tag:blogger.com,1999:blog-10522272084379610532024-03-17T13:39:40.319+01:00Musica e DisincantiMartin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.comBlogger163125tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-46337814874070165052018-01-08T12:01:00.001+01:002018-01-08T12:01:29.528+01:00Les Trois Tetons sono tornate con "Red scares me"<br />
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-qiwtczTZQDY/WkQdFn3yvuI/AAAAAAAAcmw/1ZAtPac61DgkQxAg3tL6jM7iXsSISRm4ACLcBGAs/s1600/TroisTetons-RedScaresMe-cover-small%255B1%255D.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="484" data-original-width="484" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-qiwtczTZQDY/WkQdFn3yvuI/AAAAAAAAcmw/1ZAtPac61DgkQxAg3tL6jM7iXsSISRm4ACLcBGAs/s320/TroisTetons-RedScaresMe-cover-small%255B1%255D.jpg" width="320" /></a></div>
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Venticinque anni di carriera, un disco uscito da pochi giorni. <b>Les Trois Tetons</b> sono tornate sulla breccia dell'onda con "Red scares me", il loro quinto cd. Il quartetto savonese guidato dal frontman <b>Roberto "Zac" Giacchello</b> ha decisamente cambiato direzione dopo il convincente "Songs about Lou". Lasciata da parte la tentazione di proseguire con un secondo concept album, il gruppo ha registrato dieci nuove tracce, scritte anche questa volta a sei mani. Quattro brani sono nati dalla penna di <b>Giorgio "Barbon" Somà</b>, altrettanti da quella di <b>Alberto Bella</b> e due canzoni portano la firma di Zac. <b>Davide Incorvaia</b>, oltre all'indispensabile apporto dietro ai rullanti, ha contribuito realizzando la grafica del disco. Un album che musicalmente si discosta dal precedente anche per i colori e per la grande eterogeneità. In "Red scares me" il gruppo spazia dal folk al funky, dal rock al blues ma gli insegnamenti degli Stones e dei Led Zeppelin sono sempre lì, in bella vista. Le radici e gli ascolti giovanili non si possono cancellare e orgogliosamente Les Trois Tetons lo rimarcano. Il nuovo album è una bella raccolta di novità. Un tocco decisivo alle sonorità del disco lo ha dato il musicista e produttore americano <b>Mark Harris</b>, già collaboratore di Fabrizio De André ed Edoardo Bennato, tanto per citarne due, che si è preso a cuore il progetto e ha suonato in sei brani. Si passa con grande disinvoltura dagli echi dylaneggianti di "Anna Viola" in cui il violino di <b>Fabio Biale</b> tratteggia efficacemente una bella cornice, a "Ten Years" che gode di una apertura "spaziale" e in cui le sovrapposizioni di chitarre e voci sono parte fondamentale, a "Lord, let your creatures" che strizza l'occhio a Nick Cave. E poi ci sono echi etnici del saz turco e del bouzouki suonati da <b>Lorenzo Piccone</b>, e per la prima volta in un disco de Les Trois Tetons, ai cori in due brani, troviamo una voce femminile, quella di <b>Serena Sartori</b>. Il tutto è stato registrato tra marzo e ottobre 2017 dal fonico <b>Alessandro Mazzitelli</b> al MazziFactory a Toirano. <br />
Con Roberto "Zac" Giacchello è diventata ormai una consuetudine parlare dei nuovi progetti de Les Trois Tetons e questa volta il tema della conversazione è "Red scares me", disco che ci farà compagnia per lungo tempo. </div>
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<i>Sono passati tre anni dal vostro precedente disco. Cosa avete combinato in tutto questo tempo?</i><br />
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«Abbiamo portato in giro la nostra musica, abbiamo pensato alle nuove canzoni. Io mi sono avvicinato a nuovi strumenti, ho suonato un po' di più il pianoforte. Ho cambiato un po' il mio modo di scrivere».<br />
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<i>Il tempo giusto per mettere insieme le canzoni del vostro quinto disco in carriera…</i><br />
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«I brani di "Red scares me" sono nati a distanza di tempo. C'è un pezzo che è stato scritto per l'album precedente ma che non era stato sviluppato. I brani sono sempre lì, sospesi. Poi essendo in tre a scrivere non sempre abbiamo gli stessi ritmi. Io, per esempio, avevo questi due pezzi che avevo scritto da un po' di tempo e mi è venuta voglia di registrarli senza che ci fosse un album in piedi. Una volta entrati in sala di registrazione sono venute fuori le canzoni di Barbon e Alberto ed è nato l'album».<br />
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<i>Questa volta avete un ospite speciale: Mark Harris, tastierista, compositore e arrangiatore statunitense che ha collaborato con Fabrizio De André, Edoardo Bennato, Giorgio Gaber, Mia Martini, Enzo Jannacci, Renato Zero, Pino Daniele e tanti altri. Adesso anche con Les Trois Tetons…</i><br />
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«Un amico comune ha fatto sentire a Mark i nostri dischi, gli sono piaciuti e si è interessato a noi. Quando mi è stato raccontato questo episodio sono impallidito e mi sono detto, figurati se Harris avrà mai voglia di suonare con noi. Invece, una sera in cui eravamo di scena a Milano ci è venuto a sentire e lo abbiamo coinvolto. Ci siamo divertiti un sacco, è una persona molto estroversa, al servizio della musica. Da quella sera, tutte le volte che c'è stata occasione abbiamo suonato insieme. Quando è stato il momento di incidere il nuovo disco è venuto spontaneo cercare di coinvolgerlo ed è stato entusiasta dal primo momento».<br />
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<i>Come sono proseguite le sessions in studio?</i><br />
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«Prima abbiamo mandato le canzoni a Mark. Ci ha lavorato, ha aggiunto le sue idee che ovviamente erano tutte fantastiche. Poi siamo andati a registrare da Alessandro Mazzitelli che ha tutta una serie di tastiere vintage nel suo studio. Harris si è calato a meraviglia nell'ambiente e per ogni pezzo ha cercato il suono adatto. È stato tutto molto divertente».<br />
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<i>Qual è stato l'apporto di Mark Harris alle canzoni dell’album?</i><br />
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«Ogni brano ha una sua storia. C'è un pezzo come "All the way to Peking" in cui c'è molto spazio per il pianoforte e il contributo di Mark ha fatto cambiare marcia alla canzone. Altro brano a cui ha dato molto senso è "Wind of may" in cui c'è una parte pianistica molto bella. Poi su altri pezzi, magari già più completi, è rimasto più in disparte e ha creato qualche abbellimento più di sottofondo. Harris ha fatto come il sarto che veste una bella donna e la rende ancora più affascinante ma il discorso vale anche all'inverso. Harris farebbe diventare bella anche una ragazza così così, come potrebbero essere appunto le nostre canzoni».<br />
