mercoledì 28 gennaio 2015

Benvenuti nel "Luna Park" di Davide Solfrini






È una giostra di periferia in cui si incontrano personaggi che si dibattono tra speranze e distruzione, altri in cerca di riscatto o semplicemente impegnati a portare avanti la loro esistenza nel ricordo dell'infanzia e della giovinezza, altri ancora alle prese con storie d'amore ormai finite e consumate. Un mondo piccolo, a tratti caotico e grottesco che Davide Solfrini colloca sotto i riflettori di "Luna Park", il suo secondo album dopo "Muda" e i precedenti due Ep autoprodotti "Shiva e il monolocale" e "Circadian Blues". Un luna park poco appariscente che si può incontrare in una delle tante località della riviera adriatica che perdono la luce dei riflettori nei mesi invernali ma altrettanto bene lo si può immaginare alla periferia di una cittadina degli Stati Uniti. E proprio con la musica d'oltreoceano che Solfrini paga il debito accumulato in tanti anni di ascolti musicali.
Il musicista di Cattolica mette sul piatto una scrittura a tratti malinconica ma nello stesso tempo vigorosa e piacevole che trova ispirazione nelle grandi ballate rock del passato e nelle sonorità di matrice "americana" su cui si innestano però nuovi interessanti spunti. Ne sono esempio le sperimentazioni rythm'n'noise di "Mi piace il blues" o l'electro/wave di "Luna Park", canzone che trasporta l'ascoltatore su una pista da dancefloor.
Nel disco Solfrini suona chitarre elettriche e acustiche, tastiere, programming e si fa aiutare da Gabriele Palazzi Rossi e Francesco R. Cola alla batteria, da Omar Bologna alla chitarra, da Paolo Beccari all'armonica e da Valentina Solfrini ai cori. Il disco è pubblicato dalla etichetta New Model Label.
È lo stesso Davide Solfrini a farci scoprire il suo "Luna Park".




Chi è Davide Solfrini?

«Un folle lucido che pensa di avere qualcosa da dire e decide comunque di seguire la sua vocazione, nonostante le sue scarsissime capacità di gestire media e comunicazione, in un periodo dove tutto sembra avverso per chi vuole far musica e una persona su dieci pubblica un disco».

Quale è stato il tuo incontro con la musica e come sei arrivato a fare il musicista?

«Ho scoperto la musica grazie ai dischi di mio padre e poi, fin dai tempi delle elementari, ero più attratto da Video Music piuttosto che dai cartoni animati. Il bisogno di imbracciare una chitarra è stato quasi fisiologico anche se pur sempre da autodidatta».

Citando il finale della canzone “Bruno”, di cosa non hai voglia?

«In quella canzone, senza celebrare o criticare nessuno, guardo la vita di un tossicodipendente degli anni del "boom" dell'eroina in Italia, quando fare il "drogato" era un vero e proprio lavoro a tempo pieno e la guardo con un po' di immedesimazione. Chi imboccava quella strada infatti rinunciava a tutto ciò che era una vita "normale" (famiglia, affetti, lavoro, veri amici, vita sociale) e tante volte guardando queste persone (e soprattutto questa persona, realmente esistita), pur non avendo mai fatto parte di quegli ambienti, mi sono sentito un po' come loro, con un bisogno, una pulsione a mandare tutto e tutti a quel paese e a rinchiudermi in me stesso, per dedicarmi a qualcosa di autodistruttivo e alienante. E "beati loro" che almeno sapevano che nel loro caso quella pulsione era l'eroina, perché io, nel mio caso, non ho ancora capito da dove viene! È il mio desiderio di dire: "Si, sono anche io un drogato e non ho voglia di pensare al lavoro, al futuro, agli altri, a me stesso… non ho voglia punto e basta, senza perché e senza sentirmi in colpa"».

In "Elvis" lanci il messaggio "Pagate meglio il dj!" e i musicisti nel 2015 che fine fanno?

«Se la passano peggio dei drogati di cui parlavo sopra ma hanno ancora la forza di sopravvivere. Siamo personaggi borderline e troviamo nel narcisismo la forza, nel bene e nel male, di esistere».

Canti "Mi piace il blues" ma il disco ha molto poco blues al suo interno. Lo tieni per il prossimo disco o è un genere che non ti attrae?

