martedì 24 marzo 2015

"Facile o felice" il dubbio di Stefano Marelli






Dalla penna di Stefano Marelli esce un inno alla lentezza, al vivere a una velocità che permetta di vedere e assaporare quello che ci circonda, al saper cogliere sfumature e sentimenti che troppo spesso vengono spazzati via dalla frenesia quotidiana. Con "Facile o felice", il primo album a suo nome dopo l'esperienza con i Finisterre, il cantautore genovese, ma anche architetto diventato vignaiolo, presenta un album prezioso, ironico e vivace, che porta alla ribalta dodici canzoni intense, tutte da assaporare. Un lavoro che ha richiesto tempo, cresciuto nel corso degli anni. Grande importanza è data ai testi ma altrettanta cura è riposta nella ricerca dei suoni e negli arrangiamenti curati dallo stesso Marelli, tranne in due episodi: "Settembre" e "Uguale a te" che risentono del determinante apporto di Stefano Cabrera nell'orchestrazione e arrangiamento degli archi. Testi e musiche viaggiano paralleli nel creare atmosfere rock moderne ma luci soffuse dal sapore vintage regalano atmosfere particolari.
La musica è piena di colori e sfumature grazie ad una produzione attenta a ogni particolare e arricchita dall'uso di numerosi strumenti e da collaborazioni importanti, senza per questo rendere il prodotto finale ridondante, complesso o di difficile ascolto. Mario Arcari con il suo oboe dona momenti di impareggiabile bellezza in "Senza la TV" ma soprattutto in "Immobile", uno dei brani più belli del disco. Gli archi dei Gnu Quartet (Stefano Cabrera, Roberto Izzo, Raffaele Rebaudengo) colorano un paio di episodi mentre, una volta ascoltati, non si possono immaginare i brani senza il prezioso contributo della tromba e del flicorno di Raffaele Kohler. Nel progetto sono coinvolti anche Eros Cristiani (pianoforte, fisarmonica, spinetta), Folco Fedele (batteria e percussioni), Lele Garro (contrabbasso), Luca Falomi (chitarra), Barbara Fumia (Cori).
Con Stefano Marelli abbiamo parlato del disco ma anche di tante altre cose…



Cosa ti ha spinto a lasciare i Finisterre e a intraprendere l'avventura solista?

«Il percorso coi Finisterre è stato fondante per la mia educazione alla musica, all'arrangiamento, alla libertà sonora. Hai presente la fidanzatina del liceo? Tanta ingenuità, qualche errore di prospettiva, valanghe di passione profusa senza risparmio. Poi... siamo diventati grandi e le differenze tra noi hanno aperto percorsi diversi; qualcuno ha scelto di provare a vedere dove l'avrebbero portato. Adesso è il mio turno. Da tempo desideravo riprendere un percorso come cantautore, che in realtà è stato il mio primo affacciarmi al mondo della musica; ad un certo punto è scattato il bisogno di raccontarmi con un linguaggio - anche musicale - più diretto e a quel punto il contenitore Finisterre non bastava più».

Come è nato e di cosa parla "Facile o felice"?

«"Facile o felice" nasce in un periodo piuttosto lungo ma discontinuo, in cui vere e proprie immersioni totali nella composizione si sono alternate a momenti fugaci rubati qua e là, ore notturne sottratte al sonno mentre di giorno la vita continuava con le sue scadenze, l'impegno quotidiano per guadagnarmi la pagnotta. Nonostante ciò, credo che alla fine il risultato non sia affatto frammentario, anzi che vi si possa cogliere un disegno unitario, che ritengo sia dovuto principalmente alle tematiche affrontate nei testi, ma anche alla scelta di avere un suono "da band": una struttura portante molto solida data dal quartetto chitarra-basso-batteria-pianoforte, colorata di volta in volta dagli altri strumenti aggiunti. Il titolo dell'album è arrivato a disco già registrato, sollevando il naso dai fader e dai plug-in e guardando all'insieme con una prospettiva a volo d'uccello; allora le differenze hanno cominciato ad apparire non così significative, si sono palesate le somiglianze, le assonanze; l'idea di una collana di canzoni che raccontano uno sguardo etico, se vuoi, sull'esistenza, dove non è vero che "vale tutto e il contrario di tutto", dove certe posizioni e certe scelte ti collocano necessariamente di qua o di là. Il contrario del relativismo etico tanto di moda in questi anni, insomma; la mia personale strada per la felicità, costellata di scelte scomode e tuttavia senza l'ombra di un rimpianto».