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<i>Rispetto ai vostri dischi precedenti mi sembra che ci sia più varietà di generi. Mi sbaglio?</i><br />
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«Non ti sbagli, per la prima volta un nostro disco abbraccia più generi musicali. È un album molto vario, c'è del country, del folk ma anche del funky e un po' di blues che non può mancare. La presenza di Lorenzo Piccone, impegnato al saz turco e al bouzouki, ha dato anche un po' di sapore etnico al disco. Ma i Led Zeppelin e gli Stones sono sempre lì, quelle sono le nostre influenze».<br />
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<i>Come già nel disco precedente avete mantenuto in copertina la divisione lato A e lato B. Perché questa scelta?</i><br />
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«In realtà volevamo fare il vinile, siamo in trattativa e magari questa volta ci riusciamo. A parte questo, siamo tutti abituati, fin da piccoli, ad ascoltare i dischi in vinile con un lato A e un lato B. Pensare alle due facciate aiuta inoltre a trovare un equilibrio nel disco. Si chiude il primo lato con un brano tranquillo e poi si riparte grintosi sul secondo».<br />
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<i>Il precedente disco era una sorta di concept album. Questa volta non avete riproposto l'esperimento…</i><br />
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«Questa volta si tratta della classica raccolta di canzoni, non c'è un filo conduttore. Avevamo questi brani pronti e li abbiamo registrati. È un disco che è nato nella maniera più libera possibile».<br />
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<i>Avete optato per testi molto essenziali…</i><br />
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«Personalmente volevo dare più spazio alla musica. Si sono allungati i pezzi ma i testi sono più asciutti e si limitano a trasmettere impressioni, fotografie, stati d'animo. "Wind of may", per esempio, è una canzone molto strutturata con vari cambi di ritmo, non è il classico brano strofa-ritornello, e racconta appunto di uno stato d'animo. "Lord, let your creatures" è nata da un sogno, sono immagini oniriche che ho messo insieme. Poi c'è un pezzo più tradizionale come "Anna Viola" che Barbon ha dedicato alla nipotina, dopo aver passato un pomeriggio a giocare con lei. È la fotografia di un momento».<br />
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<i>Veniamo alla particolarità del testo di "All the way to Peking" che è in parte in cinese…</i><br />
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«È uno dei primi pezzi che ho scritto ed è anche la mia prima canzone su commissione. A suggerirmela è stata Luca Oddera, l'ex gestore del Beer Room a Pontinvrea che da un po' di tempo si è trasferito in Africa. Si scherzava e a un certo punto abbiamo fantasticato su un viaggio a Pechino a bordo di un vecchio maggiolone. Naturalmente avrebbero dovuto partecipare anche Freddy Krueger, uno dei personaggi più riusciti delle mitiche feste di Halloween del Beer Room, e il Capitano Kirk che in realtà è un cane. Mi sono messo lì e ho scritto questa canzone il cui testo, lo ammetto, è abbastanza demenziale. A tradurre e a leggere questo breve testo in cinese è stata Lisa Rizzo».<br />
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<i>Per la prima volta, correggimi se sbaglio, a cantare c'è anche una voce femminile...</i><br />
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«Quando abbiamo inciso "Wind of may" l'idea era di puntare su un testo scarno da ripetere più volte. Poi ho pensato, visto che sono pochi versi ripetuti sarebbe bello alternarli con una voce femminile. Come capita spesso l'occasione propizia non bisogna andarla a cercare ma arriva da sola. E così una sera, come gruppo di supporto avevamo i <span class="st">Keyser Söze</span> di Rossiglione, band molto valida la cui cantante è appunto Serena Sartori. Mi è piaciuto il suo timbro di voce e le ho chiesto se le faceva piacere registrare un pezzo con noi. Ha accettato e si è preparata la canzone, è venuta in studio, l'ha incisa e poi Barbon le ha proposto di cantare anche in "Shelter in love" e così ne ha fatte due. Così come è successo con Fabio Biale che avrebbe dovuto suonare in due brani e alla fine ne ha fatti sei. È il bello di quando si è nelle condizioni giuste e tutto viene spontaneo».<br />
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<i>Quanto avete lavorato in post produzione alle canzoni del vostro nuovo disco?</i><br />
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«Tendiamo sempre a partire con la registrazione della nostra formazione in presa diretta. Basso, batteria e due chitarre tutte insieme, tutti nella stessa stanza in modo che il pezzo abbia il suo corpo e la sua botta. Questa è la nostra forza. Poi ovviamente si sovraincidono le voci, gli altri strumenti e gli ospiti».<br />
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<i>A curare la grafica del disco è stato Davide Incorvaia che è anche il vostro batterista...</i><br />
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«Quando si ha la fortuna di avere in squadra un ottimo grafico perché non approfittarne? La copertina se l'è inventata in una notte e siamo molto soddisfatti del lavoro fatto. Non sapevamo che titolo dare a questo nuovo disco, poi è venuta fuori questa frase ‹il rosso mi spaventa› e ci è piaciuta. Può avere molti significati, potete provare a immaginare quello che più vi piace».<br />
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<i>Quale canzone di quelle comprese nel disco, escluse naturalmente quelle firmate da te, ti sarebbe piaciuto scrivere?</i><br />
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«"Ten years" è un pezzo che mi piace molto. Già dalla demo aveva tutto il suo carattere, la sua struttura, la sua personalità. È una canzone molto riuscita quella scritta da Alberto. Tra quelle di Barbon dico "Anna Viola". Devo dire che mi ha fatto un effetto contrario rispetto a "Ten years". All'inizio non mi ha entusiasmato molto, è un pezzo molto semplice, diretto, senza tanti cambi ma una volta suonata mi è piaciuta sempre di più e adesso è forse uno dei pezzi che preferisco».<br />
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<i>Guardando alla scena musicale savonese non trovi che sia un periodo molto fecondo? Tanti gruppi e artisti della provincia hanno pubblicato dischi interessanti in queste settimane...</i><br />