«Il blues lo apprezzo, mi piacciono John Lee Hooker, i Canned Heat , J.J. Cale e tanti altri, ma di certo non sarebbe un buon mezzo o un buon supporto per il mio tipo di testi o di sentire la musica. È molto improbabile che in futuro dalle mie corde esca un disco blues».

Qual è il tuo "Luna Park" preferito?

«Youtube».

Dici che "Ci vuole tempo" ma per fare cosa?

«Per fare le cose belle, quelle che ci soddisfano, ci insegnano e ci cambiano. Leggere un libro, educare un cane, fare un disco, crescere un figlio, studiare un argomento, conoscere una persona… Purtroppo molti vivono in un'ottica secondo la quale se l'obiettivo non è ben chiaro, vicino e facilmente raggiungibile tutto ciò che si fa è uno spreco di tempo e di energia».

Chi sono i protagonisti delle tue canzoni?

«Personaggi più o meno borderline, ma, positivi o negativi che siano, hanno una parte di loro nella quale mi identifico, e soprattutto una parte che rappresenta in maniera scomoda un po' tutto il genere umano».

A cosa serve una canzone?

«Mi pare che una volta Miles Davis abbia detto <Se devi chiedere cos’è il jazz allora non lo saprai mai>. Io riutilizzo questo concetto dicendo che <Se devi chiedere a cosa serve una canzone significa che per te non servirà mai a nulla>. Super citazioni a parte solo chi nell'adolescenza o da giovane ha comprato un disco, lo ha ascoltato per giorni fino a lasciare che questo cambiasse la sua percezione delle cose conosce la risposta a questa domanda, io a parole non so dartela».

Ti ricordi la prima canzone che hai scritto?

«Era orribile, tante parole per non dire assolutamente nulla».

C'è un artista con il quale ti piacerebbe collaborare?

«Ce ne sono tanti, dai Flor che dopo anni sono tornati sulle scene a personaggi del calibro di Bersani o Dente. Artisti che non si siedono sugli allori ma cercano in continuazione nuove strade e nuovi stimoli».

Guarderai il Festival di Sanremo?

«Probabilmente non lo guarderò ma tanto alle mie orecchie in un modo o nell'altro arriverà e onestamente non so nemmeno io cosa ne penso. È un aspetto del mondo musicale italiano del quale bisogna tenere conto, ma io non ho più le energie né per valutarlo, né per misurarmici. Ipocrisie a parte: non mi piace ma se qualcuno mi mandasse a San Remo non direi certo di no».

Se avessi la possibilità di scegliere il tuo destino su cosa punteresti?

«Musica, suonare con una band elettrica e soprattutto pubblicare più album possibili».

Qual è la tua idea di qualità della vita?

«Essere padroni del proprio tempo».




Titolo: Luna Park
Artista: Davide Solfrini
Etichetta: New Model Label
Anno di pubblicazione: 2015


Tracce
(testi e musiche di Davide Solfrini)

01. Cenere
02. Luna Park
03. Bruno
04. Mi piace il blues
05. Ballata
06. Lavanderia
07. Mai più ogni cosa
08. Elvis
09. Hardcore
10. Ci vuole tempo






