giovedì 21 febbraio 2013

Vanexa, 34 anni di musica heavy metal



"Vanexa", primo disco HM italiano (1983)


Savona ha dato i natali ai Vanexa, uno dei primi e più importanti gruppi di heavy metal italiano. La band è nata sul finire degli anni Settanta per volontà di Sergio Pagnacco (basso), Silvano Bottari (batteria), Roberto Merlone (chitarra) e Fabrizio Cruciani (voce), poi sostituito da Marco Spinelli (voce). Il sound tipicamente anglo-sassone è legato a gruppi allora emergenti come Saxon e Jaguar, e già affermati come Judas Priest e Motorhead.
Dopo diversi demo, nel 1983 il gruppo ha dato alle stampe l'album "Vanexa" che è considerato il primo disco italiano di heavy metal. Dopo aver partecipato come headliner, nello stesso anno, allo storico Festival di Certaldo, i Vanexa sono stati inseriti nella compilation "Metallo Italia". Per vedere nuovamente i Vanexa in studio si è dovuto attendere fino al 1988, anno di lancio di "Back from the ruins". Nel 1991 Roberto Tiranti ha preso il posto di Marco Spinelli e Giorgio Pagnacco, fratello di Sergio, ha rinforzato il sound sedendosi alle tastiere. Dopo una parentesi di alcuni anni i Vanexa sono tornati in pista nel 2009 con una nuova formazione: oltre a Sergio Pagnacco, Bottari e Tiranti, sono entrati nel gruppo i chitarristi Alex Graziano e Artan Selishta. La partecipazione alla terza edizione del "Play It Loud Festival" di Argelato ha segnato la reunion della band savonese. Suggellata, l'anno successivo, dall'arrivo sugli scaffali dei negozi di dischi di una raccolta curata dalla Jolly Roger Records, contenente materiale del primo periodo della band. Con l'album dal vivo "Metal City Live", pubblicato nel 2011 dalla My Graveyard Productions, i Vanexa sono tornati a far parlare appassionati e critica. L'ultimo cambio di line up è avvenuto nel 2012 con l'uscita di Alex Graziano, ora impegnato con il gruppo folk Uribà, e l'entrata di Pier Gonella. E già si parla di un nuovo album in studio che potrebbe essere pubblicato tra non molto.
Con Silvano Bottari, anima e storico batterista del gruppo, abbiamo parlato del passato e soprattutto del futuro dei Vanexa. Il tutto in questa intervista.



1979-2013! Sono passati 34 anni dal vostro esordio nel mondo della musica. Cosa è cambiato per voi in tutto questo tempo?

«Azzz… quanti anni! Beh, cose ne sono cambiate, a partire dal lavoro, dalla famiglia, dai problemi vari che tutti dobbiamo superare, ma per quello che riguarda la musica siamo ancora qui a suonare con la grinta e la voglia di fare della buona musica».

Per la musica italiana e in particolare per l'heavy metal cosa è cambiato?

«A parte i soliti grandi nomi che attirano ancora le grandi folle, vedi AC/DC e Iron Maiden, l'heavy metal in Italia credo non abbia più molto seguito. È sparito l'interesse per il panorama underground anche se gruppi che suonano ce ne sono ancora molti. Abbiamo partecipato ad alcuni festival metal in questi ultimi anni e direi che tecnicamente le band sono molto maturate, c'è tanta 'violenza' e tecnica ma credo che manchino idee nuove e il gusto per l'armonia e l'arrangiamento che anche nel metal esistono. Si è perso l'obiettivo di creare comunque la bella canzone».

Il metal suonato oggi è ancora un genere da cui sei attirato o ascolti altro?

«Non sono molto attirato. Come ascoltatore ho sempre spaziato in numerosi generi, ora, con il passare degli anni, ancora di più. Sono comunque molto legato agli anni '70. Come musicista invece, ancora adesso, riesco a esprimermi soprattutto nel metal, è un genere che riesci a suonare solo se sei incazzato dentro».

Che significato aveva suonare metal in Italia negli anni '80?

«Era un periodo molto creativo e il metal era veramente un genere esplosivo con idee musicali nuove. Forse è stata l'ultima frontiera del rock, inteso come forma d'arte e movimento sociale. Noi in quel senso forse eravamo anche troppo avanti, il nostro primo album è stato concepito nel 1982 ed è uscito i primi mesi dell'anno seguente, in giro per il mondo in quel periodo c'erano al massimo una decina di band che facevano metal. Li ricordo come anni magici ed entusiasmanti».

Silvano, ci racconti il clima in ambito musicale che si respirava in quegli anni a Savona e all'interno del gruppo?

«Un clima bellissimo! A Savona c'era rivalità ma anche rispetto tra le varie band che suonavano generi musicali diversi: dal punk, al metal e alla new wave. Ognuno aveva una sua identità e personalità, non era tutto globalizzato come è invece ora. Nella band Vanexa c'era una grande amicizia e ognuno "rincorreva" l'altro suonando per la paura di rimanere indietro tecnicamente ma soprattutto avevamo tante idee. In quegli anni avevamo tutti, oltre a una dose personale di incazzatura con il mondo, una cultura musicale rock molta vasta che ci ha aiutato a creare il primo album metal uscito in Italia».

