sabato 28 novembre 2015

Zibba presenta il suo "Farsi male tour 2015/2016"





È partito dal piccolo e raccolto Teatro Sacco di Savona il nuovo tour di Zibba che lo vedrà sulla strada almeno fino al mese di febbraio (altre date si stanno aggiungendo in questi giorni). Il cantautore varazzino presenta le canzoni del suo ultimo disco, intitolato "Muoviti svelto" e pubblicato a fine marzo e brani della produzione passata. Ad accompagnarlo, inaspettatamente, non ci sono i vecchi compagni degli Almalibre che hanno contribuito anche alla produzione dell'ultimo album. Zibba ha deciso, infatti, di intraprendere un "giro" in solitaria, armato della sua chitarra, di un loop e di qualche marchingegno elettronico. Una situazione intima, raccolta, emozionante e tutta da assaporare. In qualche modo in controtendenza con la grande visibilità che l'artista ha conquistato in questi anni con una produzione discografica sempre su ottimi livelli che hanno portato alla vittoria della Targa Tenco, alla partecipazione al Festival di Sanremo, alle collaborazioni con Eugenio Finardi, Emma (nell'album "Adesso" pubblicato il 27 novembre), Jovanotti, Cristiano De Andrè, Jack Savoretti, Alex Britti, Patty Pravo e Niccolò Fabi. Un concerto che taglia le distanze e riavvicina Zibba al suo pubblico più appassionato.
Lo abbiamo incontrato in questi giorni e davanti a un caffè abbiamo parlato del tour, della sua vita, delle collaborazioni, di Sanremo e dei talent show. Il tutto è racchiuso in questa intervista. 




Il tuo nuovo tour ha preso il via nei giorni scorsi al Teatro Sacco di Savona…

«È sempre bello suonare nella provincia dove sei nato anche se capita di rado. Suonare live è uno degli aspetti che amo di più del mio mestiere e altre date si stanno aggiungendo in città importanti come Bologna, Roma e Firenze». 

Il pubblico savonese ha risposto molto bene e i biglietti sono andati esauriti in pochissimo tempo…

«Ciò conferma che puoi anche essere profeta in patria, dipende da cosa profetizzi. Credo che essere onesti e persone pulite serva a far capire a chi ti sta attorno che fai questo mestiere con sincerità. Quindi mi fa piacere che la mia provincia continui a venirmi ad ascoltare, vuol dir che sto lanciando il messaggio giusto». 

Questa volta hai scelto di portare in tour uno spettacolo senza gli Almalibre…

«Sul palco ci sono solo io e il concerto è diviso in momenti. Il primo mi vede impegnato con la chitarra acustica, nel secondo utilizzo un loop per creare tutta una serie di suoni. Infine, nella terza parte uso delle basi che ho ricostruito e che sono tratte dalle canzoni degli ultimi due album. Basi che vengono comunque filtrate dall'amplificatore della chitarra. È un discorso legato all'elettronica che da alcuni anni mi affascina e che credo prenderà sempre più piede nella mia produzione futura». 

In questo tour quindi sarai da solo sul palco ma come vedi il tuo futuro prossimo?

«Continuerò ad avere accanto compagni di viaggio. Suonerò ancora con Andrea Balestrieri, con Stefano Riggi e sarò felice di accogliere chi verrà ma ora non sto a preoccuparmi della band perché è un discorso più ampio che comprende anche la produzione di nuove canzoni. Adesso sono concentrato sul tour perché nei prossimi quattro mesi mi "vestirò" di questo nuovo abito. Una volta si andava a suonare e lo spettacolo si adattava al clima della serata, oggi, invece, tutti i tour hanno una loro veste ben precisa». 

Questo tour si intitola "Farsi male" come la canzone che apre il disco e che canti insieme a Niccolò Fabi…

«Sono molto legato emotivamente a questa canzone e in qualche modo il tour ruota attorno a questo concetto. Era importante fare questo tour perché è da questa estate che siamo fermi per un cambio di staff. Sono contento di tornare a esibirmi dal vivo perché adesso ne ho proprio voglia». 

Raccontaci qualcosa di questa collaborazione…

«Fabi è una persona che ho sempre stimato e mi piace molto come scrive. Ha una penna particolarmente emotiva e mi ritrovo nelle sue canzoni, mi sono specchiato sempre nelle frasi che lui ha usato. Quando poi è nato questo brano mi è quasi venuto naturale farlo sentire a Niccolò. Gli è piaciuto e in studio a Roma l'abbiamo messo a punto. Sono contento di questa collaborazione anche perché 6-7 anni fa, quando incontrai Niccolò in un locale a Roma, gli dissi che ero un suo grande ammiratore. Non mi conosceva, gli ho spiegato che ero un cantautore e che mi sarebbe piaciuto un giorno collaborare con lui. Mi rispose: ‹sono sicuro che prima o poi le nostre sensibilità si incontreranno in qualcosa di magico›. E così è stato, ci siamo ritrovati». 

In questo periodo ti senti più autore o cantante?