mercoledì 21 gennaio 2015

"La parte migliore" donata da Sabrina Napoleone






"La parte migliore", album d'esordio della cantautrice genovese Sabrina Napoleone, è un viaggio alla scoperta dell'intimità dell'uomo tra canzoni potenti e momenti riflessivi e più raccolti. Il disco, il primo da solista dopo l'esperienza formativa a metà anni '90 con gli Aut-Aut (all'attivo l'Ep "Aria di Vetro" e il disco "Anacronismi"), mette sul piatto dieci canzoni viscerali che raccontano con sensibilità le disillusioni dei tempi che stiamo vivendo. È un album a tratti ruvido, visionario, dalle atmosfere vagamente psichedeliche, denso di citazioni filosofiche (la Napoleone è laureata con lode in Filosofia), in cui la canzone d'autore si unisce alla sperimentazione elettroacustica di matrice rock, in cui il noise va a braccetto con certe influenze alt-rock degli anni '90 e in cui la rabbia e la speranza sono facce di una stessa medaglia.
Tema centrale del disco è la mancanza, la perdita, la privazione della fede, dell'amore, della libertà, delle certezze ma anche della vita stessa, come celebra la Napoleone in "Fire", brano che apre il disco. Sentimenti ed esperienze di vita che la quarantunenne artista genovese racconta e descrive da una prospettiva non convenzionale. La privazione, materiale o spirituale che sia, non è vista dall'autrice sempre come un fattore negativo. Anzi, la parte migliore rappresenta proprio quella capacità di condividere senza avvertire il peso della privazione o della rinuncia.  
Sul piano musicale grande merito va anche a Giulio Gaietto che cura la produzione artistica e contribuisce suonando basso, synth, chitarra elettrica e soundscapes. Completano l'organico Marco Topini alle chitarre, Osvaldo Loi al piano, al synth e agli archi, Jess alla batteria.
Nell'intervista che segue parliamo con Sabrina del suo disco, che ha fatto parte dei candidati al Premio Tenco 2014 nella categoria Opere Prime, e del recente tour a fianco di Lene Lovich, artista di culto della scena new wave.




Sono tempi difficili e nel tuo disco d'esordio traspare evidente una buona dose di disagio nei rapporti con gli altri e con il quotidiano. È proprio una vita così complicata?

«La nostra vita è così complessa che il solo tentativo di osservare il dedalo di relazioni tra noi e l'ambiente che ci circonda (sia sociale che naturale) provoca un violento senso di vertigine. Forse è per questo che tutti noi la accettiamo passivamente, senza porci troppe o ripetute domande. Il nostro atteggiamento nei confronti degli altri e del mondo è per lo più pratico ed acritico. Naturalmente se ci soffermassimo su ogni dettaglio e cercassimo di comprendere le ragioni di tutto resteremmo paralizzati. Ogni tanto però credo sia bene dare un'occhiata all'abisso, a quello dentro di noi e a quello che sta fuori. Solo ogni tanto».

L'argomento centrale del disco è la privazione, in tutte le sue sfaccettature. Quale parte migliore dovremmo lasciare al prossimo?

«Sì, ogni brano porta in scena la perdita o la privazione, ma non sempre in senso negativo o pessimistico. La parte migliore di noi è quella che non conosce il valore delle cose e divide, dona, condivide, senza avvertire il peso della privazione. È la parte di noi che sta al di là di concetti quali egoismo e altruismo. Al prossimo dovremmo insegnare a coltivare quella parte di sé e a difenderla affinché nessuno possa svilirla, umiliarla e sottrarle a forza la propria purezza, la propria fiducia».

Da chi hai appreso questo insegnamento?

«È un insegnamento che hanno impresso a fuoco dentro di me i miei genitori. Li ringrazio per questo, ma li rimprovero per non avere protetto e non avermi insegnato a proteggere ciò che mi stavano donando».

A un approccio molto superficiale sembrerebbe un disco "buonista", dai buoni intendimenti. Invece c'è rabbia e sofferenza nelle tue parole…

«Il titolo potrebbe trarre in inganno, ma la copertina disegnata da Priscilla Jamone già lascia intuire che non ci si addentrerà in un mondo fatato e rassicurante».

Così come rabbia c'è nella musica aspra, a tratti dura e noise. Da chi ti sei lasciata ispirare?

«Non c'è stato un riferimento diretto, ma so che ogni cosa che ho ascoltato nella vita ha lasciato traccia. La cosa principale è che ho cercato di essere, anche acusticamente, fedele alle emozioni che volevo esprimere. Giulio Gaietto, che ha curato la produzione artistica de "La Parte Migliore", e con cui collaboro da sempre, ha compreso questa mia esigenza. Se potessimo dare volume a quello che abbiamo in testa, ai nostri pensieri, ebbene credo che difficilmente sarebbero armonici. Per questo il rumore è una componente essenziale della mia musica».

Il disco inizia con "Fire", una breve canzone in cui immagini il giorno della tua morte…

«L'album inizia dalla fine. Mi immagino indifesa, esposta... Bisogna essere totalmente inermi ed inerti per permettere agli altri di entrare per intero nel nostro mondo più intimo. Quando compongo e quando mi esibisco non ho filtri, vorrei non ne avesse neppure chi ascolta, ma so che ci vuole molto tempo e coraggio per liberarsi dai cliché, per essere liberi».

