martedì 26 marzo 2013

L'Avanspettacolo dei Fetish Calaveras





È tempo di ritornare a far festa. E con chi, se non con i Fetish Calaveras che assicurano sempre la giusta dose di divertimento e allegria. Il gruppo savonese, nato nel 2002 dall'idea del cantante Gabriele Resmini (MrCorto) e del chitarrista Michele Olmo (Kike Calavera), torna a farsi sentire con un disco nuovo di zecca dal titolo "Avanspettacolo". Un album di swing'a'billy, nuovo genere musicale ideato per l'occasione, che contiene dodici storie che hanno un unico filo conduttore: una giornata qualsiasi di una impiegato qualunque, Manrico Calavassa. Una esistenza tranquilla che viene però vivacizzata da dodici personaggi che irrompono nella vita del simpatico Manny. Il tutto in un susseguirsi di canzoni e intermezzi recitati dagli attori del Teatro di Sassello. La musica è un mix accattivante di rock'n'roll anni '50, swing, surf e rockabilly.
La band, completata da Mirco "Mirkus" Gazzera al basso, Alberto "Pittiful" Piturru al sax, Andrea "Dead Meat Mariuoli" Mangialardo alle tastiere e Stefano "Steve Ray Fruit" Raggi alla batteria, presenterà il disco sabato 30 marzo a La Claque a Genova (ore 22). Alla serata parteciperanno alcuni degli ospiti presenti su disco: Andy Macfarlane dei Rock'n'Roll Kamikazes alla chitarra, Enrico Allavena dei Bluebeaters al trombone, Stefano "Piri" Colosimo degli Africa Unite alla tromba e Dan Cazzullo alla fisarmonica. Nel corso della serata, saranno proiettati anche i video dei singoli "Bigga Mouldah" e "Mr Unbelievable". Inoltre si potrà visitare la mostra fotografica di Giorgia Matarese intitolata "Fetish Calaveras al Kit Kat".
Con Gabriele Resmini abbiamo parlato del nuovo disco e dei progetti futuri.


Nel disco raccontate dodici storie, momenti della giornata di un impiegato. Ventiquattro ore che iniziano con la sveglia che suona...

"E' la storia di Manrico Calavassa e di dodici personaggio che entrano nella sua vita. Ho scritto un breve testo insieme al nostro sassofonista e poi gli attori del Teatro di Sassello l'hanno fatto diventare una storia. Ci siamo divertiti a collaborare e loro hanno lavorato egregiamente portando anche molte idee".

Come è nata l'idea di costruire questa storia?

"Nel momento in cui abbiamo deciso che il disco fosse "Avanspettacolo", ci siamo divertirti a strutturarlo come uno spettacolo teatrale. Il concept si basa su dodici piccole storie legate a momenti della vita di tutti i giorni. Chi acquisterà materialmente il cd potrà godersi anche il booklet che è composto da dodici manifesti teatrali, ognuno dei quali rappresenta una canzone del disco".

Il sound è allegro ma le canzoni puntano l'indice accusatorio verso i vizi della società di oggi...

"Il sound è allegro e puntiamo sul divertimento, basta già il telegiornale a intristirci non c'è bisogno di abbatterci ancora di più andando a vedere un concerto. Invece ci sono tanti che ci "sballano". Non voglio entrare nelle critiche sui generi musicali che vanno di moda adesso, ma ci sono tanti che si divertono a raccontare le tristezze dell'essere, del mondo di oggi, mettendo insieme bellissime parole ricercate che probabilmente non arrivano al pubblico medio. Noi preferiamo divertirci e fare divertire il pubblico senza perdere di vista quella che è la società di oggi, quindi all'interno del testo, se uno ha voglia di scavare, di andare a cercare, può leggere quella che è la nostra critica. Io non sono abituato a essere molto esplicito, preferisco che la gente si diverta a entrare nel testo, nella storia, e a leggerla come vuole".

Tante sono le collaborazioni presenti nel disco: da Andy Macfarlane ad Enrico Allavena…

"Ci abbiamo messo parecchio tempo a concludere il disco ma ne siamo orgogliosi. Siamo un gruppo che vive con lentezza ma ne è valsa la pena. Ci sono delle belle collaborazioni: Enrico Allavena trombonista di Bluebeaters, Piri trombettista degli Africa Unite, Andy Macfarlane chitarrista dei Rock'n'roll Kamikazes, Roberto Dellepiane pianista di Renato Zero e molti altri personaggioni. E non poteva mancare un contributo savonese. In un brano suona il contrabbasso il grande Botta degli Eazy Skankers".

Perché avete scelto il titolo "Avanspettacolo"?

"Perché lo spettacolo è quando suoniamo dal vivo, ma lasciamo da parte gli scherzi. L'avanspettacolo è qualcosa di rètro che vorremmo tornasse di moda, è qualcosa di molto italiano. Avremmo potuto chiamarlo cabaret o utilizzare un altro termine straniero ma ci è piaciuto avanspettacolo. Era un bel modo di fare spettacolo, divertente e allo stesso tempo di critica sociale, satirico ma sempre educato. Purtroppo ora non c'è più e la televisione passa solo cose americane noiosissime o spettacoli e format triti e ritriti. Dall'avanspettacolo sono usciti grandissimi attori e presentatori, gente che sapeva veramente fare il proprio lavoro".

Se Fred Buscaglione non avesse fatto il musicista, i Fetish Calaveras che genere musicale avrebbero suonato?

"Non lo so, forse avremmo fatto ska. Probabilmente non saremmo stati così educati, avrei dovuto studiare molto meno il modo di dire le cose, avremmo sudato molto di più di quello che sudiamo adesso. Negli anni '90 quando andavano di moda i Persiana Jones, di cui eravamo grandi fans e amici, ci hanno detto che lo ska stava morendo. Non è stato così, a noi piace tuttora molto e molte volte nei nostri spettacoli potete trovare qualche battuta in levare. Credo che probabilmente ci saremmo avvicinati comunque a qualcosa di anni '50, rock'n'roll meglio che jazz".

Non avete però dimenticato gli insegnamenti di Louis Prima e Brian Setzer…

"Brian Setzer è la nostra anima rockabilly. Luois Prima o ancora di più Ray Gelato sono il nostro animo swing. Speriamo di riuscire un giorno ad aprire un concerto di Gelato".

Perché  definite il vostro genere musicale "swing'a'billy"?

"In questi dieci anni abbiamo avuto tanti cambi di formazione, però quello che ci ha sempre uniti è stato l'amore per il rock'n'roll e lo swing. Ammodernandoci con il rock'n'roll siamo arrivati al rockabilly e di seguito, unendo swing e rockabilly, abbiamo dato vita allo swing'a'billy. Ci siamo divertiti a prendere in giro quelli che si inventano i generi musicali e un po' a trovare il nostro. Almeno possiamo dire di essere i primi ad averlo fatto".

Dopo numerosi cambi di componenti sembra che abbiate raggiunto una certa stabilità. Nella band siete in sei, come fate a mettervi d'accordo sulle scelte da fare?

"Solitamente ci prendiamo a botte una parola sì e una no. Funziona perché ti sfoghi e poi la volta dopo si è più tranquilli. Lasciando da parte le battute, posso dire che ci siamo organizzati come una piccola ditta: ognuno di noi ha delle responsabilità e una fascia di lavoro da eseguire e tutti ci fidiamo ciecamente degli altri. C'è chi segue le parti web, chi cura gli arrangiamenti. Le canzoni solitamente le scrivo io insieme al chitarrista, che si occupa della parte musicale, e al sassofonista, che cura gli arrangiamenti".

Per "Avanspettacolo" avete fatto il percorso inverso di quello che si fa normalmente. Avete cioè presentato l'Avanspettacolo pre-tour e poi siete andati in studio. Come è andata questa esperienza e perché?

"Non abbiamo portato in giro lo spettacolo ufficiale, erano più che altro dei test. Ci piace molto giocare con il pubblico, essere interattivi, e abbiamo voluto testare dal vivo alcune canzoni. Testando lo spettacolo ci è sembrato che andasse bene e l'estate scorsa abbiamo fatto uscire un singolo, "Bigga Mouldah", che ha avuto buoni riscontri. Nel momento che abbiamo deciso di buttarci in studio, molte cose sono state riarrangiate, aggiunte, abbiamo buttato via dei pezzi ai quali eravamo affezionati e probabilmente compariranno come lato B di qualche singolo, abbiamo lavorato tanto, ci siamo stancati molto, e non vediamo l'ora di uscire dal vivo per divertirci ancora di più".

Quanto tempo avete lavorato a questo disco?

"Alcuni pezzi sono nati parecchio tempo fa e li abbiamo già eseguiti dal vivo, ma sono stati affinati, rivisti e riarrangiati, altri pezzi ci sono stati chiesti dal nostro collaboratore artistico Jan Maio, ex MGZ. Abbiamo avuto la fortuna di poter contare su validi collaboratori. Il lavoro per il disco è durato sei mesi circa, anche perché abbiamo voluto selezionare gli studi di registrazione in base agli strumenti: chitarra e batteria sono stati registrati al West Link di Pisa, i fiati al Loud Music a Genova, la voce dal grandissimo Marco Canepa al Drum Code Studio. Poi tutto il materiale è stato portato a Cesena e confezionato. Nel frattempo abbiamo registrato il video, abbiamo studiato la promozione, abbiamo avuto la fortuna di essere presi, tra virgolette, da Lunatik, che è un grande ufficio stampa. Speriamo che sia un disco che mostri il percorso che abbiamo fatto in questi dieci anni, e soprattutto che piaccia".