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«Mi colpisce che ci sia così tanta gente che ha ancora voglia di creare, è rassicurante. Ci sono tanti giovani, hanno idee chiare, capacità. C'è qualche punto di riferimento come la Raindogs House dove c'è una programmazione di livello nazionale ed è importante sia per chi suona che per gli appassionati. E trovo che sia quasi riduttivo chiamarla scena savonese perché c'è gente che suona in tutta Italia e ha molto da dire».<br />
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<b>Titolo</b>: Red scares me<br />
<b>Gruppo</b>: Les Trois Tetons<br />
<b>Etichetta</b>: autoproduzione<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2017<br />
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<b>Tracce</b><br />
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01. Lord, let your creatures [<i>Roberto Giacchello</i>]<br />
02. Wind of may [<i>Alberto Bella</i>]<br />
03. My stolen money [<i>Giorgio Somà</i>]<br />
04. When you lie [<i>Giorgio Somà</i>]<br />
05. Anna Viola [<i>Giorgio Somà</i>]<br />
06 All the way to Peking [<i>Roberto Giacchello</i>]<br />
07. Ten years [<i>Alberto Bella</i>]<br />
08. Shelter in love [<i>Giorgio Somà</i>]<br />
09. Everything seemed [<i>Alberto Bella</i>] <br />
10. Madeleine [<i>Alberto Bella</i>]<br />
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Il disco si può ascoltare in streaming su Spotify<br />
<a data-saferedirecturl="https://www.google.com/url?hl=it&q=https://open.spotify.com/album/57lkVcJ8jthMEVHCSd8LHH&source=gmail&ust=1514500991029000&usg=AFQjCNGR6jH9UGhO2S-r72ef_MSghGaNtg" href="https://open.spotify.com/album/57lkVcJ8jthMEVHCSd8LHH" target="_blank">https://open.spotify.com/<wbr></wbr>album/57lkVcJ8jthMEVHCSd8LHH</a> Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-71188750255969996082017-11-30T15:48:00.000+01:002017-12-01T16:03:03.944+01:00"Soul searching" è l'esordio di Lorenzo Piccone<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-7djqTxlSLcQ/WiAXjaiIZKI/AAAAAAAAck8/jVoxU-FS5QE9hHgC7mXpbIZKYukOH7a3wCLcBGAs/s1600/received_1949145895351918.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1431" data-original-width="1600" height="286" src="https://2.bp.blogspot.com/-7djqTxlSLcQ/WiAXjaiIZKI/AAAAAAAAck8/jVoxU-FS5QE9hHgC7mXpbIZKYukOH7a3wCLcBGAs/s320/received_1949145895351918.jpeg" width="320" /></a></div>
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Ci sono persone con cui mi piace molto parlare di musica. Una di queste è <b>Lorenzo Piccone</b>, ventottenne chitarrista e cantautore di Albissola Marina, in Liguria, che in questi giorni ha pubblicato il suo disco d'esordio intitolato "Soul searching". Lorenzo, oltre ad essere un ottimo musicista, è prima di tutto un grande appassionato, mosso dalla voglia di scoprire, di capire e apprendere, di guardare la musica da angolazioni differenti senza rinchiudersi tra inutili steccati di genere. Come peraltro è giusto che sia. In questi primi anni di carriera Piccone è stato coinvolto in diversi progetti musicali. Dal gruppo bluegrass <b>The Blue Grasshoppers Band</b> con cui ha suonato negli Stati Uniti e in Germania, alla collaborazione con il mandolinista <b>Carlo Aonzo</b> con cui ha registrato l'ottimo disco "A Mandolin Journey", dal duo con il chitarrista <b>Claudio Bellato</b> al trio con <b>Francesco</b> e <b>Giorgio</b> <b>Bellia</b> (New Trolls, Dolcenera). Esperienze che hanno contribuito alla crescita di questo artista che si è affacciato sul mercato discografico in questi giorni con "Soul searching", un disco cantautorale che "raccoglie" quello che Piccone ha incontrato e ascoltato nel suo percorso artistico. E così, nei dodici brani proposti si possono apprezzare contaminazioni di ritmi africani, suggestioni hawaiane, incursioni blues, armonie west coast, soul e anche un episodio reggae. Tra i brani più riusciti c'è sicuramente “Haze”, canzone dall’ampio respiro in cui le percussioni rivestono un ruolo importante. “I am alive” è una ballad piacevolissima che richiama sonorità anni Settanta ma è "The wind" la gemma di questo disco. Una canzone che nella sua semplicità cattura l'attenzione dell'ascoltatore e che per Piccone può essere un ottimo punto di partenza per un prossimo progetto. Belle anche le atmosfere di "Soul searching", il soul di "Turning back", la springsteeniana "Close to the blue". <br />
Con Lorenzo il tempo di un caffè per parlare del disco si è presto dilatato in uno
scambio di opinioni serrato che ha piacevolmente occupato un paio di ore. E da questa conversazione è nata l'intervista di
presentazione di "Soul searching", un disco pieno di suggestioni e
rimandi che si potrà apprezzare dal vivo il 15 dicembre alla Raindogs
House a Savona.</div>
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<i>Lorenzo, "Soul searching" è il tuo primo disco. Che cosa rappresenta per te?</i><br />
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«È un condensato di tutta la mia attività musicale, da sei-sette anni a questa parte. Ci sono parti elettriche e acustiche, suoni che ho trovato lungo il percorso. E poi il mandolino resofonico, gli strumenti etnici che sono arrivati ascoltando tanta musica e suonando con percussionisti africani».<br />
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<i>Per la parte elettrica di questo tuo primo disco ti sei avvalso della collaborazione della tua band. Chi sono i componenti?</i><br />
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«C'è il batterista <b>Andrea Marchesini</b> che è veramente bravo. Ha collaborato con Mike Stern, ha fatto una jam a New York anche con Jaco Pastorius. È un batterista eccezionale, sa essere tecnico ma quando è al servizio di una canzone riesce a immedesimarsi nella sua atmosfera. Hammond e tastiere sono di <b>Marco Ferrando</b>. Lui non fa il musicista di professione ma ha grande talento ed è un grande appassionato di jazz, funky e blues. Poi c’è il bassista <b>Federico Fugassa</b> che è uno dei più bravi in circolazione».<br />
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<i>Per il tuo primo disco hai voluto la presenza di un ospite internazionale. Raccontaci come hai conosciuto <b>Ike Stubblefield</b>…</i><br />