«In questo momento mi piace di più scrivere. Quando sei sul palco è sempre bellissimo ma c'è anche il rovescio della medaglia fatto di viaggi, trasferte, prove e difficoltà da affrontare. Ogni tanto ripenso ad alcune esperienze di scrittura fatte quest'anno e le ricordo con grande piacere».

Zibba a Loano il 30 aprile 2011 (copyright Martin Cervelli)
In particolare?

«Quando sono stato a casa di Patty Prato a Roma. Ci siamo bevuti un bicchiere di champagne, abbiamo chiacchierato della musica degli anni '60, del suo incontro con Jimi Hendrix e abbiamo scritto una canzone insieme. Ecco, quello è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Tutte le volte che sono a Roma ci vediamo, è una persona strepitosa. È bellissimo scrivere perché mi dà questa opportunità». 

Come avvengono queste sedute di scrittura?

«Sono un autore atipico perché voglio scrivere con l'artista e non per l'artista. Il rapporto che si instaura è impagabile. Metti a confronto due sensibilità, due umanità, in qualche modo ci si arricchisce vicendevolmente e la canzone che nasce parla di questo incontro, di questa fusione di modi di pensare. È più figo che suonare la chitarra in un pub». 

Nel 2014 hai partecipato al Festival di Sanremo. Vorresti rifare questa esperienza?

«Assolutamente sì, me la ricordo con gioia e con grande piacere perché è stato tutto molto professionale. È un palco importante e ti ritrovi a suonare con dietro una orchestra di cinquanta elementi, figo! Di tutto lo show mi interessa poco, non ne faccio parte e me ne sto un po' in disparte. È così anche quando vado in TV, non è il mio mondo». 

Se all'inizio della tua carriera ti avessero proposto di partecipare a un talent show avresti accettato?

«A vent'anni sicuramente sì perché all'epoca poteva essere un trampolino di lancio per fare poi quello che è adesso il mio lavoro. I talent sono una "figata" perché hanno riportato la musica in televisione. Che musica? La musica di oggi. Non si può pretendere che nei talent venga proposta la musica di cinquant'anni fa o vengano cantate le canzoni di De Andrè, passa la musica di adesso, che forse è "musichina", lo so, ma è quella che sta vendendo. Vai a vedere quanto vendono i cantautori. Te lo posso dire io, poco. Adesso il pubblico televisivo vuole quel tipo di canzoni. Comunque i talent sono una ottima cosa anche se a volte sarebbe bello se mettessero in scena un po' più di talento». 

Sei da poco diventato papà. Come è cambiato il tuo modo di vedere il mondo?

«Diventare papà apre una finestra gigante nella tua vita. Fa entrare il sole e tutto si illumina. È tutto più chiaro e puoi riordinare meglio le idee, il tuo tempo. È bello, credo che essere genitori sia l'unica cosa importante della vita. Quando hai un figlio è tutto più semplice. È pacificante, finalmente hai fatto quello che la natura ti dice di fare e dopo tutto riprende la sua posizione. Cominci a dar peso alle cose vere, quelle che contano». 

A dicembre sarai nuovamente ospite del festival "Su la Testa" di Albenga organizzato dall'associazione Zoo…

«Con grande piacere perché devi sapere che "Su la Testa" e Davide Geddo dell'associazione Zoo sono stati anche i miei spacciatori di fidanzate. La mia ex fidanzata, Alice, l'ho conosciuta tramite loro in un club ad Alassio, mia moglie, invece, era la presentatrice del "Su la Testa", ora non presenta più e fa la mamma. L'ho conosciuta sul palco tante edizioni fa. Entrambi eravamo fidanzati ma io ci provai spudoratamente e gli ero anche antipatico perché nonostante fossi fidanzato ci provavo con lei ma la trovavo così bella, infatti poi l'ho sposata. Ci torno quindi molto volentieri». 

Come vedi il tuo futuro artistico?

«Vorrei provare la strada del Festival di Sanremo anche quest'anno, però senza ansie particolari. Ci proverò come ci ho provato l'anno scorso e continuerò a farlo da qui alla morte perché è bello partecipare e ti dà un po' di aiuto a livello di promozione. Hai i riflettori addosso per qualche mese e aiuta a fare meglio il mio lavoro. Spero però di non dover fare subito un altro disco ma se dovessi andare al Festival probabilmente sarei costretto». 

Quindi hai già un po' di canzoni nel cassetto?

«Attraverso un periodo molto creativo, scrivo parecchio e ho un sacco di canzoni pronte». 

Per quale artista ti piacerebbe scrivere?

«Quest'anno sono stato fortunato. Volevo scrivere per Emma e l'ho fatto e spero di scrivere ancora per lei e con lei perché è forte, simpaticissima e canta bene. Mi sarebbe piaciuto comporre con Britti e sta succedendo. Stiamo lavorando al suo album doppio di cui una parte è già uscita e l'altra sarà pubblicata a marzo. Prossimamente mi piacerebbe scrivere qualcosa con Mengoni. Nell'ultimo album ha fatto tante belle cose, si sta muovendo in una buona direzione. Sta diventando un artista più completo o forse lo era già e solo adesso lo riconosciamo come tale. Ad ogni modo mi piacerebbe conoscerlo. Ma ce ne sono tanti. Penso a cosa sarebbe scrivere con Vasco, ascoltare i suoi racconti… Potrebbe essere una esperienza fighissima». 

