di Blind Willie Johnson per due motivi: per la profondità del brano e perché tempo fa avevo un duo delta blues col mio amico Samuele Marchisio che si chiamava come la canzone, perciò mi ero promesso prima o poi di inciderla
su un mio disco».


È curiosa la copertina del tuo ultimo disco, come anche il titolo. Cosa significano?


«Il titolo del disco è un gioco di parole che deriva dalla parola mamuthones, che è una maschera tipica della tradizione carnevalesca della mia isola, la Sardegna. Miscelando la cultura sarda con quella che suono, quella del Mississippi e comunque americana, ne è venuta fuori la parola Ma-moo Tones! Dopo aver spiegato questo concetto al mio grafico Antonello Sedda, lui ha voluto ulteriormente rimarcare la miscela ricoprendo una tipica maschera dei Mamuthones con un insieme di ritagli di giornali e riviste provenienti da oltreoceano».


Sei nato e cresciuto in Sardegna, non certo il posto ideale per venire a contatto con la musica internazionale, blues o rock che sia. Per assistere a un concerto bisogna viaggiare e per un giovane non sempre è possibile. Tu come ti sei avvicinato alla musica?


«Come dicevo precedentemente, nasco in una famiglia di musicisti: mio padre suonava il basso, mio fratello la chitarra e tra zii e cugini musicisti potrei fare una big band! Addirittura mio prozio suonava la batteria con Fred Buscaglione. In questo ambiente familiare, quando sei circondato da vinili, musicassette e qualche chitarra in salotto, se hai un minimo di curiosità per la musica il fatto di poter giocare a "strimpellare" aiuta. Sicuramente in Sardegna non transitano molti musicisti di caratura internazionale con frequenza come nella penisola, ma grazie al Narcao Blues Festival e a diversi jazz festival che ci sono sull'isola, anche se in un periodo limitato dell'anno, ho potuto vedere dal vivo diversi musicisti, americani e non, con la M maiuscola, che comunque stimolano e accrescono l'entusiasmo di chi si avvicina al mestiere di musicista».


Sono sempre più numerosi i musicisti italiani, tra i 30 e i 40 anni, che suonano blues. Molti dimostrano anche una notevole conoscenza del genere...


«Il blues è una musica semplice che punta dritta all'anima, magari in maniera più diretta rispetto ad altre, ma c'è anche da dire che alla fine è una cosa molto soggettiva, molte persone provano certe emozioni anche ascoltando altri generi».
 

Al giorno d'oggi si può vivere di musica e quali sono i maggiori problemi che i musicisti della tua generazione devono affrontare?


«Penso che si possa vivere di musica, io ci riesco ma devo dire che è sempre più difficile. La crisi non aiuta, i locali e gli organizzatori di festival fanno sempre più fatica e in Italia siamo molto indietro sia nell'essere riconosciuti come professionisti che nell'essere tutelati in ciò che facciamo. Senza andare troppo lontano, chi fa il musicista in Francia ha un aiuto economico notevole da parte dello Stato perché il musicista è considerato un artista, un patrimonio della cultura nazionale. Nella nostra penisola questa è fantascienza, dopotutto basta guardare la "cultura" che passa in tv e, soprattutto, basta vedere come vengono gestiti i soldi pubblici dai nostri politici per capire che siamo molto indietro, direi "Terzo Mondo"».
 

Quali sono i tuoi pregi e i tuoi difetti?

«Beh, non dovrei essere io a rivelarli. Comunque, dato che me lo chiedi, iniziamo con i pregi: sono un ottimista con molta determinazione. Per quanto riguarda i difetti direi che sono testardo e mi ostino ancora a fidarmi delle persone, ma pian piano mi sto disilludendo di quest'ultimo aspetto».
 

Il mondo musicale sarebbe più povero se...?


«Se non ci fosse il blues, naturalmente!».


Per finire ti sottopongo alle dieci domande secche che sono diventate un must di questo blog
- 
Assaggiare o gustare? Gustare, direi che è meglio soffermarsi sulle cose.

- Archeologia o fantascienza? Archeologia, prima di fare il musicista, da piccolo, sognavo di fare l'archeologo.

- Chitarra elettrica o acustica? Beh, dipende dai periodi. Oggi direi acustica.

- Lana o cotone? Cotone. Sia come tessuto, sia perché è legato alle radici del blues.

- Arancione o azzurro? Azzurro, come il cielo di Sardegna.

- Stevie Ray Vaughan o Eric Clapton? Questa è difficile perché sono due miei maestri ma scelgo Clapton perché mi ha influenzato maggiormente.

- Anguria o melone? Anguria perché mi rinfresca di più quando c'è caldo.

- Pastore tedesco o bulldog inglese? Pastore tedesco perché ne ho avuto uno quando ero piccolo. Ero molto affezionato a Kim.

- Borsalino o coppola? Mi piacciono entrambi ma scelgo Borsalino, forse è più blues.

- Acqua frizzante o liscia? Frizzante perché mi piacciono le bollicine.



Titolo: Ma-moo tones 
Artista: Francesco Piu 
Etichetta: Groove Company 
Anno di pubblicazione: 2012


Tracce
(testi e musiche di Francesco Piu, eccetto dove diversamente indicato)


01. The end of your spell
02. Over you
03. Trouble so hard
04. Hooks in my skin
05. Blind track
06. Colors
07. Stand-by button
08. Overdose of sorrow
09. Down on my knees
10. Soul of a man  [Blind Willie Johnson]
11. Third stone from the sun  [Jimi Hendrix]





martedì 20 novembre 2012

I colori di Giua e Armando Corsi illuminano "Tre"






Maria Pierantoni Giua, in arte semplicemente Giua, è una delle più promettenti cantautrici degli "anni Zero". La trentenne musicista originaria di Rapallo, già salita alla ribalta per la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2008 e apprezzata pittrice, sarà protagonista, insieme ad Armando Corsi, del festival musicale "Su la Testa", rassegna che andrà in scena al teatro Ambra ad Albenga dal 6 all'8 dicembre. Nel corso della prima serata della manifestazione organizzata dall'associazione Zoo, Giua presenterà alcuni brani tratti "TrE", album pubblicato a gennaio di quest'anno e che ha visto la collaborazione di Mario Arcari, Fausto Mesolella, Riccardo Tesi, Marco Fadda, Claudio Taddei e Jaques Morelenbaum. Un disco che è anche un incontro in musica tra due generazioni: quella di Giua e quella di Corsi, applaudito già a fianco di Ivano Fossati, Paco De Lucia, Eric Marienthal e tanti altri. Un incontro tra l'allieva e il maestro che si scalda con i colori della cultura mediterranea, le sonorità sud americane e le tinte forti del continente africano.
Abbiamo voluto presentare l'evento ingauno parlando direttamente con Giua che, con grande cortesia, ha risposto alle domande di questa intervista.



Insieme ad Armando Corsi stai girando l'Italia per promuovere l'album "TrE". Come sta andando?

«Sta andando bene, fare questo disco e proporlo in concerto ci sta dando grande soddisfazione. Ogni volta succede qualcosa di nuovo e col pubblico si instaura un rapporto forte, emozionante». 

Con Corsi hai instaurato un rapporto molto stretto di collaborazione artistica, fin da quando era il tuo maestro di chitarra…

«Quello con Armando è stato un incontro importantissimo per me, dal punto di vista umano e artistico. È nata una profonda amicizia che ha fatto sì che ancora oggi, oltre al piacere di suonare insieme, ci sia la voglia di confrontarsi e continuare a fare progetti insieme». 

Raccontaci un aneddoto di questo tour?

