venerdì 18 luglio 2014

Le canzoni della marea degli Oceans on the Moon





Andrea Leone e Marco Martini si sono conosciuti sui banchi di scuola alla fine degli anni '90. Sono diventati amici e hanno coltivato la comune passione per la musica. Un percorso che li accomuna a molte band che in età giovanile hanno gettato le basi del loro successo. I due giovani musicisti genovesi, dopo aver militato prima nei Monoxide Interlude, band di rock alternativo, e poi nel trio Mr. Tonight Show, progetto maggiormente orientato all'elettronica, nel 2012 hanno dato vita agli Oceans on the Moon. Da lì il passo è stato breve: un Ep, "First step to Graceland" nel 2013, seguito dall'album d'esordio intitolato "Tidal Songs" prodotto al Green Fog Studio di Genova e l'organizzazione di un tour promozionale per l'autunno.
Ispirati dal rock strumentale di band come Mogwai, Destroy You e Mono, dal rock alternativo di Radiohead, Cure, Interpol e dei primi Coldplay, nonché dall'elettronica indie tedesca, gli Oceans on the Moon nel loro album presentano otto brani che fanno viaggiare l'ascoltatore in un costante fluire di sensazioni ed emozioni, tra le onde dell'oceano e la faccia silenziosa della luna. Un senso di anti gravitazione sonica trascina in un mondo nebbioso e stratificato dove l'amalgama di suoni è dominata dall'elettronica, sempre ben calibrata, che non toglie però respiro e spazio ad altre interessanti soluzioni. Un ottimo disco d'esordio per il duo genovese che sarà ora chiamato a confermarsi in ambito live.
Abbiamo parlato con Andrea e Marco del progetto e delle loro speranze future. Il tutto in questa intervista.




Come nasce il progetto Oceans on the Moon?

«Nasce dall'incontro di due… nerd musicali. È stato tutto molto semplice e spontaneo, d'altronde ci conosciamo da tempo. Abbiamo deciso di condividere il nostro bagaglio di gusti e di esperienze, per fare qualcosa che ci desse buone vibrazioni. Volevamo anche provare a ritagliarci uno spazio nella scena underground, senza dover necessariamente "vomitare" nei microfoni  o atteggiarci da superdotati, secondo quella che sembra essere invece una tendenza tanto comune tra le cosiddette band emergenti».

"Tidal songs" è il vostro primo disco. Cosa vi ha spinto a pubblicarlo?
 

«Quest'album è la naturale conseguenza del lavoro svolto assieme in questi anni. Avevamo composto un discreto numero di brani, che avevano coerenza tra di loro e potevano quindi essere raggruppati all'interno di un unico album. Così è nato "Tidal Songs"».

Quale idea è alla base di questo cd?

«Premesso che "Tidal Songs" non è nato come un concept album né ha la pretesa di esserlo, forse più che un'idea ben definita c'è un groviglio di umori e di domande istintive, alla base del cd. Una certa irrequietezza esistenziale, se così si può dire… Ricerca interiore. Chi siamo? La domanda da un milione di dollari che tutti, prima o poi, ci poniamo nel corso della vita. Noi siamo quello che suoniamo».

Ascoltando il vostro disco è inevitabile ripensare ai Mogwai o ai Mono ma quali sono stati gli ascolti musicali che maggiormente vi hanno influenzati?

«Le due band che hai citato hanno avuto, e hanno tuttora, una grande influenza su di noi. I Mono sono un "viaggio"! Possiamo dire che un album in particolare, prima ancora che una band, ci aveva colpito moltissimo, ed è stato "Kid A" dei Radiohead. Quel disco ci ha indicato un modo diverso di fare musica, che prima ignoravamo completamente».

Voi siete di Genova e il mare è lì davanti. Flusso e riflusso delle onde che è avvertibile distintamente anche nelle tracce sonore del disco. Vi siete fatti ispirare?

«Indubbiamente sì, anche in modo inconscio, implicito, per essere nati e cresciuti in una città che sa di mare e di fogna, di grandi masse d’acqua così come di rivoli che si disperdono nei suoi vicoli bui».

Chi di voi si riconosce maggiormente nella luna e chi nell'oceano?