Cosa è per te l'avanspettacolo, genere che è sparito da decenni dei teatri italiani?

"Ho lavorato nove anni in teatro come scenografo e ho sempre avuto una passione spudorata per tutto quello che va dagli anni '10 ai '60, sia a livello storico che artistico. Nel corso degli anni ho acquistato centinaia di dvd di Carosello, spezzoni di avanspettacolo, Petrolini meglio che altri personaggi del genere e mi sono costruito il mio teatrino mentale: un cubo nero con le lucine intorno, il sipario di velluto, il vociare del pubblico, quell'aria intrisa di fumo di sigarette e aliti di vino. Probabilmente non tanti capiranno quello che intendo, io ci ho lavorato. E poi alla fine della giornata, quando il teatro è un po' polveroso e ci sono 4-5 proiettori accesi che danno quella luce giallina, perché non sono mai tirati al massimo, il direttore di scena o l'attrezzista che spazzano il palco, passano la calamita per i chiodi e c'è una sorta di aria confidenziale, intima... E' il mio avanspettacolo".

In queste settimane, sul canale XL di Repubblica è stato presentato in anteprima il video della canzone "Mr Unbelievable"...

"E' un soggetto che abbiamo scritto io e Marcello Massardo insieme ai due registi. E' un omaggio al cabaret di Bob Fosse rivisto con l'occhio di Tarantino. Lo abbiamo girato al teatro di Sassello in quattro giorni di riprese devastanti".

Il 30 marzo a La Claque a Genova presenterete il disco. Cosa ci puoi svelare?

"Lo spettacolo sarà in due atti come quelli teatrali. Avremo il piacere di avere come presentatore Penelope Please (Marco Casu, ndr), grandissima drag queen e ottimo attore teatrale che ha recitato anche in "Mr Unbelievable". Ci saranno delle ballerine che si esibiranno mentre suoniamo, ci sarà un comico che salirà sul palco a fare un pio di interventi, avremo la presenza di altri attori che hanno lavorato con noi in "Avanspettacolo". Potrete sedervi ai tavolini, bere un bicchiere di vino o un pastis che fa molto figo, avrete in mano il programma della serata. Si potrà visitare anche una piccola mostra fotografica, come si usa fare nel teatro di lirica o meglio in un teatro più rètro. Sarà uno spettacolo unico, diverso da quello che porteremo in tour".

Avete già previsto un tour promozionale?

"Per ora abbiamo una quindicina di date fissate. Quest'estate molto probabilmente faremo di nuovo il nord Europa, poi in inverno ci vedremo nei club. Speriamo anche a Savona, sempre che in città si decidano a muovere il sedere e a ballare un po'. Ricordo che Savona è un grande polo per la musica. L'anno scorso quattro gruppi savonesi hanno vinto i più grandi festival d'Italia: gli Eazy Skankers il Rototom, iVenus l'Heineken Jammin' Festival, i Fetish Calaveras l'Italia Wave e il Pop Me Up, Zibba & Almalibre hanno vinto il Premio Tenco, abbiamo visto gruppi di Savona suonare al Mei. Non mi sembra giusto che Savona non abbia spazi per la musica cittadina che, al di fuori della Liguria, riscontra grandissimo successo".


Titolo: Avanspettacolo
Gruppo: Fetish Calaveras
Etichetta: Atomic Studio
Anno di produzione: 2013



venerdì 22 marzo 2013

"Rough Brass": il ritorno di 3fingersguitar





Chitarre, loop station e rullante. Sono questi gli attrezzi del mestiere utilizzati da Simone Perna, in arte 3fingersguitar, per registrare il suo secondo EP dal titolo "Rough Brass". L'ex batterista dei Viclarsen, dopo l'ottimo esordio con "#1" registrato insieme ad Alessandro Battistini, prosegue nelle sue personali esplorazioni sonore in ambiente psichedelico e punk rock, senza tralasciare però gli insegnamenti cantautorali. Questa volta lo fa senza compagni di viaggio.
Sono cinque i brani anglofoni, registrati in economia, dal suono grezzo, che segnano questo secondo capitolo discografico. Canzoni che danno una sferzata di energia e che coincidono con la fine di un periodo artistico. Simone Perna ha infatti già nuovo materiale nel cassetto, questa volta cantato in italiano, che dovrebbe trovare posto in un disco completo di prossima uscita. Il progetto 3fingersguitar negli ultimi mesi, inoltre, si è arricchito dalla presenza di Simone Brunzu, già batterista dei Washing Machine, che nelle esibizioni live ha dimostrato grande predisposizione. Due novità, non ancora presenti nell'EP, che apriranno all'esplorazione nuovi spazi sonori.
Per ascoltare dal vivo i brani del nuovo EP sarà sufficiente partecipare alla serata musicale in programma sabato 23 marzo al Rude Club a Savona (ore 22).
In questa intervista si approfondiscono invece gli aspetti creativi, le influenze musicali e le visioni che hanno portato alla nascita di queste canzoni.



Simone, la tua carriera è iniziata dietro la batteria dei Viclarsen per poi passare alla chitarra. Perché questa scelta?

«Fondamentalmente perché, a un certo punto, ho sentito l'esigenza di suonare canzoni mie, da solo, e con una batteria non era possibile. Ho iniziato a suonare con chitarra acustica e voce già quando ero nei Viclarsen; qualche volta ho anche aperto i concerti del gruppo, seppur in maniera informale. Alla lunga, grazie anche a qualche riscontro positivo, questa necessità espressiva è diventata predominante».

In questi giorni è uscito il tuo nuovo EP dal titolo "Rough Brass". Ce ne parli?

«È un disco che unisce e mescola psichedelia, post punk e cantautorato. Il disco è nato utilizzando  pochi mezzi ed è stato registrato dall'amico Massimo Bressan, cantante dei Viclarsen, in una situazione casalinga. Poi Alessandro Battistini ci ha messo una bella "patina" intorno e così abbiamo deciso di pubblicarlo».

Dopo il tuo primo EP cosa è cambiato?

«Nel primo EP eravamo in due: io e Alessandro Battistini, una gloria del punk savonese. Alessandro ha suonato con un molti gruppi, è una persona mentalmente molto aperta e abbiamo sempre condiviso un sacco di gusti. Cosa è cambiato? Fondamentalmente che sono da solo e a livello tecnico che suono anche la loop station. Questo EP è il primo passo per una ulteriore evoluzione».

Alessandro Battistini compare però tra i crediti del nuovo disco...

«Sì, suona nell'ultima canzone, il live "Lying down in your perfection", e ha curato la masterizzazione».

Quali sono gli aspetti positivi quando si suona da solo?

«Il fatto di suonare da solo è bello perché puoi fare quello che vuoi, però è anche più impegnativo perché devi pensare a tutto. Io sono molto concentrato sulla musica mentre su altri aspetti, come la promozione, il booking, la gestione delle nuove tecnologie, sono un po' indietro anche perché lavorando non ho tutto questo tempo a disposizione».

Hai mai pensato di puntare tutto sulla musica?

«Fare solo il musicista? Beh, puoi provarci poi però devi anche essere in grado di pagarne le conseguenze. Devi avere fegato e un po' di spregiudicatezza. Conosco persone, fuori da Savona, che ci stanno provando, tra mille sacrifici. E parlando con loro ti rendi conto quanto sia difficile».

Cosa è ora il progetto 3fingersguitar?

«È un progetto che sta diventando sempre più preciso, con basi solide. C'è una idea che sto portando avanti in maniera più decisa ma allo stesso tempo sono pronto a cambiare nuovamente. La riconoscibilità credo sia importante ma appassionandomi a un sacco di generi musicali resta sempre l'attitudine a far entrare cose nuove nel progetto».

Perché hai scelto di pubblicare un EP e non un disco?

«Perché avevo quei pezzi ed era il formato più adatto per presentarli. È un po' un antipasto di quello che a breve potrebbe essere, ho già altro materiale pronto. Mi riconosco ancora in queste cinque canzoni e mi sembrava giusto condividerle. Ha il suo valore, sono contento di averlo fatto, è una bella fotografia di un periodo».

Hai registrato da solo tutte le canzoni dell'EP?

«Come dicevo, Alessandro Battistini ha suonato la chitarra nel brano live, tutto il resto l'ho suonato io: la loop station, due chitarre e il rullante. E tutto in presa diretta senza sovraincisioni e il suono è volutamente sporco. Il titolo invece è un gioco di parole: rough vuol dire grezzo, brass è il soprannome di Massimo Bressan che ha registrato il disco e curato la grafica».

Hai annunciato che le canzoni del prossimo disco saranno cantate in italiano. Perché questa scelta?

«Perché l'inglese non è la mia lingua e alla lunga ti accorgi di avere dei limiti, rischi di dire cose in cui non credi o credi a metà e di conseguenza l'espressione di quello che esce non è convinta. Ti rendi conto che non è la qualità che vorresti ottenere. Poi naturalmente i testi in italiano vengono capiti da tutti e questo aiuta».