Zibba a Loano il 30 aprile 2011 (copyright Martin Cervelli)
Un mostro sacro, come potrebbe essere Battiato…

«Io e Battiato in una stanza a scrivere una canzone sarebbe incredibile. A me piacciono gli artisti borderline e lui lo è. Sono meno affascinato dagli artisti che cantano canzoncine belle ma che in realtà non trasmettono emozioni. Ogni tanto mi capita di incontrare qualcuno e capisco che insieme non potrebbe mai nascere qualcosa perché non c'è affinità. Invece più uno è artisticamente "pazzo" e più mi stimola perché potrebbe venir fuori qualcosa di figo». 

Come e quando scrivi le tue canzoni?

«Per scrivere mi devo saturare di una convinzione, di una idea. Quando continuo a vedere una stessa espressione in tante persone, in tanti volti, dopo un po' sento l'esigenza di togliermela di dosso e lo faccio scrivendone. Ho bisogno di scrivere una frase per dimenticarmi di questa idea, è come se l'archiviassi in un cassetto. Se non lo facessi ne sentirei il peso». 

Facciamo un passo indietro e parliamo di "Muoviti svelto", il tuo ultimo album in cui ti sei circondato di tanti amici…

«Ci sono tanti ospiti importanti. C'è Omar Pedrini che è un caro amico, con la sue canzoni, ai tempi dei Timoria, e le sue poesie mi ha cambiato il modo di pensare la musica e quindi per me è stato importantissimo; c'è Patrick Benifei che è una delle voci più interessanti che abbiamo in Italia e sono contento che abbia partecipato sul brano "La medicina e il dolore"; c'è Bunna che è un caro amico ed è recentemente diventato papà per la seconda volta. Pensa che la canzone che canta Bunna, "Le distanze", l'ho dedicata a lui, ho immaginato che Bunna la cantasse a suo figlio e quando l'ho scritta lui non era ancora papà. Buffo! C'è Leo Pari con cui continuo a lavorare con piacere». 

Che valore ha per te questo disco?

«Resta ad oggi il mio disco più importante e continuerà ad esserlo perché ha significato tanto. La storia dietro questo album è lunghissima, molto bella, difficile, complicata, ed è tutto racchiuso lì dentro e spero che qualcuno riesca a capirlo ascoltandolo. Contiene dieci canzoni, dieci fotografie molto nitide di un momento della mia vita, di una determinata emotività e i testi racchiudono un messaggio. Prima di tutto un forte messaggio per me stesso, un monito. È come per i tatuaggi, quando mi faccio scrivere rock'n'roll sulla mano è per ricordarmi perché sto facendo tutto ciò, perché mi piace questa vita, perché l'unico modo interessante di vivere è non avere un modo di vivere la vita, lasciare che il tutto abbia influenza, che tutto sia valido. Il regalo più grande di questo lavoro è proprio quello di poter fare la vita che credo vorrebbero fare in tanti. Vivo attraverso la valorizzazione delle mie capacità sperando che questo basti per darmi sostentamento. È una sfida ma non vedevo altra alternativa».


Titolo: Muoviti svelto
Artista: Zibba & Almalibre
Anno di pubblicazione: 2015
Etichetta: Warner Chappell Music

Tracce
(musiche e testi di Zibba)

01. Farsi male
02. Muoviti svelto
03. Ovunque
04. Il sorriso altrove
05. Che ore sono
06. La medicina e il dolore
07. Le distanze
08. Santaclara
09. Il giorno dei santi
10. Vengo da te


martedì 17 novembre 2015

Emanuele Dabbono torna con 'La velocità del buio'





Reduce dal successo conquistato con il singolo "Incanto" (disco di platino), firmato insieme a Tiziano Ferro e pubblicato da quest'ultimo nella raccolta "TZN - The best of", Emanuele Dabbono è tornato a far parlare di sé in questi giorni in occasione dell'uscita del suo nuovo album in studio intitolato "La velocità del buio". Il disco, registrato insieme ai Terrarossa (Senio Firmati, Alessandro Guasconi, Giuseppe Galgani) al Virus Studio di Monteriggioni in varie sessioni tra ottobre 2012 e luglio 2015, racchiude undici canzoni composte da Dabbono negli ultimi tre anni. Il cantautore genovese non ha avuto fretta di tornare sugli scaffali dei negozi di dischi, ahimé sempre meno, e sulle piattaforme internet dopo "Trecentoventi", uscito nel 2012. Non perdendo mai il contatto con la realtà e la sua terra, Dabbono in questi anni ha intrapreso un percorso artistico coerente ma variegato che lo ha portato a imbarcarsi in un tour negli States per presentare le canzoni dei due dischi cantati in inglese e usciti sotto lo pseudonimo Clark Kent, ha scritto due libri e ha composto canzoni per altri artisti.
Ora è il tempo de "La velocità del buio", nuovo capitolo nella crescita artistica di Dabbono. Un album di puro rock dalle influenze americane, senza ricorrere a inutili e a volte dannosi featuring che sembrano ormai indispensabili per poter entrare in classifica. Un disco fresco, non ammiccante e con testi per nulla indulgenti verso le semplificazioni della comunicazione moderna. Le canzoni sovente puntano il dito sulla società di oggi e ne mettono in luce le storture e le contraddizioni. Ci sono anche momenti intimi come la ballata "Certe piccole luci" - per chi scrive uno dei brani più belli del disco - in cui aleggia il ricordo del capolavoro springsteeniano "The Promise". Non resta che aspettare il tour di promozione in partenza nei primi mesi del prossimo anno.
Intanto Musica e Disincanti ha intervistato Dabbono dopo lo showcase di presentazione del disco che si è tenuto al circolo Chapeau a Savona.