«Abbiamo caratteri diversi. Marco, più flemmatico e costante, ricorda maggiormente la luna, che ogni notte si affaccia sul mondo, regolare, da sempre. Andrea è più spontaneo ed emotivo, in questo ricorda il continuo variare di stato dell'oceano, e il rifrangersi delle onde».

Toglietemi una curiosità. Perché la canzone "Children of Greece" è titolata in greco?

«Il titolo esprime esattamente il significato del brano: si tratta infatti di un pezzo dedicato ai bambini greci, sacrificati sull'altare dell'austerità dall'Unione Europea e dal FMI. Siamo rimasti profondamente turbati dai racconti provenienti dalla Grecia, riguardanti tantissimi minori costretti a trovare rifugio negli istituti religiosi, poiché i genitori non avevano più sufficienti risorse per mantenerli. Anche la scelta di inserire un frammento vocale dallo splendido film di Wim Wenders "Il cielo sopra Berlino", ha senso nel contesto emotivo, sociale e politico in cui è nato il brano».

Come gestite gli equilibri artistici e umani all'interno del vostro sodalizio?

«Siamo assolutamente "democratici", merce rara nel campo musicale, dove purtroppo abbondano le "prime donne", soggetti abilissimi nello sfasciare i gruppi dall’interno. Quando uno di noi ha un'idea, la sottopone all'altro, e se l'idea è valida ci si lavora insieme, senza preclusioni di alcun tipo, nel pieno rispetto reciproco. Va anche detto che, conoscendoci da tempo, siamo sicuramente facilitati in questo».

In che modo si sono svolte le sessions di registrazione dell'album?

«Home recording: l'album è stato registrato interamente nelle nostre abitazioni. Registravamo le nostre parti da soli, al computer, oppure ci vedevamo appositamente e registravamo assieme. L’home recording è una pratica in linea coi tempi, a fronte di una spesa iniziale per i software e le apparecchiature, ti dà piena libertà in ogni fase del processo di registrazione, dalla scelta dei suoni alla registrazione vera e propria delle parti. Molti singoli di successo oggi vengono  registrati e prodotti letteralmente negli scantinati e nelle soffitte! A registrazioni ultimate, per il missaggio e la produzione ci siamo affidati al Green Fog Studio di Genova».

Quali sono i vostri progetti futuri?

«Abbiamo intenzione di realizzare un videoclip e di rilasciare un singolo, subito dopo l’estate. Ci stiamo anche preparando per suonare dal vivo, stiamo facendo delle sessioni di prova in formazione a quattro, con batterista e chitarrista, per rendere più solido il nostro live. Stiamo già ragionando su alcune ipotesi di date, contiamo di portare "Tidal Songs" in giro per l’Italia nel prossimo autunno».



Titolo: Tidal songs
Gruppo: Oceans on the Moon
Etichetta: New Model Label
Anno di pubblicazione: 2014

Tracce
(testi e musiche di Marco Martini e Andrea Leone)

01. Kali yuga
02. Kate austen
03. In stop motion
04. Prometheus failure
05. Garden
06. Nuvole
07. Παιδιά της Ελλάδας (Children of Greece)
08. Quick love






giovedì 10 luglio 2014

John Strada con "Meticcio" tra l'America e l'Emilia





Ci sono tutti gli ingredienti delle storie di provincia e il suono dell'America nel nuovo album di John Strada. "Meticcio", il sesto lavoro del cantautore emiliano, è un ponte che lega piccoli frammenti di vita quotidiana, i personaggi, gli ideali, le passioni, i sogni in frantumi e i drammi di una comunità di provincia alla maestosità del rock, alla sensibilità del folk e al calore del soul. Una lente d'ingrandimento che negli ormai venticinque anni di carriera John Strada, all'anagrafe Gianni Govoni, ha imparato a usare con precisione mettendo in evidenza la poesia e i sentimenti delle piccole cose. Quella porzione di Emilia compresa tra Modena e Ferrara è il punto di riferimento per racconti che possono però adattarsi a molte altre realtà. I bar aperti fino a tardi, le storie d'amore andate a finire male, le promesse che diventano bugie, i sogni di ragazzo che si scontrano con la dura realtà del diventare adulto e soprattutto l'amore incondizionato per la propria terra sono alcuni degli elementi che compongono il canovaccio che John Strada canta con estrema onestà in questo disco. "Meticcio" è un album che spalanca una finestra sulla vita di tutti i giorni e lo fa con freschezza e sensibilità.
In questo compito John Strada si è fatto aiutare dai fidati Wild Innocents formati dal bassista Fabio Monaco, dal batterista Alex Cuocci, dal tastierista Daniele De Rosa e dal chitarrista Dave Pola. Il disco è stato pubblicato dalla New Model Label.
I particolari e le curiosità su "Meticcio" ce le ha rivelate John Strada in questa intervista. 