È un album musicalmente molto ricco: archi, tromba, flicorno, oboe e poi pianoforte, tante chitarre. Raccontaci come si sono svolte le sessioni di registrazione…

«Mi ritengo una persona maledettamente perfezionista, alla ricerca del sound giusto per ogni canzone che, in questo senso, è un piccolo mondo a sé. Però non volevo realizzare un disco patchwork: come conciliare queste tensioni opposte? Ho scelto di registrare l'ossatura portante dei brani come un "live in studio", quindi basso (Lele Garro), batteria (Folco Fedele) e chitarra ritmica (io) suonate simultaneamente, in tre ambienti acusticamente distinti ma collegati visivamente e tramite l'ascolto in cuffia. Era per me estremamente importante che la sezione ritmica suonasse "come un sol uomo", perciò ho voluto con me due persone con cui avevamo già diversi concerti all'attivo, e soprattutto accomunati dalla stessa percezione del ritmo. Abbiamo suonato, mangiato e dormito assieme per il tempo necessario a concludere questa prima fase. Il suono del pianoforte apre e chiude il disco; mi sono chiesto perché sia andata così, dato che la chitarra resta il "mio" strumento. Col piano, che non ho mai studiato, ingaggio una battaglia continua per trarne, da autodidatta, rivolti interessanti e per cambiare il mio approccio compositivo costringendomi a uscire dai binari di ciò che mi è noto. In studio però avevo bisogno di qualcuno dotato di tecnica e di intelligenza musicale: in poche parole, di Eros Cristiani che ha suonato pianoforte, piano elettrico (tranne in due pezzi dove mi sono cimentato personalmente al Rhodes), organo e tastiere. Ha anche rispolverato la fisarmonica, per ricostruire, insieme all'oboe di Mario Arcari, l'atmosfera di un'orchestrina di paese all'interno di "Senza la TV"».

Interessante anche il contributo degli archi...

«Gli archi conferiscono un respiro vibrante, quasi solenne ai due brani "romantici" dell'album; i Gnu Quartet hanno eseguito le loro parti con una rapidità tale da lasciarci anche il tempo per un violino solo di Roberto Izzo in "Soltanto un mese". Tromba e flicorno: colori ai quali non saprei più rinunciare, grazie alla genialità di Raffaele Kohler. Musicista dotato di un suono bellissimo e di un'intonazione sorprendente; dal vivo condisce il tutto con una verve da intrattenitore di livello. Completo l'elenco con Barbara Fumia ai cori e Luca Falomi, ottimo chitarrista al quale ho affidato il compito di evocare atmosfere cubane in "Ho visto coppie". Le altre chitarre (acustiche, elettriche, 12 corde) sono suonate da me, scegliendo l'amplificatore giusto e gli effetti indispensabili; avendo a disposizione in studio un Fender Twin Reverb, un Vox AC30 e il mio Fender Hot Rod Deluxe, spesso la scelta è ricaduta su chitarra-in-diretta-nell'ampli, però a volte i miei "pedalacci" si sono rivelati preziosi! Naturalmente il risultato non sarebbe stato lo stesso senza l'alchimia perfetta stabilita con Raffaele Abbate di OrangeHome Records, sia come fonico che come co-produttore: le scelte di registrazione senza compromessi, la cura artigianale riservata alla giusta microfonazione e alla ripresa del suono d'ambiente; entrambi volevamo un suono vero, coinvolgente ed emozionante».

Come dicevi, hai avuto a tuo fianco i Gnu Quartet e Mario Arcari. Che apporto hanno dato al disco e alla tua persona?

«I Gnu Quartet sono musicisti che conosco da tempo, nell'area genovese le strade si incrociano spesso; lavorare in studio con loro è stato eccitante e non posso che confermarne la grande professionalità, precisione e creatività. Gli archi arrangiati dal violoncellista Stefano Cabrera hanno vestito a festa "Settembre" e "Uguale a te". Mario Arcari è arrivato in studio praticamente a sorpresa, complice l'amicizia comune col pianista Eros Cristiani; in lui mi ha colpito la padronanza totale di uno strumento difficile come l'oboe e la capacità di "entrare" nel pezzo già dal primo ascolto. "Immobile" è un brano che mette totalmente a nudo la scrittura e la voce, Mario ha duettato col mio canto come fosse una seconda voce... alla fine, ci siamo ritrovati con una candidatura alla Targa Tenco come miglior canzone! E poi era difficile non pensare che davanti a me c'era la stessa persona che aveva collaborato con due tra gli artisti che amo di più: Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati».

Approfondiamo il discorso della candidature alle Targhe Tenco 2014: miglior opera prima e miglior canzone dell'anno con "Immobile". Un buon riconoscimento o speravi in qualcosa in più?