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«È un pianista e hammondista che ho conosciuto tre anni e mezzo fa ad Atlanta in un club. Suonava con il suo trio in un locale di solo neri. Eravamo io e Carlo Aonzo e siamo rimasti pietrificati dal groove e dal sound che riuscivano a tirare fuori. Ho provato a mettermi in contatto con Ike per ben un anno, ho scritto sul suo sito ma niente, nessuna risposta. L'anno dopo siamo tornati io e Carlo a fare dei concerti nel sud degli Stati Uniti, abbiamo conosciuto un bassista di una orchestra e parlando con lui è venuto fuori il discorso che io stavo disperatamente cercando di entrare in contatto con Ike e lui mi ha detto che ci aveva suonato poco tempo prima e che poteva darmi il suo numero di telefono. Allora l'ho chiamato, sono andato a casa sua, abbiamo passato un po' di tempo insieme, ho preso anche delle lezioni da lui e mi ha raccontato un po' della sua vita. Ha 65 anni ed è nel business della musica da quando è stata fondata la Motown, ha suonato con tutti da Marvin Gaye, a Tina Turner quando era ancora in coppia con Ike, con Clapton, George Benson, B.B. King, Al Green, è ospite fisso dei Gov't Mule quando suonano ad Atlanta. Ike ha suonato in "Turning back" ed è un pezzo che avevo scritto nel periodo in cui stavo decidendo se lasciare il lavoro o meno. È un pezzo funky, nero, con quelle sonorità da trio e lui suona il piano elettrico e l'Hammond».<br />
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<i>Apriamo una parentesi. Hai detto che hai lasciato il lavoro per fare il musicista a tempo pieno?</i><br />
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«Lavoravo alla Infineum a Vado Ligure. Avevo un contratto a tempo indeterminato e tre anni fa ho fatto questa pazzia. La reazione di mio papà è stata dura, mia mamma invece era d'accordo. È stata una scelta difficile e lo è tuttora. Ho iniziato a suonare quando avevo dodici anni e da cinque lo faccio con un intento professionale».<br />
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<i>Una scelta coraggiosa, non c'è che dire. Torniamo agli altri ospiti presenti nel disco…</i><br />
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«<b>Stefano Guazzo</b> è un sassofonista jazz di Chiavari ed ha suonato anche con Dado Moroni e Tullio De Piscopo. Abbiamo messo il suo sax su "Peace of mind" che è un pezzo che ho scritto con un tempo shuffle però non con gli accordi blues ma con armonie più west coast, più aperte. Altro pezzo su cui suona Stefano è "Family" che è l’unico brano strumentale del disco. È un tributo al sound che per un paio di anni mi ha avvicinato al jazz e a Jimmy Smith. È un brano dedicato alla mia famiglia, nato con la chitarra acustica ma registrato con basso fretless, Hammond e batteria. Altro ospite è <b>Stefano Ronchi</b> che adesso risiede a Berlino e suona in tutta Europa. Con Stefano abbiamo suonato un paio di volte qui nei dintorni e ci siamo subito trovati. Ha fatto un assolo con chitarra slide nel brano "In the middle of nowhere" che ho scritto a Rino nel Nevada, nel bel mezzo del nulla, è un posto dove poter stare con se stessi e con la natura. Senza dimenticare il fondamentale apporto del percussionista <b>Maurizio Pettigiani</b>».<br />
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<i>Tra gli ospiti c'è anche Carlo Aonzo, mandolinista di fama mondiale e anche lui di Albissola…</i><br />
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«È stato lui a portami per la prima volta negli Stati Uniti nel 2014. Ricordo ancora il momento in cui mi disse se volevo accompagnarlo, rimasi stupito e accettai subito. Carlo l'ho conosciuto durante un concerto di beneficienza al Priamar di Savona. Io suonavo in una formazione jazz insieme ad un pianista che purtroppo è mancato e che si chiamava Terrence Agneessens dei Portland Partners. Finito il nostro soundcheck è salito sul palco Carlo che avrebbe dovuto suonare un brano da solo. Io avevo ancora la chitarra con il jack attaccato all'ampli e gli sono andato dietro in un pezzo e da lì siamo rimasti in contatto, ci siamo conosciuti e abbiamo scoperto di essere entrambi di Albissola».<br />
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<i>Cosa significa il titolo "Soul searching"?</i><br />
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«Il titolo si riferisce ad una pratica sciamanica che si fa nel sud degli Stati Uniti. Il "soul searching" è la ricerca dell'anima, chi si è veramente senza dover necessariamente copiare qualcuno o essere vendibile e commerciale a livello musicale. Io penso che ci voglia anche qualcuno che provi a dare una alternativa anche rischiando. Non sono il primo e non sarò l'ultimo. In questo disco ci sono varie sfaccettature: c'è un brano radiofonico che è "Soul searching" in cui non ci sono strumenti etnici ma anche le coriste <b>Marta Giardina</b> e <b>Margherita Zanin</b> che sono due voci molto lontane tra di loro ma che, secondo me, funzionano bene insieme. Poi ci sono delle ballad. È un disco alla ricerca di chi è il sottoscritto».<br />
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<i>I colori della copertina richiamano l'abbigliamento che indossi durante i concerti…</i><br />
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«Quando ho pensato alla copertina del disco ho immediatamente deciso di mettere i colori dei vestiti che uso quando suono. Sono vestiti africani e questo patchwork di disegni sono il modo più immediato per esprimere la mia visione del fare musica. Queste tele sembrano buttate lì a caso però se uno le analizza vede che sono tutte organizzate secondo uno schema ben preciso che è però distante da, per esempio, un pied de poule che ha una fantasia occidentale. Queste stoffe sono un qualcosa di organizzato ma con colori, sfumature e linee particolari, non immediatamente decifrabili. Ci sono luci, ombre, bordi bianchi e bordi neri, proprio come la mia musica. La copertina l'ho realizzata con Alex Chiabra».<br />
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<i>Non pensi che possa essere fuorviante utilizzare vestiti africani quando suoni?</i><br />
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«Rimedio con il cappello. A parte gli scherzi, questo è un disco cantautorale e non etnico. Ci sono venature di Van Morrison, Jackson Browne, Ry Cooder, Springsteen, musica hawaiana, africana, c'è tutto quello che ho ascoltato finora che mi è piaciuto e che ho assorbito. Adesso si tratta di lasciar depositare e vedere che cosa nasce. È un buon punto di partenza perché da qui si svilupperanno i dischi futuri. Vorrei fare un album solo acustico con le percussioni come ad esempio è il brano "The wind" in cui suoniamo percussione, lo jambee africano e la chitarra hawaiana slide, ma c'è anche il lato più rock, blues, soul, funky suonato con il trio elettrico».<br />
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<i>Si parlava di questo disco come di un punto di partenza. Qual è quindi la strada che vuoi percorrere?</i><br />