«Quest'estate c'è venuta un'idea stravagante: abbiamo deciso di suonare nei mercati di frutta e verdura trasformando "TrE" in un'esperienza diversa, di incontro e provocazione col progetto "L'arte (h)a peso, per ridare peso all'arte" insieme al poeta e musicista Pier Mario Giovannone. Ogni concerto si è trasformato lasciando ancora più spazio all'improvvisazione e alle persone che ci ascoltavano, il tutto in un posto vivo, brulicante e caotico come può essere un mercato! È stata una esperienza bellissima e divertente». 

Nelle tue canzoni c'è molta ironia, da dove viene?

«Non so bene da dove venga; forse è un modo di pensare, di interpretare, di prendere e trasformare le cose che succedono, anche quelle più difficili, trovando una chiave, un passaggio per capire e andare oltre». 

Nei tuoi lavori non mancano le suggestioni latine, gli echi brasiliane e a tratti anche sonorità africane. Quanto ha inciso su tutto ciò la vicinanza con Corsi, da sempre grande interprete di questi generi?

«La presenza di Armando ha sicuramente ha inciso molto nella scelta delle sonorità che sono entrate nel disco. In realtà io e Armando siamo entrambi, per ragioni diverse, immersi in questi mondi musicali che danno voce a un nostro linguaggio comune». 

Beppe Quirici, Oscar Prudente, Gianluca Martinelli, Riccardo Tesi, Fausto Mesolella, Marco Fadda, Jaques Morelenbaum, sono solo alcuni dei grandi professionisti che hanno creduto in te. Hai una bella responsabilità, non credi?

«Più che di responsabilità mi piace parlare di privilegio: spero di saper cogliere e fare sempre tesoro di questi incontri». 

Quali sono i tuoi prossimi progetti artistici?

«Ho diversi progetti in cantiere. Sto scrivendo canzoni nuove, sto collaborando col poeta Pier Mario Giovannone a un porgetto di filastrocche musicate per i bambini, sto pensando a un disco come interprete, e ho in mente un'avventura che spero mi porti dall'altra parte dell'Oceano...». 

Sei anche una raffinata interprete del repertorio di De André. Quanto di Faber è nel tuo sentire e nel modo di fare musica?

«Ascolto Faber da quando sono bambina. "La guerra di Piero" è una delle prime canzoni che mi cantava mio padre facendomi piangere tantissimo! Credo sia stato uno degli ascolti più importanti e suggestivi per me». 

Vedendoti in scena dai l'impressione di essere una donna molto determinata e che sa quello che vuole. Ma chi è Giua una volta scesa dal palco?

«Non credo di essere tanto diversa una volta scesa dal palco. Per me fare un concerto non è realizzare qualcosa che altrimenti non sarei, ma è dar voce a qualcosa che sono. La mia determinazione sta in questo, nel perseguire un desiderio. Questo non vuol dire essere forti, sempre sicuri di sé e avere la risposta pronto per tutto. Sono una persona complessa, con difetti e debolezze, pregi e possibilità: cerco di non sedermi o nascondermi, ma di lavorare a quello che sono». 

Cosa ti fa più paura come donna e come artista?

«Mi fa paura la semplificazione, mi fa paura la possibilità di perdere le persone che amo e l'idea di non riuscire a seguire le mie passioni. Il successo più grande per me come donna e come artista è poter fare quello che mi piace con le persone che amo».

Cosa ti ha lasciato a livello professionale ed emotivo la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2008?

«L'esperienza del Festival mi ha fatto capire tante cose e mi ha messa di fronte a domande e possibilità rispetto alle quali ancora mi interrego. Ad oggi mi è più chiaro quello che non mi piace e la differenza tra vocazione e successo».

In un mercato sempre meno interessato all'oggetto fisico, parlo di cd o vinile, cosa rimane oggi del lavoro del musicista?

«È una buona domanda. Io amo ancora sedermi ad ascoltare un cd, magari sfogliando il libretto, e non credo di essere l'unica a farlo: chi vorrà continuerà a trovare il modo per ascoltare musica nonostante i cambiamenti e il mercato. Quello che credo non possa esser fatto fuori è il live, l'esibizione dal vivo che è la vera occasione per musicisti e pubblico». 

Che musica ascolti in questo periodo?

«Sto ascoltando di tutto, dalle nuove proposte, per capire quali sono le idee che girano in Italia e fuori, ad Atahualpa Yupanqui, passando per il mio amato Caetano Veloso e arrivando a Paolo Conte».

Faccio anche con te il gioco delle dieci domande secche...

- Aglio o cipolla? Cipolla, sono allergica all'aglio!
- Gustav Klimt o Edward Hopper? La luce di Edward Hopper.
- Arancia o banana? L'arancio dell'arancia.
- Treno Intercity o regionale? Se ho tempo il regionale e un buon libro.
- Coniglio o riccio? Riccio, di mare.
- Termosifone o stufa a legna? Stufa a legna e una tazza di tè!
- Sgabello o poltrona? Poltrona, comodissima!
- "Cime tempestose" di Emily Bronte o "Le affinità elettive" di Goethe? "Delitto e castigo" di Dostoevskij?
- Spatola o pennello? Adoro le spatole.
- Giallo o rosso? Rosso.


Titolo: TrE
Artisti: Giua e Armando Corsi
Etichetta: Egea
Anno di pubblicazione: 2012

Tracce

CD 1
01. Scatole cinesi
02. Gru di palude
03. Belem
04. Pop corn
05. Forse non è amore
06. La culla di giunco
07. Totem e tabù
08. Alberi (feat. Riccardo Tesi)
09. Beleza
10. Penelope (feat. Jaques Morelenbaum)
11. La via dell'amore (feat. Jaques Morelenbaum)
12. Qui sul collo e sull'orecchio (feat. Noezhan)
13. Agave
14. Wonderwoman
15. Come fa una mela

CD 2
01. Volver
02. La casa nel parco
03. Cantarito de Greda (feat. Marco Fadda)
04. I' te vurria vasà (feat. Fausto Mesolella)
05. Veinte años (feat. Mario Arcari)
06. Beuga bugagna (feat. Anita Macchiavello)
07. Bonus track: Volver (feat. Claudio Taddei)


lunedì 12 novembre 2012

Fabio Biale e "La sostenibile essenza della leggera"






"La sostenibile essenza della leggera" è il titolo del primo disco di Fabio Biale. Dopo una intensa attività negli Almalibre, gruppo che accompagna il cantautore varazzino Zibba (vincitore del Premio Tenco 2012), nei Liguriani, negli Amici di Django, nei Luf e nei Birkin Tree, il violinista savonese ha pubblicato in questi giorni il suo cd d'esordio. Dieci brani, più una simpatica ghost track, che sono una sorta di bilancio della sua carriera. Canzoni scritte molti anni addietro e rimaste nel cassetto e composizioni recenti hanno trovato finalmente la luce in questo disco registrato al Prestige Recording Studio di Uscio, nell'entroterra di Genova. Biale si è avvalso della collaborazione di alcuni compagni di viaggio degli Almalibre come Stefano Ronchi, Stefano Cecchi e Stefano Riggi, del batterista Marco Fuliano, del bassista Davide Medicina, dei chitarristi Daniele Franchi e Alessio Caorsi, di Max Vigilante impegnato alla tromba e all'honky tonk piano.
In questa intervista Biale ci racconta la nascita di questo interessante prodotto discografico "nostrano".



Cosa ti ha spinto a impegnarti in questo progetto?

