mercoledì 19 novembre 2014

In Australia le orme dei passi di Delsaceleste




Una relazione finita male, un viaggio per ritrovare la serenità e la pace interiore, un soggiorno in Australia, a Geelong nello stato di Victoria. Sono queste le esperienze che danno lo spunto a Delsaceleste, all'anagrafe Marco Del Santo, per comporre le canzoni del suo nuovo album, dal titolo "Le orme dei miei passi", uscito in queste settimane per l'etichetta New Model Label. Il cantautore milanese, attivo sulla scena indipendente dal 2006 come polistrumentista, cantante e autore, parte dalla traumatica rottura di una rapporto per affrontare un viaggio catartico, di accettazione della nuova situazione e per riscoprire se stesso. Il tutto in un ambiente affascinante dagli spazi sterminati e ignoti come l'Australia in cui lasciarsi trasportare e ritrovarsi.
Per farlo Delsaceleste («nome che nasce dall’unione del diminutivo del mio cognome, Delsa, usato comunemente da amici e conoscenti, e Celeste, la protagonista di un racconto che ho scritto tra il 2005 e il 2006», spiega) ricorre, come già aveva fatto per il precedente "La fabbrica dei ricordi" (2011), alla formula del concept album, tanto caro al genere progressive. Dal punto di vista musicale però il disco è molto diverso: si passa dal classico cantautorale chitarra e voce, a brani più articolati che esplorano il territorio rock e beat, senza far passare in secondo piano echi sudamericani. A contribuire alla nascita del disco sono stati Giacomo Ferrari (pianoforte), Paolo Zucchetti (batteria), Rino Garzia (basso), Davide Minelli (chitarra elettrica), Barbara Pinna (violino).
Questa nuova esperienza artistica è arricchita da un racconto scritto da Fabio Testa, alias Giovanni Fugazza, che lega le canzoni del disco, e le illustrazioni di Jacopo Silvestri
In questa breve intervista, Marco Del Santo presenta il suo nuovo disco.



Marco, è passato un bel po' di tempo dal precedente "La Fabbrica dei ricordi". Cosa è successo?

«Il periodo di lavorazione de "La Fabbrica dei ricordi", con annessa mostra a tema a cui hanno partecipato diversi artisti, è stato frenetico. Per il progetto successivo, "Le orme dei miei passi" volevo lavorare in maniera più meditata e accurata essendo diversi i fronti coinvolti: musiche, racconto e illustrazioni. Mi sono preso il tempo necessario». 

Perché hai scelto di registrare un concept album?

«Mi capita di vivere periodi di intensa creatività in cui scrivo di getto diversi brani che, proprio per essere stati concepiti in un'unica fase, finiscono per essere naturalmente correlati tra di loro, come elementi differenti di una visione più ampia e complessa».

Quanto ha inciso sulla scrittura delle canzoni del disco la tua esperienza di vita in Australia?

«È stata fondamentale, diretta ispirazione tra realtà e immaginazione».

Quanto tempo hai vissuto nella terra dei canguri?

«Solamente tre mesi, ma nella mente direi senz'altro di più».

Per un cittadino di una grande città come Milano deve essere abbastanza "traumatico" essere trasportato negli spazi sconfinati di quel continente. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

«È stata l'esperienza più forte che abbia vissuto sinora. Ho avuto modo di mettermi alla prova, di riscoprire le mie potenzialità e analizzare i miei limiti, cercando sia di ritrovarmi che di rinnovarmi».

Sembra che tutta questa libertà ti abbia condizionato nel titolo di alcune canzoni come "Spazi immensi" e "Dolce solitudine" e nella musica dei brani strumentali…

«Verissimo, ho cercato di esprimere con parole e sonorità quelle sensazioni così liberatorie».

La rottura di un relazione è il punto di partenza di questo viaggio. Sembra però più che altro una liberazione. Non si avverte quel senso di disperazione che ci si potrebbe aspettare. Qual è il messaggio che hai voluto trasmettere?