Sono passati tre anni dal tuo precedente disco. In questo lasso di tempo hai collezionato un tour in America e il successo della collaborazione con Tiziano Ferro. Partiamo dal tour negli States. Cosa ti ha lasciato umanamente e artisticamente questa esperienza?

«Mi ha rafforzato l'idea che devi spendere fino all'ultima goccia di energia quando sei sul palco. Che le contaminazioni con altri stili musicali sono il viatico per crescere e per misurarsi con se stessi. Vedi Paul Simon, artista che amo da sempre e che ha pubblicato due dei suoi più influenti album mischiando musica sudafricana e brasiliana con il suo songwriting tipicamente americano. Là, prima di me a New York, ho diviso il palco con gente che attaccava il sax al delay della chitarra, solo per farti un esempio. Mi ha anche fatto pensare che spesso in Italia si rischia poco, per paura di scontentare i fan, così si ciclostila una canzone ma dopo anni tutto ciò sa di stantio. L'America mi ha dato fiducia e coraggio nei miei mezzi. Mi piace pensare che il mio futuro artistico possa dipanarsi in modo del tutto inaspettato per chi mi ascolterà. Chi l'avrebbe detto anche solo due anni fa che avrei pubblicato un brano solo pianoforte, voce e ghironda e con 40 secondi di coda parlata».

So che hai anche visitato il New Jersey e i luoghi da dove Springsteen ha voluto correre via…

«Abbiamo alloggiato per una settimana ad Hammonton e nei giorni senza concerti facevamo tappe ad Atlantic City, Asbury Park a vedere lo Stone Pony, l'antro di Madame Marie. Mi ha avvicinato ancora di più al Boss, perché ho capito quale fosse la sua urgenza di cercarsi altrove, senza per questo demonizzare le sue radici. Le sue continue parabole sulla strada - credo sia la parola più utilizzata nel suo glossario - hanno preso un significato diverso. Pensavo si trattasse di fuga per sopravvivere. Invece mi è arrivata forte l'idea si trattasse di ricerca di se stesso, per sentirsi finalmente completo. Come dire: ma il mio mondo non può essere davvero tutto qui. Tra una passeggiata di legno davanti all'oceano e sterminati centri commerciali con le fabbriche a vista. Una malinconia che ti riavvicina ai tuoi posti e ridimensiona il sogno americano visto dall'Italia».

Dabbono allo Chapeau a Savona
Parliamo ora della tua collaborazione con Tiziano Ferro. Come è nata?

«Le nostre storie musicali si incontrarono parecchi anni fa e ricevetti persino i suoi complimenti durante la finale di X Factor per il mio inedito "Ci troveranno qui". Ma dai complimenti alla proposta di lavoro sono passati sei anni, due libri, quattro dischi in top ten - due in italiano e due in inglese - e il tour negli States. Ora sono sotto contratto con lui, è il mio editore. Quando arrivò la sua domanda ‹hai qualcosa da farmi ascoltare con la stessa tenerezza che ho scoperto nel tuo brano "Irene"?› ero in una pizzeria. Mi catapultai a casa e gli mandai quella che poi sarebbe diventata nella voce di Michele Bravi "Non aver paura mai" per Sony Music».

Collaborazione che ha portato poi al successo con "Incanto"…

«Sì, quello fu l'inizio. Da lì a un paio di mesi, venne fuori  proprio "Incanto", e con quel brano è davvero cambiato tutto. Disco di platino, numero 1 in air play radio, video e classifica, superospite a Sanremo - dove Tiziano ha persino fatto il mio nome -, pubblicità per Perugina e stralci del testo negli omonimi cartigli dei Baci, alla finale di Amici, tradotta in spagnolo, cantata come pezzo di chiusura in tutti gli stadi del suo tour e sta per uscire di nuovo nel "Live a San Siro" che sta per pubblicare in doppio cd/dvd. Una gioia incommensurabile e inaspettata per un brano tipicamente folk irlandese. Da musicista, dettaglio per me non trascurabile è la produzione a Los Angeles di Michele Canova con Vinnie Colaiuta alla batteria e Michael Landau alle chitarre».

Svelaci qualcosa su Tiziano Ferro…

«È una persona estremamente leale e profonda. Stiamo scrivendo e mettendo da parte per il futuro canzoni di ogni genere. Abbiamo tante cose in comune dal punto di vista personale, l'odio per la falsità e l'arrivismo, e questo pur provenendo da ambienti musicali molto diversi - lui la black music, io il rock -, o forse la nostra forza insieme è proprio questa complementarietà».