«Ho in mente un progetto solista da almeno dieci anni. Ne ho parlato con tutti, almeno una volta l'anno, e più o meno tutti, almeno una volta l'anno, mi domandano: "Ma il tuo disco?". Il problema non era scrivere le canzoni, la musica o quant'altro. Il problema era: cosa mi aspetto da me come solista? Cosa, o meglio, come voglio che suoni la mia musica. Finalmente quest'anno ho trovato le persone giuste con cui lavorare e mi sono dato la risposta; questo disco deve suonare come un sunto dei dieci anni musicali passati: folk, swing manouche, rock, combat folk. Un disco variegato che trovi nel sound la sua unità».

Nella prima pagina del booklet spieghi cosa significa il termine "leggèra" riportando la definizione che ne dà il vocabolario Treccani. Per te però che significato ha il titolo "La sostenibile essenza della leggera"?

«Sono un fanatico dei giochi di parole. Il titolo nasce, chiaramente, dal rovesciamento de "L'insostenibile leggerezza dell'essere" di Kundera. Un rovesciamento creato per gioco, senza nessun secondo fine, parecchio tempo fa. Non è stato il primo titolo che mi è saltato in mente. Prima ho pensato a "Plaid: canzoni per andare in camporella", poi "Troppi venerdì di Passione, poche domeniche di Resurrezione", e altri mille. Un giorno poi la mia fidanzata mi ha ricordato questa frase e ho capito subito che era il titolo giusto, logico. Tra i personaggi delle canzoni ci sono delle leggere ma lo sono con lievità. L'essenza del nostro essere poco di buono è sostenibile, vale essere raccontato. Poi mi piaceva pensare che potesse intendersi anche come la sostenibile essenza del pop, della musica leggera. E il gioco è fatto. A proposito di giochi di parole. Sono appassionato di anagrammi onomantici, anagrammi di nome e cognome. Da Martin Cervelli ho trovato un bellissimo "Vercelli in tram" (una gita da mettere in conto, dunque), "Trivelli Carmen" (se conosci delle Carmen, memento!). Poi c'è "Il Clan Tre Vermi": se avessi il tuo nome sarebbe sicuramente il titolo del mio primo disco!».

Gli Almalibre, band di cui sei membro insostituibile, sono una fucina di musicisti solisti. Solo poche settimane fa abbiamo assistito all'esordio discografico di Stefano Ronchi, adesso è il tuo turno. Far parte di un gruppo è per voi riduttivo o avete tutti un messaggio da trasmettere?

«Almalibre è una famiglia bellissima. Mille input e mille energie creative gettate dentro di essa. Ho sempre suonato in band ed è per me la dimensione perfetta. Prima con gli Irishields, i Luf, Amici di Django, tuttora con i Liguriani e i Birkin Tree. Per me, un disco solista è una prova, più che di maturità artistica, di maturità organizzativa. Era il momento di prendere un'idea e gestirla in piena autonomia. Vedere dove sarei stato capace di arrivare. Un bellissimo gioco».

Per chi non ti conosce ci spieghi chi è Fabio Biale?

«Chi è Fabio Biale? Parafrasando Cyrano: filosofo, naturalista, maestro d'arme e rime, musicista, viaggiatore 'ascensionista', istrione ma non ebbe claque, amante anche senza conquista. Poi aggiungo, bottegaio che in bottega crea, e musicista che in tournée dorme ovunque. Non cantautore ma cantastorie. Logorroico con timidezza. Malato di musica. Sicuramente calvo».

Quando sono nate le canzoni del disco?

«Le canzoni sono nate in un lasso di tempo amplissimo. "Ema" è sorta in un'ora di filosofia, in terza liceo, più di sedici anni fa. "Il fiore non colto" racconta una storia avvenuta nella seconda metà del 2011. C'è tutta l'adolescenza e la prima età matura. Hanno tutte concepimenti molto diversi, ma tutte nascono da un "amplesso", un episodio reale ben preciso. C'è pochissima finzione. I personaggi sono tutti veri, le fasi creative delle canzoni ben agganciate all'episodio. Una per tutte: "Al mio funerale". Nel febbraio 2005 andai tre giorni ad Istanbul con Zibba. Il giorno prima mandai una e-mail ad un'amica che si chiudeva con uno scaramantico testamento in versi. Casomai l'aereo fosse caduto. Quel testamento è diventato, pari pari, il testo della canzone».

Nel disco proponi anche una interessante rilettura di "Psycho killer" dei Talking Heads. Perché questa scelta?

«Sono stato al cinema a vedere il film "It must be the place" di Paolo Sorrentino. Mi ha fatto letteralmente cagare. Però David Byrne mi ha folgorato. Eravamo in pieno fervore 'registratorio'. Così ho cercato di scrivere una traduzione che suonasse bene, con la stessa musicalità della versione originale. Ho pensato un riff che fosse il più AC/DC possibile, ho pompato i violini e via. Una cover serve a ricordarmi che c'è tantissima bella musica in giro e che la mia musica non deve avere la superbia di sentirsi indispensabile. Dovrebbe ricordarlo ogni artista. C'è un pantheon di musica meravigliosa già scritta: provare ad entrarci ma con rispetto, grazie».

"Emily" è invece un estratto di una poesia di Emily Brontë…

«"Emily" ha una bella storia. Aspettavo il tecnico Fastweb per montare il modem. Mi chiamano e mi dicono: ‹stasera c'è la festa della Miky, vieni!›. La Miky un regalo se lo merita sempre ma non potevo proprio uscire a comprarglielo. Così ho scritto una musica al volo, essenziale, un 'rocketto' da automobile. Non avevo il tempo di scrivere un testo, così ho pescato fra i versi di Emily Brontë. Possono toccare la sensibilità della Miky, ho pensato. Poi, in inglese, è più facile farle entrare nella musica. In due ore e mezza ho preparato tutto e registrato alla bell'e meglio. Un anno dopo riascolto tutte le cianfrusaglie che possono servire per il disco e ritrovo "Emily" e mi sembra che funzioni e, non l'avrei mai detto, la scelgo per il disco. È il primo pezzo che abbiamo registrato».

"A Zonzo", ultima canzone del disco, inizia con una divertente citazione di "Azzurro" di Adriano Celentano della durata di una ventina di secondi. Dopo un minuto e quaranta secondi di silenzio inizia una canzone che sembra non far parte del disco e soprattutto non mi pare sia cantata da te. Di cosa si tratta?

«"Tutti in gita" è un pezzo che ho scritto e registrato nel 1992 insieme al mio compagno di classe Floriano Ferro. 24 anni in due. Lui con una tastiera Casio da 50 mila lire e io con la voce bianca. Un pezzo di storia».

Hai registrato il disco a Uscio nello studio di un altro Almalibre, Stefano Cecchi che ha curato anche la produzione artistica. Senza dimenticare l'apporto del sassofonista Stefano Riggi, anche lui colonna degli Almalibre. Siete una grande famiglia…

«Una grande famiglia, senza dubbio. L'apporto di ogni elemento è stato fondamentale. Grandi professionisti e grandi amici. Una parola in più va spesa per Stefano Cecchi che mi ha dato la spinta per andare avanti, che ha creduto in questo progetto e che col suo talento di fonico e produttore artistico ha dato tantissimo perché tutto suonasse così appropriato. Abbiamo curato la produzione in ogni dettaglio, ogni suono: Stefano è stato sempre perfetto. Grande sintonia e grande fiducia reciproca hanno fatto il resto».

La grafica del disco è curata dal savonese Alex Raso. Toglimi però un curiosità, dove l'hai scattata la foto di copertina?