«In ogni fase della nostra vita convivono benessere e complessità, bisogna riuscire a conservare ciò che di positivo ci è stato dato e farlo diventare parte integrante di noi stessi, è fondamentale avere modo di meditare intensamente, di arrivare in profondità».

Quali difficoltà hai incontrato a mettere in musica le tue emozioni?

«Ogni processo creativo è anche una esplorazione della propria emotività, quindi non è mai qualcosa di neutro. Nel mio caso entro in sintonia con le mie sensazioni e cerco di ricostruirle musicalmente».

Come avete lavorato sugli arrangiamenti di "Le orme dei miei passi"?

«Gli arrangiamenti dei brani sono stati costruiti sopra i miei provini e sono stati scritti assieme ai musicisti che l'hanno suonato. Voglio cogliere l'occasione per ricordarli e ringraziarli tutti: dal batterista Paolo Zucchetti, al pianista Giacomo Ferrari, al chitarrista Davide Minelli, al bassista Rino Garzia, alla violinista Barbara Pinna, per finire col compositore Luca Talamona con cui ho lavorato a "Pensieri in volo"».

Alla base del concept c'è una storia raccontata da Fabio Testa e illustrata da Jacopo Silvestri. Come sono nate queste collaborazioni e come avete portato avanti il progetto?

«Sono entrambi grandi amici e già in passato miei collaboratori. Conoscendo le potenzialità e le abilità di Fabio come scrittore e di Jacopo come artista, in questo caso specifico illustratore, è stato spontaneo e naturale rivolgermi a loro per lavorare al progetto "Le orme dei miei passi". Devo dire che è stato molto stimolante e appagante lavorare con loro fianco a fianco in ogni singola fase del progetto. Siamo partiti dai brani musicali allo stato grezzo per poi creare qualcosa di più ampio e completo».

Hai dei riti precisi nella scrittura?

«Come ti dicevo prima, solitamente diversi brani nascono in una stessa fase e si innesca quel processo che ti ho già descritto. Diciamo che è un rito di cui sono quasi succube».

Un desiderio da realizzare con la musica e uno nella vita…

«Per citare un po' la tematica del disco e della title-track, ogni passo che si compie è parte di un percorso in continua evoluzione, di cui non si può sempre intuire la direzione. Dobbiamo cercare allo stesso tempo di tenere salde le nostre radici e metterci continuamente in discussione».




Titolo: Le orme dei miei passi
Artista: Delsaceleste
Etichetta: New Model Label
Anno di pubblicazione: 2014


Tracce
(musiche e testi Marco Del Santo, eccetto dove diversamente indicato)

01. EK 092
02. Contraddizione
03. Pensieri in volo  [musica di Luca Talamona e Marco Del Santo]
04. Spazi immensi
05. Dolce solitudine
06. Ombre
07. Soltanto polvere
08. Non rischiamo di scadere
09. Le orme dei miei passi
10. La metamorfosi
11. Titoli di coda



giovedì 13 novembre 2014

Emiliano Mazzoni torna con "Cosa ti sciupa"





A due anni da "Ballo sul posto", Emiliano Mazzoni torna con il disco "Cosa ti sciupa". Il cantautore di Piandelagotti, paese di montagna a 1.200 metri sull'Appennino Emiliano, prosegue il discorso iniziato con l'album d'esordio. Il pianoforte e la voce restano i cardini della musica di Mazzoni ma, in questo secondo capitolo discografico, la batteria e le chitarre elettriche si fanno più presenti e incalzanti dando più colore alle canzoni. È un disco più potente e vario negli arrangiamenti di quello precedente ed è in grado di mettere maggiormente in risalto le caratteristiche di questo artista che trova la sua naturale espressione nelle esibizioni dal vivo.
Le canzoni testimoniano una evoluzione nella scrittura di Mazzoni. Influssi della tradizione cantautorale francese, accenni tex-mex e di musica popolare si mischiano dando vigore e imprevedibilità al disco. Brani a volte nostalgici, conditi con manciate di disillusioni e cose ormai perdute, altre volte visionari ed evocativi, trasmettono sensazioni ed emozioni forti. Il disco evidenzia la buona capacità raggiunta da Mazzoni nel costruire immagini originali e rappresentative di un percorso compositivo importante. Anche in questo progetto è fondamentale l'esperienza di Luca A. Rossi (Üstmamò, Giovanni Lindo Ferretti) che cura la produzione artistica e suona basso, chitarre elettriche e acustiche, cembalo. A contribuire alla realizzazione del disco, firmato dalla Gutenberg Records/Primigenia Produzioni Musicali, sono Simone Filippi (batteria), Mirko Zanni (chitarra elettrica), Michael Mac Bello (batteria), Dominic Palandri (chitarra), Romy Chenelat e Angus Palandri (cori). 
A presentare il nuovo disco è lo stesso Emiliano Mazzoni in questa intervista.