«Un riconoscimento inaspettato, soprattutto per quanto riguarda la candidatura come "Miglior canzone dell'anno". Nell'elenco insieme a me, c'erano dei nomi... Però poi ci si prende gusto, io credo molto nel valore di "Facile o felice" e un'esibizione in finale sul palco dell'Ariston avrebbe sicuramente gratificato il mio ego».

Il disco si apre con la canzone "Lento lento". Proprio questa idea di rallentare il ritmo della vita è un po' il filo conduttore delle canzoni. A che velocità vorresti vivere?

«Amo la lentezza come modalità per conoscere il mondo. Mi concedo il tempo per assaporare più che trangugiare, negli anni ho fatto alcune scelte ben precise che mi hanno condotto ad una vita più adatta alla mia natura, fuori dal perimetro della corsa. Sono scelte che hanno un prezzo, ma lo pago volentieri».

In "Con le mie idee" ironizzi sull'affermazione ‹il lavoro nobilita›. Qual è il tuo punto di vista?

«Non amo molto i luoghi comuni; in genere mi insospettiscono, provo a ricostruirne la storia possibile e spesso emergono i meccanismi di potere e di controllo che li hanno generati. Così un po' per gioco, un po' per convinzione, voglio ribaltare uno dei capisaldi di tanto "nobile" pensiero: il lavoro in sé non nobilita proprio nulla, è casomai l'uomo a rendere nobile e degno l'impiego del proprio tempo in un'attività che, di per sé, sarebbe una condanna».

"Soltanto un mese" termina con il verso ‹E avrò il coraggio che tu non hai potendo scegliere liberamente l'ora di andare incontro agli dei›. Sei favorevole all’eutanasia?

«Lo spazio dei versi di una canzone è necessariamente ristretto; diciamo che mi piacerebbe portare l'attenzione sui fatti importanti dell'esistenza (la nascita, la morte) e su come troppo spesso questi siano “medicalizzati”, come se l'essere umano fosse programmato così malamente da non essere in condizione di attraversare le fasi che appartengono alla propria natura senza un ausilio "tecnico", specialistico. Estremizzando, qui si parla di un uomo che, pur di riprendersi il controllo della propria vita, sceglie di porvi termine. Il suicidio è un tema letterariamente molto affascinante».

Ti consideri bravo ad imparare dai tuoi errori?

«Non so, mi piace pensarmi così. In "Pensieri inafferrabili" mi riferisco a quella parte di umanità che ha lavorato per spostare il livello di coscienza ad una maggiore profondità; penso a maestri come Gurdjieff o Jodorowsky. Credo nel paradosso come strumento atto a svelare orizzonti nuovi, prospettive inusuali; credo nella possibilità di scoprire continuamente una parte ignota di sé».

È passato un anno dall'uscita del disco, cosa è cambiato nella tua carriera artistica?

«Il cambiamento più significativo consiste nel fatto che ora, quando qualcuno mi chiede se ho qualcosa da fargli ascoltare, posso rispondere: ‹Sì, ho un DISCO!›; a parte questo…».

Sei una persona che guarda molto al passato, a quello che è stato e che non verrà più?

«Di tanto in tanto, poi mi punisco e prometto di smettere».

Quincy Jones, in una recente intervista, riferendosi ai grandi musicisti del passato ha detto: ‹ad accomunarli erano passione e conoscenza della musica. Oggi, tutto è cambiato con la tecnologia e la digitalizzazione. Premi un pulsante e trovi il suono che cercavi. E i giovani non conoscono la musica nera, il jazz e il blues›. Come commenti questo pensiero?

«Ho capito, continui a cercare di farmi confessare che sono un nostalgico... e invece ti rispondo che io non ne so proprio niente, non capisco nemmeno se per le giovani generazioni la musica occupi ancora un luogo di rilevanza o se sia semplicemente meno centrale... Ho l'impressione che l'enorme disponibilità di materiale musicale a costo (apparentemente) nullo sia inversamente proporzionale all'interesse e alla capacità di ricercare la qualità. Tuttavia è probabile che in questo momento stia nascendo un nuovo genio musicale, che lavorerà coi materiali a sua disposizione per creare qualcosa di totalmente nuovo. E noi faremo fatica ad accorgercene».

Alla fine è meglio un buon bicchiere di vino o un bel disco?

«Confesso di avere seri problemi con quella "o" disgiuntiva che hai piazzato in mezzo ai miei grandi amori; perché non coniugare un buon bicchiere di vino "e" un bel disco? Io ci sto provando, da produttore di entrambi. Tra l'altro l'idea non dev'essere così balzana, dato che proprio in questi giorni ho tra le mani un volume di Maurizio Pratelli, "Vini e Vinili", che pare confermare una comunione d'intenti e sentimenti tra questi due mondi. Alla salute!».