Cosa ti ha insegnato questa esperienza?

«Il valore della pazienza. Che quando cerchi la bellezza non devi avere fretta, ma devi prima sentirla. Deve essere vera perché sia poi condivisa. Fregarsene delle mode. Che la vita può cambiare in cinque minuti un martedì qualsiasi di novembre alle ore 17».

Passiamo a parlare di "La velocità del buio", il tuo nuovo disco registrato insieme ai Terrarossa. Che significato hai dato a questo titolo?

«Ho riflettuto sul fatto che l'ignoranza, l'indifferenza, l'arroganza, la superficialità sono malattie che si diffondono a macchia d'olio con una velocità spaventosa. Sembra abbiano le fibre ottiche. Sono loro il buio. Come il "Nulla" de "La storia infinita" che voleva mangiarsi la Fantasia perché i bambini avevano rinunciato lentamente a sognare».

Emanuele Dabbono il 6 novembre allo Chapeau
Nella foto di copertina si legge, su un vetro appannato, la scritta "Shine", brillare… Curiosa la contrapposizione tra il buio del titolo e il significato di questa parola. Che cosa significa?

«Sì, è la cura a quanto detto sopra. Quelle certe piccole luci che vanno cercate nel quotidiano ad ogni costo. Ad ogni occasione. La bellezza è dietro l'angolo e va difesa, va trasmessa a chi verrà dopo. Io non credo ai vittimisti, ai teorici della crisi. Ho la speranza o la genuina ingenuità che tutti ci possiamo stringere in un "problem solving" collettivo. Per farlo però bisogna calare la maschera, guardarsi allo specchio e riconoscersi. Cambiarsi, non soltanto i vestiti la mattina ma magari trovando un modo moderno e sincero di pensarci vicini».

Trovo che in molte delle tue nuove canzoni tu esprima una critica severa alla società odierna. Il disco inizia con la canzone "Il mio paese in maschera" in cui canti un elenco di travestimenti coinvolgendo personaggi improbabili. È uno spaccato della società dell'apparire in cui viviamo?

«È un omaggio al Dylan di "Desolation Row". Ognuno dei personaggi citati è qualcuno di reale. È una specie di ironico o tragicomico indovina chi alla ricerca del politico, del cantante, della star o dell'amico a cui mi riferisco».

In "Odio (la logica del business)" ti scagli contro il mercato della musica ma alla fine ti arrendi dicendo che tutti ne fanno parte …

«Non è una resa, è una constatazione. Partecipiamo in modo attivo e quotidianamente alla vessazione della cultura in tutti i suoi aspetti. Alzi la mano chi non ha mai scaricato nella sua vita un brano, un programma illegalmente. Se ci pensi è anche da vigliacchi. Si è disposti a pagare magari 40 euro per una cena che dura lo spazio di mezza sera e a non pagare un cd da 15 euro che dura lo spazio di una vita, e che spesso non ti tradirà mai. Io per esempio ero quello che stava con l'audiocassetta HF da 90 minuti pronta in pausa per registrare le canzoni che passava la radio e le volevo tenere per me».

Anche nella canzone "La velocità del buio" regali uno spaccato della società tutt'altro che roseo...

«Mi piaceva contrapporre un testo duro a una musica solare per dire che è meglio sbrigarsi a trovare cosa ci rende felici. L'orologio e le persone negative ci corrono dietro come vampiri moderni e come dice Ivano Fossati ‹non si regala il tempo e la compagnia›».

"Certe piccole luci" è una bellissima canzone dedicata a tua figlia che deve nascere tra poco. Una ballata che trovo molto springsteeniana …

«Mi fai un complimento bellissimo e ti ringrazio. Se potessi avere una canzone di Bruce mi piacerebbe leggere il mio nome dietro "My city of ruins"».

"Prendono il niente che c'è e lo chiamano civiltà", mi ha colpito questa tua frase in "Atlantide". Ce la vuoi commentare?

«Parla del tentativo di camuffare l'impoverimento culturale con gigabyte di tecnologia. Altro non fa che isolarci fianco a fianco su ideali panchine, senza rivolgerci sguardo o parola, ma chini sui nostri smartphone a controllare le notifiche di un niente che ci inghiotte e lo fa senza dare nell'occhio. È il pezzo più duro di tutto il disco».

Carmen Consoli nel corso della sua recente esibizione al Premio Tenco ha affermato che è giusto fare la spia, denunciare. La tua canzone "Cemento" va in quella direzione…

«Puoi giurarci. Mi ispirò una poesia di Pasolini contro l'omertà e ne venne fuori la canzone più di protesta dell'album. Come vedi, poter esprimere senza freno le proprie idee sia nei testi che nella musica, incurante di mode o logiche radiofoniche è una libertà e un privilegio che non mi scordo di aver conquistato. E sono grato ogniqualvolta, tutto questo raggiunga anche solo la sensibilità di una persona. Springsteen lo chiamava "sentimento da riconoscimento". Io di lui mi fiderei».