Cambierà anche la tua musica?

«Il cambio non sarà brusco, il genere rimarrà questo. Ora suono stabilmente con Simone Brunzu, il batterista dei Washing Machine. È nata una bella collaborazione perché è una persona appassionata al suo strumento, alla musica, e poi ha tanta voglia. È la persona giusta per suonare la mia musica».

C'è un messaggio in questo disco?

«Il soggetto ricorrente è la notte, i pensieri che vengono nel buio: dalle cose più violente come possono essere gli incubi alle domande che ti poni».

Sei un animale notturno?

«Sì, per tanti motivi. Anche perché lavoro di sera e gli orari sono inevitabilmente diversi. Di notte poi ho la fortuna di non rompere le scatole a nessuno e poter suonare le mie canzoni».

Nel disco c'è anche una cover: "Sister midnight" di Iggy Pop...

«La canzone fa parte di un disco per me fondamentale: "The Idiot". Il primo album di Iggy Pop prodotto da David Bowie, dove ci trovi un certo tipo di rock scuro, tagliente. Il tutto registrato a Berlino, allora patria del krautrock, dove imperversavano i Kraftwerk e i Can, uno dei miei gruppo preferiti. Ho cercato di prendere un po' di quella eredità e metterla nel disco».

Quali altri gruppi ti hanno influenzato?

«C'è tutto un substrato di psichedelia e post punk anni '70. Ascolto moltissima musica, si parte dai Velvet Underground e ancora più indietro. Nel disco c'è anche un tributo a un cantautore di culto come Robyn Hitchcock. Il secondo pezzo del disco, "Polka dot shirt" nasce dal fatto che alcune mie cose ricordavano le sue canzoni e la mia voce ha una certa somiglianza con la sua. Mi ricordo che una volta, in macchina, la mia ragazza mi ha chiesto se ero io a cantare un brano trasmesso dalla radio. Era di Hitchcock e in quel momento ho capito perché mi piaceva tanto».

L'anno scorso a Spotorno hai aperto il concerto di Hugo Race. Come è stata la serata?

«Molto bella, Hugo Race mi piace molto. È una persona con cui condivido un sacco di cose, non a caso ha suonato con Nick Cave, un altro dei miei artisti preferiti».

Robyn Hitchcock e Hugo Race, hanno suonato entrambi a Spotorno. Un anno fortunato per te?

«Entrambi i concerti sono stati organizzati da Marco Traverso del Raindogs, locale che ho frequentato e dove ho suonato spesso. Sono molto amico di Marco, abbiamo molti gusti in comune. Ha il merito di avermi fatto conoscere un certo blues, genere che ho sempre considerato poco ma grazie a lui ho scoperto cose meravigliose. Howlin' Wolf è ora uno dei miei preferiti. "Spice", il primo brano dell'EP, si sviluppa su un solo giro di accordi, come moltissimi pezzi di Howlin' Wolf e sono cantati con quel piglio rauco, un po' aggressivo, inquietante».

Quando sono nate le canzoni dell'EP?

«Sono pezzi del 2011. Ho avuto un momento di stand-by, di scoraggiamento e sono rimasti nel cassetto. Ora siamo qua a parlarne, quindi mi fa piacere».

Perché hai scelto di mettere in free download "Rough Brass"?

«Anche il primo EP si poteva scaricare gratuitamente da internet. È l'unica possibilità per avere un  po' di visibilità, nella speranza di ottenere, successivamente, qualcosa di più strutturato. In questo momento è un passo obbligato se non hai una etichetta che ti promuove. E in Italia ne abbiamo pochine interessate a questi generi musicali che non vanno per la maggiore e non si ascoltano alla radio».

Come vedi questo momento di grande fermento musicale della scena savonese?

«C'è un forte spirito di collaborazione tra i musicisti e i gruppi della scena. Mai come adesso, grazie anche a Francesco Cerisola di Dreamingorilla, c'è voglia di fare e non può che far piacere».

Hai stilato il calendario di concerti per promuovere il nuovo EP?

«Se ne sta parlando. Fare booking è un altro lavoro da seguire e se sei da solo è quasi impossibile. Ho colto l'interessamento al mio progetto e qualcosa si sta muovendo. Chissà, magari con date anche nel resto d'Italia».



Titolo: Rough Brass
Autore: 3fingersguitar
Etichetta: Dreamingorilla e Marsiglia Records
Anno di produzione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Simone Perna, eccetto dove diversamente indicato)

01. Spies
02. Polka dot shirt
03. Waiting for / Sister midnight  [Iggy Pop]
04. Mirror of stars
05. Lying down in your perfection (live)




lunedì 18 marzo 2013

Mandolin' Brothers alla caccia del Folkest





Da oltre trent'anni i Mandolin' Brothers percorrono l'ampia strada della musica roots. Una strada dove si incontrano fantasmagoriche stazioni di servizio con luminose insegne che rimandano allo swamp rock della Louisiana, al Messico, agli ampi spazi della frontiera da cui nascono ballate polverose, alle radici del blues e ai profumi della pianura Padana. Decenni di musica vera, senza fronzoli e artifici, che hanno portato i Mandolin' Brothers a ritagliarsi uno spazio importante nella scena musicale, non solo italiana.
La storia del gruppo è iniziata nel 1979 quando Jimmy Ragazzon e Paolo Canevari hanno aperto con un set acustico country blues, il concerto della Treves Blues Band. Il passaggio a una formazione elettrica, con un orientamento più blues rock negli anni '80, e l'inserimento della fisarmonica, con una sterzata roots negli anni '90, hanno segnato due decenni di concerti che hanno fatto conoscere la band a un ampio pubblico di appassionati. Per ascoltare il primo album, dal titolo "For Real" (2001), si è però dovuto attendere il nuovo secolo e solo negli ultimi anni si è assistito a una produzione discografica più continua: "Still got dreams" (2008), "30 Lives!" (2009), e l'americano "Moon Road" (2010). 
L'attuale line up del gruppo (attivo anche con una formazione acustica ridotta) è composta da Jimmy Ragazzon (voce, armonica e chitarra), Paolo Canevari (chitarre), Marco Rovino (mandolino, chitarre e voce), Riccardo Maccabruni (fisarmonica, tastiere e voce), Joe Barreca (basso e contrabbasso), Daniele Negro (batteria e percussioni).
I Mandolin' Brothers saranno impegnati venerdì 22 marzo a Loano (sala consiliare, ore 21) in occasione delle selezioni nord-ovest di Folkest, prestigioso festival che tutti gli anni va in scena in Friuli-Venezia Giulia nel mese di luglio.
Con Jimmy Ragazzon abbiamo parlato di musica, storia, Woody Guthrie e anni '70.



I Mandolin' Brothers vengono considerati la prima band italiana di roots music. Cosa vi ha spinti ad approdare a questo genere, dopo essere partiti da una musica molto più blues oriented?

«Vorrei dire innanzitutto che noi non abbiamo mai abbandonato il blues, che è stato il nostro primo e più importante stimolo per iniziare a suonare. Poi nel corso degli anni, con l'avvicendarsi di vari membri nella band e l'introduzione della fisarmonica, strumento tipicamente italiano, ci siamo spostati verso un suono più roots, anche per fondere le varie tendenze e passioni di ognuno di noi. Amiamo e suoniamo musica fondamentalmente americana, ma siamo italiani, cosi come lo sono le nostre radici culturali. Quindi abbiamo cercato di fondere questi due aspetti e creare un nostro sound, senza però mai dimenticare le nostre origini blues».

I Mandolin' Brothers sono nati nel 1979 e in questi 34 anni avete pubblicato solo una manciata di dischi. Come mai siete stati così parchi nella produzione discografica?

«Non sempre si riesce a conciliare la quotidianità con l'impegno e la passione per la musica. Inoltre registrare un cd in maniera professionale costa soldi, tempo ed energia. Dopo il primo album, "For Real" del 2000, abbiamo avuto varie tribolazioni, cambi di formazione etc. e solo nel 2008 siamo riusciti a tornare in studio per registrare "Still Got Dreams", che ci ha dato tante soddisfazioni e una grossa spinta a continuare. Da qui il disco dal vivo "30 Lives!" per celebrare degnamente i primi 30 anni di carriera e poi il cd/dvd "Moon Road", con il quale abbiamo realizzato il sogno di registrare negli States».

Tu e Paolo Canevari rappresentate l'anima dei Mandolin', poi nel corso degli anni sono stati molti i musicisti che hanno contribuito a dare al gruppo l'attuale fisionomia, non solo umana ma anche artistica. Perché avete cambiato così spesso i vostri compagni di viaggio?

«I motivi sono vari. Problemi di studio, di lavoro, familiari, imprevisti e vicissitudini di ogni tipo. Non sempre è possibile mantenere una band stabile senza essere professionisti e quando si comincia a suonare con una certa frequenza i problemi si presentano puntuali. In fondo suonare in una band come la nostra comporta anche la scelta di un modo di vivere, che deve essere bilanciato con la vita e gli impegni di tutti i giorni. Spesso è difficile, ma con qualche sacrificio ce la si può fare».

Sbaglio o molti di voi hanno un lavoro regolare al di fuori della musica? Desumo quindi che in Italia non si possa vivere di sola musica...