Quali erano le possibilità in quegli anni per una band emergente come poteva essere la vostra?
 

«Poche, ma il nostro primo album, sfruttando l'indotto degli appassionati, delle fanzine, delle etichette private e di alcune radio, tutte molto interessate a questo new sound chiamato heavy metal, è riuscito ad attirare l'attenzione anche all'estero e a farci vendere anche un buon numero di dischi in tutta Europa».

Avete vissuto in prima persona il passaggio dall'analogico al digitale e, in anni recenti, l'esplosione di internet, del file sharing, della musica liquida e anche della relativa facilità di registrare cd. Cosa ne pensi, come ha inciso tutto questo sulla musica?

«Per quello che mi riguarda è diventato tutto troppo perfetto, i dischi suonano un po' tutti uguali e tranne qualche eccezione, molte band creano i dischi come quando si lavora in fabbrica a una catena di montaggio, e si sente. Un uso moderato delle nuove tecnologie può aiutare ma i Vanexa vengono da un periodo dove le canzoni si creavano in cantina sputando sudore, dopo aver bevuto una buona birra e magari aver fumato una canna, il rock è quello!».

Se potessi tornare sui tuoi passi, quale scelta non rifaresti?

«Noi abbiamo sempre fatto delle scelte compatibili con le nostre esperienze del momento e con la nostra voglia di fare. Il problema è quando non scegli perché non puoi farlo o altri scelgono per te».

Nel 2011 la My Graveyard Productions ha pubblicato l'album dal vivo "Metal City Live" che riporta la vostra esibizione al festival "Play It Loud" del 2009. È stata una bella sorpresa. Siete soddisfatti dell'operazione?

«Più di mille persone che facevano headbanging sotto il palco durante la nostra performance dopo anni che non suonavamo... più soddisfatti di così!».

Cosa possono ancora dare i Vanexa al genere heavy metal e alla musica?

«Lo dovrete dire voi quando uscirà il nuovo album. Non abbiamo ancora una data ma parte della stesura dei brani è già pronta. Posso solo anticipare che sarà un album dal suono molto pesante, ne sentirete delle belle».

L'entrata di Pier Gonella nella band in veste di chitarrista cosa ha cambiato nell'assetto del gruppo?

«La novità sarà proprio questa, due chitarristi talentuosi di estrazione musicale differente a confronto. I risultati, ottimi, li stiamo già sentendo».

La Minotauro ha ristampato in cd gli album "Vanexa" e "Back from the ruins" con l'aggiunta di bonus tracks. Avete ancora nel cassetto materiale di studio o registrazioni live che meriterebbero di vedere la luce?

«Forse ti è sfuggita l'uscita della compilation su cd e vinile "Vanexa 1979-1980", nell'album sono contenute demo e tracce anche live incise in quegli anni, quando cantavamo ancora in italiano. Te ne devo regalare una copia…».

Molto volentieri. Qual è lo stato di salute della musica italiana e internazionale?
 

«Dillo tu, io è meglio che stia zitto».

Ci fai il nome di un musicista o gruppo emergente che ti ha impressionato positivamente?

«Ultimamente nessuno ha lasciato il segno».

Quale batterista senti più vicino al tuo modo di intendere la musica?

«Io amo suonare "free", quindi Keith Moon, John Bonham e tutti quei batteristi, esseri umani, che potevano permettersi anche di sbagliare suonando in concerti davanti a migliaia di persone e il pubblico ne era felice».

Mi piacerebbe che rispondessi anche alle dieci domande secche.

- Mandarino o arancio? Arancio
- Kiss o Black Sabbath? Black Sabbath
- Poltrona o divano? Poltrona
- Mac o PC? PC
- Piatti Paiste o Istanbul? Istanbul, l'ho visitata l'anno scorso, meravigliosa. E Paiste naturalmente.
- Farinata o pizza? Carne e pesce.
- Gettone o scheda telefonica? Non saprei.
- Asia o Americhe? Il mondo.
- Vino o birra? Birra.
- Destra o sinistra? Sinistra e non perché sono mancino.





mercoledì 13 febbraio 2013

I Washing Machine lanciano il primo disco








Si intitola "Bigmuff Supersolo Ufo" il primo disco dei The Washing Machine che uscirà nei negozi il prossimo 26 febbraio. Il gruppo savonese è nato nel 2008 per volontà del cantante e chitarrista Daniele Signorello e della bassista Eleonora Fornelli (entrambi Two Red Chairs). Con l'ingresso di Simone Brunzu, già batterista di 3fingersguitar e Jonas First Date, il trio ha sviluppato un preciso sound di matrice indie e rock anni '90, con influenze Sonic Youth, Muse e Verdena, e nel 2010 ha dato alle stampe il primo EP intitolato semplicemente "The Washing Machine". Canzoni che hanno consentito al gruppo di farsi conoscere e collezionare una lunga serie di concerti. Nella primavera del 2012 i The Washing Machine sono entrati nuovamente in sala di registrazione (StudioE Recording Lab di Genova) per lavorare al primo album. Il disco contiene dieci pezzi, più una ghost track, di matrice alternative rock con incursioni nel post rock. 
Abbiamo incontrato Daniele e Simone in un pomeriggio di febbraio per parlare del loro primo disco e delle loro esperienze passate. Il tutto in questa intervista.