In "Dorothy" prendi una posizione netta contro l'accettazione passiva dei dogmi religiosi e ideologici. Qual è il tuo rapporto con la religione e la chiesa?

«Il mio misticismo ha rischiato di essere annientato dalla dottrina. Come molti italiani ho ricevuto un'educazione cattolica ma ho sempre preferito il dubbio e la ricerca alla verità assoluta. Una nota opera del pittore spagnolo Francisco Goya si intitola "Il Sonno della Ragione Genera Mostri"». 

Sei andata alla messa di Natale?

«No, non sono andata alla messa di Natale. Sono stata a casa con le persone che amo».

"È Primavera", brano che affronta alcuni aspetti della Primavera Araba, si chiude con la citazione "È primavera… svegliatevi bambine" tratta da "Mattinata fiorentina", canzone cantata negli anni Trenta dallo chansonnier Odoardo Spadaro. Secondo te le bambine, in questo caso la parte femminile del mondo arabo, hanno in mano la soluzione per riportare finalmente la pace?

«Certamente nessuno può dire quale sia la soluzione. Tuttavia l'esclusione di metà della popolazione dal mondo della cultura e della politica non arricchisce né l'una né l'altra».

Chi sono le "coscine di pollo" cantate in "Insomnia"?

«Siamo io, tu e tutti quelli che conosciamo. Ci lasciamo cullare ed addormentare. Goya l'ho già citato ma ci fa compagnia anche qui».

Non pensi che la vita senza bellezza sia triste e grigia?

«Certo abbiamo bisogno di bellezza così come di amore. Ci riappacifica con il mondo. Talvolta la scoviamo dove non avremmo mai pensato e non vogliamo più separarcene. Forse la Gorgone Medusa era tanto bella da rendere impossibile a chi l'avesse vista di allontanarsi da lei».

È curioso come a Genova, storicamente patria di grandi cantautori, in questi anni sia nato un movimento di cantautrici molto interessante. È la vostra rivincita?

«Le donne sono autrici della propria musica da poco tempo, in Italia con un ritardo ulteriore rispetto ai paesi anglofoni. Semplicemente prima non c'erano cantautrici. A Genova siamo parecchie e molte di noi collaborano. La musica sta vivendo una nuova stagione malgrado il mercato musicale sia nel caos».

Nelle ultime settimane hai accompagnato in tour Lene Lovich. Come è nata questa collaborazione e cosa ti ha dato a livello professionale e umano?

«Ho incontrato Lene a Genova a giugno durante il Lilith Festival. È un'artista eccezionale ed una persona meravigliosa. Quest'avventura, che ha portato me e la mia band a condividere alcuni importanti palchi da nord a sud Italia, con Lene & band, ha lasciato molti bei ricordi a tutti noi. Siamo stati bene assieme tutti abbiamo imparato ed insegnato qualcosa. Niente divismi o invidie solo un grande rispetto e stima reciproca e naturalmente buon rock».

Ora cosa dobbiamo aspettarci?

«Continueremo a suonare in giro, in preparazione ci sono un paio di tour con qualche data all'estero, grazie anche alla mia etichetta OrangeHome Records che sta lavorando al booking, ma sto già pensando al nuovo album. Ho un bisogno fortissimo di continuare il discorso iniziato, di dare un altro sguardo all'abisso assieme a chi vorrà seguirmi. Non posso prevedere i tempi ma spero non siano lunghissimi. Visto che siamo nel periodo dei buoni propositi spero di terminare almeno la fase di composizione e pre produzione entro il 2015».