Titolo: Facile o felice
Artista: Stefano Marelli (www.stefanomarelli.it)
Etichetta: OrangeHome Records (www.orangehomerecords.com)
Anno di pubblicazione: 2013


Tracce
(musiche e testi di Stefano Marelli)

01. Lento lento
02. Senza la TV
03. Pensieri inafferrabili
04. Settembre
05. Sull'etere
06. Con le mie idee
07. Soltanto un mese
08. Ho visto coppie
09. L'idiota
10. Ti fa male
11. Immobile


mercoledì 18 marzo 2015

"Voodoo Boogie" il piano blues di Henry Carpaneto





«Sono stato sui palchi per cinquant'anni e ho suonato con molti musicisti; Henry, che mi piace chiamare "Cool Henry Blues", ha una grande capacità e un grande talento!». Il settantaduenne chitarrista Bryan Lee introduce con queste parole Henry Carpaneto, eclettico pianista e organista ligure che ha da poco pubblicato il suo primo album, intitolato "Voodoo Boogie". Carpaneto, già componente della band di Guitar Ray, è da anni tra i più apprezzati musicisti in ambito blues a livello europeo e statunitense. Capacità e talento che lo hanno portato a collaborare con grandi nomi del panorama nazionale e internazionale come Jerry Portnoy, Big Pete Pearson, Keith Dunn, Sonny Rhodes, Paul Reddick, Fabio Treves e Deitra Farr. E con Bryan Lee con cui, recentemente, ha girato gli States e si è esibito al prestigioso Jazz Festival di New Orleans.
Il celebre chitarrista, originario del Wisconsin ma da molti anni residente a New Orleans, ha dato un importante contributo firmando molti brani presenti sul disco e partecipando in veste di chitarrista e cantante. Il piano e l'organo Hammond di Carpaneto, a volte al centro della scena in altre occasioni più nascosti a disegnare passaggi di grande gusto, sono protagonisti con classe senza essere mai invadenti. L'impatto sonoro in alcuni episodi è energico e brioso, in altri è di cornice.
Le restanti tracce del disco sono classici come "Steady rolling" di Memphis Slim, "Rock me baby" di B.B. King, "Caldonia" di Louis Jordan e "One room" di Mercy Dee Walton. 
Ad arricchire ulteriormente il disco è la presenza di due ospiti prestigiosi come il chitarrista Otis Grand, che considera Carpaneto il miglior pianista del vecchio continente, e Tony Coleman, già a fianco di B.B. King, Buddy Guy, Albert King e di altri mostri sacri del blues. Nella sala di registrazione della OrangeHome Records Carpaneto è stato affiancato da un trio formato dal batterista Andrea Tassara, dal sassofonista Paolo Maffi e dal contrabbassista Pietro Martinelli
Nell'intervista che segue Carpaneto ha raccontato la genesi del suo primo disco.

 


Henry, per te è un momento ricco di novità e soddisfazioni. Da poco è uscito il disco di Guitar Ray in cui ancora una volta il tuo apporto musicale è stato fondamentale, poi hai collaborato all'album di Nima Marie e adesso "Voodoo Boogie", il tuo disco d'esordio…

«Come dici tu è sicuramente un bel periodo! L'esperienza con i Gamblers è stata fondamentale per la mia formazione. Solo recentemente le strade si sono divise: avevo voglia di esplorare e tuffarmi completamente in un'esperienza "pianistica" sicuramente influenzata dall'ultima tournée che si è sviluppata tra New Orleans e Memphis. Arrivare nella terra di Professor Longhair, James Booker e Fats Domino ti responsabilizza e i dubbi e le perplessità sulle scelte artistiche svaniscono come per magia. Capisci esattamente cosa devi fare, vedi la strada da percorrere, tutto diventa più chiaro.
Nima? Mamma mia che brava! E non avete ancora visto niente. Ha un potenziale incredibile. Lei completa perfettamente il mio progetto».

Non posso non chiederti come è nato questo disco…

«"Voodoo Boogie" è stato un regalo di Bryan Lee. Non era stato concordato. Durante il tour avevamo tre giorni off e lui mi ha detto: ‹Andiamo in studio... Vorrei registrare un piano voce alla vecchia maniera, buona la prima e vediamo cosa succede›. Mi sono trovato in questo studio a New Orleans e Bryan mi ha dato un cd di Memphis Slim. Me lo ha fatto ascoltare tutto e poi mi ha detto: ‹Let's go›. E siamo partiti. Alla fine mi ha fatto dono delle tracce e negli studi della OrangeHome Records abbiamo completato il lavoro introducendo contrabbasso con Pietro Martinelli, batteria con Andrea Tassara e sax con Paolo Maffi. Dopo di che il colpo di scena. Per avere un parere tecnico ho mandato un brano a Otis Grand, col quale ho avuto l'onore di suonare per tredici anni, e si è offre per farmi le chitarre su qualche pezzo. Non contento ha coinvolto Tony Coleman, batterista di B.B. King. Grazie a Otis ho avuto la possibilità di suonare anche con lui a un festival ad Alessandria. Essere sul palco con entrambi e suonare "Sweet little angel" sicuramente ti fa girare la testa».