Dopo l'EP che avete pubblicato nel 2010 e che contiene brani che richiamano, seppur velatamente,  il suono dei Sonic Youth, arriva in questi giorni nei negozi "Bigmuff Supersolo Ufo", il vostro primo disco. Raccontateci qualcosa di questi due progetti.

Signorello: «L'EP ha rappresentato quello che avremmo voluto essere, le radici e le band che più ci piacciono. Al suono dei Sonic Youth siamo legati anche se, a parte in qualche frangente, non si sente molto l'influenza. Ci è piaciuto il loro progetto, da sempre alternativo anche se è partito da una corrente hard rock. La loro musica è diversa, anche quando è portata verso i confini estremi del noise. Più che un gruppo musicale lo considero un progetto e mi piaceva l'idea, non dico di ricalcare le loro orme, ma di portare quella visione all'interno del nostro gruppo».

Questo è per spiegare le origini del vostro suono. E del disco nuovo cosa mi dite?

Signorello: «Dopo aver pubblicato l'EP ci siamo accorti che non era quello che volevamo fare. Capita che nei primi dischi si sia portati a spiegare quello che si vorrebbe essere. È una visione sbagliata ma inevitabile. Abbiamo capito che eravamo molto più rockeggianti. Qualcuno ci aveva criticato anche per i tempi troppo dilatati delle nostre canzoni e abbiamo quindi tolto il superfluo e suonato brani più ascoltabili, senza però cambiare nulla di quello che c'era già. Le canzoni di "Bigmuff" suonano più internazionali, ci sono un sacco di influenze rock».

Ascoltando il disco si ha l'idea che abbiate dato priorità alla musica a discapito del cantato che è posizionato in secondo piano. È così?

Signorello: «Con una voce molto presente si rischia di non ascoltare quello che c'è dietro. Io volevo invece che le canzoni fossero più orchestrate senza però penalizzare i testi, anche perché, devo ammetterlo, è la prima volta che ci ho lavorato così tanto. È sempre difficile mettere in musica i testi, questione di metrica, di lingua italiana. Vedi, anche nel disco "Wow" dei Verdena le parole sono in secondo piano, a volte non si capisce addirittura quello che viene detto e lì forse è esagerato».

"Bigmuff Supersolo Ufo" per certi versi sembra un disco live, suonato senza troppi artifici di studio. Siete d'accordo?

Brunzu: «È quello che volevamo fare. Non ci sono loop di batteria o cose simili. Abbiamo suonato tutto, dall'inizio alla fine. È un approccio molto più live. Oggi ci sono invece band che producono cd in cui non suonano nemmeno una nota ma si avvalgono di basi. In certi generi c'è la moda di uniformare i suoni. Se ascolti, per esempio, i dischi di punk rock americano noterai che il suono è sempre lo stesso, ma questo è un altro paio di maniche».
Signorello: «Un lavoro eccellente è stato fatto dal nostro fonico Emanuele Cioncoloni che non ha equalizzato troppo e non ha aggiunto troppe cose strane. La batteria, per esempio, ha un suono naturale, sembra di averla davanti. Certo, a volte il suono non è pulito, ci sono pezzi in cui magari ci fermiamo in tre o si sente in feedback di chitarra. Ma chi se ne frega, il nostro è un approccio più genuino, se vogliamo antico».

Nelle vostre canzoni avete quasi completamente abbandonato l'uso della lingua inglese. Una scelta coraggiosa, non credete?

Signorello: «Cantare in inglese è sicuramente più facile ma noi siamo italiani e cantiamo in italiano. Non mi ritengo una persona che abbia molto da dire e non scrivo testi impegnati ma l'uso della lingua italiana aiuta a farti capire».
Brunzu: «Se vuoi uscire, avere seguito e conquistare visibilità devi cantare in italiano. Guarda gli Afterhours o i Verdena, anche loro cantano in italiano».

Come nascono le vostre canzoni?

Signorello: «Solitamente nascono da jam sessions, oppure capita che io abbia dei riff, dei pezzi di canzone che propongo ad Eleonora e Simone. E poi ci lavoriamo insieme perché è giusto avere tre punti di vista, in questo modo nascono sempre cose buone perché ognuno ci mette qualcosa della sua storia musicale e della sua esperienza. A quel punto, quando abbiamo minimo due linee di canzone, proviamo a tirare giù una traccia vocale. E qui arriva il bello, perché quando provi a cantarle in italiano nel maggior parte delle volte non va bene e bisogna modificare proprio la musica. È tutto un intreccio».

Il primo singolo "Campionessa" ha un robusto piglio pop, quasi ballabile. Come è nato questo brano?