Sono passati due anni da "Ballo sul posto". Leggendo sul retro della copertina si intuisce che è stato un lavoro molto lungo ed elaborato. È così o ci sono stati degli eventi che ti hanno costretto a prendere tempo?

«Ci sono stati degli eventi esterni che hanno condizionato la genesi di questo disco. Dopo nemmeno sei mesi dall'uscita di "Ballo sul posto" abbiamo iniziato a registrare con molta calma, a casa mia, e a maggio del 2013 tutto il materiale era già registrato. Poi è subentrata la ristrutturazione della casa e ho dovuto sospendere tutto per un bel po'. Non amo stare molto tempo sulle cose ma in questo caso, paradossalmente, era la maniera per far prima».

Pianoforte e voce continuano ad essere elementi portanti della tua musica ma, rispetto al disco precedente, batteria e chitarre elettriche colorano maggiormente le tue canzoni…

«Erano canzoni che immaginavo un po' più movimentate e alla fine son soddisfatto. Una volta terminato "Ballo sul posto" avevo già i pezzi e le idee per "Cosa ti sciupa", mantenendo sempre lo stesso modo di lavorare in casa. Così ora ho già da parte i pezzi per il prossimo disco, ma sarà molto diverso».

Anche in questo secondo episodio discografico ti sei avvalso della collaborazione di Luca A. Rossi. Quanto è importante questo sodalizio per te e la tua musica?

«È fondamentale! Mi ha aiutato molto a sviluppare quello che avevo solo abbozzato costruendo i pezzi voce e piano. Poi dalla sua esperienza ho imparato molto ed è stato molto disponibile ad attrezzare la mia casa con quello che gli serviva per il suono che aveva in mente. Tutte cose che io ho poi capito dopo. Devo molto a Luca». 

Nelle canzoni del nuovo disco le figure femminili sono le protagoniste…

«Me ne accorgo ora. Per me queste canzoni parlano di cose che accadono e "Cosa ti sciupa" vuol far uscire certe difficoltà. Certo è che alcuni tribolamenti amorosi sono protagonisti e le figure femminili sono lì a renderli possibili cercando su tutto la semplicità nei testi. Quando riunisco le canzoni da mettere in un disco lo faccio cercandone un sapore comune, che però a volte non so dire a parole quale sia».

È curioso come l'ambiente in cui uno vive possa condizionare anche il pensiero e la scrittura. E mi spiego meglio. Nelle tue canzoni non c'è quasi traccia di ambienti cittadini, con tutte le conseguenti problematiche, mentre la natura e le fotografie di posti a te più familiari sono uno dei cardini della tua scrittura. Cosa ne pensi?

«Penso che mi dispiacerebbe un po' se fosse completamente così. Non posso sapere cosa farò, ma vorrei scrivere anche altre cose, già il prossimo lavoro sarà molto scuro e vorrei che fosse ambientato in nessun luogo, ecco, vorrei scrivere canzoni che siano ambientate in nessun luogo. Però probabilmente è vero, l'ambiente influenza molto e bisognerebbe essere sempre pronti ad andarsene non appena questo diventa un limite, oppure riuscire ad essere bravi nel farlo uscire sempre sotto forma di sincero spirito creativo».

C'è un tema comune che lega le canzoni di "Cosa ti sciupa"?