«La foto in copertina me la sono 'autoscattata' nel mio negozio a Stella San Martino. Possiedo un minimarket di paese, che gestisco con mia sorella. Ogni tanto ho i miei momenti di delirio: ho ritagliato un paio di finti occhiali e ho fotografato mezzo paese con questi indosso. Riguardando la foto c'era tutta la sostenibile essenza della leggera che sono. Indubbiamente».

Quali sono i tuoi progetti futuri e hai in mente di promuovere il cd con un tour?

«Progetti: suonare. Sempre. Comunque. Con Zibba, portando in giro il nuovo album, coi Liguriani coi quali stiamo lavorando ad un nuovo disco che uscirà in primavera, coi Luf con i quali collaborerò al nuovo disco anch'esso di prossima uscita. Poi un bellissimo duo con Stefano Ronchi: blues, ragtime... Stefano è un chitarrista che ti fa godere le orecchie. Il progetto solista avrà il suo spazio ma è molto presto per dirlo. Intanto presenterò il disco giovedì 6 dicembre, nel pomeriggio, a "Su la Testa" ad Albenga, poi il 12 dicembre sarò a Piozzo a Le Baladin».

Infine le dieci domande secche…

- Mora o lampone? Mora e in special modo di gelso. Il frutto che da bambini mangiavo quando giocavo nei boschi.
- Lampadario o abat-jour? Abat-jour: luce più soffusa, più atmosfera.
- Balena o sardina? Balena. Mi ricorda la storia di Moby Dick, l'avventura, il mare impetuoso ma anche Pinocchio.
- Astronauta o minatore? Nel 1989 avevo 9 anni e si festeggiava il ventennale dello sbarco sulla luna. Al museo di storia naturale di Genova ho visto la mostra dedicata all'allunaggio e ho capito che da grande avrei voluto fare l'astronauta.
- East coast o west coast? West coast, California. Alle spalle il deserto. C'è altro da aggiungere?
- Tappezzeria o colore? Colore. La tappezzeria fa casa dei nonni.
- Radio o televisione? Radio. Odio la tv, non la possiedo da sei anni.
- Bosco o spiaggia? Bosco. L'astronauta che mangiava le more viveva lì.
- Aereo o treno? Treno. Il treno viaggia, l'aereo sposta. È il viaggio che conta, non la traslazione.
- Birra rossa o bionda? Bianca!!! Weissbier tutta la vita!


Titolo: La sostenibile essenza della leggera
Artista: Fabio Biale
Etichetta: Prestige
Anno di pubblicazione: 2012

Tracce
(testi e musiche di Fabio Biale, eccetto dove diversamente indicato)

01. Al mio funerale
02. Gesti
03. Il fiore non colto
04. Canzone d'amore per un nonno addormentato
05. Emily  [Emily Brontë; Fabio Biale]
06. Ema
07. Psycho killer  [David Byrne, Chris Frantz, Tina Weymouth]
08. Il mio amico matto
09. D.C.
10. A zonzo





giovedì 25 ottobre 2012

Cesare Carugi: "Caroline" e altre storie








Cesare Carugi è tornato on the road in occasione del suo Halloween Tour, mini tournée autunnale che farà tappa in due locali liguri tra i più frequentati dagli amanti della buona musica. Il 2 novembre il cantautore toscano, originario di Cecina, si esibirà a Il Banco a Zoagli, il giorno successivo farà visita all'oste Fabio Ricchebono nella sua Ostaia da-U Neo a Sestri Ponente. Eventi da non perdere perché Carugi ha convinto la critica con il suo disco d'esordio "Here's to the road", da tempo esaurito in versione fisica e a cui a breve farà seguito il secondo capitolo, e soprattutto il pubblico che lo segue con affetto. Influenzato dal sound americano della west coast e dalla country music, Carugi ha fatto gavetta suonando in decine di locali. Esperienze che hanno consentito al cantautore toscano di affinare la tecnica e sviluppare un personale modo di proporre la sua musica. Dopo l'Ep "Open 24 Hrs" che contiene sei brani - quattro canzoni originali (una proposta in duplice versione) e la cover di "Open All Night" di Bruce Springsteen - Carugi a fine 2011 ha dato alle stampe "Here's to the road", album che abbraccia più generi e che è stato impreziosito dalla partecipazione del cantautore americano Michael McDermott.
In vista dei due concerti liguri abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Cesare che ci ha partlato del suo nuovo disco, del mercato discografico italiano e dei migliori concerti dell'anno.




È passato un anno dall'uscita del tuo primo disco. "Here's to the Road" ha avuto un ottimo riscontro sia di critica che di vendite. Te lo aspettavi?


«Ero soddisfatto del lavoro svolto, sapevo che non avrebbe deluso i puristi. È stata invece una bella sorpresa ricevere critiche molto buone anche da parte di chi ha una visione più sofisticata della musica».


Visto che l'album in formato cd è ormai esaurito non ci resta che acquistarlo in mp3 oppure c'è speranza di una ristampa?

«
Il cd verrà ristampato prima di Natale, il mio primo EP "Open 24 Hrs" invece è fuori stampa ed è acquistabile solo in download sulle varie piattaforme internet - iTunes, Amazon, CdBaby e via dicendo - oppure acquistando una simpatica Download Card ai miei concerti, con un codice personalizzato, per scaricarlo ad un prezzo inferiore. Al momento non credo che ristamperò l'Ep, forse in un futuro prossimo, Maya permettendo».

In questi mesi sei stato impegnato in numerosi concerti in giro per l'Italia. Come è andata e che pubblico hai trovato sulla tua strada?

«È andata piuttosto bene. Ci sono state situazioni più caotiche, come in Piazza Prampolini a Reggio Emilia dove ho suonato davanti a 2.000 persone prima di Willie Nile, o più intime come nei locali dove ci sono molte meno persone ma anche molto più attente, che seguono l'esibizione in assoluto silenzio. Ecco, forse quelle sono le serate migliori, quelle che preferisco».


A questo punto tutti si aspettano che tu confermi quanto di buono hai espresso con "Here's to the Road". A che punto sei con le nuove canzoni?


«Comincerò le registrazioni del nuovo cd a breve, spero di averlo pronto in primavera. Saranno dodici brani, già selezionati tra un totale di 30 circa. Più blues e meno folk, più Tom Waits e meno Springsteen, più Louisiana e meno Arizona».

Negli States ma anche da noi si sta diffondendo la formula che prevede un concreto contributo da parte dei fan per la realizzazione del disco. Nel senso che sempre più spesso gli artisti aprono una sottoscrizione per raccogliere fondi per pagare le spese di produzione dell'album. È questo il futuro della musica indipendente?


«Al di là della crisi economica globale e delle ormai famigerate storie che girano intorno allo show business, direi che questo sarà parte del futuro della musica indipendente. Io ho scelto di fare questo ma non perché altrimenti non potrei pubblicare il nuovo cd, ma solo perché un aiuto da parte di chi apprezza la mia musica può essere fondamentale perché il cd risulti migliore, con la possibilità di investire in un apparato tecnico di qualità superiore e approfondirlo in termini di arrangiamento. Io personalmente ho contribuito alle sottoscrizioni di altri amici, ma non deve essere un peso o un obbligo, ma semplicemente un piacere. Se tutti quelli che conosciamo donassero 1 o 2 euro verrebbe fuori un gruzzolo niente male».

Passata la sbornia dell'arricchimento delle case discografiche la musica ritorna così al tempo dei mecenati. È secondo te un nuovo inizio per la musica?