John, partiamo da una domanda semplice. Come e quando è nato questo tuo nuovo disco?
 

«Avrebbe dovuto essere pubblicato quasi due anni fa, ma poi abbiamo deciso di fare uscire il doppio "Live in Rock’a" e così le registrazioni sono state posticipate. L’idea originale era di pubblicare un doppio cd, di cui uno rock e uno acustico, poi mentre mixavamo "Live in rock’a" ho scritto nuove canzoni e il progetto del nuovo disco è cambiato fino ad arrivare a "Meticcio"».

Che significato ha il titolo "Meticcio"?

«Un cd con più generi musicali. Essenzialmente rock, ma ci sono canzoni folk, swing, rhythm’n’blues. Avrebbe dovuto esserci anche un bluesaccio ma alla fine non abbiamo fatto in tempo a registrarlo».

Anche in questo disco paghi con onestà e buon gusto il tuo debito di ispirazione al rock americano. Quando è iniziato il tuo amore per quel genere musicale?

«A 13 anni ascoltavo Motorhead, Ted Nugent (di cui non condivido nulla di quello che dice e pensa!) ed altri. Poi per caso ho sentito una canzone di Bruce Springsteen e mi si è aperto il Nuovo Mondo».

Come spieghi il fatto che l'Emilia sia forse la regione italiana che più ha risentito dell'influenza del rock americano?

«Non lo so proprio, un po’ è vero, ma sinceramente credo sia diventato un po’ un mito, una piccola leggenda metropolitana, anche se devo ammettere che molti dei gruppi di rock americano vengono proprio da qua. Tuttavia ci sono anche altre zone rock in Italia, il problema è che non siamo valorizzati dal mercato nazionale».

Hai vissuto a New York e per un paio di anni a Londra, eppure dalle tue canzoni traspare un amore incondizionato per la tua terra….

«Sì, a Londra tre anni. Sono state esperienze meravigliose. Mi sono trovato benissimo e ho imparato tantissimo, ma ho voluto portare tutto a casa. Volevo vivere le mie radici e non guardarle da lontano».

So che sei anche docente di lingua inglese nelle scuole superiori. I tuoi alunni sanno della tua seconda vita da rocker?

«Eccome se lo sanno! A volte vengono ai concerti e spesso mi chiedono informazioni sulla mia attività musicale».

Trovo che sia tutto molto bello. I tuoi ragazzi sono mai stati fonte di ispirazione per la tua musica e per il tuo modo di vedere la vita?

«Sì certamente. Essere insegnante è un privilegio. Ti permette di essere costantemente in contatto con un mondo a cui diversamente non avresti accesso. Ti permette di capire meglio la direzione che potrebbe prendere il mondo».

Nonostante la tua padronanza della lingua inglese hai preferito cantare in italiano le canzoni del nuovo album. Perché questa scelta?

«Adoro la lingua inglese, ma scrivo per un pubblico italiano e voglio che il mio pubblico di riferimento capisca cosa ho da dire. Inoltre scrivere canzoni rock in italiano è una sfida notevole. Devo confessarti però che sto scrivendo canzoni in inglese e l’anno prossimo potrebbe esserci una sorpresa».

Cosa ti ha spinto a celebrare la tua cittadina di residenza con un brano cantato in dialetto, a metà strada tra Van de Sfroos e Modena City Ramblers, in cui tra l'altro hai inserito un richiamo musicale a "This land is your land" di Woody Guthrie?