«Sì, il non riuscire ad acchiappare il brivido che ti dice "eccomi sono qua, prendimi" e il rammarico che rimane. L'impossibilità di compiere l'ultimo passo verso un'ispirazione che ti capita di ricevere, a volte per un limite inevitabile, a volte perché siamo solamente esseri umani e sbagliamo o rinunciamo. "Cosa ti sciupa" è un 'rovello', con un piede dentro una domanda e l'altro dentro un rimprovero».

Quanto c'è di autobiografico in queste undici nuove composizioni?

«Di sicuro molte cose, ma non saprei indicare qualcosa di preciso. Quando scrivo non ho un percorso, ma lascio che il testo si distenda richiamando quello che manca, e se poi lo merita arriva alla fine del viaggio. Quindi per forza le mie esperienze intervengono, ma cerco di farglielo fare senza apparire, a volte riuscendoci a volte no. Forse è "Ragazza aria" il brano dove si scoprono di più. Diverso è il discorso per "Non rivedrò più nessuno" che è abbastanza giornalistica e parla di un fatto accaduto».

Mi piace la frase <Lasciate alla bellezza il vostro cuore e vi soccorrerà non sono favole> con cui si conclude "Canzone di bellezza". È un invito o una constatazione?

«È entrambe le cose. Arriva alla fine di una canzone dove una sfilza di immagini arrivano e vanno, cercando in modo un po' fantasmagorico di recuperare una dimensione intima, cercando di fotografare quei momenti dove ci si ferma a pensare un istante prima che tutto sfugga. Forse son cose solo immaginate o dimenticate, ma che nell'illusione costruiscono un'idea che si va a consolare sulla frase finale. Ha uno stile che amo e che mi ha sempre accompagnato anche nelle esperienze precedenti al progetto solista».

Il brano che in un certo modo esce dagli schemi è "Nell'aria c'era un forte odore" con quella sua cadenza tex-mex. Ce ne parli?

«È la storia di un buon ragazzo che avvilito dal mondo decide di abbandonarlo. Mi è uscito così, con sul finale la sorpresa di cadere fra le braccia di un amore dimenticato. La musica mi ha suggerito questa storia, non so poi perché. Musicalmente è uscito proprio quello che immaginavo mentre mi venivano gli accordi (semplicissimi...) ed era una strada divertente».

"Tornerà la felicità" è una canzone molto intensa ma per te cosa è la felicità?

«Non so rispondere, mi dispiace. E non sono nemmeno sicuro che torni né che ci sia mai stata. Di sicuro è un problema».

Il disco si chiude con l'emozionante "Non rivedrò più nessuno". Come è nata questa canzone?

«È nata da una storia accaduta a un mio prozio, ed è andata proprio così come viene raccontata. Noi la conosciamo perché le persone che erano su quella corriera, una volta tornate a casa, hanno raccontato che quel ragazzo piangeva e tra sé diceva "non rivedrò più i miei amici, non rivedrò più nessuno". Dopo qualche tempo si scoprì che aveva ragione. Quando mi è uscita la musica ho provato a ragionar su quel fatto e in un attimo è riuscita così».

Che cosa vorresti che la gente sentisse nella tua musica?

«Credo che la musica sia di chi la ascolta e ognuno deve farne quel che vuole. Credo che sia un linguaggio che può suonare ampio o meno ampio a prescindere dalle volontà degli artisti».

Pochi giorni fa, Paolo Serra ha scritto su Il Fatto Quotidiano un articolo sulla musica e sui format televisivi. Mi sono appuntato questo passaggio: «E non basta più saper fare il giro di Do con la chitarra, adesso devi imparare a curare la tua immagine, ammiccare con disinvoltura alle telecamere, muoverti nel modo giusto sul palcoscenico e anche fuori, e soprattutto sul web. Perché i casi sono due: o diventi virale, oppure gli anticorpi del sistema ti rigettano negli ultimi dieci piano-bar sopravvissuti alla crisi». Cosa ne pensi di questa affermazione?