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«Ho un paio di idee che corrono parallele. Da una parte voglio continuare a scrivere canzoni con un background tradizionale, anni '70, folk con strutture ben note, dall'altra c'è la voglia di cercare qualcosa di nuovo sperimentando anche con gli strumenti etnici. Voglio legare la musica elettronica con l'uso degli strumenti etnici e delle percussioni. La sfida sarà quella di creare qualcosa che non ho ancora sentito. In questi mesi ci sto lavorando, vedremo».<br />
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<i>C'è una linea di continuità a livello di testi e pensiero?</i><br />
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«Le canzoni parlano del mio desiderio di riuscire a vivere facendo il musicista e della voglia di andare via in giro per il mondo ad assaporare altre culture e fare nuovi incontri. Sono canzoni che parlano anche del mio modo di essere. Prendiamo "Haze", è una specie di rito vudù per scacciare i cattivi pensieri, quella foschia che prende un po' tutti nei momenti di sconforto. Poi ci sono canzoni di rivincita come "Turning back", "Family" che è dedicata alla mia famiglia».<br />
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<i>Mi pare di capire che sia un disco molto personale?</i><br />
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«Sì, lo è. Non ci sono temi sociali o l'amore universale, a parte "Peace of mind" che è un inno della pace dello spirito».<br />
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<i>Con il trio di Carlo Aonzo o da solo sei stato negli States e hai girato un po' la Germania. Che reazione ha avuto il pubblico?</i><br />
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«Negli Stati Uniti con Carlo è sempre stato un successo. Anche in questo ultimo tour abbiamo avuto standig ovation, abbiamo finito i cd e le magliette. Ci hanno già ingaggiato per il prossimo anno perché Aonzo è uno di quelli che può suonare qualsiasi cosa ma con il tocco e il gusto italiano che agli americano piace. In Germania ho trovato un pubblico attento e aperto a nuove sonorità. Ho portato parecchi strumenti etnici, dalla chitarra hawaiana al bouzouki, fino al mandolino resofonico. Ho suonato i mie pezzi più alcune cover riarrangiate di vario genere, anche di musica caraibica prendendo spunto dalla produzione di Bob Brozman che è stato un grande della musica e che è una mia fonte d'ispirazione. Il mio sogno sarebbe andare in India, Cina e Giappone».<br />
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<i>Tu sei un chitarrista ma c'è qualche altro strumento che ti piacerebbe suonare?</i><br />
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«Mi piace da morire la batteria e mi diverto come un bambino ma è veramente difficile. Recentemente ho preso un basso tanto per essere cosciente di quello che succede nella musica partendo dalle fondamenta. Ed è molto interessante, sono tornato ad ascoltare i dischi di Neil Young, i primi dischi di Clapton in cui i bassisti suonavano poche note ma di gusto. Ho iniziato a riascoltare i dischi di Springsteen, di Jackson Browne da un punto di vista diverso, con il basso in mano…».<br />
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<i>Mi sono sempre chiesto come ascolta la musica un musicista…</i><br />
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«Sto leggendo dei libri su questo argomento. Il primo si intitola "Musicofilia" scritto dallo psicologo e psichiatra Oliver Sacks. Spiega come il cervello recepisce la musica, le onde sonore, gli impulsi elettrici… Il secondo è "Come funziona la musica" di David Byrne. Questi due testi cercano di analizzare i vari aspetti dell'ascolto. Io personalmente quando ascolto qualcosa che mi piace non riesco a capire subito perché mi piace, è un cosa inconscia. Mi cattura l'insieme, certo sento se viene utilizzata una progressione di accordi o una melodia standard, se è più un esploratore alla David Crosby piuttosto che l'ultimo Springsteen. Cerco di ascoltare quello che mi piace più volte, da punti di vista diversi».<br />
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<i>Adesso che stai approfondendo la conoscenza del basso la tua visione musicale sarà sicuramente più ampia…</i><br />
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«Sì, sto molto più attento a quello che fa il basso. Spesso e volentieri scrivo un pezzo con la chitarra poi il basso lo aggiungo dopo ma ci sono canzoni che sono nate da un giro di basso oppure da un groove di batteria come "Fifty ways to leave your lover" di Paul Simon, brano nato appunto da un groove di Steve Gadd. Però quando c'è qualcosa che mi piace mi lascio trasportare, se non lo facessi perderei la magia che la musica sprigiona».<br />
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<i>Un primo riscontro importante lo hai avuto con la canzone "The wind"…</i><br />
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«È stata pubblicata dalla CandyRat record che è un casa discografica americana orientata principalmente verso i chitarristi super tecnici. Il brano è abbastanza semplice ma è suonato con la Weissenborn hawaiana e questo rimarca la mia convinzione che anche suonando delle cose semplici ma con timbriche e sonorità inusuali si possono aprire delle porte interessanti. A consigliarmi di proporre questo materiale è stato il mio amico musicista Claudio Bellato. Insieme, a settembre, abbiamo partecipato alla rassegna "Un paese a sei corde" e abbiamo in programma di fare delle cose insieme».<br />
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<i>So che un po' di tempo fa avevi anche un gruppo di bluegrass, The Blue Grasshoppers Band…</i><br />
<br />
«Avevo un trio con cui sono andato a fare dei concerti anche a New York. Abbiamo portato il bluegrass ad Harlem in mezzo ai neri ed è stato rischioso (<i>ride, ndr</i>). Con il contrabbassista <b>Alberto</b> <b>Malnati</b> e <b>Daniele Carbone</b> al mandolino suonavamo standard bluegrass. È lì che mi sono appassionato a questo genere che spesso e volentieri è sottovalutato perché è suonato con poche armonie e pochi accordi. Anche i pezzi più semplici sono difficili da far rendere, i grandi maestri come Doc Watson e Norman Blake insegnano».<br />
<br />
<i>Tornerai su questo progetto?</i><br />
<br />
«Il bluegrass è stata una bella parentesi e penso che non mi sia rimasto molto nel mio modo di fare musica anche perché è sempre un genere molto tradizionale che ti riporta immediatamente in quei luoghi. Mi piacerebbe riarrangiare dei classici del bluegrass o addirittura fare un disco di bluegrass ma avendo prima sviluppato un mio tocco. <b>Beppe Gambetta</b> lo ha ed è per questo che è accettato da tutta la comunità bluegrass. Il mio lavoro sarà anche quello di diventare riconoscibile».<br />