Signorello: «A me piacciono molto i dischi di Syd Barrett perché nella loro lucida follia hanno sempre qualcosa da dire. Ci sono molte volte ritmi un po' circensi che ti fanno muovere la testa a tempo. Una sera mi sono messo lì a scimmiottare Syd con la chitarra acustica ed è venuta fuori questa canzone. L'ho trovata divertente, c'è questo botta e risposta tra basso e chitarra e questo ritornello molto orecchiabile. È l'unico pezzo di questo genere nel disco, gli altri sono tutti diversi. Infatti noi ci chiamiamo The Washing Machine, la lavatrice, perché ci piace incasinare tutto».

Perché avete riproposto "Il Diluvio", canzone già presente nel precedente EP?

Brunzu: «Nell'EP era una bozza e l'abbiamo voluta riproporre alla luce dell'esperienza fatta. La canzone è stata risuonata e riarrangiata in modo che suonasse bene. Diciamo che è la versione definitiva». 

Una delle canzoni più orecchiabili del disco è "La filastrocca di Annaviola"...

Signorello: «In ogni disco che facciamo vogliamo inserire una canzone un po' violenta, a livello di testo o di suoni. Nell'EP c'era "Canzone di merda" e gli argomenti sono più o meno gli stessi. Sono sfoghi, sono canzoni che vengono dalla parte più teenager che non capisce ancora perché il mondo gira così. Protagonista è una persona che usa i social network, i blog e legge le notizie su internet. Il tempo è accattivante e il pezzo è facilissimo e rimane in testa. Quando l'ha sentita mia madre ha detto che le ricordava "Cuore Matto" di Little Tony».

Perché "Prospettive esistenziali per la gioventù cadetta" è stata proposta in due parti?

Signorello: «Inizialmente era una canzone unica. È una sorta di mini opera che parla sempre della stessa cosa ma ha una evoluzione. È la colonna sonora di un qualcosa che sta accadendo: parte dal disagio iniziale e arriva alla risposta, che esplode in questo urlo e finisce in una canzone simil punk-rock».

I vostri testi sono autobiografici?

Signorello: «Raccontano esperienze personali ma vanno oltre e mi spiego. "Prospettive esistenziali per la gioventù cadetta" l'ho scritta quando ho girato la boa dei 25 anni. Ho iniziato a pensare a cosa si poteva fare con la crisi attuale e la mancanza di lavoro e ho scritto il pezzo estrapolando il succo del pensiero, senza parlare di me stesso».

Devo dire che mi piace molto "Blackout Radio", canzone che chiude il disco e che cela una sopresa. Cosa mi dici della ghost track finale?

Signorello: «"Blackout Radio" è nata in un giorno e ci è piaciuta subito. Il brano che arriva dopo è invece uno scherzo, una ghost track che non ha titolo. È un pezzo nato per caso in saletta su un riffone tipo Race Against The Machine e con l'utilizzo di una drumming base. La voce l'ho registrata a parte e l'ho mandata al fonico che ha montato il tutto. Non è perfetta ma era quello che volevamo fare. Parla della lavatrice e della vita di tutti i giorni: mi piaceva questo gioco di macchiarsi e smacchiarsi, centrifugarsi, lavare i propri peccati».

Che significato ha il titolo del disco?

Signorello: «Se avessimo fatto un disco con un titolo in italiano avrebbe preso una piega diversa. Titoli in italiano ne abbiamo scartati molti. Anche "Prospettive esistenziali per la gioventù cadetta" poteva essere un buon titolo anche se molto baustelliano. Il problema è che le decisioni vengono prese in tre e bisogna che si sia tutti d'accordo. "Bigmuff Supersolo Ufo" è un insieme di parole che tornano nei dischi che ci piacciono e anche quello è un piccolo tributo. Poi suonava bene anche in inglese e inoltre "Big Muff" è un pedale che io ed Eleonora utilizziamo per il basso. L'unica pecca è che sembra il titolo di un disco di una band inglese o americana, ma non importa, tanto alla fine la voce si sparge».

Nella copertina compare anche il famoso cubo di Rubik. Che significato ha per voi?

Brunzu: «L'idea di metterlo sulla copertina è nata guardando una foto che ho fatto più di un anno fa e che utilizzavo per i profili dei social network. Il cubo ha molte facce come tante sono le nostre influenze, i generi che ascoltiamo». 
Signorello: «Inizialmente la copertina doveva essere una cosa molto più astratta però non è quello che siamo. Mi sarebbe piaciuto fare una copertina tipo "Atom Heart Mother" dei Pink Floyd ma non ci avrebbe rappresentato. Il cubo invece è colorato, di forma perfetta, complicato e non necessariamente deve essere risolto e ci piaceva».

A quali gruppi vi ispirate? 

Signorello: «Nel disco ci sento un po' Sonic Youth, Foo Fighters, Verdena, Muse, Soundgarden. C'è anche un po' di indie rock inglese, su alcuni stacchi con chitarra pulita, basso e atmosfera. Anche un po' di post rock in alcuni pezzi di stampo Explosion in the Sky».

In occasione di quale evento si sono incrociate le vostre strade?