«Posso rispondere solo per quanto ci riguarda e la risposta è no, almeno per ora. Tutti noi abbiamo un day job che, anche se talvolta è faticoso da sostenere, è anche un bene perché ci rende musicalmente indipendenti, nel senso che avendo un'entrata più o meno sicura, abbiamo potuto sempre e solo suonare quello che a noi piace, senza alcun compromesso di sorta per raggranellare qualche soldo in più per poter pagare l'affitto. È ovvio che, dopo un concerto lontano da casa, certe mattine sono piuttosto ardue, ma è la dura legge del blues…».

Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale italiana?

«Purtroppo negli ultimi anni seguo poco la musica tradizionale italiana, dato che il tempo libero è quasi tutto impegnato dalla band. Comunque in passato ho potuto apprezzare gruppi come La Nuova Compagnia Di Canto Popolare, Il Canzoniere Del Lazio, il Duo Di Piadena, Giovanna Marini, il rimpianto Ivan Della Mea, Paolo Ciarchi, Giovanna Daffini e tanti altri. Siamo sempre stati un paese di artisti apprezzati in tutto il mondo per la nostra arte tradizionale e dobbiamo andarne fieri, soprattutto in questi tempi di vuoto culturale, di indifferenza e superficialità».

Nel 2012 è stato celebrato il centenario della nascita di Woody Guthrie. Che insegnamenti vi ha trasmesso questo grande personaggio?

«L'importanza di Woody Guthrie è tuttora grande ed attualissima. I suoi insegnamenti sono arrivati a noi e li sta ancora trasmettendo alle nuove generazioni. Mai, come in questi ultimi anni, l'impegno sociale e la canzone di protesta e di denuncia sono necessari per informare, svegliare e stimolare la gente a scuotersi dal torpore che ci attanaglia. Ha ragione Steve Earle che, in un suo brano, chiede a Woody di ritornare perché avremmo ancora molto bisogno di lui e delle sue battaglie. Lo scorso anno abbiamo partecipato a "Nel mio cuore ti sento ancora cantare: tributo a Woody Guthrie" a Modena e al bellissimo "Better World Coming", il cd che gli amici Lowlands hanno dedicato a Woody rivisitando le sue canzoni, insieme a molti musicisti della scena roots, indie e blues italiana».

Perché avete scelto di registrare negli Stati Uniti il vostro ultimo disco?

«È stata semplicemente la realizzazione di un sogno, di un progetto in cui speravamo. Dopo aver partecipato all'International Blues Challenge 2010 a Memphis e suonato al B.B. King Blues Club, siamo volati ad Austin, in Texas, nello studio dell'amico musicista e produttore Merel Bregante, dove abbiamo registrato un mini cd di sei brani originali, con l'aiuto di artisti americani quali Cindy Cashdollar (Bob Dylan, Van Morrison, Dave Alvin, ecc.), Cody Braun (Reckless Kelly), Lynn Daniels (Willie Nelson) ed altri. Per ricordarci di tutta questa fantastica esperienza, abbiamo realizzato anche un dvd, con brani live, appunti ed immagini di viaggio».

Quanto è stato importante per i musicisti della vostra generazione vivere gli anni '70?

«Personalmente credo sia stato molto importante. La musica rock era al suo massimo splendore, uscivano in continuazione album capolavoro e c'erano molti eventi, mostre, film e concerti da vedere. Almeno fino alla disastrosa notte del Vigorelli a Milano, per il concerto di Led Zeppelin, che chiuse per diversi anni l'era dei grandi show in Italia. Io poi ho avuto la fortuna di poter andare spesso a Londra e, oltre ai concerti, di vedere posti gloriosi come il Marquee, il Rainbow, l'Hammersmith Odeon, la Nashville Room, The Roundhouse. Ma era tutta l'atmosfera veramente energica e creativa di quegli anni che, per un ragazzo appassionato di musica come me, era fantastica, stimolante e credo anche formativa per la mia cultura e storia personale. Da tutto questo la spinta ineluttabile ad essere sempre curiosi, ascoltare tantissima musica, leggere molto, viaggiare, imparare a suonare e formare una band».

Quali sono i vostri piani per i prossimi anni?

«Stiamo registrando il nuovo album che uscirà in autunno, con la produzione artistica di Jono Manson, musicista e produttore americano, che accompagneremo anche in alcuni concerti in giro per l'Italia. Poi continua la nostra attività live come band ed abbiamo la speranza di suonare nel Regno Unito nel prossimo autunno-inverno. È uno dei nostri numerosi sogni che intendiamo realizzare, dopo i tre brevi tour negli USA, insieme magari a un possibile album totalmente acustico. Vedremo come andrà, ma di sicuro non abbiamo nessuna intenzione di smettere. Per saperne di più, potete seguirci sul nostro sito: mandolinbrothersband.com».

Jimmy, un paio di anni fa hai registrato un bel disco con un altro grande della scena musicale italiana: Maurizio Gnola. Avete intenzione di dare un seguito a questo progetto?

«Al momento ci limitiamo ai concerti, sia per i vari impegni con le nostre rispettive band, sia per l'importante collaborazione di Maurizio con il cantautore Davide Van De Sfroos. Comunque non escludo che, prima o poi, ci possa essere un secondo album, stavolta anche con la preziosa partecipazione di Davide "Billa" Brambilla, fisarmonicista con De Sfroos e Ruggeri, e qualche altro special guest».

Infine, perché avete deciso di partecipare alle selezioni di Folkest?

«Perché e una manifestazione molto importante ed interessante, non commerciale, che propone cultura, dibattiti, occasioni di incontro e soprattutto musica vera, suonata da musicisti appassionati che credono in quello che fanno, cosi come coloro che ogni anno organizzano uno dei festival musicali più belli d'Italia. Ci siamo stati come pubblico, qualcuno di noi ci ha già suonato, ma ci terremmo veramente molto a partecipare come band, per aggiungere un altro capitolo importante alla nostra storia».





martedì 12 marzo 2013

Le fondamenta della musica de Gli Altri







"Fondamenta, strutture, argini". Si intitola così il primo disco de Gli Altri, gruppo savonese nato nel 2009 e composto da Gabriele Lugaro e Andrea Nocco (già membri della band punk/hardcore 5MDR), Andrea Avalli, Lorenzo Colonna e Manuel Rosso. Il disco, scaricabile in download gratuito dal 19 marzo e acquistabile in copia fisica quattro giorni dopo, arriva dopo l'EP d'esordio, dal titolo "Incipit", uscito nel 2011 e contenente cinque brani. Tanti concerti, tenuti specialmente sulla scena genovese, hanno consentito al gruppo di crescere e affinare gusti e capacità interpretative. Il risultato è un album di sperimentazione tra generi, composto da otto tracce di cui due strumentali, che si colloca a metà strada tra l'hardcore, il noise e il post rock. Un disco cupo, a tratti claustrofobico, che disegna un ritratto dei tempi attuali, di una città di provincia che offre poche possibilità di riscatto e che è dominata da logiche speculative, di una generazione disillusa e senza prospettive. I testi, rigorosamente in italiano, sono scritti da Gabriele Lugaro con il contributo di Andrea Nocco.
Il disco è stato registrato all'El Fish Recording Studio di Genova sotto la direzione di Emanuele Cioncoloni, che ha suonato anche il sintetizzatore in un brano e ha curato la parte grafica. Ad arricchire il lavoro musicale del gruppo è stato chiamato Roberto Ceruti, cantante della storica band hardcore savonese Affranti, che ha prestato la voce nel brano "Il mio solo spazio possibile".
"Fondamenta, strutture, argini" sarà presentato ufficialmente il 23 marzo al Rude Club di Savona. Nella stessa sera suoneranno anche i genovesi Cartavetro, The Big White Rabbit e i savonesi 3fingersguitar (ore 22).
In queste settimane di intenso lavoro, Gli Altri hanno registrato anche la cover di "Talidomide" dei Flexus. Il brano, già scaricabile in free download, farà parte di una compilation dedicata alla band torinese che uscirà a settembre.
Con Gabriele Lugaro, Andrea Nocco, Andrea Avalli e Lorenzo Colonna abbiamo parlato del nuovo album. Il tutto in questa intervista.



Chi sono Gli Altri?

Gabriele Lugaro - "Siamo nati nel 2009 e due anni dopo abbiamo pubblicato l'EP "Incipit". Da allora abbiamo avuto modo di suonare molto, soprattutto nella zona di Genova, dividendo il palco anche con realtà più affermate. Gli incoraggiamenti ricevuti ci hanno spronati ad andare avanti. Abbiamo fatto tante nuovo conoscenze in questi anni che ci hanno trasmesso ulteriori stimoli e soprattutto ci siamo arricchiti di molte influenze. Intanto abbiamo continuato a comporre e nel settembre dell'anno scorso siamo entrati in studio. Abbiamo registrato il materiale del nuovo disco, poi Andrea Avalli è partito per l'Erasmus e quindi abbiamo portato avanti noi tutta la fase editing e mixaggio. Il lavoro l'abbiamo concluso due settimane fa e il disco sarà pronto per la presentazione ufficiale".

Quali sono state le motivazioni che vi hanno spinto a registrare questo disco?
 