<br />
<i>Un ligure che suona il bluegrass, geograficamente qualcosa non mi torna…</i><br />
<br />
«La musica ha dei confini ma non sono invalicabili. Anche gli americani suonano la musica gypsy e lo fanno con rispetto e conoscenza del genere. Anche il grandissimo chitarrista Tony Rice, l'icona del bluegrass sulla chitarra acustica, quando è stato chiamato a suonare con il mandolinista David Grisman ha dovuto modificare il suo modo di suonare, da strandard bluegrass verso una apertura più jazz, blues. La musica è bella perché offre tantissima scelta anche nell'ascolto. Se voglio un disco suonato nella maniera più tradizionale allora ne scelgo uno di Norman Blake, se voglio ascoltare qualcosa di più arrangiato magari opto per David Grier. C'è anche da dire però che tutti questi musicisti che sperimentano sono prima di tutto grandi conoscitori della tradizione e quindi anche come Carlo Aonzo, per tornare a noi, quando suona Calace, Verdi, Puccini o Vivaldi li suona da top, con una conoscenza fantastica, capillare di tutto. Ho ventotto anni, ho ancora tanta strada da percorrere ma questo l'ho imparato».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Soul searching<br />
<b>Artista</b>: Lorenzo Piccone<br />
<b>Etichetta</b>: autoproduzione<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2017<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Lorenzo Piccone eccetto dove diversamente indicato)<br />
<br />
01. Haze<br />
02. I am alive<br />
03. Island girl<br />
04. Soul searching<br />
05. Turning back<br />
06. Family<br />
07. Another avenue<br />
08. In the middle of nowhere<br />
09. Close to the blue [<i>Corrado Schiavon; Lorenzo Piccone</i>]<br />
10. The wind<br />
11. Peace of mind<br />
12. Haze (with intro)<br />
<br />
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<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/aIai22BqTi8/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/aIai22BqTi8?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-47132797684803351302017-11-17T18:27:00.002+01:002017-11-17T18:27:38.858+01:00"Totem", il manifesto di Emanuele Dabbono <br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-MLSiJjDMrvM/WgV1VmS5NfI/AAAAAAAAcjw/VVAdsTGSNok3kvhVF5S1owNpu6InJQPyACLcBGAs/s1600/totem.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1535" data-original-width="1535" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-MLSiJjDMrvM/WgV1VmS5NfI/AAAAAAAAcjw/VVAdsTGSNok3kvhVF5S1owNpu6InJQPyACLcBGAs/s320/totem.jpg" width="320" /></a></div>
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<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<b>Emanuele Dabbono</b> ed io ci sentiamo con una certa regolarità. Un messaggio, una chiamata per condividere un nuovo successo, un traguardo atteso e finalmente raggiunto, la notizia e l'invito ad un suo concerto. Ed in questi ultimi anni, sotto il profilo musicale, sono stati tanti i momenti vissuti da protagonista da Dabbono: le canzoni scritte per Tiziano Ferro e portate al successo dal cantante di Latina ("Incanto" e "Il conforto" sono stati premiato con il doppio disco di platino, "Lento/veloce" ha raggiunto il platino e poi "Valore assoluto" e "Non aver paura mai"), i vent'anni di carriera, i testi di alcune canzoni utilizzate per una edizione speciale di Topolino con Tiziano Ferro protagonista della storia. Ora, nel momento più importante della sua carriera, Dabbono ha pubblicato "Totem", il suo terzo album e il primo senza i Terrarossa (senza considerare i due lavori del progetto Clark Kent Phone Booth). Un disco per certi versi inatteso, registrato in pochi giorni dal tecnico del suono Raffaele Abbate in una chiesa sconsacrata ad Arenzano. Ad accompagnarlo sono stati chiamati musicisti di provata esperienza come <b>Fabrizio Barale</b>, <b>Marco Cravero</b> e poi <b>Paolo Bonfanti</b>, <b>Gianka Gilardo</b>, <b>Fabio Biale</b> ed <b>Andrea Di Marco</b>. Con "Totem" Dabbono ripercorre i suoi vent'anni di carriera, dagli esordi nel 1997 con la canzone "Piano" fino agli ultimi anni. Un disco sincero, genuino, che rifugge i circuiti di promozione e i passaggi nelle radio commerciali. Una volontà confermata anche dal fatto che non è stato estratto un singolo di lancio. </div>
<div style="text-align: justify;">
È lo stesso Dabbono, nell'intervista che segue, a spiegare i motivi di questa scelta.</div>
<br />
<br />
<br />
<i>Emanuele, eccoci a parlare del tuo nuovo disco. Lo hai intitolato "Totem", termine che identifica una entità naturale o soprannaturale che ha un significato simbolico. Qual è il tuo totem e perché hai intitolato così questo tuo nuovo lavoro?</i><br />
<br />
«Il Totem per gli indiani era qualcosa di sacro al quale sentirsi legati per tutta la vita. In questo disco non c'è niente di fittizio, non ci sono comparsate del rapper di turno né suoni modaioli o overproduction esasperate che radio e case discografiche spesso promuovono a scapito dei contenuti. Qui l'unico featuring che mi sono concesso è con la verità, con il ragazzino sognante che sono stato, coi ricordi di un tempo antico e bellissimo. In questo senso Totem è il mio manifesto».<br />
<br />
<i>Questo è anche il tuo primo album solista dopo i due precedenti firmati insieme ai Terrarossa. Perché questa scelta?</i><br />
<br />
«Mentre lo compilavo pensavo: sarà il mio "Nebraska". Ma questo album non è stato preferire i provini agli arrangiamenti elettrici con la E Street Band come fece il Boss nell'82 (tra l'altro anche Giuseppe Galgani dei Terrarossa è presente nell'album alla chitarra, come a proseguire il cammino con me). Questo disco l'ho pensato, addirittura sognato, per vent'anni. Ma nessun progetto da ragioniere. Una mattina mi sono detto: è il momento. Chi se ne frega del mercato. Avevo bisogno del mio tempo per maturare e prendere il coraggio di andare controcorrente, non per il gusto di farlo o per strategia. Perché guardandomi allo specchio era l'unica direzione dove il mio navigatore emotivo sapesse dirigersi. E l'ho fatto».<br />
<br />
<i>Dopo i successi come co-autore di brani portati in vetta alle classifiche da Tiziano Ferro ci si sarebbe potuti aspettare una naturale prosecuzione su questa strada. Invece ti sei chiuso in una chiesa sconsacrata di Arenzano per registrare in presa diretta queste undici tracce…</i><br />
<br />