Brunzu: «Io facevo parte di una band punk-rock mentre Daniele ed Eleonora suonavano già insieme con un altro batterista. Quando quest'ultimo se ne è andato, nel 2009, sono entrato a far parte del progetto anche perché mi piaceva il genere che suonavano perché si avvicinava a quello che ascoltavo».
Signorello: «Quando abbiamo cambiato batterista ero molto fissato perché, avendo suonato lo strumento, era molto esigente. Cercavo un batterista con un certo tiro e quando il gruppo di Simone si è sciolto l'ho subito contattato. Gli ho dato dei demo registrati in casa con la batteria elettronica e dopo poco abbiamo iniziato a suonare insieme. Il demo l'abbiamo fatto dopo un anno, nel 2010. È stata una cosa molto naturale».



Titolo: Bigmuff Supersolo Ufo
Band: The Washing Machine
Etichetta: Dreamingorilla Records
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche The Washing Machine)

01. Per il mio nome
02. Campionessa
03. Big youth
04. Il diluvio
05. Piggy alive misheard tunes
06. La filastrocca di Annaviola
07. Contronatura (ci spara addosso)
08. Prospettive esistenziali per la gioventù cadetta pt I
09. Prospettive esistenziali per la gioventù cadetta pt II
10. Blackout radio



sabato 9 febbraio 2013

Antonio Clemente, l'unico "PittAutore"








Per quattro anni lo si è potuto ascoltare e incontrare nei locali e sui palchi di mezza Liguria, poi, nel novembre del 2012, il ritorno a casa, a Castelvetrano. Per Antonio Clemente, trentunenne cantautore siciliano con la passione per la pittura e la poesia, gli anni del soggiorno in Liguria non sono passati invano. In quel periodo ha frequentato gli ambienti musicali, in particolare di Genova e del ponente savonese, facendo esperienza e stringendo amicizie, ha conseguito a pieni voti la laurea specialistica all'Accademia di Belle Arti di Genova e ha registrato canzoni. Brani che sono finiti prima nell'Ep autoprodotto dal titolo "Infinito" (2011, Videoradio), e poi nel più recente disco d'esordio, intitolato "Davvero" (2012), che comprende quindici canzoni che si collocano nell'ambito della variegata e fiorente produzione cantautorale italiana.
Nel disco d'esordio hanno suonato, oltre alla band composta da Manuel Perasso, Giovanni Sanguineti, Stefano Lucchesi, Alice Nappi e Mario Vasa, ospiti quali il violinista savonese Fabio Biale, il chitarrista Matteo Nahum già collaboratore di Max Manfredi, Paolo Magnani alla chitarra elettrica e all'armonica, Fabrizio Zingaro al piano, il chitarrista Andrea Massone, Mirko Onofrio al clarinetto e al flauto traverso, Andrea Carozzo alla fisarmonica.
Abbiamo fatto una interessante chiacchierata con Antonio per scoprire quali sono i suoi progetti e cosa ha portato a casa dal suo soggiorno in Liguria.



Antonio, cosa ti hanno lasciato i quattro anni vissuti in Liguria?

"La gioia di aver vissuto esperienze e situazioni nuove, aver conosciuto luoghi e persone meravigliose. La soddisfazione personale di aver conseguito la laurea specialistica all'Accademia di Belle Arti di Genova, e soprattutto aver prodotto due dischi e aver suonato le mie canzoni in parecchie occasioni. Tutto il resto, compreso il motivo per cui sono andato via, preferisco scrollarmelo di dosso".

Nel 2012, dopo l'EP "Infinito", hai pubblicato il tuo primo album dal titolo "Davvero". Cosa ti ha spinto a farlo?

""Davvero" è un disco nato un po' in divenire, nell'arco di quasi sette mesi e che completa l'EP precedente. In primo luogo perché contiene in buona parte canzoni che avevo già suonato dal vivo in varie circostanze nel corso dei miei quattro anni trascorsi in Liguria e ci tenevo quindi a dar loro una forma più precisa, attraverso appunto la registrazione su cd. In secondo luogo perché, semplicemente, avevo voglia di far ascoltare queste canzoni, che dicono molto di me, di com'ero e di come sono diventato. Lo considero un disco "autunnale", in cui l'autunno è inteso metaforicamente come passaggio improvviso tra la spensieratezza dell'estate/adolescenza e le preoccupazioni e l'angoscia proprie dell'inverno/maturità, con tutti gli scompensi che questo passaggio implica".

Perché hai scelto questo titolo?

""Davvero" è il titolo della canzone di apertura del disco, ma è anche un avverbio a sostegno della sincerità e genuinità del contenuto dell'intero disco. Un po' come quando uno fa un'affermazione e successivamente la ribadisce aggiungendo appunto "davvero...". Mi sembrava adatto al messaggio che esso contiene". 

E qual è il messaggio?

"Nessuna verità assoluta, solo delle considerazioni individuali, che però sento profondamente mie e in quanto tali necessariamente sincere. Come dei ragionamenti fatti col cuore più che col cervello".

Il cd autoprodotto è attualmente disponibile unicamente in formato digitale sulla piattaforma bandcamp. Hai intenzione di pubblicarlo anche in formato fisico?