Andrea Avalli - "Lo abbiamo registrato per dimostrare che si poteva fare un disco indipendente e, soprattutto, per far sentire agli altri questa nostra ulteriore evoluzione nei suoni e nei generi. E poi la voglia di sperimentare strade nuove nell'ambito della musica che ci piace ascoltare".
Gabriele Lugaro - "Personalmente non voglio dimostrare nulla; registrare il disco è stata una cosa naturale e non ha un secondo fine".

Qual è il significato del titolo "Fondamenta, strutture, argini"?

Andrea Nocco - "Ognuno ha la sua idea. Per quanto mi riguarda fondamenta, strutture e argini sono tre parole che trasmettono una immagine che rende l'idea di come vediamo la musica di questo disco. Nel senso che ti trasmettono una sensazione che può essere affine sia al senso grafico che musicale dell'album".
Andrea Avalli - "L'EP era lo specchio di un certo tipo di musica: molto più pesante, più da flusso di coscienza, in certi termini anche più ignorante, rappresentava un po' quel nichilismo di fondo, quella voglia di distruzione tipica della nostra generazione. Fondamenta, strutture e argini sono invece parole che fanno pensare alla costruzione di qualcosa: nel suono del disco, nella vita e nella mentalità dei ragazzi. L'idea è che ci sia qualcosa da cui partire, su cui costruire il futuro".

Quali sono i generi che più vi hanno influenzato?

Gabriele Lugaro - "Senza dubbio il punk. Tutti noi veniamo dalla cultura punk italiana e anche straniera. Siamo partiti nel 2009 con l'idea di fare qualcosa di molto più soft, poi ci siamo resi conto che quello che avevamo dentro e volevamo esprimere era completamente differente".
Andrea Avalli - "Se ti nutri di un certo linguaggio sei portato a esprimenti con quel linguaggio. E così è anche nella nostra musica: quello che ascoltiamo inevitabilmente influenza quello che scriviamo e suoniamo. Ma noi non siamo meri esecutori, tanto è vero che quello che abbiamo messo in questo album non l'abbiamo mai sentito in nessun altro disco".
Lorenzo Colonna - "E' una rielaborazione di tutto quello che ascoltiamo. Nemmeno noi sappiamo poi riconoscere le varie influenze. Dicono che siamo molto vicini ai primi Linea 77 ma non sono d'accordo".

Con i vostri testi presentate una generazione disillusa e con poca fiducia nel futuro. E' così?

Gabriele Lugaro - "I testi ognuno li interpreta a modo suo, non c'è un tema centrale. E' ovvio che io riconduca certi testi introspettivi a motivazioni mie. Quando scrivo però mi piace dare un significato politico di fondo, poi che sia più un discorso generale o territoriale dipende dall'ispirazione e dal momento. Però sono sempre argomenti di cui sento l'esigenza di parlare anche perché nessuno li tratta da un punto di vista musicale. Il testo nella musica deve trasmettere emozioni però nel momento in cui riesci anche a far passare un messaggio è molto meglio. Voglio precisare che nei testi delle canzoni che compongono l'album non c'è un carattere distruttivo, sono solo una fotografia di quello che sta succedendo".

Nella canzone "Il mio solo spazio possibile" a un certo punto cantate "…è la nostra incertezza la base della società". Che significato ha questa frase?

Andrea Avalli - "La nostra è una generazione di indecisi, di ansiosi, di gente senza modelli. Questa incertezza è uno dei fattori che mantengono lo status quo. La situazione non è molto diversa nelle grandi città. Ho studiato a Parigi nei mesi scorsi e ho respirato la stessa atmosfera tra i miei coetanei".
Gabriele Lugaro - "Il messaggio è: la nostra incertezza è la base della società, il mondo è pieno di gente a cui non importa di quello che succede. E' una constatazione, una fotografia dello stato attuale in cui al massimo ci si lamenta ma non c'è la voglia di cambiare perché alla maggioranza va bene così".

Il testo di "All'orizzonte" scatta invece una fotografia impietosa di Savona. Quale sarà il futuro della vostra città?

Gabriele Lugaro - "Non saprei. Mi viene da dire che bisognerà attendere che muoia la generazione di vecchietti che votano PD, però ho paura che non cambierebbe anche in quel caso. C'è da fare un discorso più ampio perché è un problema di sistema. Se anche domani non ci fossero più il PD, il PDL o il Movimento 5 Stelle, si continuerà a costruire perché i soldi girano così, l'economia è strutturata così. Il futuro di Savona è uguale a quello di qualsiasi altro paese in Liguria, in Italia e nel Mondo. Nel momento in cui c'è qualcuno che vuole guadagnare e trova delle amministrazioni consenzienti, fa quello che vuole. Aspettiamo solo il momento in cui le persone, per evitare di vivere per strada, occupino gli appartamenti vuoti - e a Savona ce ne sono tanti - che non può più permettersi di comprare o affittare. Da qualche parte è già successo e per me è anche abbastanza legittimo".
Andrea Avalli - "Spero che i ragazzi, anche più piccoli di noi, possano crescere in una Savona diversa, con delle alternative culturali e creative, in cui abbiano il sopravvento modelli diversi di società, in cui lo sfruttamento dell'ambiente non sia più accettato, in cui questo tipo di conduzione comunale e dell'economia venga rifiutata perché non fa il bene dei ragazzi e dei cittadini. E per cambiare credo molto nel valore educativo della musica".

La vostra generazione ha una idea diversa del mondo?

Andrea Nocco - "Purtroppo non la maggioranza. Gli adulti forse sono più abituati a come vanno le cose perché hanno vissuto tutto il processo di crescita. Noi siamo giovani ed è più facile che le cose che non vanno ti facciano incazzare".
Andrea Avalli - "Ci sono tante energie in ballo ma non trovano sbocchi costruttivi. E non per il classico discorso di chi non si sente rappresentato, è una questione psicologica, di nichilismo di fondo da cui vorremmo uscire e basta!".

In "La Falena" c'è l'immagine di un ragazzo che fissa i dischi impilati sul letto. E' una scena che difficilmente si vede nelle stanze dei giovani di oggi dopo l'avvento di internet e dell'mp3. Sbaglio?

Gabriele Lugaro: "Qui bisogna aprire una parentesi sull'aspetto della coproduzione del disco. Questo album come l'abbiamo fatto? Abbiamo contattato un po' di piccole etichette indipendenti in Italia, Francia e Belgio. A ognuna abbiamo chiesto la disponibilità a coprodurre il disco con un piccolo contributo. In cambio, per il valore del contributo, abbiamo consegnato a queste etichette i dischi a prezzo di stampa. Le etichette a loro volta potranno vendere i dischi, scambiarli con altre etichette, o conservarli. In questo modo si riesce a far girare il disco anche su piazze dove non si arriverebbe, fuori dai circuiti commerciali. E' una subcultura che esiste e che è fiera di esistere".
Andrea Nocco: "Il testo de "La Falena" fotografa Gabriele che fra vent'anni ritroverà il nostro primo disco, fatto a mano e con musica assurda, e proverà delle emozioni".

Il disco si potrà scaricare gratuitamente da internet dal 19 marzo e poi, quattro giorni dopo, sarà in vendita la copia fisica. Perché avete fatto questa scelta?

Gabriele Lugaro: "Capita che io scarichi un disco perché non ho la disponibilità di averlo subito in copia fisica, se poi mi piace, se voglio supportare il progetto, compro anche la copia fisica, anche se ce l'ho già registrato. Questo è lo stesso motivo per cui noi mettiamo il disco in free download una settimana prima. Lo si può scaricare, ascoltare e poi chi vuole dal 23 lo può acquistare".
Andrea Avalli: "Per noi non c'è alcuna contraddizione tra comperare i dischi o scaricarli. Grazie ai mezzi legali o illegali abbiamo scaricato tantissima musica gratis da internet che ci ha arricchito culturalmente".

Perché avete deciso di inserire nel disco anche due brani strumentali?

Andrea Nocco - "Sono dei brani che si collocano su un'altra linea musicale e anche su un altro genere, più post rock. Quando li abbiamo registrati abbiamo capito che la voce non serviva, le emozioni vengono trasmesse dagli strumenti".
Gabriele Lugaro - "Ci siamo posti la domanda se era meglio arricchirli con un testo ma ci siamo resi conto che la linea da tenere era quella strumentale perché i pezzi erano già completi".

Come è nata la collaborazione con Roberto Ceruti, cantante della storica band hardcore savonese degli Affranti?

Andrea Nocco - "E' nata semplicemente perché è il cugino della mia ragazza. Ho conosciuto gli Affranti grazie a lei e ora posso dire che a livello di underground savonese sono tra i miei gruppi preferiti. Abbiamo chiesto a Roberto se era disposto a collaborare su un pezzo a cui mancava qualcosa, sia dal punto di vista del testo che vocale. Ha accettato e ci ha aiutati anche a trovare altre etichette e date di concerti. Ha creduto molto nel nostro progetto e lo ringraziamo".

Come e dove è nato questo disco?

Andrea Nocco - "Il disco è stato registrato e mixato da Emanuele Cioncoloni all'El Fish Recording Studio di Genova. Emanuele ha curato anche la parte grafica. La foto di copertina con la falena l'ha scattata lui mentre registravamo. Ci ha aiutato molto a far crescere i pezzi, anche a livello di produzione".