Titolo: La velocità del buio
Artista: Emanuele Dabbono & Terrarossa
Anno di pubblicazione: 2015
Etichetta: Edel


Tracce
(musiche e testi di Emanuele Dabbono)

01. Il mio paese in maschera
02. Odio (la logica del business)
03. Piccoli passi
04. La velocità del buio
05. Certe piccole luci
06. Un'idea non muore mai
07. Wiskey e cenere
08. Le cose che sbaglio
09. Atlantide
10. Cemento
11. Alla fine


mercoledì 11 novembre 2015

Rocco Rosignoli e le canzoni di "Scansadiavoli"




Una chitarra acustica, microfoni sapientemente posizionati all'interno di un oratorio e canzoni che scavano nella memoria, nelle proprie paure e nelle proprie fobie. Sono questi gli elementi che caratterizzano "Scansadiavoli", il terzo disco del cantautore e chitarrista parmigiano Rocco Rosignoli. Un progetto pregevole, intimista e molto coraggioso ai tempi d'oggi in cui non sembrano esserci né voglia né tempo per approfondire e capire la poetica di certe creazioni. Ed è un peccato perché "Scansadiavoli" è un bell'album, coerente e senza cadute di stile, in cui Rosignoli, con una sapiente e matura capacità di unire musica e parole, trova il coraggio di rivelare i suoi "diavoli" e la lotta che quotidianamente, questa volta tutti, siamo obbligati a fare per esorcizzarli o meglio per scansarli. Dieci capitoli in cui l'autore indaga le proprie paure, le illumina, le rende riconoscibili, le svela e le condivide con l'ascoltare rendendole meno terribili e più facili da affrontare. Temi che non avrebbero potuto essere espressi con produzioni complesse e articolate e Rosignoli, con l'aiuto del fido Ribamar Poletti, ha scelto l'unica via praticabile per mettere in primo piano le parole e i testi delle canzoni e per non perdere il centro di gravità. Lo ha fatto grazie ad una produzione minimalista, ridotta all'osso, in cui sono protagoniste voce e chitarra acustica. L'unica concessione, anche in questo caso però non prodotta artificialmente in studio, è stata la scelta di creare un suono molto "aperto", catturato con il sapiente lavoro di posizionamento dei microfoni in un ambiente caratteristico come un oratorio, in questo caso quello dell'Assunta di Sala Baganza. Il risultato è molto gradevole e per il musicista parmigiano è un nuovo punto di partenza. 
Nell'intervista che segue Rosignoli ci parla della genesi del suo nuovo disco e degli avvenimenti che lo hanno ispirato. 





"Scansadiavoli" è il tuo terzo progetto discografico in studio. Quali sono le esperienze o gli avvenimenti della tua vita che hanno ispirato questo disco?

«Le prime canzoni di questo disco le ho scritte poco dopo la pubblicazione di "Testuggini". Uscivo da un periodo un po' duro, e pur tra tante difficoltà, e in una situazione piuttosto precaria, sentivo molto chiaramente di rinascere. Ho lasciato la città di Milano, ho preso casa nella mia Parma, e ho potuto ricominciare a frequentare spesso il mio Appennino. Mi sono come ricollegato a me stesso, ho riscoperto le mie priorità, e per quanto possibile ho "scansato" i miei diavoli».

Da dove hai preso il titolo dell'album?

«L'ho trovato in autostrada, tipo un cagnolino. "Scansadiavoli" è il nome di un rio che passa sotto la A15 Parma-La Spezia, che a volte percorro per raggiungere la mia casa di montagna, anche se di solito faccio la statale, è molto più bella. Ho sempre trovato il nome di quel rio molto evocativo, e richiamava la genesi del mio album. Le foto di copertina e del libretto sono state scattate proprio su quel rio, dalla bravissima Martina Aki, la mia fotografa "ufficiale", che a questo giro ha anche curato ottimamente la grafica del prodotto. Nel disco c'è anche un brano che porta il titolo "Scansadiavoli": è tra gli ultimi nati, e l'ho composto a titolo già deciso. Non è il pezzo che dà il titolo al disco, bensì viceversa».

Quali sono i diavoli che hai voluto esorcizzare con questo nuovo lavoro?


«Sono tanti. Sono quelli che impediscono di vivere la vita nella sua pienezza. È quel pensiero improvviso che spezza un sorriso sul nascere, quell'ansia che dal nulla ci coglie e ci impedisce di star bene con noi, con gli altri. Sono diavoli che si annidano nelle nostre case, nelle nostre vite, e a cui non possiamo propriamente sfuggire: scansarli, forse, ci è concesso».

È l'amore l'ingrediente segreto per battere i diavoli?

«Non credo ci siano ingredienti segreti. L'amore ci può aiutare, ma può anche alimentarli. L'amore è vissuto dalle persone, e ogni persona ha i suoi diavoli. Può anche accadere che due persone che si amano tantissimo abbiano dei diavoli che si aizzano a vicenda. L'amore non è una cura universale, è qualcosa che si vive, qualcosa di provvisorio e fragile, che va tenuto insieme con grande sforzo e dedizione».