Come è stato girare gli States suonando con Bryan Lee?

«Suonare con Bryan Lee al Jazz Festival a New Orleans, suonare in Bourbon Street, girare gli States, presenziare ai Blues Memphis Awards - Bryan era invitato in quanto in nomination per essere tra i guests nel cd di Kenny Wayne Shepherd - conoscere Matt "Guitar" Murphy, parlare di musica con lui come se ci conoscessimo da sempre, rappresenta semplicemente un sogno che diventa realtà. Anzi, nei miei sogni mostruosamente proibiti, non mi ero spinto così avanti…».

Collaborerai nuovamente con Bryan Lee?

«Ho sentito recentemente Bryan e proverà a portare il cd ai Blues Memphis Awards. Secondo lui ci sono buone probabilità. Fingers crossed».

Il pubblico americano del blues in cosa differisce da quello italiano?

«Purtroppo il pubblico italiano conosce poco il blues. Dai mass media poco è concesso, se non nulla. Manca la cultura all'ascolto di un genere musicale che ha creato nel tempo tutti gli altri. L'unica fortuna è che oggi grazie ad internet tutto il materiale è rintracciabile e fruibile in un click, cosa che fino a qualche anno fa era impensabile. La differenza quindi tra pubblico americano ed italiano sta proprio nella storia vissuta dell'uno e nel lento recupero e autodidatta dell'altro. Però stiamo recuperando».

Bryan Lee ti ha soprannominato Cool Henry Blues; per Jerry Portnoy sei il suo Piano Man; Otis Grand ha detto che sei uno dei migliori pianisti blues in Europa. Complimenti da montarsi la testa…

«I complimenti fanno sicuramente piacere. Siamo appena partiti e la strada è lunghissima. Quindi piedi ben piazzati per terra, lavoriamo duro, "studio matto e disperatissimo"».

Nel disco suonate anche quattro cover. Quale ti ha emozionato di più e perché?

«Sicuramente "One room country shack". C'è anche un aneddoto carino su quel pezzo. Bryan mi ha fatto ascoltare la versione di Memphis Slim e mi ha detto: ‹Prova a prendere questo feeling›. Allora ho ascoltato e riascoltato il brano, ho provato a mettere le mani sul piano ehhh... non veniva proprio. Allora l'ho riascoltata e ho fatto diverse volte avanti e indietro tra la regia e la sala di presa per riascoltare l'originale, cercare di cogliere quel "respiro" e provare allo stesso tempo a buttare giù alcune idee. A un certo punto ho chiesto al tecnico di farmi ascoltare la canzone e dopo alcuni secondi gli ho detto: ‹…no, non voglio riascoltare il cd, voglio sentire la mia traccia›, e lui ‹guarda che sei tu…›. E in quel momento un po' mi sono "gasato"…».

Suggeriamo a chi ha il piacere di ascoltare "Voodoo Boogie" di non togliere il cd dopo "Blind man love" perché c'è ancora una piccola gustosa sorpresa. Perché hai voluto inserire questa piccola ghost track?

«Abbiamo voluto inserirla come mio modestissimo tributo al New Orleans style, con un riferimento all'inno di New Orleans "Tipitina" di Professor Longhair».

Qual è l'aspetto che preferisci nel suonare il piano o le tastiere all'interno di un gruppo?

«Facendo il gioco delle similitudini mi piace pensare la band come una macchina e gli strumenti le varie parti. Il batterista è il motore. Un buon batterista cambia il suono alla band. Il cantante è il pilota. Il piano rappresenta il gas. Si pone esattamente nel mezzo tra leader e motore. Se tutti in sintonia le sensazioni sono uniche».

Quanto è attuale il blues oggi in Italia e all'estero?

«Sicuramente all'estero (Europa) il blues è più conosciuto. Ci sono più spazi per suonare e manifestazioni ufficiali. A breve sarò in tour in Europa con un artista americano e i concerti si faranno dal lunedì alla domenica. In Italia manca un po' la cultura di andare ad ascoltare le band live. La nota positiva però è questa: quando per caso il pubblico italiano si trova di fronte ad una buona blues band ne rimane estasiato, finalmente colma quel vuoto che aveva dentro e comincia a fare ricerche e lo ritrovi ai concerti».