«Penso che sarebbe bello dire che ha ragione dimostrando che ha torto. Penso anche però che siano le canzoni a dover trainare l’artista e il pubblico a sostenerlo, se non c'è pubblico puoi ammiccare a quel che vuoi. Ma non lo so poi mica, non sono un esperto».




Titolo: Cosa ti sciupa
Artista: Emiliano Mazzoni
Etichetta: Gutenberg Music/Primigenia
Anno di pubblicazione: 2014

Tracce
(musiche e testi di Emiliano Mazzoni)


01. Canzone di bellezza
02. Ma perché te ne vai
03. Diva
04. Un'altra fuga
05. Ciao tenerezza
06. Hey boy
07. Ragazza aria
08. Non lasciarmi qui
09. Nell'aria c'era un forte odore
10. Tornerà la felicità
11. Non rivedrò più nessuno



giovedì 6 novembre 2014

"Che storia!" le Soms cantate da Augusto Forin





Nell'Europa del 1800, in particolare in Germania, Inghilterra e Francia, nacquero le prime forme di mutualità e di autodifesa del mondo del lavoro. Dopo l'ondata rivoluzionaria del 1848 anche sul territorio italiano si registrò un notevole incremento nel numero delle Società Operaie di Mutuo Soccorso. Le persone vi aderirono volontariamente su base territoriale o professionale per scopi di mutuo aiuto. In Italia, attualmente, le Soms attive sono circa duemila mentre in Liguria se ne contano centosettanta.  
Sulle Soms e sulla loro storia è stato scritto da Ivano Malcotti uno spettacolo di teatro-canzone, dal titolo "Soms che storia!", che racconta l'importanza che hanno avuto nel tessuto sociale, dalla loro nascita ai giorni nostri. Le canzoni della pièce sono state invece firmate da Augusto Forin e raccolte nel disco "Che storia!". Brani dal sapore popolare che richiamano le atmosfere delle tipiche giornate trascorse nelle Società, in cui convivialità, incontro e discussione recitano ancora oggi un ruolo fondamentale. Gli arrangiamenti non sono complessi e il disco scorre veloce e gradevole trasportando l'ascoltatore al tavolo di chi racconta e canta storie, magari davanti a un buon bicchiere di vino. Non per questo gli argomenti trattati sono superficiali o di poca importanza. Nelle canzoni, i cui testi sono firmati da Malcotti e adattati da Forin, si parla anche di gioco d'azzardo, società dei consumi che impoverisce il mondo, immigrazione e povertà.
In questa nuova avventura discografica, Forin ha scelto come compagni di viaggio il mandolinista Carlo Aonzo, Sandro Signorile, impegnato alla mandola e al dobro, e Mirco Pagani alle percussioni e glockenspiel. A questi si sono aggiunti Patrizia Litolatta Biaghetti (voce recitante), il Coro degli Agitatori, Monica Astengo e Valter Mereta del Gruppo Città di Genova. 
Nell'intervista che segue Forin risponde alle domande sulla genesi di "Che storia!" e sul suo rapporto con le Soms.



Ci eravamo lasciati parlando di un tuo nuovo progetto musicale ed eccoci ora con in mano l'album "Che storia!". Ce lo vuoi presentare?

«"Che storia!" raccoglie tutte le canzoni dello spettacolo "Soms che storia!" scritto da Ivano Malcotti. Quest'album ha una storia speciale. Ivano aveva trovato una piccola sponsorizzazione nel Gruppo Città di Genova e così decidemmo di utilizzarla per produrre un cd con le canzoni della pièce da vendere nei nostri spettacoli per autofinanziarci. Avevo coinvolto Bruno Cimenti (fonico che ha registrato e mixato l'ultimo lavoro di Max Manfredi, "Dremong") e con lui programmato di iniziare le registrazioni lo scorso novembre. Causa miei problemi di salute è saltato tutto. Nel frattempo Giotto Barbieri, uno degli Agitatori Culturali Irrequieti che di mestiere fa il regista, si stava occupando di realizzare un video promozionale per presentare "Soms che storia!". Occorreva quindi registrare almeno un brano dello spettacolo. Allora il nostro "Marx" (è lui, Giotto che appare truccato da Marx sulla copertina di "Che storia!") ha pensato di contattare un amico fonico così da avere velocemente la demo di una canzone da usarsi per il videoclip. Caspita! L'amico fonico era Alberto Parodi. Proprio l'Alberto Parodi del famoso studio di Mulinetti, quello che ha registrato dischi come "Aguaplano" di Conte o "La pianta del te" di Fossati. Ci siamo incontrati con Alberto che, una volta ascoltato il nostro progetto, si è offerto non solo di registrarci una demo ma addirittura di produrci il cd con tutte le canzoni. Non ci siamo fatti scappare l'occasione e nel giro di due settimane abbiamo avuto in mano il master di "Che storia!"».