In poche settimane a Savona sono usciti i dischi di band emergenti come iVenus, i The Washing Machine, e tra non molto toccherà a 3fingersguitar e ai Fetish Calaveras. La scena musicale in città è più viva che mai, eppure i luoghi dove suonare sono pochissimi…

Gabriele Lugaro - "Anni seminali sono stati quelli passati dalla nostra generazione allo Spacepromo. Tutti siamo cresciuti suonando in quell'ambito. Chiusa quell'esperienza, si è aperta quella del Rude Club di Savona, spazio autogestito e senza fini di lucro. Ha dato una bella iniezione di vitalità a tutta la scena musicale. E' uno stimolo perché i ragazzi sanno che potranno presentare i loro pezzi su quel palco. Quando avevamo sedici anni per suonare dovevamo sperare che qualcuno organizzasse un concerto al Dancing Milleluci. L'anno scorso abbiamo organizzato al Rude Club un festival di due giorni dal titolo "This is the way", che rifaremo anche quest'anno, in cui hanno suonato solo gruppi di Savona. E' stata registrata anche una compilation di venti brani che fotografa la scena musicale savonese del 2012. Un evento che vogliamo ripetere".

Quali sono i vostri piani per promuovere il vostro disco?

Andrea Nocco - "Abbiamo stretto un po' di contatti e in agosto andremo a suonare in Austria, poi a Nizza. Stiamo lavorando anche per fare un tour del nord della Francia e del Belgio".
Gabriele Lugaro - "Basta fissare due date, poi, anche se i francesi dicono che la loro situazione è disastrata, rispetto a qui ci sono molti più locali che ti fan suonare e offrono musica live dal lunedì alla domenica".



Titolo: Fondamenta, Strutture, Argini
Band: Gli Altri
Etichetta: Dreamingorilla Records
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche Gli Altri)

01. Oltre il rumore
02. Il mio solo spazio possibile
03. All'orizzonte
04. 06:33
05. La difficoltà del volo
06. Istanbul
07. Cera
08. La falena




mercoledì 6 marzo 2013

Marcello Milanese e la musica del diavolo







La musica del diavolo lo ha rapito ancora giovanissimo e oggi, raggiunta la soglia dei quarant'anni, Marcello Milanese è uno dei più importanti interpreti della musica blues italiana. Il musicista alessandrino, dopo aver firmato numerosi dischi insieme a formazioni e in progetti più o meno duraturi, non ultimo quello con i Chemako (band formata dagli ex Chicken Mambo con cui nel 2012 ha pubblicato l'album eponimo), ha saltato il fossato registrando dischi solo a suo nome. Dopo l'ottimo esordio con "Life a wolf in a chicken shack" del 2011, Milanese è tornato in sala di registrazione e ha prodotto "Goodnight to the Bucket" (2012). Un album registrato in un paio di sessioni, in presa diretta, senza artifici tecnici e sovraincisioni. La musica è essenziale, dallo stile asciutto, sporco e minimale, e abbraccia la tradizione americana del Delta dei primi decenni del '900. Undici sono i brani contenuti, quasi tutti originali, registrati da Milanese usando una chitarra autocostruita, chiamata "Helleluja H1", una stomp box a garantire la parte ritmica, e una voce nera, profonda e dal sapore antico, che fa viaggiare l'ascoltatore verso confini ancestrali. Nel disco sono presenti anche omaggi a mostri sacri quali Robert Johnson, Rube Lacy e Claude Ely.
In vista del concerto in programma sabato 9 marzo, all'Ostaia da-u Neo a Sestri Ponente, abbiamo parlato con Milanese di musica, blues e Italia.



Hai iniziato a suonare blues agli inizi degli anni novanta e nel 2000 è uscito il tuo primo disco insieme ai The Machine. Cosa è cambiato nel tuo modo di intendere il blues in questi anni?

«Il mio rapporto con il blues si è solo evoluto, non è cambiato: io amo la ricerca. Mi sono innamorato della musica afroamericana da giovane e da subito ho trovato che si adattava perfettamente alla mia esigenza di comunicare. È il linguaggio che uso per raccontare le mie storie e le storie cambiano. Forse in questo momento è più diretto, più viscerale, ma non rimarrà così per sempre, io cambio, la musica cambia, il pubblico cambia. L'importante è che ci sia sempre un atteggiamento onesto e vero».

Solo 15-20 anni fa i musicisti blues in Italia erano pochissimi, adesso il numero è notevolmente aumentato. Perché questa inversione di tendenza?

«Grazie a Youtube! A parte gli scherzi, una volta solo l'informazione cartacea e il passaparola ci aiutavano a scoprire musica che potesse emozionarci e colpirci, e scavare nella storia per scovare artisti interessanti. Ora la tecnologia ci mette tutto questo a disposizione: puoi ascoltare e vedere Lightin' Hopkins suonare in un raro video senza dover spendere un soldo. Il problema rimane l'input che spinge un ascoltatore curioso ad essere ancora più curioso. Troppi dati a volte non diventano informazioni. Nelle scuole di musica ora si tratta il blues e sono molti gli insegnanti, anche questo può aiutare le nuove generazioni. In realtà ci sono molti musicisti blues giovani ma pochi artisti».

Come è cambiato in questi anni il rapporto tra il pubblico italiano e la musica blues?

«Il pubblico che ama il blues ora è più orgoglioso di far parte di una nicchia che 10 anni fa era, per così dire, ai confini della società degli amanti della musica. Il pubblico ai miei concerti non è solo composto da amanti del blues ma è davvero vario e questo mi fa molto piacere: non è un problema stilistico, è solo musica. Spesso mi sento dire: ‹il blues credevo non mi piacesse ma tu lo fai in maniera diversa›. Non so se sia vero, ma l'importante è dare qualcosa e il blues ha mille sfaccettature».

Marcello, sei un musicista che ama molto collaborare, e mi riferisco ai tuoi sodalizi artistici con The Machine, Blues Maphia, Black Smokers e Chemako. Poi, nel 2011, hai deciso di fare da solo e pubblicare "Like a wolf in a chicken shack". Perché hai fatto questa scelta?

«Perché mi piacciono le sfide! Ho sempre fatto anche concerti 'one man band' ma nei brani che ho scritto negli anni ho sempre sentito l'esigenza di registrarli con una formazione: a volte con Hammond, batteria e basso, a volte, come con i Black Smokers, in duo percussioni e chitarra. Suonare da soli è più difficile, da certi punti di vista, non hai il tempo di rilassarti durante l'esibizione, sei sempre in prima linea e da solo. Questo è emozionante e tiene alta la tensione della musica. Mi capita di fare concerti con la formazione "Marcello Milanese & the Lee Van Cleefs", un power trio classico chitarra, basso e batteria, e spero di registrare con loro presto, ma ho molti progetti».

Quali sono state le componenti o le idee che ti hanno spinto a tornare, con l'album "Goodnight to the Bucket", a un blues più puro, "stagionato"?

«Spesso noi musicisti siamo quello che ascoltiamo. Nel periodo con i Chemako i miei ascolti viravano sempre di più verso il delta degli anni '20, '30 e '40. La mia ricerca intima e solitaria, partita con "Like a wolf…", volevo farla maturare, o forse marcire, in un suono più 'cattivo e paludoso', come molti testi che avevo abbozzato richiedevano. "Goodnight to the Bucket" l'ho registrato in due session di un paio d'ore in tutto, volevo trovarmi nella situazione di fotografare un momento, imperfetto, storto, sporco ma reale».

Che è poi il suono che proponi nei tuoi ultimi concerti, in cui ti esibisci con una chitarra autocostruita e una stomp box, quale unico strumento ritmico. Una scelta per intenditori...

«L'idea della continua sfida è culminata nell'intenzione di costruire una chitarra che rispecchiasse il suono che volevo ottenere. Mi esibivo già con le mie stomp box, ma fare una chitarra e scrivere il resto del disco mentre la costruivo, è stato un esperimento personale profondo ed interessante. Se la chitarra non avesse poi funzionato, il disco non l'avrei fatto, o almeno non l'avrei fatto ora e in questo modo. Non sono un liutaio, ci mancherebbe, ho usato del legno comprato al centro fai da te: sono uno scultore che fa cose che suonano, quasi sempre».

Non credi che sia una scelta artistica che possa allontanare un certo tipo di pubblico, quello più distratto e superficiale che è purtroppo quasi sempre preponderante nei locali italiani, dove la musica è vista come accompagnamento e non come cultura?

«Se è curioso si ferma, ma a volte parte del pubblico non vuole venire a contatto con qualcosa che non conosce perfettamente: in questo caso non c'è problema per me, non faccio concerti per fare lezioni di musicologia. Molti locali, però, non investono tempo e soldi per la qualità, non capiscono che il pubblico cosiddetto di nicchia è l'unico pubblico fedele».

Ascoltare le canzoni del tuo ultimo disco fa viaggiare la mente verso le zone calde e umide del sud degli Stati Uniti. Sei riuscito a creare un bel catalogo viaggi che ha qualcosa di cinematografico…

«Questo mi fa incredibilmente piacere: amo il concetto cinematografico della musica e tutte le visioni che possono ispirare. Se avessi i soldi forse farei videoclip di tutti i miei brani, anche se preferisco che ogni ascoltatore si faccia il suo film personale nella testa. Mi piace pensare di essere ispiratore di interpretazioni, non esigo che arrivi la mia idea di partenza. Le canzoni hanno vita propria, e appena vengono suonate chi le ha scritte non ha più nessun diritto morale su di loro».