«Non credo sia un nuovo inizio, ma un'alternativa valida e di sicuro ottimismo. In molti, anche i big, si sono staccati dalle majors per avere maggiore libertà artistica, anche se nel caso di quelli più famosi gli uffici stampa e annessi faranno il loro solito gran lavoro per tenerli sempre più in alto possibile. Le majors al momento sono in difficoltà, quindi puntano a rendere il prodotto ancora più "plastica da vendere al supermercato", roba che nel giro di qualche mese non esisterà più, avrà il boom all'inizio ma poi crollerà inesorabilmente. Distaccandosi da queste strategie di marketing si tiene il prodotto in vita molto di più».

Una grossa mano la dà sicuramente la tecnologia che ha abbassato i costi di registrazione e produzione. È così?


«Senz'altro, anche se la mano di un produttore vero innalza sempre la qualità del lavoro finito. Ci sono addirittura dei produttori che al momento sono anche più star dell'artista stesso. Non dico che siano abbassati nettamente i costi, ma c'è più scelta e meno pretese rispetto al passato, su come incidere un disco. Gli home-recorded sono aumentati a dismisura».


Anche tu hai aperto una sottoscrizione tra i fans?


«Sì, come ho già detto. Sta avendo un discreto successo e la cosa sarà importante per il cd e per le sue ambizioni. Ci sono ancora cinque mesi di tempo prima che la campagna scada, e a quel punto tirerò le somme e traccerò la giusta strada per il cd».


Se uno volesse contribuire cosa deve fare?

«
La sottoscrizione è aperta su Kapipal e basta avere una carta di credito o una prepagata, accedendo da Paypal. Il meccanismo è tutto in automatico, basta scegliere l'importo che si vuole donare e in cambio si riceveranno gadget, dischi e tante altre cose. Andate a vedere sul sito».

Neil Young in una recente intervista ha dichiarato che negli anni '60 la musica teneva insieme la cultura e che oggi è praticamente solo la tecnologia a farlo. Cosa ne pensi?

«
Può essere ma sinceramente è solo una questione di tempi che cambiano. Alla tecnologia che si evolve nessuno si può sottrarre, ma questo vale anche per il cinema, ad esempio. La mente adesso è sempre più digitalizzata, una cosa inevitabile. Quello che spaventa non è cosa tiene insieme la cultura ma la cultura stessa che, spiace dirlo, è sempre più materia opzionale nella vita».

Recentemente hai stilato una tua personale classifica dei concerti dell'anno. Se non sbaglio al primo posto hai messo l'esibizione di Tom Petty a Lucca, al secondo i Wilco e al terzo il concerto di Springsteen a Milano. Con poche parole ci descrivi questi tre eventi?


«Tom Petty & The Heartbreakers sono la quintessenza della musica rock, e da musicista è stata una gioia per le orecchie e per gli occhi. La perfezione musicale era su quel palco quella sera. I Wilco sono senza dubbio una delle migliori realtà, musicisti coi controattributi, canzoni bellissime, suoni unici. È un concerto a cui forse non parteciperei tutte le sere, perché è come un viaggio, una di quelle esperienze che spesso e volentieri devono rimanere sporadiche altrimenti si perde il gusto. Bruce Springsteen e il suo concerto-fiume di San Siro è senza dubbio stato una bella carica di adrenalina - da anni sognavo di sentire "The Promise" dal vivo - e difficilmente il Boss delude. Unico neo: la vecchia guardia della E Street Band ha mollato un po' il tiro, è diventato troppo un one man show, non ho carpito la vecchia alchimia dei concerti degli anni passati. L'età avanza anche per loro, tranne che per Bruce».


Oltre a essere un apprezzato cantautore sei anche una colonna portante dell'associazione culturale Roots Music Club di Ferrara. Da anni come associazione portate in Italia grandi nomi della canzone americana, avete quindi il polso della situazione. Puoi dirci qual è la salute del mercato della musica live in Italia?


«Non posso dire che sia preoccupante ma di certo è direttamente legata alla burocrazia, almeno in parte. Il che non è proprio di buon auspicio. Spesso manca la curiosità, la conoscenza, l'istigazione all'ascolto. C'è una pigrizia generale che crea molta amarezza e rabbia, al contrario in Germania e Olanda la live music resiste e porta grosse soddisfazioni anche a bassi livelli».

In Inghilterra è da poco entrato in vigore il Live Music Act, legge che permette ai pub e ai piccoli locali di proporre musica dal vivo senza più permessi speciali. Una vera rivoluzione che permetterà a 13 mila esercizi commerciali, questa la stima del governo inglese, di offrire concerti e che darà una ulteriore spinta a tutto il movimento artistico. In Italia, paese dalle mille complicazioni, invece a che punto siamo?


«Per l'Inghilterra è una gran bella cosa. In Italia siamo a un punto morto credo, non sono molto preparato sull'argomento ma c'è ancora troppa burocrazia, troppe carte, troppi adempimenti, quando a volte un bel falò risolverebbe parecchie cose e risolleverebbe un bel po' d'animi».


Vista la tua disponibilità ti sottopongo anche alle dieci domande secche. 


- Autostrada o strada provinciale? 
Tutte e due hanno il loro fascino. Dico autostrada dell'Arizona.

- Chicago o New York? 
Due città che conosco bene, amo e in cui ho molti amici. Dico Chicago d'estate e New York d'autunno.

- Vino o birra? 
Una Brooklyn Lager d'estate e una bottiglia di Sangiovese d'inverno, accompagnata da una bella polenta fumante.

- PC o Mac?
 PC, non mi sono ancora scervellato col Mac.

- Castagnaccio o torta di noci?
 Castagnaccio perché l'ho mangiato più spesso, anche se non ne vado matto.

- "Simple Twist of Fate" o "After the Gold Rush"?
 Per affetto dico "After the Gold Rush". Avesse il testo di "Simple Twist Of Fate" però...

- Nero o bianco?
 Nero, decisamente. Vedo meglio al buio.

- Elefante o giraffa? 
Giraffa, vede più in alto ed è rassicurante.

- Camicia o maglia?
 Camicia. Precisamente quella nera coi bottoni madreperlati che comprai a Nashville nel 2005.

- Luna o sole?
 Luna. Se fosse la "Blue Moon Of Kentucky" sarebbe il massimo.



Titolo: Here's to the road
Artista: Cesare Carugi
Etichetta: Roots Music Club
Anno di pubblicazione: 2012





sabato 20 ottobre 2012

La Black Widow lancia i Flower Flesh







L'autunno è ricco di interessanti novità discografiche. Non è da meno la provincia di Savona, arida per quanto riguarda le opportunità offerte di ascoltare musica dal vivo ma vivace dal punto di vista artistico. Dal ponente arrivano i Flower Flesh, gruppo di cinque elementi nato nel 2005 nella sala prove dell'associazione Mulino degli Artisti di Bardino Nuovo a Tovo San Giacomo, che in questi giorni hanno pubblicato, attraverso la casa discografica Black Widow di Genova, il loro primo disco dal titolo "Duck in the box". La rock progressive band è nata dall'idea del bassista pietrese Ivan Giribone e del tasterista ingauno Alberto "Mr. Apple" Sgarlato, ai quali si è unito in un primo momento il batterista Andrea "Bea" Fazio e successivamente il chitarrista Marco Olivieri e il cantante Daniel "D.E." Elvstrøm.
L'album è stato registrato nell'A.M. Studio di Alessandro Mazzitelli a Loano nel 2010 e stampato in autoproduzione in poche centinaia di copie. Le ottime recensioni apparse nei mesi successivi su diversi siti e magazine specializzati hanno convinto la Black Widow a dare fiducia al gruppo e a pubblicare ufficialmente il cd. Disco che sarà presentato giovedì 25 ottobre nella Casa dei Circoli in via Concordia 6 a Ceriale (ore 20.30). La serata, organizzata dall'associazione Compagnia dei Curiosi, sarà condotta da Alfredo Sgarlato.
Abbiamo avuto l'occasione di parlare con Alberto Sgarlato, tastierista e fondatore del gruppo, che racconta la nascita del disco e i progetti della band.