Jimi Hendrix disse ‹Il blues è semplice da suonare, ma difficile da provare›. Cosa ne pensi di questo frase?

«Secondo me suonare non è facile. Non esiste una musica facile. È facile "strimpellare". Essere comunicativi è difficile. Trasmettere emozioni suonando è difficile. Penso che il grande Jimi si riferisse a questo. Suonare in pubblico è una responsabilità. Si è paladini in quel momento di un messaggio. Se si suona in pubblico solo per gratificare il proprio ego, non si è capito nulla».




Titolo: Voodoo Boogie
Artista: Henry Carpaneto
Etichetta: OrangeHome Records
Anno di pubblicazione: 2014

Tracce
(musiche e testi di Bryan Lee, eccetto dove diversamente indicato)

01. Drinking & thinking
02. My brain is gone
03. One room  [Mercy Dee Walton]
04. Angel child
05. Welfare woman
06. Steady rolling  [Memphis Slim]
07. Caldonia  [Louis Jordan]
08. Mambo mamma
09. Turn down the noise
10. Dog & down blues
11. Rock me baby  [B.B. King]
12. Blind man love



giovedì 12 marzo 2015

Edoardo Chiesa e le "Canzoni sull'alternativa"





È una riflessione sul tema della scelta quella che Edoardo Chiesa presenta nel suo album d'esordio intitolato "Canzoni sull'alternativa" che uscirà ufficialmente lunedì 16 marzo. Il musicista savonese, già anima e cofondatore dei Madame Blague, canta storie del quotidiano ed esperienze personali in otto canzoni di matrice pop. Un disco fresco e gradevole che non è stato progettato a tavolino ma che è nato tra le mura domestiche e registrato in garage con l'ausilio di un vecchio Tascam. L'album non per questo è superficiale o poco curato e seppur leggero è solo apparentemente semplice. Il suono è poco prodotto ma allo stesso tempo gode di una certa varietà e spazia tra blues, rock'n'roll, funk, soul e folk. Si tratta di un lavoro in cui il solido impianto ritmico, curato da Corrado Bertonazzi (batteria) e Damiano Ferrando (basso), e le chitarre di Chiesa creano un tappeto sonoro colorato su cui si materializzano racconti, a volte fantasiosi altre volte reali e molto spesso ironici, che hanno come tema dominante la libertà di scelta e il dovere di prendere decisioni, che siano esse quotidiane o straordinarie.
La presentazione ufficiale del disco si terrà sabato 14 marzo nella Sala delle Udienze a Finalborgo. In anteprima abbiamo avuto l'opportunità di incontrare Edoardo e parlare del suo esordio discografico. Il tutto è riportato nell'intervista che segue.



Edoardo, archiviata l'esperienza con i Madame Blague, eccoti in versione solista a presentare il tuo primo disco…

«Ho cominciato a scrivere le canzoni che compongono il disco nell'aprile del 2013, appena uscito l'album dei Madame Blague. Sono brani che sono nati in un breve lasso di tempo, in sei mesi e sono quasi tutti usciti di getto. Avevo anche del materiale di qualche anno prima, esperimenti che avevo fatto iniziando a scrivere in italiano. Non avevo mai pensato a un album completo cantato in italiano anche perché sono sempre stato molto influenzato dalla musica internazionale. Però ci ho preso gusto, le canzoni sono venute fuori, mi sono piaciute e ho deciso di metterle su disco. Diciamo che non sono partito con l'idea di fare un disco ma le canzoni sono nate, me le sono trovate fatte e mi sono divertito un sacco».

Tra l'altro è un disco molto casalingo…

«Sì, praticamente ho fatto tutto home made. Prima ho scritto le canzoni, poi le ho provate e ho registrato traccia su traccia utilizzando il computer e una bella scheda audio. Quindi non c'è stato un lavoro in studio ma casalingo, in garage registrando prima le chitarre, programmando la batteria elettronica e poi piano piano le cose sono venute fuori. In seguito, la batteria è stata registrata dal piacentino Corrado Bertonazzi che ha sentito il materiale inviato per il mixaggio a Daniele Mandelli, fonico che avevo conosciuto ai tempi dei Madame Blague. Gli sono piaciute le canzoni e ha voluto registrare la sua parte, così siamo passati dalla batteria elettronica a quella reale».

Ti sei incontrato con Corrado Bertonazzi?