Quando è nato il sodalizio con Ivano Malcotti?

«Con la mia compagna Patrizia abbiamo assistito ad uno spettacolo scritto da Ivano per il quale avevamo realizzato la grafica delle locandine. A fine rappresentazione lo abbiamo avvicinato ed è bastato un breve scambio di battute per capire che poteva essere la persona giusta per far parte del nostro gruppo di Agitatori Culturali Irrequieti Gian dei Brughi. È così che è iniziata la collaborazione».

A chi è venuta l'idea di scrivere uno spettacolo di teatro-canzone dedicato alle Soms?

«L'idea è di Ivano. Tra i numerosi testi teatrali che aveva nel cassetto c'era anche questo dedicato alla storia delle Società Operaie. Insieme l'abbiamo rivisto, aggiunto le canzoni e iniziato a proporlo con il gruppo degli Agitatori Culturali Irrequieti. All'inizio in forma di sola lettura ma via via con l'aiuto di Daniela Borsese, che è una degli Agitatori e anche lei regista, abbiamo provato a rappresentarlo diventandone gli interpreti. Alla fine è venuta fuori una divertente pièce teatrale che sta riscuotendo un discreto successo».

Qual è lo scopo dello spettacolo?

«Lo scopo è quello che dovrebbe avere ogni operazione artistica e cioè trasmettere emozione agli spettatori. Il testo si snoda tra nozioni storiche, considerazioni sociali, macchiette e siparietti, si brinda a Don Gallo e a Gino Strada e ci sono comizi di Marx, Garibaldi e pure di Mussolini: insomma cerchiamo di far sorridere e far riflettere. Noi sicuramente ci divertiamo e questo al pubblico arriva».

So che avete anche preparato del materiale per le scuole…

«In realtà è nato prima il progetto formativo per la scuola ideato e curato da Cristiana Ricci. Sulla scia di quel progetto Ivano ha scritto il testo teatrale di "Soms che storia!". Lo spettacolo diventa così anche un mezzo per avvicinare e coinvolgere i giovani, portare nelle scuole e far conoscere quei valori fondamentali per la nostra società: la solidarietà, la mutualità, la partecipazione indispensabili per perseguire il benessere comune».

Trovo che le Soms, con la loro idea fondante del mutuo soccorso, siano ora più che mai un paracadute importante per tante persone. Cosa ne pensi?

«Questa nostra società negli ultimi anni è sempre più individualista. Gli stessi social network non fanno che aumentare l'isolamento delle persone che credono di esprimere un'opinione con un "mi piace" o postando un commento su un blog. Alla fine la loro azione sociale finisce lì, nel fissare un display, sempre più alienati dalla realtà. Ma ci fai caso? Guardati intorno, per la strada, al ristorante, ovunque vedi persone che non si guardano neppure più in faccia intenti a digitare chissà quale importantissima verità. La realtà è che queste persone sono sempre più sole e sempre meno influenti sulle sorti della società in cui vivono. È a questo punto che le Soms possono tornare ad avere un ruolo fondamentale. Più che un paracadute, come le definisci tu, una zattera di salvataggio, un luogo di incontro dove trovare vero confronto e aiuto concreto».

Le Soms possono attirare anche i giovani?