"Al momento non saprei, in quanto è veramente difficile trovare un'etichetta disposta a pubblicare o anche solo ascoltare e valutare il disco di un autore nuovo o sconosciuto. Sicuramente quanto prima farò stampare qualche copia fisica e la distribuirò autonomamente".

Non pensi che questa enorme produzione discografica alla fine possa inflazionare il mercato ed essere addirittura un ostacolo a farsi conoscere?
 

"Penso che da un lato sia positivo il fatto che stia tornando in auge la figura del cantautore o di chi comunque suona e canta ciò che scrive, in riferimento alla cosiddetta “scena indie” contemporanea, perché questo implica il fatto che nell'aria ci sia di nuovo voglia di fare e ascoltare qualcosa di vero, genuino ed originale dopo anni di piattume musicale e decervellamento inflitto dai vari talent show televisivi. Dall'altro credo e temo che, effettivamente, questa folla di artisti e band emergenti stia causando una saturazione tale da non permettere al pubblico di distinguere chi sia veramente artista e abbia quindi qualcosa da dire, da chi, al contrario, si atteggia da artista sulla scia di una moda momentanea".

Dopo quattro anni, sei tornato a vivere in Sicilia. Che differenze ci sono tra l'universo musicale ligure, che tu hai frequentato, e quello siciliano?

"In Sicilia, cosi come in Liguria, ci sono delle realtà musicali molto variegate e interessanti. Musicisti e band, come ad esempio Marta Sui Tubi, Colapesce e Di Martino, stanno uscendo dal sottosuolo per affermarsi anche di fronte al grande pubblico. Ciò nonostante spesso manca la curiosità da parte della maggior parte delle persone di andare a scoprire queste realtà a causa, secondo me, del vuoto culturale imposto dal mercato e dai media. Succede quindi che nei locali che offrono musica live prevalgano le cover band - io stesso fino a cinque anni facevo parte di una cover band di rock italiano - spesso formate da musicisti che invece avrebbero dei progetti propri e anche molto interessanti da far ascoltare. Questo però è un problema comune sia alla Sicilia che della Liguria. Resto però fiducioso e penso che un cambiamento in tal senso stia avvenendo".

Oltre a essere un cantautore sei anche poeta e pittore. Lavorare su troppi fronti non pensi che possa in qualche modo farti perdere di vista l'obiettivo principale?

"Il mio obiettivo principale è quello di esprimere me stesso in ogni forma e con ogni strumento di cui sono capace, senza ovviamente sfociare nella presunzione o nella pretesa di poter piacere. Le attività di cantautore, pittore e poeta, al momento, coesistono in me spontaneamente e senza crearmi particolari problemi. Anche perché, purtroppo, nessuna delle tre attività ha assunto ancora per me il valore di un vero e proprio lavoro".

Quando e perché ti sei avvicinato alla musica?

"Ascolto musica da quando ero adolescente e ho sempre prediletto, a prescindere dal genere, canzoni melodiche e dai testi onesti e mai banali. La scoperta dei cantautori intorno ai vent’anni, unito al fatto che scrivevo e leggevo poesie, strimpellavo la chitarra e sentivo una forte esigenza di dire delle cose in modo più efficace e immediato possibile, mi ha spinto a scrivere le prime canzoni. E credo che la canzone, e in generale la musica, sia uno degli strumenti più efficaci e disarmanti che ci siano al mondo".

A quali musicisti ti ispiri?

"Non ho pregiudizi né idoli. Mi ispiro sicuramente ai cantautori italiani, in special modo Battisti e De Gregori, ma amo molto anche il miglior pop e rock internazionale: i Beatles e il brit pop inglese, il grunge meno spinto, il folk e Bob Dylan".

Perché ti definisci "PittAutore"?

""PittAutore" è un gioco di parole ironico con cui mi sono auto-definito e che include e mescola le parole pittore e cantautore che sono le mie due attività principali. Pindaricamente mi piace immaginare che quando canto le canzoni queste si dipingano nella mente di chi le ascolta".

Promuoverai il tuo disco anche in Liguria?

"Non appena lo avrò stampato sicuramente spedirò qualche copia fisica presso qualche negozio di dischi di fiducia ligure. Inoltre spero di tornare presto per fare una presentazione dal vivo del disco insieme alla mia ex band genovese".


Come saprai le interviste su questo blog si concludono con le dieci domande secche.

- Amaro o vino passito? Passito: è già la vita ad essere amara.
- Vicoli o piazze? I vicoli che poi sbucano sulla piazza.
- Acciughe marinate o fritte? Fritte, oltre ad essere più grasse e unte hanno sicuramente un gusto più corposo.
- Azzurro o rosso? Viola, l'insieme dei due colori.
- Sdraio o sedia a dondolo? Sdraio. Soffro di mal d'auto.
- Giove o Marte? Giove perché è più lontano, grande e affascinante.
- Pennello o spatola? Pennello. Se sai usarlo puoi ottenere sfumature velate o pennellate più materiche.
- Tenco o De André? Onore al grande Faber, ma Tenco, per certi versi lo trovo più genuino.
- Gelato al pistacchio o alla fragola? Al pistacchio. Non amo il gelato alla fragola né la granita.
- Mocassini o scarpe da ginnastica? Scarpe da ginnastica per correre. Mocassini per stare fermo.