«Avevo una cassetta dei Cowboy Junkies registrata in chiesa. Ero solo un bambino. Mi sembrava ci fosse più sacralità lì dentro che nelle prediche del prete la domenica. Ma poi ho capito perché: certe canzoni ti chiedono spazio. E io sono nato suonando la chitarra acustica. Non vedevo l'ora di far respirare e non soffocare la mia voce in mezzo all'elettronica. Quando faccio l'autore mi diverto, sperimento con synth, tastiere, moog e quant'altro perché l'apertura mentale non è una frattura del cranio. Cerco la profondità testuale e non mi accontento, ma in ogni caso c'è molta curiosità dell'ignoto, nel cimentarsi a briglie sciolte nei generi musicali. Quando fai il tuo disco invece è molto più semplice e netta la domanda da farti allo specchio: tu che musica sei?»<br />
<br />
<i>Sembra una decisione di rottura, quasi a dire: attenti, io non sono solo quello di "Incanto" o "Lento/Veloce"…</i><br />
<br />
«Il brano al quale sono più legato è "Il conforto". Vedi, io considero uno che fa il mio mestiere non come un seriale che ti propone sempre la stessa minestra. Ci evolviamo quotidianamente. Adesso leggo Wyslawa Szymborska, adoro Hitchcock e Magritte e ascolto Roberto Vecchioni. Anni fa non lo avrei detto e nel frattempo mi perdevo queste meraviglie. E se vai proprio a vedere, "Incanto" aveva un'atmosfera irish».<br />
<br />
<i>Tre giorni di registrazioni che ricordano gli anni d'oro della musica quando in presa diretta si registravano canzoni e album memorabili. La chiesa di Arenzano è la tua cantina della Big Pink?</i><br />
<br />
«Quando insegnavo ancora canto (anche agli amici e bravissimi Samuele Puppo e Lorenzo Piccone) uno dei must era "The night they drove old dixie down". Sono cresciuto con quella musica. Con Crosby, Stills, Nash & Young, Joni, Jackson Browne. Era naturale, prima o poi, "riportare tutto a casa" e l'esperienza della chiesa di Arenzano ha reso tutto più gospel senza nemmeno essere un disco soul, ma ci sono quintali d'anima dentro. Spero si avverta».<br />
<br />
<i>A collaborare hai chiamato due maestri della chitarra: Fabrizio Barale che lo ricordiamo a fianco di Ivano Fossati e Marco Cravero che ha legato il suo nome a quello di Francesco De Gregori. Cosa hanno dato a te personalmente e al disco queste collaborazioni?</i><br />
<br />
«Tutti gli ospiti presenti da Paolo Bonfanti a Fabio Biale, da Andrea Di Marco alla tromba a Gianka Gilardi alla batteria mi hanno regalato la loro umanità, prima che il loro innegabile talento. Volevo belle persone, non macchine da metronomo. E in questo senso mi sento di dover ringraziare più di tutti Raffaele Abbate, "il mio Jonathan Wilson", l'ingegnere del suono che ha ripreso tutto ed è stato in grado, registrando con il suo studio mobile, di permettere a tutti e non solo a noi, di vivere la magia di un album come si faceva nel 1973. In soli tre giorni, senza scomporsi mai, sempre col sorriso. Un privilegio averlo a fianco».<br />
<br />
<i>Quanto c'è di aggiunto in post produzione alle canzoni che hai registrato?</i><br />
<br />
«Nulla. Quello che senti l'abbiamo fatto in chiesa. Pure il mastering è addirittura in analogico».<br />
<br />
<i>Arenzano, una chiesetta, lontano dalle luci della ribalta ma un suono che esce prepotente dai confini nazionalpopolari. Abbraccia l'Irlanda ma anche certa scena world sdoganata a suo tempo da capolavori come "Graceland" di Paul Simon o il New Jersey in bianco e nero…</i><br />
<br />
«Guarda, hai citato alcuni dei miei numi tutelari non solo musicali ma anche di attitudine e di protezione delle proprie idee senza scendere a compromessi. Alcuni discografici di major italiane erano rimasti - per usare la loro parola - “abbagliati” dalla bellezza del provino di “E tu non ti ricordi”. Ho spiegato loro che non era il provino, che gli archi non li avrei toccati e che facevo sul serio».<br />
<br />
<i>Trovo che sia un disco molto personale. Nelle canzoni c'è il Dabbono delle scoperte giovanili, del superamento dei momenti brutti della vita e di quello che le esperienze inevitabilmente lasciano sulla pelle. Dimmi se sbaglio…</i><br />
<br />
«Assolutamente sì. Luigi Cerati (autore di tutte le foto dell'album) mi ha convinto a metterci la faccia in copertina, perché "era tempo". Così io, mia moglie Francesca, il mio caro amico Marco Berbaldi e Luigi siamo saliti su un aereo per la Duna du Pilat, vicino Bordeaux. Non lo dimenticherò mai. Soltanto tre giorni. Un viaggio che durerà, scolpito nella mia memoria».<br />
<br />
<i>In quest'epoca di compromessi mi sembra di capire che tu non ne abbia voluti fare. Hai puntato sulla genuinità e sulla coerenza artistica e umana ma dove è il singolo da lancio da far girare a palla nelle radio? Non pensi che possa essere controproducente non averlo?</i><br />
<br />
«Quando ho fatto la riunione di lancio del progetto a Milano mi hanno chiesto quale fosse il singolo che avevo in mente. Risposi la traccia numero 12. Loro guardarono e si accorsero che il cd ne conteneva 11. Appunto, dissi, non facciamo singoli. Volevo fosse chiaro che questo non è un album per scalare le classifiche, ma spero venga lentamente annoverato tra quelli "di culto", quelle perle rare che sono nascoste e che quando le trovi ti sembra siano solo tue, da custodire. Penso a certe cose di Sigur Ros, Bon Iver, il primo Ryan Adams».<br />
<br />
<i>Il disco si apre con "Piano", canzone che risale al 1997 e che ti fece vincere il primo contratto discografico. La pubblicazione in questo album è un omaggio ai tuoi vent'anni di carriera o un bel ricordo di ciò che ha dato il via a tutto?</i><br />
<br />
«"Piano" è uno dei due brani miei più longevi e che la gente ama di più. Pensa che non ha nemmeno il ritornello. Mi sembrava doveroso dargli una casa e con "Totem" ha una camera con vista sull'Atlantico».<br />
<br />
<i>Ivano Fossati in una intervista ha detto: ‹Oggi nelle canzoni si parla solo di un amore da ragazzini. Niente corpi, rughe e sensualità. Eppure invecchiare è una conquista›. In "A mani nude" canti invece proprio l'amore di due persone anziane, hai seguito il consiglio del maestro…</i><br />
<br />
«Fossati è un gigante. L'amore sa essere dolcissimo e crudele sia tra anziani che tra adolescenti. Cambia solo il linguaggio con cui ti accorgi di provare al mondo e a qualcuno che sei vivo».<br />
<br />
<i>Il disco di chiude con "Luce guida". Qual è la tua e dove ti sta portando?</i><br />
<br />
«La mia luce guida è la consapevolezza di avere dei punti di forza stretti a doppio nodo: la tenerezza, le mie bambine, la certezza di un altro concerto di Springsteen, un nuovo amico con cui parlare persino del tempo, perché non piove più come si deve, vengono giù solo secchiate. E dove mi sta portando tutto questo? A casa».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Totem<br />
<b>Artista</b>: Emanuele Dabbono<br />