«No, abbiamo avuto solo un lungo contatto telefonico. Corrado ha ascoltato le mie parti di batteria, ha cercato di capire cosa avevo in mente e ha fatto un bel lavoro anche perché due tracce non avevano batteria e quindi ci ha messo del suo. Allo stesso tempo le parti di basso le ha scritte e registrate Damiano Ferrando che suona con me dal vivo. Anche lui ha fatto un ottimo lavoro. Devo ammettere che ho avuto la fortuna di incontrare bravi musicisti che mi hanno fornito un aiuto importante per la realizzazione di questo progetto».

Nella canzone "Mia paura" troviamo il contributo chitarristico di Marco Cravero

«Ho iniziato a suonare 5/6 anni fa, forse qualcosa in più, e sono andato a scuola di chitarra da Cravero. Mi ha trasmesso la passione per un certo tipo di musica e da quando l'ho conosciuto ho iniziato ad appassionarmi. Gli sono molto affezionato. Nel disco mi ha fatto il regalo di suonare in un brano. È stato molto contento di partecipare e io sono felice del risultato».

Ti ha dato qualche consiglio?

«Mi ha detto che è un lavoro con una buona personalità e mi ha consigliato di portarlo avanti. Mi è stato d'aiuto, abbiamo discusso un po' sul suono di chitarra su quel brano e di altre cose. "Mia paura" è l'unica canzone con un fraseggio blues e anche il suono è diverso rispetto agli altri. Cravero ha voluto che fosse proprio così. Mi ricordo che al primo mixaggio è uscito suono diverso ed è stato molto deciso nel dirmi che non andava bene. Quello pubblicato è invece il suono che voluto da Cravero. È una chitarra differente rispetto alle altre presenti nel disco, sia stilisticamente che a livello di suono».

Il disco ha una durata abbastanza breve e anche le canzoni raramente raggiungono i quattro minuti. Perché questa scelta?

«Ci ragiono a posteriori visto che il disco non è stato pianificato a tavolino. Non progetto mai troppo in questi casi e non ho ancora capito se è pigrizia oppure è proprio la mia indole. Però posso dire che la scelta che caratterizza anche gli arrangiamenti è stata di rimanere sull'essenziale, sul semplice. Quello che mi interessava è che venissero fuori le storie. La musica doveva essere d'aiuto alla voce e al racconto senza per questo però toglierle importanza dal momento che sono musicista. Anche se impazzisco per la chitarra, nel disco non ci sono assolo, mi interessava che il portamento ritmico fosse da cornice ai racconti e la durata breve del disco e delle canzoni è proprio data dal fatto che le storie sono il punto centrale. È un lavoro diretto come nella tradizione pop».

Ci hai spiegato che il disco racconta storie ma c'è un tema centrale, un filo conduttore?

«Sono storie diverse una dall'altra ma hanno al loro interno un senso comune, una appartenenza che viene raccontata in modo esplicito nella prima traccia che si intitola "L'alternativa". C'è sempre il tema della possibilità di scelta che è descritta in maniera più evidente nella canzone che apre il disco ed è più velata nelle altre. È difficile dover scegliere ma abbiamo il dovere di farlo».

Non potevi scrivere un racconto...

«Mi sa che la mia capacità di sintesi non me lo avrebbe permesso. Al liceo i miei temi occupavano sempre una facciata e mi sforzavo di scrivere qualcosa in più. Scrivevo grosso, partivo dalla definizione del vocabolario… no, faccio fatica, tanta».

Quanto c'è di personale nelle canzoni che hai scritto?

«A parte la canzone "Pioveva", che è una storia fantasiosa, le altre sono tutte personali, prendono spunto dai miei pensieri, dagli eventi che mi sono accaduti, da azioni che ho fatto. Non mi è ancora capitato di andare a cercare una storia, una idea fuori dal contesto personale e provare a scriverci una canzone. In questo periodo ci sto pensando e vorrei provare a scrivere da narratore esterno, provare a fare un esercizio di questo tipo e vedere cosa ne viene fuori».

Nel disco parli di alternative. Tu quante ne hai avute nella realizzazione del CD?

«Alternative ne ho avute poche nel senso che sono andato a braccio sotto il profilo musicale e non ho provato molto gli arrangiamenti. Ho lavorato tanto invece sui testi, per capire quale parola potesse essere migliore di un'altra».

Quanto tempo hai dedicato a questo lavoro?

«Le registrazioni sono durate quattro mesi ma non ho lavorato continuativamente».

Anche il suono è essenziale…

«Ho la passione per la musica degli anni '60/'70 e preferisco il suono poco prodotto. Ho cercato di fare altrettanto nel mio disco. Tutte le chitarre e i bassi sono stati registrati senza quasi nessun effetto per dare il giusto grado di calore e di efficacia ritmica».

Dici che ad appassionarti è la musica degli anni '70, quali sono gli ultimi dischi che ha scoperto?