Titolo: Davvero
Artista: Antonio Clemente
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2012
Link: https://soundcloud.com/antonio-clemente




lunedì 4 febbraio 2013

Emanuele Dabbono, tra musica e parole








Il cantautore genovese Emanuele Dabbono è stato uno dei protagonisti della prima edizione di X Factor, talent show televisivo andato in onda per la prima volta su Rai2 nel 2008. Il terzo posto finale, dietro a Giusy Ferreri e ai vincitori Aram Quartet, ha fatto conoscere Dabbono al grande pubblico ma nonostante il successo ha mantenuto una non comune coerenza artistica che non gli ha fatto imboccare facili scorciatoie. Emanuele, messa da parte l'esperienza televisiva, ha percorso la strada meno agevole rifiutando una proposta discografica della Sony per la registrazione di un album di cover. Ha pubblicato invece un EP con canzoni sue per l'etichetta Edel ed è tornato in strada per percorrere migliaia di chilometri e suonare nelle piazze e nei locali di tutta Italia. A fine 2011 sulla piattaforma iTunes e poi ad aprile del 2012 in formato fisico, Dabbono, insieme al gruppo dei Terrarossa (Alessandro Guasconi al basso, Giuseppe Galgani alle chitarre e Senio Firmati alla batteria e alle percussioni), ha pubblicato il primo disco dal titolo "Trecentoventi". Un album pieno di energia, di cavalcate elettriche fuse a testi che strizzano l'occhio alla tradizione cantautorale. È passato un anno dall'uscita di "Trecentoventi" e tanti sono i progetti che il trentaseienne musicista ligure ci spiega in questa intervista, in attesa del concerto in programma sabato 9 febbraio a Pozzo Garitta ad Albissola Marina.



Chi ti conosce solo per nome ti ricorda protagonista dell'edizione 2008 di "X Factor". In questi cinque anni cosa hai fatto? 

«Mi sono dedicato anima e corpo a preservare l'autenticità di quello che ho sempre fatto, cioè scrivere, e questo anche prima del botto nazionale e delle classifiche, quando non ci vivevo e facevo altri lavori per arrivare a fine mese. Mio padre lavorava in una tipografia e tornava a casa con libri perfettamente rilegati, ma dalle pagine bianche. Riempirli è stato uno dei miei primi giochi da bambino. Non ho ancora smesso di divertirmi, né di perderci il sonno, anche ora che mi guadagno da vivere con le parole, siano pure esse lette o cantate».

Cosa ti ha lasciato il mondo patinato della televisione?

«La voglia di farne poca. Quando mi iscrissi al talent, io e tutta l'Italia eravamo ignari di cosa si trattasse. Si sapeva solo che c'era in palio un contratto con la Sony. Io all'epoca avevo già 700 canzoni nei cassetti. Senza troppo snobismo radical chic che circola in giro, mi dissi che poteva essere un'occasione come un'altra per far ascoltare la mia musica. E così è stato. Anche se non ti nascondo che ci rimasi male quando scoprii che solo se arrivavi in finale potevi eseguire un tuo brano. Invece arrivai in fondo e andò oltre ogni mia più rosea aspettativa: dall'essere scelto tra 50 mila persone all'amicizia con Morgan, dai duetti con Giorgia all'interesse su scala nazionale per la mia proposta, nel giro di quattro mesi».

Se avessi la possibilità di tornare indietro rifaresti tutte le scelte?

«Non ho rimpianti perché non sono sceso a compromessi. Un esempio su tutti: all'indomani del terzo posto a questa trasmissione mi fu offerto un contratto Sony per un EP di cover. Rifiutai perché volevo cantare le mie canzoni. E questo senza nemmeno sapere se qualche altra etichetta fosse stata interessata a pubblicarmi. Passò un mese e si fece avanti la Edel con la quale ci guadagnammo il secondo posto su iTunes con sei miei brani inediti dell'EP "Ci troveranno qui", disco con il quale ho girato l'Italia per due anni di concerti che sono la vera espressione di ogni musicista. Ad oggi rimango l'unico ad averlo fatto».

È passato quasi un anno dall'uscita di "Trecentoventi" il tuo primo cd. È tempo di bilanci…

«"Trecentoventi" è il primo vero long playin'. Ha avuto una storia bellissima. L'abbiamo autoprodotto e pubblicato nel novembre del 2011. Insperatamente conquistò subito il quarto posto in classifica e fui contattato dalla Halidon che mi propose un contratto per due album, il primo dei quali fu la ristampa fisica di "Trecentoventi" nell'aprile del 2012. Avere qualcuno che investe in quello che fai oggi, soprattutto in ambito culturale così fortemente in perdita, è come trovare una pepita d'oro nella buca delle lettere».

Grazie al grande lavoro della L.M. European Music di Luca Masperone hai sfondato anche sul
mercato della musica liquida con due dischi in inglese utilizzando lo pseudonimo di Clark Kent Phone Booth? Ci parli di questo progetto e della scelta di cantare in inglese?