Sette anni di vita dei Flower Flesh ed ecco il vostro primo disco. Un gran bel risultato!

«L'importante è non volerlo considerare un traguardo ma un punto di partenza, che ci offra la visibilità necessaria per realizzare tantissimi altri progetti, sia in studio che dal vivo».

Disco che tra l'altro avete registrato ben due anni fa. Ci racconti la storia di questo album?

«La gestazione è stata sicuramente lunga anche perché purtroppo nessuno di noi campa di musica, cosa che in Italia se non sei un grande nome sostenuto dalle majors, dalla tv o dai reality show è diventato pressocché impossibile. Gli impegni di lavoro, di famiglia, etc. ci hanno un po' allontanato dal seguire la realizzazione e la promozione dell'album come avremmo voluto. Tutto però è avvenuto con calma, senza fretta, in modo molto meditato e siamo davvero soddisfatti del risultato finale».

È un bel colpo venire lanciati da una casa discografica come la Black Widow che ha sempre sfornato prodotti molto curati. Si aprono mercati internazionali che forse non immaginavate neppure quando avete registrato le canzoni...

«Per noi sentire i soci della Black Widow dire che il nostro era un buon prodotto e che poteva trovare spazio nel loro catalogo è stato come un sogno che si realizzava! La casa discografica ci sta offrendo un eccellente supporto, ha già fatto uscire la pubblicità dell'album su "Progression", la più autorevole rivista americana specializzata in progressive rock, e su "Prog UK", un periodico inglese che, grazie al fatto di essere scritto in una lingua ormai conosciuta un po' ovunque, è molto letto in tutto il nord Europa, dalla Germania ai paesi scandinavi. Ovviamente noi ci auguriamo di poter sfruttare la scia di questa conquistata visibilità per effettuare anche delle date dal vivo in qualche nazione estera».

Dove si può acquistare il disco?

«Il cd "Duck in the box" si può ordinare sul sito della casa discografica, www.blackwidow.it, si può trovare nel negozio di via del Campo 6r a Genova e si può ordinare anche al proprio negozio di dischi di fiducia. Nei principali record stores di alcune grandi città italiane ed europee c'è già. Da novembre sarà disponibile anche il download digitale, su iTunes e su Amazon, le due più importanti piattaforme di vendita musicale oggi disponibili sul web».

È prevista anche una versione in vinile?

«Ci sarebbe piaciuto tanto, anche perché tra i collezionisti la passione per i solchi del "discone nero" non muore mai e tra chi ama davvero la musica il vinile gode ancora di un ottimo mercato. Ne abbiamo parlato a lungo, con gli amici di Black Widow, per decidere se era il caso di pubblicare il 33 giri o meno, anche perché la durata dell'album, circa 43 minuti, sarebbe perfetta per essere suddivisa sulle due facciate. Ma il vinile purtroppo ha dei costi di realizzazione che non sono quelli del cd e alla fine abbiamo convenuto che per il debutto di una band ancora poco nota lanciare sul mercato un vinile sarebbe stato un po' un salto nel buio. Non è da escludere l'ipotesi che, se questo primo lavoro andasse bene, la seconda ristampa potrebbe uscire anche su 33 giri. O magari ne parleremo per il secondo album, sempre in base al riscontro di pubblico del primo disco e dei live».

Il vostro lavoro si colloca nel grande contenitore del progressive rock. Chi sono i vostri "padrini" artistici.

«Difficile dirlo, anche perché tutti noi cinque Flower Flesh abbiamo gusti molto vari e molto diversi e, nel momento in cui siamo nati come band, non abbiamo detto ‹fondiamo una prog-band› o ‹scriviamo dei brani di prog-rock›. Abbiamo soltanto deciso: ‹smettiamola di suonare come le classiche cover band da pub e cerchiamo di realizzare qualcosa di nostro›. Evidentemente, nel background di ognuno di noi, il prog-rock era poi il fil rouge che ci legava nel modo più forte».

Andiamo più a fondo nell'analisi di questo lavoro. Come sono nate le canzoni? 

«Le nostre canzoni partono sempre dal cuore. Quando sviluppiamo un'idea in sala prove la prima cosa che ci sta a cuore è la presenza di una bella melodia, un qualcosa che entri in chi la ascolta. Questo, purtroppo, è un aspetto che oggi si è un po' perso nel mondo del progressive rock. Numerose band puntano sulla dilatazione spesso inutile dei brani, sui lunghi assoli, sul virtuosismo, quasi per sbattere in faccia all'ascoltatore ‹ma quanto siamo bravi›. A noi tutto questo non interessa, cerchiamo formule, pur nell'ambito del genere, più dirette, più immediate e più moderne. Il nostro obiettivo è quello di costruire una musica che sia intelligente, che esca dagli schemi della canzoncina pop da tre accordi ma che non perda le sue radici canticchiabili».

Come vi siete divisi i compiti?

«Non esiste un leader o una figura guida della band e tutti i Flower Flesh pesano, ciascuno per il suo 20%, sul risultato finale. Certi brani sono stati costruiti lavorando tutti insieme su un giro di basso di Ivan, altri su una melodia vocale di D.E., il nostro cantante, altre volte io o Marco, il chitarrista, portavamo un giro di accordi, o un arpeggio, e ci si lavorava tutti insieme. E poi c'è un gran lavoro di "editing" di Andrea, il nostro batterista. Talvolta prende un tema costruito da uno di noi, ne cambia tutti gli accenti e la scansione ritmica, e il brano già cambia faccia. Oppure ascolta un'idea e dice: ‹la parte che arriva dopo le prime 8 misure in realtà starebbe meglio prima› e con questi interventi il tutto prende forma».

Quando avete capito che era arrivato il momento di fissare su cd la vostra musica?

«In realtà il sogno di qualsiasi musicista che prova a realizzare qualcosa di suo è quello di farlo sentire al di fuori della propria sala prove, proponendolo dal vivo e su disco. Suonare per se stessi diventa presto molto frustrante».

Perché avete scelto questo titolo curioso?

«Io personalmente detesto le band che intitolano un album semplicemente con il loro nome o con il titolo di una delle canzoni presenti, la trovo una trascuratezza, una mancanza di fantasia e, persino, di rispetto per l'ascoltatore. Così ho chiesto agli altri componenti della band che decidessimo un titolo per l'album. E siamo impazziti tutti a cercare una frase che ben rispecchiasse un certo mood presente in tutte le canzoni dell'album. I nostri testi, in parte scritti dal cantante D.E., in parte dal nostro ex cantante e paroliere Eugenio, detto Meo, in parte anche da me, sono molto figli del nostro tempo, riflettono i mali della nostra società, la difficoltà nei rapporti umani, l'isolamento, la crisi, le guerre. Così cercavamo qualcosa che riassumesse tutto ciò. Poi, quando abbiamo fatto la seduta fotografica con i nostri cinque ritratti per il libretto del cd, Ivan è arrivato tutto trafelato, con una scatola in mano, e ci ha detto: ‹Scusate il ritardo, ma in autostrada mi son dovuto fermare a salvare questo›, e dalla scatola di colpo è spuntato un papero vivo! Lo abbiamo liberato lungo il torrente che costeggia la nostra sala prove, è tornato nel suo habitat naturale, e abbiamo deciso che questo era un segno del destino! Il nostro album si sarebbe chiamato "Duck in the box". In fondo, chi cerca di fare prog-rock in mezzo alle proposte del music business di oggi si sente un po' impaurito e schiacciato come un papero in una scatola, quindi va bene!».