Musicalmente hai cambiato direzione. Dopo due dischi caratterizzati da ricchi arrangiamenti hai voluto ridurre tutto all'essenziale. Una scelta fatta per quale motivo?

«Da diversi anni sono tantissime le situazioni in cui mi esibisco voce e chitarra. Cerco di non limitarmi a strappare qualche accordo, ma così come mi impegno a inventare armonie e melodie che non siano scontate, cerco di lavorare sulla chitarra classica sfruttandone al massimo le sfumature, naturalmente entro i miei limiti di strumentista. Limiti che ogni giorno mi sforzo di valicare. Ho qualche dote, ma non sono uno di quelli a cui vien tutto naturale, le mie giornate sono fatte di molto studio ed esercizio. Le canzoni più recenti sono state pensate e proposte dal vivo nella mia veste di chitarrista-cantante. La canzone in sé è tanto più riuscita quanto più è efficace la fusione tra testo e musica, e in questo caso la fusione tra componente musicale e letteraria si è verificata, ripetuta, limata, adagiata sulle mie dita e sulle mie labbra. La comunione delle due componenti si è incarnata in questo mio atto molto fisico, molto terreno. In fase di pre-produzione, ho provato ad arrangiare le canzoni aggiungendo altri strumenti, ma ogni idea mi sembrava impoverire un'identità che le canzoni già possedevano. A quel punto l'idea dell'album voce e chitarra è sorta da sé».

Penso che sia una scelta che possa facilitare anche l'esperienza live, non credi?

«Sicuramente. Per chi, come me, cerca di fare della musica l'attività principale, è oggi una scelta obbligata ridurre all'osso la formazione. Oggi locali, associazioni, comuni, hanno disponibilità economiche sempre più esigue, e per suonare in giro senza rimetterci è necessario adattarsi. Il gioco è vincente se riesci a farlo senza impoverire il risultato, elevando quello che chiamano "valore aggiunto" alla sua massima potenza. Un traguardo a cui è obbligatorio puntare, ma che non è scontato raggiungere».

In questo caso il "togliere" ha dato maggiore profondità al lavoro e ha messo in primo piano i testi. Come ti è venuta l'idea?

«Non è stata un'idea solo mia. L'ho maturata confrontandomi con Alice, la mia compagna, e con Ribamar Poletti (www.uditofino.it), co-produttore di questo disco, ma mio alleato da sempre. Proprio sua è stata l'idea di scegliere un ambiente dal suono caratteristico e ben definito, che oltre a dare rilievo ai testi enfatizza sia la voce che la chitarra».

Curiosa la scelta di registrare il disco in presa diretta all'interno dell'Oratorio dell'Assunta di Sala Baganza. Per cacciare i diavoli bisogna cospargersi con l'acqua santa?

«Io sono un ateo molto convinto. Ti dirò che credevo che quell'oratorio fosse sconsacrato. Solo durante le riprese mi hanno detto che, anche se appartiene al Comune, è un edificio ancora sacro. Per me è stato molto emozionante incidere lì, perché è dove nell'ormai lontano 2007 ho per la prima volta lavorato come musicista professionista, per un progetto non mio. La prima volta che percepivo un compenso per fare musica! Devo ringraziare per questo Cristina Merusi, il sindaco di Sala Baganza, sempre disponibile e premurosa nei miei confronti, e Nicola Maestri, amico scrittore, che è stato un tramite prezioso».

Ambientazione che ha permesso di ricreare un suono molto particolare, aperto, e trovo che il riverbero naturale che si ascolta durante l'esecuzione regali atmosfere molto belle…

«Sì, Ribamar ha usato sei microfoni, piazzati sapientemente. Nessun trucco, quello che si sente nel disco è esattamente quello che è stato suonato, così come è stato suonato». 

‹…i miei diavoli vengono in pace ogni giorno per stringere mani e caffè›. Trovo che sia un spaccato forte della società attuale…

«Mi fai un grande complimento, grazie. La frase in realtà nasce in maniera molto intima, in mattine oscure in cui non sai spiegarti quello che senti, non sai metterlo a fuoco. E a volte, dove non arriva la ragione, il pensiero ci arriva appoggiandosi al linguaggio e alle immagini. Queste immagini si costruiscono con gli elementi dell'esperienza, che è un patrimonio individuale che si intreccia con uno comune, di esperienze di tutti. Ho dato un volto al mio malessere. È molto bello quando un sentimento misteriosamente profondo arriva a essere avvertito come collettivo».

La pioggia, la neve, il gelo fanno capolino in quasi tutte le canzoni del tuo disco. È un disco "crepuscolare" che trova la sua luce calda nell'ultima strofa della canzone che dà il titolo al disco:‹Forse domani, scansati tutti i diavoli, saremo soli lungo il rio che scende, io, te e la gatta, lei che ci difende, e tu, che l'accarezzi sotto il tavolo›...