Titolo: La parte migliore
Artista: Sabrina Napoleone
Etichetta: OrangeHome Records
Anno di pubblicazione: 2014 


Tracce
(testi di Sabrina Napoleone, musiche di Sabrina Napoleone e Giulio Gaietto)

01. Fire
02. L'indovino islandese
03. Prima dell'alba
04. La parte migliore
05. Dorothy
06. È primavera
07. Insomnia
08. Medusa
09. Pugno di mosche
10. Epochè




martedì 13 gennaio 2015

Punto e Virgola cantano "L'uomo dei tuoi sogni"






Gabriele Graziani, già voce del gruppo Equ, e Alessandro Maltoni, chitarrista con vent'anni di esperienza sui palchi italiani, sono Punto e Virgola. Un "segno di interpunzione" musicale che in questi giorni presenta l'opera prima "L'uomo dei tuoi sogni", un concept album che contiene undici canzoni dai testi raffinati e colti, ricchi di metafore, che mescolano ironia, poesia surrealista e atmosfere oniriche. Il tutto è legato da un linguaggio musicale che attinge a stili e influenze diverse e se da una parte richiama certe composizioni di Daniele Silvestri, dall'altra paga un debito verso atmosfere che rimandano a Gaber e Jannacci. A unire i brani del disco è una ipotetica partita di calcio tra la nazionale dei poeti italiani e quella del resto del mondo commentata da Bruno Pizzul, la più famosa voce del giornalismo sportivo italiano. La telecronaca ha un ruolo di primaria importanza nel disco. Ha la funzione di aprire e concludere l'album, di introdurre le canzoni e nello stesso tempo costringe l'ascoltatore a mantenere alta l'attenzione sulla musica che può essere interrotta in ogni momento da Pizzul che chiede la linea per descrivere una occasione da rete o una sostituzione. La partita si conclude con un nulla di fatto ma a vincere è il duo Punto e Virgola che realizza un disco piacevole che sorprende sin dal primo ascolto.
Il racconto di questa surreale radiocronaca è scritto in collaborazione con il drammaturgo Federico Bellini mentre i testi di tre canzoni sono firmati da Eugenio Baroncelli, scrittore e poeta ravennate. Gli arrangiamenti musicali sono arricchiti dai contributi di Pier Foschi, Fabio Petretti, Roberto Villa, Roberto Leoncini, Giuseppe Zanca, Vanni Crociani, Miguel e Alessandro "Fabar" Fabbri degli Equ.
Con Gabriele Graziani abbiamo parlato in anteprima del disco e dell'incontro con Bruno Pizzul. 



Gabriele, prima di tutto spiegaci come siete riusciti a coinvolgere il grande Bruno Pizzul in questo vostro progetto discografico…

«Quando abbiamo scritto il disco, abbiamo trovato un filo logico invisibile capace di sorprenderci ma non di sorprendere, ci voleva una voce narrante, per collegare il tutto, anzi, la voce, e per quanto mi riguarda la voce in questione doveva essere assolutamente visibile ad occhio nudo; Pizzul fa parte del nostro dna, della nostra storia, anche per chi non ama il gioco del calcio, Pizzul è per eccellenza la nostra voce nostalgica. È stato stupendo parlare con lui, registrare da lui la sua voce tra il salotto e la cucina, dentro la sua quotidianità, tra una telefona alla figlia e un dialogo con la moglie "tutto molto bello". Eravamo a Milano ma potevamo essere ovunque, in un luogo senza età. Con lui il filo è diventato visibile e il disco è diventato romanzo».

Pizzul nel disco fa la radiocronaca di una immaginaria partita tra la nazionale dei poeti italiani e quella del resto del mondo. Chi ha avuto l'idea e quale senso ha all'interno del disco?

«La praticità della partita è il senso della poesia. Per quello che non viviamo ancorati tra il possibile e l'astratto; mi piace mescolare il tutto, due modi e due mondi apparentemente lontani che si uniscono dentro un'ipotetica partita senza tempo, anche se, il tempo paradossalmente passa ed è ben visibile».

Come è nato il duo Punto e Virgola e perché questo nome?

«Il duo è nato da un'amicizia che dura da tanti anni. Siamo due surrealisti che tentano di portare un'ancora da qualche parte... oppure un ancora? Boh, dipendiamo dall'accento. Il nome del gruppo nasce invece dalla salvaguardia della specie. Purtroppo non siamo più abituati alla sospensione lunga e non assoluta; io adoro le sfumature e il punto e la virgola fanno parte di una punteggiatura in via di estinzione».

Quando vi siete conosciuti e come sono nate le canzoni?

«Musicalmente parlando ci conosciamo da un paio d'anni. Nella conoscenza musicale abbiamo cominciato con l'idea di sostenere le canzoni da lato B, in particolar modo quelle di Gaber; il nostro assetto live è molto semplice, una chitarra e due voci. Le canzoni nascono di conseguenza, una voglia di stupire prima di tutto noi stessi con la speranza poi di stupire l'ipotetico pubblico».