Il progressive è uno dei generi musicali che ancora oggi può contare su uno zoccolo duro di appassionati. Quanto è ancora attuale il messaggio del prog?

«Oggi come oggi c'è ancora chi suona il rockabilly degli anni '50, chi il country, chi il punk, chi l'hard rock. Diventa sempre più difficile inventare qualcosa di nuovo, quindi non c'è niente di male a "coccolare" i gusti di chi ama un certo genere di musica, qualsiasi esso sia. L'importante è farlo con sincerità, credendoci, e sapere di avere qualcosa da dire per percorrere, pur su terreni già battuti, una via personale, senza scimmiottare pedissequamente un modello di riferimento, altrimenti tanto vale metter su una tribute band».

Avete in programma un tour per promuovere il disco?

«Ci piacerebbe, ma non essendo la musica l'impegno primario della nostra vita non ne avremmo il tempo. Più che un vero e proprio tour si tratterà di tante singole date qua e là. Esiste ancora, in Italia in primis, ma anche in tutta l'Europa e in tutto il mondo, un eccellente e vivace circuito di locali che danno ampio spazio al prog-rock e di festival dedicati al genere. Stiamo cercando di prendere contatti con tutte queste realtà per portare le nostre canzoni dal vivo nel modo più capillare possibile».



Titolo: Duck in the box
Gruppo: Flower Flesh
Produttore: Alessandro Mazzitelli
Etichetta: Black Widow
Anno di pubblicazione: 2012

Tracce
(musiche di Flower Flesh)

01. Falling in another dimension  [testo Daniel Elvstrøm]
02. My gladness after the sadness  [testo Daniel Elvstrøm]
03. It will be the end  [testo Eugenio Mariotti]
04.God is evil (like the devil)  [testo Daniel Elvstrøm]
05. The race of my life  [testo Daniel Elvstrøm]
      1) Warm up
      2) First in the race
      3) Stop'n'go
      4) Tra il fuoco ed il vento
      5) First in the race again
06. Antarctica  [testo Eugenio Mariotti]
07. Scream and die  [testo Alberto Sgarlato]




martedì 16 ottobre 2012

L'esordio discografico di Stefano Ronchi





Si intitola "I'm ready" l'album d'esordio di Stefano Ronchi. Il trentenne chitarrista e cantante blues genovese, nonché membro degli Almalibre che insieme a Zibba hanno vinto la Targa Tenco 2012 per il miglior album, presenterà ufficialmente l'atteso lavoro solista il 19 ottobre nella sala concerti de La Claque a Genova (ore 22). Laureato in Storia della Musica alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Genova e diplomato in chitarra jazz al Conservatorio Niccolò Paganini, Ronchi dopo aver accompagnato artisti pop e personaggi della televisione come Umberto Smaila ha trovato nel blues di Chicago la sua fonte di ispirazione. Il disco è un omaggio ma anche una personale rilettura di questo genere sempre affascinante e attuale.
Ospiti della serata genovese saranno Zibba, Meri Maroutian, Marcello Picchioni e il violinista Fabio Biale, anche lui membro degli Almalibre e prossimo al debutto solista.
In anteprima abbiamo parlato con Ronchi che in questa intervista ha descritto il suo disco e raccontato la sua carriera musicale.




A La Claque presenterai ufficialmente il tuo primo album. Cosa ci puoi dire di questo disco? 

«"I'm ready" è il mio primo disco solista. Rappresenta una vera e propria svolta per me, sia musicale che personale. Dal punto di vista musicale è il mio omaggio alla musica che amo, il blues, soprattutto quello che si suona dalle parti di Chicago, città che oso definire la mia seconda casa, da quanto amo andarci! Frequentare quei locali e avere la possibilità di esibirsi con al fianco alcune delle leggende di questa musica - Lurrie Bell, Billy Branch e molti altri - è stata un'esperienza talmente forte che appena tornato in Italia non solo ho cambiato modo di suonare la chitarra, ma ho anche deciso di tagliare i ponti con il resto e dedicarmi esclusivamente a questa musica e a registrarne un disco. In realtà non ho abbandonato proprio tutto ma la decisione forte è stata quella di dare finalmente una precedenza nella mia vita. In questo caso l'ha avuta il blues. Il disco contiene 11 tracce, la maggior parte delle quali sono di mia composizione. Scrivere dei blues è sempre stata una mia prerogativa, non amo fare cover, a meno che non siano davvero significative ed emozionanti, prima di tutto per me. In questo ambito quella a cui sono più legato è "Born under a bad sign", è uno dei brani più significativi di Albert King, mio chitarrista e bluesman preferito; ma devo dire che la cover che mi ha dato più soddisfazione è "Ain't no love in the heart of the city", brano di Bobby Bland, reso ancora più celebre dagli Whitesnake, e che l'arrangiamento sapiente di Stefano Cecchi (bassista e arrangiatore del disco, ndr) e i violini di Fabio Biale hanno reso ancora più struggente. Non ultima anche la voce di Zibba che ha centrato in pieno il mood malinconico del brano. Il 19 ottobre ci sarà la presentazione ufficiale a La Claque e nell'occasione registreremo anche un DVD, spero quindi che partecipi tanta gente! Sarà una bellissima serata di blues. Sono già emozionato adesso».

Per chi non ti conosce chi è Stefano Ronchi? 

«Dunque, chi è Stefano Ronchi...il curriculum è facilmente leggibile su internet, quindi vi dico qualcosa di un pochino più segreto. Stefano Ronchi è di sicuro una persona che ha dedicato tutta la sua vita alla musica. Ho sempre creduto ciecamente di potercela fare a trovarmi un mio spazietto, perché aver ricevuto in dono del talento senza avere la possibilità di esprimerlo e di "farlo arrivare" alla gente sarebbe stato troppo ingiusto! Quindi continuo a crederci e a fare del mio meglio. Non ho mai snobbato nulla, continuo ad ascoltare e suonare con piacere qualunque cosa, basta sia suonata bene. Poi ovviamente se è blues sono ancora più contento. Ultimamente sono molti quelli che mi dicono di riconoscere il mio stile ed è sicuramente il complimento più bello che un musicista possa ricevere. Può piacere come no ma è il risultato di ascolti ed esperienze davvero variegate, ed è parte di me. Forse se mi fossi appassionato prima al blues le cose sarebbero andate diversamente e con questo intendo molto meglio, ma anche molto peggio... chissà».

Come ti sei avvicinato alla musica? 

«La musica in casa mia c'è sempre stata; mio nonno in particolare era un grande appassionato di lirica e possedeva una collezione infinita di vinili di opere che fortunatamente ho ereditato. A tentare la dura vita del musicista invece sono il primo. Ho iniziato alle elementari, frequentando lezioni pomeridiane di pianoforte classico; dopo qualche anno ho deciso di cambiare strumento, indeciso tra chitarra e sax tenore: alla fine ho scelto chitarra. Le prime lezioni con Don Antonio all'oratorio, e poi non mi sono più fermato e non penso lo farò mai».

Quali sono stati gli artisti che ti hanno trasmesso la passione per la musica?