«Parte del disco nasce durante il 2014, anno molto piovoso, molto umido, che ho passato in gran parte in montagna, con un'estate senza sole, e in una Parma surreale, sconvolta da un'alluvione drammatica, che da più di un secolo non la colpiva. È tutto entrato nelle canzoni così, di prepotenza e quasi senza che me ne accorgessi. Ti confesso poi che quella del "crepuscolo" è una mia ossessione antica. Il crepuscolo è quel momento di luce incerta, in cui il sole non è in cielo ma lo illumina di là dall'orizzonte. E può preludere all'alba o seguire il tramonto. E davvero, oggi non so se la notte stia finendo o debba ancora iniziare. Magari la gatta potrebbe dirmelo, i felini la san lunga. Peccato non possano parlare». 

"Il corpo di Pamela" è la canzone più irriverente del disco che riporta alla tua giovinezza. Da dove l'hai ripescata?

«L'amico Alessio Lega ha scritto una canzone molto bella, intitolata "Risaie", che a un certo punto parla del corpo di Silvana Mangano. Mi ha emozionato la capacità evocativa di questa icona di bellezza, la forza poetica del suo nome cantato, il suo essere il riferimento erotico di un'intera generazione. Ho pensato all'immaginario erotico della mia generazioni, e il corpo che lo incarna con prepotenza sfacciata è per tanti quello di Pamela Anderson. Questa canzone parla di lei, di me che ragazzetto la guardavo lubrico, della voglia d'amore che abbiamo tutti, della paura di non trovarlo mai e di invecchiare aspettandolo nonostante i trucchi per non darla vinta al tempo che la bella Pamela ha tentato di sfruttare ben più di me».

Faccio un passo indietro. Prima di questo disco hai pubblicato "La bella che guarda il mare", un live per la sezione di Sala Baganza dell'ANPI. Ce ne parli?

«Nell'agosto del 2013 ho avuto la possibilità di fare un mio concerto nella cornice della festa ANPI di Sala Baganza. Ho voluto portare un programma dedicato all'occasione, inserendo canti di resistenza, ma anche canzoni che parlassero del periodo, oltre ad alcuni brani del mio disco "Testuggini", allora in promozione. La sezione ANPI diede a me l'incarico di trovare un service per la serata, e io naturalmente chiamai Ribamar. Oltre a gestire il banco suoni, lui decise di registrare la serata, e in seguito la mixò, ne distillò le parti migliori e me ne fece dono. Siccome era un dono, decisi di donarla a mia volta: quel live è in free download sul mio sito, www.roccorosignoli.com. È anche il mattoncino che umilmente metto per tenere viva la memoria, che proprio per il suo valore inestimabile non può avere un prezzo».

In queste settimane si è parlato tanto del processo allo scrittore Erri De Luca, colpevole, secondo l'accusa, di istigazione al sabotaggio della linea ferroviaria TAV in Val di Susa. De Luca è stato assolto ma cosa ne pensi del fatto che in Italia si rischia il processo se si esprimono le proprie idee?

«Il 18 ottobre, ho preso parte attiva in un reading a sostegno di De Luca. Mi sento dalla sua parte. Credo che il TAV sia un'opera che fa gli interessi di pochi ai danni di molti, giustificata tramite una fede neoliberista che dà per certo un riverbero positivo della crescita delle attività commerciali sul benessere delle popolazioni. Un pensiero che si è ripetutamente dimostrato falso, e che ciononostante è tornato prepotentemente in auge negli ultimi anni, anche se i danni che ha prodotto sono sotto gli occhi di tutti. Io mi rifiuto di ragionare in questo modo, per pura razionalità prima che per fede politica. Buona parte dei media sembra dipingere un quadro in cui un paese è fermato nella sua necessaria corsa verso il progresso da duecento paesani che lo tengono in ostaggio; ma io rifiuto l'idea stessa di progresso, che è ottocentesca, teleologica. E, cosa ancor più importante, la vita del paese non dipende dal TAV; la vita di chi vive in Val di Susa forse sì, se è vero come pare che i lavori di escavazione porterebbero alla luce materiali gravemente tossici. A me De Luca come scrittore nemmeno piace, ma in questo caso ha prestato la sua notorietà a una causa a cui manca una voce che in tanti siano disposti ad ascoltare. Credo che abbia fatto una cosa giusta, che un giudice ha anche sentenziato essere legale. Ma (e qui mi ricollego al tema della Resistenza), come ci ha insegnato chi è caduto per opporsi alla dittatura, la legalità e la giustizia non sempre coincidono. A volte è giusto opporsi a leggi inique. De Luca si è esposto, e si è assunto tutte le responsabilità che ne derivavano. E questo è un esempio virtuoso, e oggi ne mancano».


Titolo: Scansadiavoli
Artista: Rocco Rosignoli
Anno di pubblicazione: 2015
Etichetta: autoproduzione


Tracce
(musiche e testi di Rocco Rosignoli, eccetto dove diversamente indicato)

01. Fisterra
02. La grandinata
03. Dicembre
04. I diavoli
05. Autunno
06. Tunguska
07. Il corpo di Pamela
08. Barricate - I. Jamie Foyers  [Ewan McColl]
                        II. A las barricadas  [anonimo]
                        III. In morte di Picelli  [Rosignoli - Ewan McColl]
09. Giordano Bruno
10. Scansadiavoli