«Certo, non devono fare altro che mettere in pratica i principi dei loro statuti, principi sui quali le Soms sono nate. Rischio di ripetermi ma la solidarietà, il mutuo soccorso ha un potere di coinvolgimento fortissimo, soprattutto nei giovani. Guarda quanta generosità hanno dimostrato gli angeli del fango a Genova. Sono tutti giovani, uniti dalla voglia di fare concretamente qualcosa di utile per il prossimo, per chi si trova in difficoltà. Forse occorre da parte delle Soms uno sforzo maggiore per far conoscere i valori che rappresentano. Credo che il nostro progetto musical-teatrale "Soms che storia!" sia un importante passo in questa direzione».

Qual è il tuo rapporto con le Soms? Ne hai mai fatto parte?

«Ne ho fatto parte e ancora ne faccio parte. Attualmente sono il segretario della Società Operaia Mutuo Soccorso di Sussisa, paese dove abito».

Per questo progetto avete avuto il supporto del Circolo Culturale Irrequieti "Gian dei Brughi". Puoi dirci qualcosa in più?

«La giusta denominazione è "Agitatori Culturali Irrequieti Gian dei Brughi". È una creatura nata da un'idea di Patrizia Biaghetti. Sotto quel nome io e Patrizia abbiamo cominciato ad organizzare eventi culturali in nome di Gian dei Brughi, personaggio del Barone Rampante di Italo Calvino. Gian dei Brughi è un brigante che una volta venuto in contatto con la cultura si redime. Noi crediamo nel potere salvifico dell'arte e intorno a quest'idea ci siamo ritrovati a coinvolgere persone creative e sensibili con le quali lavoriamo dando vita a molti eventi e sono veramente tanti quelli che abbiamo organizzato e che abbiamo in programma. Ti invito a visitare il nostro sito www.giandeibrughi.it per averne un'idea più completa. Comunque nello specifico il progetto "Soms che storia!" ha avuto anche l’importantissimo apporto del Gruppo Città di Genova che ci ha aiutato economicamente».

Ad accompagnarti in questa nuova avventura discografica sono Carlo Aonzo, Sandro Signorile e Mirco Pagano. Come è nato questo quartetto?

«Volevo dare alle canzoni un sapore ruspante e popolare, come se alcuni amici si ritrovassero quasi per caso al tavolo di un bar per suonare insieme. Non ho cercato complessi arrangiamenti per i brani, anzi Carlo ha eseguito le sue parti praticamente in presa diretta seguendo solo alcune mie indicazioni a voce. Sono molto contento che Carlo abbia partecipato al progetto perché la sua incredibile musicalità e bravura erano proprio il tocco che cercavo. Sandro, con cui porto avanti il progetto delle Ristampe di Tex, ha aggiunto alcune sonorità a me care come quelle della mandola e del dobro. Mirco è il batterista con cui suono nel mio gruppo di jazz progressive, i Cripta Quartetto. Con Mirco ho un'intesa che dura da una vita e a lui ho chiesto di abbandonare per un momento i tamburi e cimentarsi con un cajón, strumento sicuramente molto più consono in questo contesto».

Nel disco ci sono anche canzoni molto attuali come "Il paese delle slot" che punta l'indice contro il gioco d'azzardo e lo stato che "s'ingrassa"…

«Come dicevo prima il testo della pièce tocca molti temi sociali. Uno di questi è il disagio, è la dipendenza creata dal gioco d'azzardo. Il ritornello della canzone, "al tuo gioco non ci gioco" è stato adottato dal Comune di Sori ed è diventato lo slogan per una campagna contro il gioco d'azzardo. La canzone è piaciuta anche al movimento NoSlot che l'ha inserita sulle pagine del suo sito (http://www.noslot.org/e-un-paese-triste-che-vive-delle-bische/)».

"Un santo ci vuole" è una sorta di appello all'arrivo di un santo, però molto terreno, con tutti i difetti tipici dell'uomo. Verrebbe da dire che non ci sono più i Santi di una volta…

«Il Vaticano continua a sfornare santi! Evidentemente i fedeli hanno bisogno di nuovi santi a cui rivolgersi perché quelli di una volta forse non riescono più ad esaudire le preghiere che ricevono. Papa Francesco ne ha da poco beatificato alcuni. Cosa importa se uno di questi, fino a poco tempo fa era sorridente a braccetto con Pinochet. Un santo ci vuole!»