Come vi siete divisi i compiti?

«I compiti sono divisi equamente. Parte un giro di chitarra di Alessandro e un testo già preparato in anticipo, il tutto viene modificato lungo il giro melodico…».

Usate testi divertenti e surreali ma in cui si coglie sempre un fondo di amarezza e di disillusione. I protagonisti raggiungono i traguardi sognati ma questi poi non appagano le aspettative. È così o sbaglio?

«Non sbagli, nel senso che dentro una canzone teoricamente ci può stare tutto; l'ironia, la parte surreale e il senso pratico, quando poi si raggiunge la tanto sospirata felicità è giusto cambiare cd. La felicità è nel passaggio, nella sospensione e nel respiro, il tentativo è quello di soffiare cambiando traccia; spostare il tentativo, questa è la regola da inseguire».

Con "1915" raccontate la storia di un ragazzo ventenne disertore che viene arrestato. E quest'anno cade il centenario dell'entrata in guerra dell’Italia. Una coincidenza o la vostra idea per ricordare l’evento?

«Considerando che le coincidenze non esistono il racconto è vero, almeno così mi hanno detto. È la storia del mio trisavolo disertore che per una serie di avvenimenti scappa e si ritrova arrestato durante il conflitto, nel tragitto per andare in prigione incontrerà un battesimo di una bambina, e quella bambina diventerà la sua sposa dopo vent'anni. Il potere della sintesi di una canzone fa il resto. Il tutto è realmente accaduto, il passaggio e il paesaggio temporale è durato vent'anni; la ritengo la canzone più surreale del disco proprio perché vera!».

Perché la scelta di utilizzare come immagine di copertina la foto del poeta ravennate Eugenio Baroncelli?

«Baroncelli oltre ad essere un amico è il più grande scrittore vivente italiano. È un misto tra Dalì, Paolo Conte e Mattia Moreni, è indubbiamente l'uomo dei nostri sogni».

Baroncelli è anche autore del testo di tre canzoni. Avete adattato scritti già esistenti o avete bussato alla sua porta?

«I testi suoi sono stati modificati e riportati alla forma musicale, anche se, fanno rima e hanno già un ritmo».

Il disco è entrato anche a far parte dei candidati all’Opera Prima del Premio Tenco. Poteva andare meglio o va bene così?

«Benissimo così considerando che il disco non è ancora uscito, più surreale di così! Giustamente diventa surreale anche la promozione».

Gaber, Jannacci e chi altri ha influenzato la vostra musica?

«L'ispirazione non si fida e prende spunto da qualsiasi cosa, un manifesto, una voce, un autore».

Nelle ultime pagine del libretto riportate un pensiero di Fernando Pessoa: «La letteratura, come tutta l'arte, è la confessione che la vita non basta». Per voi musicisti la vita non basta o la musica non basta alla vita?

«Quando il musicista s'inventa un silenzio consapevole, allora diventa consapevole del senso».

Gabriele, come andrà avanti l'esperienza con gli Equ dopo questo disco?

«Sempre meglio!».



Titolo: L'uomo dei tuoi sogni
Gruppo: Punto e Virgola
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2014

Tracce
(musiche e testi Gabriele Graziani e Alessandro Maltoni)

01. Bruno Pizzul - Le squadre   [testo scritto in collaborazione con Federico Bellini]
02. La vigile urbana
03. Labbra blu  [Gabriele Graziani e Vanni Crociani]
04. 3,14
05. Non so se mi piego
06. Bruno Pizzul - Primo tempo  [testo scritto in collaborazione con Federico Bellini]
07. Cuoca  [testo di Eugenio Baroncelli]
08. Aiuto bagnino
09. Mia comunque  [testo di Eugenio Baroncelli]
10. Bruno Pizzul - 9° del primo tempo  [testo scritto in collaborazione con Federico Bellini]
11. L'amputato
12. 1915
13. L'ultima cena
14. Bruno Pizzul - Finale partita  [testo scritto in collaborazione con Federico Bellini]
15. L'uomo dei tuoi sogni  [testo di Eugenio Baroncelli]