Nel corso di un tuo concerto un amico mi ha detto: ‹Mi piace la musica di Milanese perché ha un approccio filologico con il blues›. Cosa ne pensi?


«Ho cercato filologia su google e non ho capito se quello del tuo amico fosse un complimento... Io conosco le radici della musica che amo, ma non rispetto ciecamente le tradizioni, il blues è solo l'alfabeto e la grammatica che uso per raccontare le mie storie. Mi piace pensare che tutti i musicisti facciano parte della storia della musica».

Quanto sono importanti per te gli insegnamenti di Robert Johnson?


«Robert Johnson ha insegnato a tutti due cose: che bisogna farsi pagare meglio il proprio lavoro in studio di registrazione e che le dicerie su di te possono diventare leggenda... e sarebbe meglio essere vivi quando questo succede».

Mi consigli un giovane bluesman italiano da tenere d'occhio?

«Potrei citare Samuele Puppo, è molto, molto giovane e ha tantissima strada davanti a sé. Se dovessi scommettere punterei su di lui, è talentuoso, curioso, e non è un mero imitatore, come molti suoi coetanei. Spero un giorno di poter produrre del suo materiale».

Quali sono le cose a cui non potresti mai rinunciare?

«Alle mie mani, alla mia libertà di dire ciò che penso, alla mia famiglia e a quel luogo che chiamo casa».

SIAE, balzelli vari, documenti da compilare e festival che chiudono, l'ultimo a rischio cancellazione è il Liri Blues. La vita del musicista in Italia è veramente difficile, non credi?

«Eccome! Le istituzioni non aiutano, neppure gratuitamente, non c'è appoggio se non quando c'è del guadagno. La SIAE è un istituto vecchio, un monopolio al quale si è costretti, una mafia culminata nell'ultimo recente statuto, un gigante cieco che accumula soldi per un re ormai morente. Questo cambierà, prima o poi, per ora dobbiamo ubbidire e aver pazienza. In Inghilterra hanno abolito i balzelli per i piccoli locali, sarebbe un esempio da imitare anche da noi. I comuni e le province hanno tolto i loro appoggi a molti festival e sono a rischio numerose realtà culturali. Per chi ama la musica dire che sia difficile è un eufemismo».

Per finire ti invito a rispondere alle dieci domande secche...

- "Arancia Meccanica" o "Alta Fedeltà"?
"Alta Fedeltà", ma il libro.
- Noce o nocciola? Nocciola, le noci mi piace romperle ma non mangiarle.
- Angelo e demone? Demone, ovvio, c'è più fascino, più colore, più musica, migliore iconografia e migliori leggende. Le storielle sugli angeli son troppo noiose.
- Italia o resto del Mondo? Mondo. Tutto o niente.
- Chianti o Barbaresco? Due bicchieri: hai portato due bottiglie da scegliere... apriamole.
- Argonauta o astronauta? Astronauta.
- Tè o caffè? Caffè assolutamente! È una delle cose che mi manca di più quando sono all'estero.
- Mississippi o Po? È sempre acqua, cambia solo chi ci naviga e chi ci vive sulle sponde: la parola Mississipppi però suona meglio nelle canzoni.
- Luther Allison o Buddy Guy? Luther Allison, uno dei grandi che avrebbe meritato molto di più.
- Insalata o verdure cotte? Insalata, perché spero sia il contorno di una bistecca.


Titolo: Goodnight to the bucket
Artista: Marcello Milanese
Etichetta: Helleluja Records
Anno di pubblicazione: 2012

Tracce
(testi e musiche di Marcello Milanese, eccetto dove diversamente indicato]

01. Friday mood
02. Ain't no grave  [Claude Ely]
03. Bring me alcohol
04. Goodnight to the bucket
05. Poseidon blues
06. I'd change the words
07. Santa muerte
08. Purple
09. The devil owe me 50 bucks
10. Come on in my kitchen  [Robert Johnson]
11. Mississippi jailhouse groan  [Rube Lacy]




sabato 2 marzo 2013

"Dasvidanija", il saluto musicale de iVenus





iVenus sono tornati. La band, fondata nel 2008 da Luca Cascella, Alessio Boschiazzo (entrambi già negli Untitled e in The Horizon), Simone Gazzera (già negli Undercover) e Michele Fanni, ha completato in queste settimane il lavoro sul secondo capitolo discografico e il 19 marzo uscirà "Dasvidanija". Il nuovo album delle band savonese, pubblicato da Dreamingorilla Records, arriva dopo il successo di "Tanz!" (2011). Quest'ultimo, grazie a una sapiente miscela di elettronica e chitarre elettriche, ha fatto conoscere il gruppo anche al di fuori del panorama provinciale. La partecipazione all'Heineken Jammin' Festival nel 2011 è arrivata a coronamento di una stagione musicale esaltante, che ha visto Cascella e compagni esibirsi in decine di date in locali, festival e su palchi più o meno grandi.
Con "Dasvidanija" iVenus ci riprovano. Nove canzoni, tutte cantate in italiano, che confermano quanto di buono ascoltato in precedenza. Questa volta però i quattro "venusiani" si sono migliorati, sia dal punto di vista musicale, sia da quello tecnico. I brani, sempre di matrice pop, sono più elaborati e un ruolo importante è stato dato ai sintetizzatori che creano un ricco tappeto sonoro su cui si innestato chitarre e ritmica. Molta attenzione è stata riservata anche alla pulizia del suono e, grazie al sapiente lavoro di post-produzione curato da Brian Burgan, il disco è un godibile piatto dai freschi sentori pop. L'album annovera anche la collaborazione di Michele "Mezzala" Bitossi e di Simone Bertuccini per la parte grafica.
Sono già state fissate le date del tour promozionale che vedrà il gruppo esordire il 15 marzo al Fat Joe's di Alessandria. A Savona iVenus suoneranno invece sabato 20 aprile.
A raccontarci la genesi dell'album è Luca "Cash nella Pelliccia" Cascella, cantante e autore della maggior parte dei brani.



Luca, di cosa parla il vostro nuovo disco?

"Raccontiamo nove storie, esperienze di giovani ventenni. Ci sono alcuni pezzi che sento profondamente miei in quanto ho vissuto quello che racconto. Per esempio "Settembre", il terzo brano del disco, è la storia spiccicata, con un po' di poesia, di una semplice serata che ho trascorso con una ragazza a vedere il concerto di Zibba. In questo disco ho voluto raccontare noi stessi, ovviamente suonando la musica che ci piace".

Come è nata la collaborazione con Michele Bitossi dei Numero6?

"Sono un grande fan di Michele. Mi piaceva già il progetto solista, in cui si fa chiamare Mezzala, e poi sono diventato fan sfegatato con l'ultimo disco dei Numero6, "Dio c'è". Mi ritrovo in quello che dice, mi piacciono le melodie e come canta. Conoscendolo personalmente gli ho chiesto se era disposto a collaborare con noi e ha accettato senza problemi".

Un altro importante incontro è quello che avete avuto con Simone Bertuccini, ex chitarrista degli Ex-Otago, che ha curato la grafica del disco.

"Giro moltissimo l'Italia per concerti e ho visto tanti spettacoli degli Ex-Otago, di Pan del Diavolo, di Brunori SAS e altri. Sono innamorato di questo tipo di musica indipendente. In tutto questo girovagare ho conosciuto tanti musicisti e uno di questi è Pernazza (Alberto Argentesi all'anagrafe, ndr), uscito da poco dagli Ex-Otago, a cui ho chiesto una collaborazione per "P.O.P.", il primo pezzo del disco. Ha accettato ma al momento di registrare il brano Pernazza ha lasciato gli Ex-Otago, è uscito il disco d'esordio dei Magellano (trio composto da Pernazza, dal batterista Drolle e dal cantautore elettronico Filo Q, ndr), inoltre c'erano i saldi nel negozio di vestiti dove lavora, quindi alla fine è saltata ma ci ha promesso che ci farà il remix di un pezzo per l'estate. Tutto questo per dirti che eravamo alla ricerca anche di un bravo grafico e Pernazza ci ha fatto il nome di Simone Bertuccini. Ha lavorato molto bene e siamo contentissimi perché ha inventato una copertina 'strafiga' che si apre a poster. Riprodotta c'è una tipica chiesa russa che parte come un razzo e sull'altro lato, ci siamo noi vestiti da astronauti su un asteroide colpito appunto da questa chiesa-razzo". 

Perché avete scelto il titolo Dasvidanija?

"Mi è tornato all'orecchio il singolo dei Magellano, "Il pasto di Varsavia", in cui a un certo punto il testo dice "ciao ciao, goodbye, dasvidanija". La parola mi è piaciuta subito, in più questo disco, per come si stanno mettendo le cose ne iVenus, potrebbe essere tranquillamente l'ultimo. Abbiamo voluto intitolarlo "Dasvidanija" perché è il disco degli arrivederci, degli addii. Alessio Boschiazzo, il nostro bassista, salterà i primi quattro mesi del tour, che partirà a marzo, perché impegnato con l'Erasmus, il nostro chitarrista Michele Fanni vive a Bologna perché studia al Dams. Le nostre strade si sono giocoforza divise in questo periodo. Siamo riusciti a mettere insieme il disco grazie alla tenacia di Simone Gazzera, il nostro batterista, che ha lavorato tantissimo per completare il progetto". 