«Amo la mia cittadina e i rapporti che ci sono fra la gente di paese, così ho voluto lasciare qualcosa. Una canzone, un regalo per tutti. Nella canzone parlo di un fatto successo tanti anni fa che è alla base del soprannome "Tiramola"».

"Torno a casa" è forse la canzone più importante del disco avendola tu scelta anche come singolo. Ce la descrivi?

«E’ l’ultima canzone inserita nel cd. Ha preso il posto di "Sangue caliente". "Torno a casa" è una canzone con un ritornello molto orecchiabile, ma il testo è piuttosto serio. Parla di un cambio totale di vita, una rinascita, forse una conversione».

Il capitolo per me più emozionante è "Sanguepolvere". Spiegaci come e quando è nata questa bellissima canzone?

«Abito a 4-5 km da Finale Emilia, l’epicentro del terremoto che ha colpito l’Emila il 20 maggio di due anni fa. E’ stata un esperienza devastante. Sapevo che sarebbe nata una canzone da quelle sensazioni ma non riuscivo a scriverla. Ce l’ho fatta il 5 ottobre di quell’anno. Lo so con esattezza perché è avvenuto tutto in dieci minuti. Dopo mesi di gestazione l’ho scritta di getto. Il giorno dopo sono andato nello "Studio dei Miracoli" del mio Hammondista Daniele De Rosa e l’abbiamo registrata. Da lì abbiamo cominciato a lavorare al nuovo album».

Il disco si chiude con la toccante "E' Natale in Maghreb", in cui descrivi in maniera pacata la questione della diversità di usi, costumi e credenze delle persone. Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?

«Al contrario di "Sanguepolvere" questa canzone è stata un parto infinito. Ci ho messo tre anni a scriverla. Non mi soddisfaceva mai. E’ la storia di questa ragazza maghrebina che gira per Milano con una carrozzina vuota il 24 dicembre. E’ visibilmente in difficoltà ma nessuno delle persone che incrocia in città mostra un minimo di pietà e comprensione. Sono tutti troppo impegnati a prepararsi cristianamente al Natale comprando regali a più non posso. Si è stravolto tutto. Il messaggio della cristianità è completamente diverso dai comportamenti dei sedicenti cristiani. Aisha è in visibile difficoltà sta per compiere l’atto più naturale e dolce che ci sia, ma nessuno l’aiuta, nessuno la vede. C’è tanta ipocrisia fra di noi. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutti noi».

I The Wild Innocents sono stati i tuoi compagni di viaggio in questa nuova avventura. Che ruolo hanno avuto nella realizzazione di questo disco?

«I Wild Innocents sono stati estremamente importanti per questo disco. Ci hanno creduto insieme a me, hanno sofferto insieme a me. Ci siamo impegnati davvero tanto insieme per questo cd».

I tuoi primi dischi sono dell'inizio degli anni '90. Cosa è cambiato per te in questi primi 25 anni di carriera?

«Tantissime cose. Quando abbiamo registrato "Senza Tregua" era il 1990-91. Eravamo dei ragazzini. Non conoscevamo le potenzialità della sala di registrazione e le cose si sono incredibilmente evolute. Il mio modo di scrivere era molto più ingenuo. Una cosa però è rimasta invariata. Sapevo allora e so adesso che non smetterò mai di scrivere canzoni e fare musica!».

Quale sarà la prossima tappa?

«Adesso dobbiamo e vogliamo fare tanti concerti per promuovere "Meticcio". Abbiamo una estate piuttosto impegnata. Suoniamo alcune date nella nostra zona dove apriremo un concerto del grande Garland Jeffreys, poi andremo in Liguria, Toscana, Lombardia e a ottobre faremo un tour in Sicilia. Tuttavia, non riesco a non pensare al prossimo album…».



Titolo: Meticcio
Artista: John Strada
Etichetta: New Model Label
Anno di pubblicazione: 2014


Tracce
(testi e musiche di Gianni Govoni)

01. Magico
02. Chi guiderà
03. Rido
04. Torno a casa
05. Hai ucciso tutti i miei eroi
06. Promesse
07. Non mi alzo
08. Rocco & Fanny
09. Tiramola
10. Nella nebbia
11. Sanguepolvere
12. E' Natale in Maghreb