«È stata una sorta di liberazione, un viaggio interiore per far venire alla luce il caleidoscopio di influenze che posseggo e spostare la linea del mio limite un po' più lontano, oltre a far conoscere lati nascosti del mio modo di rispettare il raro fiore chiamato musica. Così in due settimane, nel mio studio casalingo ho scritto, suonato e prodotto tutto, racchiudendo l'amore per la letteratura americana, le chitarre slide, il cinema d'autore, la poesia del Novecento, la filosofia del viaggio, in due dischi, uno elettrico e uno acustico».

Si parla di un tuo nuovo disco registrato insieme ai Terrarossa in uscita tra poche settimane. Cosa ci puoi anticipare?

«Uscirà nel 2013 ma non ho ancora una data da offrirti. Dovrebbe chiamarsi "La velocità del buio". Ci stiamo lavorando e segna un passo avanti nel sound del quale sono molto soddisfatto. Diciamo che il passo è verso ovest. È registrato a Siena, ma la Toscana non è mai stata così vicina a Nashville».

Non pago dei successi musicali ti sei dato anche alla scrittura. "Genova di spalle" è il titolo del tuo primo romanzo, hai intenzione di continuare a coltivare questa passione?

«Sì, ed è notizia freschissima che mi pubblicheranno un volume di poesie, con una impaginazione creativa e un corredo del tutto speciale. Lo distribuirà Feltrinelli entro la fine del 2013, ti terrò aggiornato».

Come si concilia la vita di musicista con quella di scrittore?

«Sono un cantautore e le due cose sono inscindibili. Piuttosto, una volta che chi ti sta a fianco comprende che c'è assoluta corrispondenza tra l'uomo con cui vive e l'artista che sale sul palco, ti vengono perdonate stranezze tipo abbandonare il letto di notte per cercare un angolo di casa dove una piccola luce non dia fastidio e ti permetta di scrivere».

Quali sono i tuoi prossimi progetti artistici e di vita?

«Beh, direi che con un libro e un disco in uscita potevo considerarmi soddisfatto. Invece stiamo anche lavorando con agenzie estere per portare live il progetto Clark Kent Phone Booth in Nord America e Regno Unito. Ci sono buoni ritorni! Per quanto riguarda la mia persona, credo che la cosa più sbalorditiva e arricchente che mi sia mai capitata sia il prodigio di assistere ieri, oggi, domani alla crescita di mia figlia Claudia. Una improvvisatrice continua, non fa che stupirmi e mischiare i miei schemi. È una "blues girl"».

Il tour di "Trecentoventi" è ormai agli sgoccioli e nei giorni scorsi sei salito sul palco con il tuo amico Loris Lombardo e con il maestro Carlo Aonzo. Come è nata questa collaborazione?

«Ho molto materiale da parte che necessita di una sterzata acustica particolare. Il motto è salire sul palco senza provare. I due straordinari professionisti che hai citato, uniti al talento purissimo di Marco Cravero, hanno accettato la mia timida proposta con slancio e il risultato mi sta dando molta gioia. Mi considero un privilegiato».

A cinque anni di distanza da "X Factor" come è cambiato il tuo pubblico?

«Cambia in continuazione. Non faccio che spiazzarli, odio le etichette. Un giorno mi vedono a "Quelli che il calcio", l'altro al Premio Bindi, l'altro ancora al Salone del Libro di Torino. Per me contano le idee, non gli stereotipi. Chi viene a vedermi dal vivo sa di cosa sto parlando».

Il 9 febbraio suonerai a Pozzo Garitta di Albissola, locale storico dove sono passati molti dei più grandi cantautori italiani. Ti senti di far parte di questa categoria?

«Sento di farne parte. Amo più di tutti la raffinata traiettoria di Fossati, il mediterraneo grave di De André, l'ermetismo di De Gregori, ma confesso di pagare pegno più di tutti nei confronti di Springsteen, Dylan, Jackson Browne, Crosby, Stills, Nash & Young. Tutti artisti che stimo e rispetto».

Per concludere le dieci domande secche

- Musica degli anni '80 o 2000? C'è dell'ottima musica in entrambe le decadi. Essendo i '70 fuori concorso, ti direi il 2000 del new acoustic, in cui riconosco corde in assonanza, di Damien Rice, Ryan Adams, Jeff Tweedy, Foy Vance, Mumford & Sons per non parlare del fenomenale rock sinfonico dei Sigur Ros.
- Asparagi o radicchio? Risotto con gli asparagi.
- Sapone liquido o solido? Per comodità liquido.
- Città o campagna? Città come San Francisco e campagna in Provenza e Camargue.
- Hawaii o Bahamas? Sono stato a Maui, mai alle Bahamas. Mi piacerebbe tornare alle Hawaii per vedere l'alba dal vulcano Haleakala.
- Coccodrillo o lepre? Sugo di lepre.
- Saggi o romanzi? Romanzi, raccolte di poesie.
- Grappa o rum? Rum se invecchiato.
- Vacanze in solitaria o con gruppo di amici? Con chiunque sappia condividere ogni tanto un breve, ma pulito silenzio di fronte alla natura.
- Stivali o scarpe da ginnastica? Stivali sul palco, All Star in viaggio.