«So che sono arrivato tardi ma in questo periodo sto approfondendo la discografia di Ivano Fossati. Sono innamorato alla follia di questo autore, lo sto scoprendo, poi c’è Lucio Dalla che ritorna. Devo finire di ascoltare un sacco di roba dei Rolling Stones, ci sono dischi vecchi che mi aspettano».

Nel testo della canzone "Noi" si legge <La musica non conta se non ha niente da dire, che siano note o siano parole devono essere sincere avere forza, indipendenza, dignità di costruzione>…

«È una considerazione personale però credo che sia importante che ci sia un contenuto alla base delle cose, che siano note o parole. Un contenuto culturale, un background di idee li senti anche qundo ascolti un ragazzo che suona il pianoforte».

Porterai il disco dal vivo?

«Lo presentiamo dal vivo in diversi modi. Principalmente in trio con Damiano Ferrando al basso e Marco Carini alla batteria. Ma anche in formazione ridotta perché oggi ci sono tanti spazi che richiedono il "poco rumore". Quindi magari ci saranno occasioni voce e chitarra, oppure contrabbasso, cajon, e voce. Qualche data c'è già. Lo presenteremo in trio il 14 marzo a Finalborgo nella Sala delle Udienze, poi ad aprile saremo al Raindogs a Savona, abbiamo una data a Padova a maggio. Speriamo di girare tanto».

Oltre a comporre e suonare so che insegni musica…

«Insegno da tre anni chitarra moderna a Celle nella scuola della banda musicale G. & L. Mordeglia e da quest'anno alla Finalborgo School of Music».

A livello di produzione e grafica ha collaborato l'Alienogatto. Ci vuoi spiegare chi è?

«Questo è un segreto. Diciamo che da quando ho iniziato a fare il disco ho avuto il confronto diretto con le persone a me più vicine e care. L’Alienogatto è una persona della mia vita con cui condivido tutto e che mi ha supportato in questo progetto sin dall'inizio».

Parliamo ora della copertina…

«Direi che rispecchia il sound del disco, è fresca e colorata, varia e fatta a mano. La copertina non è altro che la fotografica del coperchio della confezione di Natale dei Ferrero Rocher che abbiamo dipinto con colori acrilici. Per tre anni è rimasta appesa in cucina, poi un giorno ho capito che quel coperchio colorato poteva essere la copertina. Ha avuto una genesi particolare e mi piace molto. Un po' mi ha ispirato la copertina di "Making mirrors" di Gotye, uno dei miei dischi contemporanei che preferisco».

C'è una canzone che ti ha fatto tribolare?

«Sicuramente "Pioveva" e non sono ancora contento. Mi piace tantissimo e nel disco rende molto bene ma secondo me avrebbe bisogno di un altro vestito, di più spazio per le parole. Mi spiego, nel disco è molto veloce e invece la storia deve avere più atmosfera e lentezza. Mi piacerebbe avere la possibilità di raccontarla maggiormente e fare entrare chi l'ascolta e invece nel disco ho paura che vada troppo dritta. Dal vivo la presenteremo in un modo completamente diverso».

Secondo te è normale avere ripensamenti a disco appena concluso?

«Per me sì. Da musicista mi diverto a giocare con le canzoni e se le registrassi ora cambierei sicuramente delle cose, non perché ho dei dubbi ma perché mi piace sperimentare, giocare con i suoni».

Quante takes hai registrato delle canzoni del disco?

«Non ho mai finito un pezzo in una versione differente. Solo "Nati vecchi" è stata ritoccata quando l'abbiamo mixata. Abbiamo capito che mancava un po' di corpo e abbiamo aggiunto una chitarra».

C'è qualcuno che ti ha seguito e consigliato nelle varie fasi di crescita del disco?

«È stato un percorso lineare, forse non velocissimo ma piano piano è cresciuta la convinzione nelle canzoni. Parlando e facendole sentire ricevevano buone critiche e piacevano e questo mi ha spinto ad andare avanti. Il confronto l'ho avuto con la mia ragazza che ha seguito questo progetto dall'inizio ed è stata dietro a tutto. È stata la mia valvola di sfogo, l'ho messa sotto torchio, è stata disponibile e si è divertita. Mi ha detto cosa andava e non, e continua a farlo. È stata di grande aiuto…».


Titolo: Canzoni sull'alternativa
Artista: Edoardo Chiesa
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2015


Tracce
(musiche e testi di Edoardo Chiesa)

01. L'alternativa
02. Se non fossi già stato qui
03. Ti rispondo
04. Mia paura
05. Pioveva
06. Noi
07. Queste quattro sfere sporche
08. Nati vecchi