In "Cambiare il mondo" l'utopistica visione si scontra con la realtà dei fatti e con il fallimento di un progetto. È ancora realistico pensare che ci possa essere una nuova via da percorrere?

«Questa domanda aprirebbe un discorso vastissimo, cercherò di rispondere in poche battute. Esiste una via da percorrere, ed è sempre la stessa. La magia del fare. Per cambiare il mondo bisogna cominciare a cambiare noi stessi. Dobbiamo prendere coscienza che la terra in cui viviamo è di tutti e che tutti dobbiamo rispettarla. Stiamo vivendo le conseguenze di una politica che ha avuto e continua ad avere come modello il consumismo. Continuiamo a sentire economisti che affermano il bisogno di ritornare a produrre, perché il mercato deve ripartire. Ma produrre cosa? Ripartire per dove? Questa società dei consumi non ha rispetto della vita, sta impoverendo questa terra e i suoi abitanti. Non è con un'automobile o un telefonino in più che potremo nutrirci ma solo la terra e i suoi frutti potranno sfamarci. Finché chi esercita il potere continuerà ad usarlo per il proprio tornaconto non si potrà mai arrivare ad un bene comune. L'utopia esiste solo per chi non ha il coraggio di un'ideale».

Nel brano "In tempi lontani" canti <…erano tempi tanto lontani, di lotta ai fascisti e ai padroni, erano tempi per clandestini, erano tempi da partigiani…>. Quali sono ora gli avversari contro cui lottare e i partigiani che possono farlo?

«Esiste sempre un oppressore da cui liberarsi. Oggi siamo schiavi del profitto, sono i poteri finanziari a decidere la nostra sorte. In realtà non è cambiato granché, la storia insegna, sono sempre i poveri che pagano. Servono guerre per fare profitto? Bene, quando hai le chiavi della dispensa non c'è niente di più facile che portare alla disperazione intere popolazioni per poi scatenarle una contro l'altra nel nome di presunti nazionalismi o devastanti fedi religiose. Servono braccia a basso costo? Bene, prendiamo i disperati di prima e li attiriamo lontano dalla loro terra con il miraggio di una vita migliore, se poi nel tragitto se ne perdono un po' poco importa, anzi meglio. Quelli che arrivano scopriranno amaramente di aver perso tutti i diritti e a quel punto è un gioco da ragazzi sfruttarli, leggi farli schiavi. I partigiani oggi sono coloro che sanno aprire gli occhi su queste realtà e non si lasciano incantare dai media; la vera lotta consiste nell'abbattere le barriere erette dal potere. Molte di queste sono culturali e una rivoluzione poetica sarebbe un'arma formidabile».

Oltre alle dieci canzoni, nel disco troviamo anche una bella poesia recitata da Patrizia Biaghetti…

«La poesia di Patrizia apre lo spettacolo "Soms che storia!". L'ha scritta di getto proprio in una società in Toscana dove stavo tenendo un concerto. Lei ha la capacità di cogliere i minimi particolari di un ambiente e ne ricava delle splendide immagini poetiche così come sa cogliere e descrivere le emozioni più intime».

Quali sono le prossime date in programma per poter assistere allo spettacolo?

«Per conoscere i nostri appuntamenti ti invito a visitare le pagine del mio sito (www.augusto.forin.name) o di quello dedicato allo spettacolo (chestoria.giandeibrughi.it)».




Titolo: Che storia!
Artista: Augusto Forin
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2014


Tracce
(Testi di Ivano Malcotti e adattamento e musiche di Augusto Forin, eccetto dove diversamente indicato)

01. Era un paese piccolino
02. Cambiare il mondo
03. Un santo ci vuole
04. Axi
05. Arriva lo statuto
06. Il paese triste
07. La colt di Garibaldi
08. In vino veritas
09. Tempi lontani
10. Centottantatreparole  [poesia scritta e recitata da Patrizia Biaghetti]
11. La banda della Soms