«All'inizio la passione non era trasmessa da artisti ma da canzoni. Sentivo alla radio o nelle cassette degli amici qualche canzone che mi piaceva e così via. L'approfondimento sugli artisti è venuto molto dopo. Mi è molto difficile rispondere a questa domanda, perché in realtà la passione non me l'ha trasmessa nessuno, ci sono nato. Non so se è un bene o un male ma è così. Se mai posso ringraziare artisti e maestri che più che la passione mi hanno trasmesso curiosità, voglia di approfondire. In questo senso devo assolutamente ringraziare i tre insegnanti e grandissimi musicisti che più mi hanno dato in questi anni: Robben Ford, Alessio Menconi e Alberto Malnati».

Quando hai capito che la musica poteva diventare il tuo mestiere? 

«L'altra grande passione che ho sempre avuto, fin da piccolo, sono gli aerei militari. Se non avessi impostato la mia vita sulla musica sarei andato immediatamente in Accademia Aeronautica. Nonostante una certa confusione e disordine che fanno parte della mia personalità, posso definirmi una persona estremamente disciplinata. Non a caso il mio hobby preferito sono le arti marziali, Goshin-Do nel mio caso. Quindi in ambito militare probabilmente ci sarei stato anche bene. Ma la musica ha sempre vinto, sono contento delle mie scelte anche se spesso sono costate sacrifici, fatiche, con non pochi ripensamenti e momenti di sconforto... come direbbe un noto chitarrista genovese: anche questo è blues».

Stefano, a buon diritto sei entrato a far parte della prolifica scena ligure ma il tuo sguardo punta oltre oceano. Sei un genovese che suona blues. 

«Ebbene si, sono un genovese che suona il blues! In realtà la cosa non mi stupisce più di tanto. La nostra città ha l'arte nel Dna e la sua storia è colma di musicisti incredibili. Anche tra i giovanissimi ci sono tanti talenti pazzeschi; l'unica cosa che mi auguro sempre è che diventino musicisti e non strumentisti, il che comporta anche una bella dose di umiltà e di facciate. Chi non è disposto a prenderle, chi nasce con giacca e cravatta dubito che arriverà lontano. Io le mie super facciate le ho prese e continuo a prenderle ogni tanto, quelle più forti fanno in effetti un po' vacillare ma nel mio caso riguardano più spesso le persone, piuttosto che i musicisti. La mia fortuna è quella di avere anche in cambio tantissime soddisfazioni che mantengono equilibrato il mio percorso. Come ti dicevo prima, è stata l'esperienza oltreoceano a farmi cambiare direzione; la vita musicale e le esperienze che si possono fare oltre i nostri confini per noi sono ancora fuori portata. Bisogna solo affrontarle con la giusta umiltà per farle rendere al massimo, altrimenti restano bei momenti ma scivolano addosso come tante altre cose». 

Naturalmente il tuo strumento è la chitarra. Quali sono le tue preferite? 

«A me piacciono tutte le chitarre. Potessi me ne comprerei un mare. Cambio molto spesso gusti, fraseggi, modi, ecc... quindi di conseguenza cambio spesso anche strumenti, in base alle nuove esigenze. Ne ho avute davvero di tutti i tipi, dalle Danelectro stile anni 50 alla Flying V. Pochissime sono le "invendibili", quelle che rimarranno per sempre: una Ibanez modello Joe Satriani, è stata la mia prima chitarra elettrica quando andavo alle medie ma non la uso più da almeno 10 anni, una Fender Telecaster bianca autografata con le firme dei grandi musicisti con cui ho avuto il piacere e l'onore di suonare o condividere il palco come The Blues Brothers, Mary Lane, Lurrie Bell, James Wheeler e molti altri. E infine una splendida Gibson ES 120 del 1963 comprata a Chicago: è la meravigliosa chitarra che si vede nella copertina del mio disco». 

Dal 2011 fai parte anche degli Almalibre, gruppo che accompagna Zibba. Come vivi questa nuova esperienza? 

«Suonare con gli Almalibre per me è stata la salvezza. Innanzitutto perché ho conosciuto musicisti di grandissimo talento dai quali ho potuto imparare tantissimo. Sono arrivato a suonare su palchi prestigiosi, in tutta Italia, che per me sarebbero stati inarrivabili, come il Blue Note, l'Auditorium della Musica di Roma e tantissimi altri. Entrare in un progetto così importante mi ha dato anche molta visibilità ma soprattutto la cosa più importante è che non ho dovuto snaturarmi; negli Almalibre suono esattamente come suonerei da solo, i miei gusti si incrociano perfettamente con quelli di Zibba, il che rende ancora più piacevole questa esperienza. Non da meno il fatto che quasi tutta la band degli Almalibre è presente nel mio disco: Stefano Cecchi, che ha curato le registrazioni, gli arrangiamenti e le parti di basso, Fabio Biale al violino, Stefano Riggi al sax e lo stesso Zibba, che ha cantato in un brano. A loro si aggiungono Marco Fuliano alla batteria, Fabio "Kid" Bommarito all'armonica, Marcello Picchioni al piano, Valter Trentini chitarra e voce e due persone a me molto care: Meri Maroutian (voce) che è anche la mia compagna nella vita, e mio fratello maggiore acquisito nonché pianista di fiducia Max Vigilante». 

Quali sono i tuoi progetti futuri? 

«Al momento sono super concentrato sulla mia carriera nel blues. Porto in giro, sia in solo acustico che con la band, i miei brani e il mio modo di interpretare questa musica meravigliosa. Oltre a questo seguo il mondo Almalibre. Al di fuori del palco insegno chitarra in diverse scuole, e mi sono recentemente iscritto al Conservatorio per prendermi il mio secondo diploma. Come dire, senza musica non riesco a stare».

Qual è stato il tuo ultimo concerto da spettatore e quale il tuo ultimo disco acquistato? 

«L'ultimo concerto da spettatore è stato quello di Angelo Leadbelly Rossi, grandissimo bluesman italiano, all'Ostaia da U Neo a Sestri Ponente. Ascoltare lui è come farsi un dose di blues autentico, con la A maiuscola. Il locale si trasforma magicamente in un campo di cotone. Ultimo cd acquistato "Perpeual flame" di Yngwie Malmsteen, da un estremo all'altro». 


Per concludere ti sottopongo al gioco delle dieci domande secche... 
- Robert Johnson o John Mayall? Robert Johnson tutta la vita.
- Cima alla genovese o pasta al pesto? Pasta al pesto.
- Gazzetta dello Sport o Corriere della Sera? Gazzetta, ma solo perché ce l'ho sotto il naso la mattina al bar e comunque salto tutte le pagine che parlano di calcio.
- "La stranezza è nella mente di chi la percepisce" (Asimov) o "Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri" (Schopenhauer)? La seconda, più accessibile.
- Renault o Fiat? Direi Fiat visto che la mia Punto mi accompagna fedelmente e con efficacia da bene 171.800 chilometri. Tocchiamo ferro... Però la mia macchina preferita, quella che mi porterò sempre nel cuore è il Renault 5 GT Turbo.
- Genoa o Sampdoria? Come dicevo prima non mi frega niente del calcio, ma tra le due simpatizzo
Genoa.
- Nave o aereo? Aereo, anche se patisco un pochino. Sulla nave mi rompo le scatole ma non
patisco nemmeno il mare forza tsunami.
- Civetta o rondine? Civetta, vivo di notte anche io.
- Plettro o thumbpick? Non uso plettri, suono con le dita ma tra i due preferisco il thumbpick, lo
uso ogni tanto con l'acustica per suonare dei ragtime.
- Aranciata o Coca Cola? Facciamo birra!


Titolo: I'm ready
Artista: Stefano Ronchi
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2012