Ho avuto la possibilità di ascoltare in anteprima il disco e posso dire che è molto più maturo di "Tanz!", sia dal punto di vista della stesura dei brani che della qualità della registrazione.

"Abbiamo ricercato la pulizia del suono. "Tanz!" era molto più grezzo, meno curato, un disco di quattro ragazzini che volevano fare casino. Anche adesso ci piace fare casino ma proviamo a farlo in maniera migliore, più ordinata. Anche se per noi resta pur sempre un hobby, perché non ci guadagneremo mai nulla. Magari tra qualche anno ci ritroveremo lì, sfigatissimi, senza aver concluso nulla, ma soddisfatti. Il disco è un pezzo della nostra vita, de iVenus che non si potrà cancellare".

"Tanz!", il disco precedente, vi ha dato tanta visibilità e vi ha portati a suonare all'Heineken Festival...

"Due-tre pezzi di "Tanz!" sono rimasti. "Piovra", unico singolo del disco finito pure su Rolling Stone, ci ha portati diritti all'Heineken. E' una canzone che racconta una esperienza di vita vissuta, come alcune scritte per "Dasvidanija". Mi piace raccontare quello che provo".

"Dasvidanija" è un disco pop, in cui l'elettronica recita un ruolo da protagonista...

"Rispetto al disco precedente abbiamo cercato di essere più elettronici. Brian Burgan ha curato tutta la parte elettronica e in particolare il suono dei sintetizzatori, facendo un ottimo lavoro. Nei concerti dal vivo manterremo però una impostazione più punk, saremo più grezzi e l'elettronica sarà ridotta ai minimi termini". 

Come si sono svolte le fasi di produzione di questo disco?

"Il disco è arrivato in studio con la rincorsa, eravamo in ritardo sui pezzi. A metà tour di "Tanz!" avevamo solo due canzoni nel cassetto, poi, pian piano, insieme a Michele abbiamo buttato giù un po' di idee. Una volta consolidate le basi di batteria e basso abbiamo continuato a lavorare sui testi e sugli arrangiamenti. I synth sono stati una cosa a parte: il produttore ha iniziato a lavorarci prima che fosse pronta la traccia vocale e la ritmica delle chitarre. Alla fine abbiamo dovuto togliere e ridurre il tappeto di synth, perché sembrava un disco finito di elettronica pura e le voci potevano essere tranquillamente omesse. L'apporto dei synth è stato così ridimensionato, tanto che in alcuni ritornelli si colgono solo se si fa molta attenzione. Le canzoni sono cresciute naturalmente: le ho registrate sul Mac con batteria e basso midi, poi le ho portate in saletta dove abbiamo lavorato al progetto e ci siamo anche scannati. Infine siamo andati in studio e abbiamo registrato noi tutto quanto. Simone, il nostro batterista, ha studiato tantissimo e, consigliato dal fonico Giampiero Ulacco che ha orecchio e grande esperienza avendo lavorato anche con Baustelle e Zucchero, ha registrato il disco con i suoi metodi. E poi il mixaggio ha fatto il resto".

Chi ha scritto i testi e la musica delle canzoni di "Dasvidanija"?

"La maggior parte delle canzoni le ho scritte io. Michele ha scritto "Grazielle" e alcuni testi. Il testo di "Dasvidanija", il brano che chiude il disco, è invece di Sergio Freccero che aveva già contribuito al nostro disco precedente scrivendo il testo di "La Verde Atomica"".

Il disco inizia con un omaggio alla musica russa, per poi svoltare verso territori pop. Come è venuta l'idea di questo intro?

"La nostra idea era di mettere nel disco due o tre 'cazzatelle' come quella che avevano inserito prima di "Piovra" ma per problemi di tempo non ce l'abbiamo fatta. Però un intro ci voleva e così ho scritto la parola dasvidanija sul motore di ricerca di Youtube e tra le altre cose è venuta fuori una soap opera russa 'marcissima' con questa sigla. Grazie alla mitica tecnologia di Shazam ho scoperto che si trattava dell'esibizione di una orchestra di balalaike russe. Ne ho quindi fatto un medley con la canzone "P.O.P" e devo dire che rende bene. Uno che non ci conosce, sentendo questo intro pensa ad un disco acustico, poi invece parte una 'cartella' di nove pezzi". 

Il testo di "The Great Capitombolo" inizia con "E' tutto diverso, è tutto sbagliato che guai" e prosegue "...siamo fatti della stessa pasta, tristi come un piatto di minestra". E' questa la visione della vostra generazione?

"Quando compongo le canzoni, le parole escono a caso. Il testo viene poi scritto dopo. In questo caso però abbiamo conservato la frase, "E' tutto diverso, è tutto sbagliato", e intorno abbiamo costruito il resto. In effetti è l'immagine di quello che noi stiamo vivendo. Tre componenti su quattro de iVenus non lavorano ma studiano, hanno una prospettiva di trovare un impiego pari allo 0,1%. Questo è già un problema e poi nei testi ci sono accenni alle tante difficoltà di oggi: come ad esempio "Tutti in fila nella stessa banca per donare il sangue che ci resta", ci stanno succhiando l'anima. E tanto altro".

Si può asserire che sono canzoni di una generazione a cui manca il sorriso e la fiducia?

"Sì, è così. Anche per quanto riguarda la musica mi accorgo che in Italia non c'è più la cultura del live. O sei un personaggio e quindi la gente viene a vederti oppure, se non sei nessuno, rischi di suonare per te stesso. La gente beve quello che gli viene passato dai media e pochissimi sono quelli che si informano. Ho notato che anche nel mondo della musica indipendente, quella che ascolto io, ci sono quei tre-quattro gruppi che sono 'pompatissimi' dalle etichette e poi magari ci sono gruppi che meritano ma che restano in disparte perché non sono sufficientemente supportati".

Il disco, dopo otto brani belli sostenuti, si chiude con una ballata che racconta un amore finito. Perché questa scelta?

"Racconta una storia finita male. Il testo, come ho già detto, è di Sergio Freccero, io ho aggiunto solo il ritornello e per questo ho voluto riprendere un po' il modo di scrivere di Dente. Nel disco abbiamo voluto mantenere lo stesso scheletro di "Tanz!", cioè otto canzoni belle tirate e l'ultima molo più calma. Sempre per lasciare un po' di amaro in bocca a chi ci ascolta. A noi piace, e la sofferenza fa migliorare. Io soffrendo ho scritto i pezzi che mi piacciono di più. Quando sto male ho delle scintille che mi partono e non so come mai".

Avete annunciato che nel corso del prossimo tour indosserete rigorosamente tute sportive anni '70. Che significato ha questa scelta, soprattutto pensando che voi negli anni '70 non eravate ancora nati?

"Abbiamo deciso di voler lasciare anche un segno visivo. La soluzione giacca e cravatta è inflazionato, stavamo puntando a giacchette paramilitari alla Ministri ma anche questa non sarebbe stata una scelta originale. Allora abbiamo preso queste tute comodissime che indosseremo con una maglietta bianca su cui è disegnato a mano, da un nostro amico di Ventimiglia, il simbolo del disco".

In quale occasione presenterete il disco?

"Il tour inizierà il 15 marzo. La presentazione però la faremo a Savona, perché qua ci sono gli amici, le compagnie, c'è la nostra vita. Visto che è un disco di pop commerciale abbiamo pensato di presentarlo appunto in un centro commerciale e Le Officine di Savona ci hanno accolto a braccia aperte. Lo presenteremo il 20 aprile e, tra l'altro, saranno presenti anche i Washing Machine e un'altra band che stiamo decidendo".

Cosa ti hanno lasciato i mesi passati a lavorare a questo nuovo disco?

"Belle sensazioni. Musicisti e tecnici savonesi si sono fidati di noi e ci hanno aiutato parecchio in questa avventura e tutto questo è molto bello. Non avremmo mai registrato questo disco senza Zibba e Alessandro Mazzitelli che ci hanno messo a disposizione microfoni professionali".

Toglimi una curiosità Luca, perché ti fai chiamare Cash nella Pelliccia?

"Di cognome mi chiamo Cascella e alle medie la mia professoressa di storia mi chiamava Cash. Da lì tutti hanno iniziato a chiamarmi Cash. Inoltre iVenus prima si chiamavano Venus in Furs e il passaggio a Cash in Furs è stato quasi obbligatorio. Quando mi sono iscritto a Facebook il nome Cash in Furs non veniva accettato e così ho optato per Cash nella Pelliccia. Mi piace, è il mio marchio, magari ci farò delle magliette".


Titolo: Dasvidanija
Band: iVenus
Etichetta: Dreamingorilla Records
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche di iVenus)

01. POP Persistent Organic Pollutant
02. The great capitombolo
03. Settembre
04. C'est la vie, mon amie
05. Mangianastri
06. Grazielle
07. Ventricoli
08. Rembrandt
09. Dasvidanija