<b>Etichetta</b>: Digital Media<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2017<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Emanuele Dabbono)<br />
<br />
01. Piano - (03:37)<br />
02. Treno per il sud - (04:26)<br />
03. E tu non ti ricordi - (04:27)<br />
04. Parole al vento - (04:43)<br />
05. Il senso di un abbraccio - (04:14)<br />
06. Irene - (04:12)<br />
07. Siberia - (03:04)<br />
08. A mani nude - (03:53)<br />
09. Canzone per i tuoi occhi - (02:03)<br />
10. Le onde - (03:20)<br />
11. Luce guida - (05:57)<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/bAjGxhR36E0/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/bAjGxhR36E0?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-90132231285137161382017-11-07T11:20:00.000+01:002017-11-08T16:47:35.460+01:00I Rebis cantano il Mediterraneo senza frontiere<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-ARvYgo5N4PA/WaMDyi4ry4I/AAAAAAAAcbs/IA5oKDeKiycnXmw153sjOIzg-c_2iOmLwCLcBGAs/s1600/rebis%2Bcopertina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1439" data-original-width="1600" height="287" src="https://4.bp.blogspot.com/-ARvYgo5N4PA/WaMDyi4ry4I/AAAAAAAAcbs/IA5oKDeKiycnXmw153sjOIzg-c_2iOmLwCLcBGAs/s320/rebis%2Bcopertina.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
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<div style="text-align: justify;">
L'estate mi ha regalato tantissime occasioni di assistere a concerti dal vivo di band e cantautori emergenti come di artisti affermati della scena italiana e internazionale. Ma tutto questo è solo un bel ricordo, torno volentieri quindi al lavoro che avevo imbastito prima della pausa estiva e con piacere presento il nuovo disco dei <b>Rebis</b>, duo musicale che nel frattempo, proprio in questi mesi, lo è diventato anche nella vita. <b>Alessandra Ravizza</b> e <b>Andrea Megliola</b> hanno pubblicato il loro secondo disco, intitolato "Qui". Si tratta di undici canzoni cantante in italiano, arabo e francese che hanno come protagonista le donne e le loro storie. Storie e racconti, a volte anche sofferti e crudi, che fanno la spola da una parte all'altra del Mediterraneo, in un continuo andirivieri senza barriere e steccati. Un tentativo di unire il mondo e in particolare le culture del nostro mare che era già presente nel precedente "Naufragati nel deserto" e che diventa ancora più pressante in questo ultimo lavoro. Per dare corpo alle canzoni i Rebis si sono avvalsi della collaborazione di un manipolo di musicisti di grande affidabilità come <b>Edmondo Romano</b> che con classe ha "soffiato" in tutti gli strumenti possibili, dal clarinetto al mizmar, dal sassofono al santur e allo shanay, il violoncellista <b>Salah Namek</b>, <b>Matteo Rebora</b> alle percussioni, <b>Emanuele Milletti</b> e <b>Kai Kundrat</b> al basso, <b>Roberto Piga</b> al violino, <b>Julyo Fortunato</b> alla fisarmonica, <b>Marco Spiccio</b> al piano. Senza dimenticare l'inserto rap in inglese di <b>Natty Scotty</b> nel brano "Ma maison".<br />
"Qui" è disco che non va giudicato o capito al primo ascolto. Le canzoni, le atmosfere, i colori e le sfumature hanno necessità di depositarsi per essere apprezzate appieno. Ma una volta entrati in questo ambiente musicale non si può che rimanerne affascinati. E magari stimolati ad aprire le porte verso ciò che culturalmente ci è distante. <br />
Con Alessandra abbiamo approfondito il discorso facendo un piccolo viaggio tra le pieghe di "Qui". </div>
<br />
<i><br /></i>
<i>In una epoca in cui si parla di muri e frontiere voi abbattete qualsiasi ostacolo musicale o linguistico. "Qui", il vostro secondo album, è completamente calato nella cultura mediterranea…</i><br />
<br />
«Crediamo che la musica e l'arte in generale possano riportare un po' di empatia e di umanità nei cuori delle persone. Persone divise da muri, odio e paure. Abbiamo viaggiato tanto tra le sponde del Mediterraneo e continueremo a farlo perché la nostra identità è profondamente radicata in una storia e in un futuro comuni. È una visione molto miope quella dei muri: bisogna costruire insieme il nostro futuro, è la migliore risposta alla violenza dilagante che caratterizza il nostro tempo radicalizzato. Il terrorismo nei confronti dei civili e la violenza degli stati verso i più poveri e/o i "diversi" non sono una risposta per un futuro migliore ma sono i semi per un presente ancora più ingiusto e violento».<br />
<br />
<i>Italiano, francese, arabo… Lingue che si intrecciano e che raccontano cosa?</i><br />
<br />
«Raccontano storie di persone che cercano il loro "posto" nel mondo. Un posto non soltanto fisico ma anche interiore, un posto nel quale poter seguire i nostri sogni e vivere i nostri affetti, un posto nel quale sentirsi sicuri e potenti. Si tratta di un disco al femminile, le protagoniste delle nostre canzoni sono soprattutto donne. Una cara amica antropologa mi ha fatto notare che "Qui" è un continuo dialogo e che le nostre protagoniste cercano loro stesse nel confronto con l'altro. "Qui" è un disco molto politico che parla di scelte autentiche, di persone che hanno scelto un amore libero e paritario, di sorelle separate dal mare, di persone in esilio, di donne più forti della morte, di bambine che parlano con gli animali e che, una volta donne, si rifiutano di sfruttarli ed opprimerli».<br />
<br />
<i>Dove è questo "Qui"? Lo possiamo trovare nella vostra Genova o in un villaggio sperduto nel Maghreb?</i><br />
<br />
«Ognuno ha il suo "qui". Può essere un luogo fisico ma noi lo viviamo più come uno spazio interiore nel quale poter fiorire e dare frutti. Se dovessi dare delle coordinate spaziali al nostro "qui" musicale ti direi che si tratta di una città immaginaria sospesa tra il Sud dell'Europa ed il Nord dell'Africa. Affacciata sul mare ma non troppo distante da montagne e deserti».<br />
<br />
<i>Cosa vi affascina delle culture mediterranee e in particolare di quella araba?</i><br />
<br />
«È molto difficile per noi immaginare una "cultura araba" o "mediterranea" in quanto i singoli paesi e le singole regioni sono tutte molto diverse tra loro. Detto ciò c'è qualcosa che ci fa sentire a casa, forse sono i secoli di storia che intrecciano lingue, popoli, canzoni, poesie, cibi, onde, guerre e amori».<br />
<br />
<i>A rendere ancora più cosmopolita la vostra musica avete inserito anche un po' di rap in lingua inglese del cantante nigeriano Natty Scotty. Qual è l'idea di questa collaborazione?</i><br />
<br />
«Abbiamo conosciuto Scotty grazie ad un'amica volontaria del centro richiedenti asilo in cui tutt'ora alloggia. Era arrivato da poco dalla Nigeria e cercava musicisti con i quali portare avanti la sua carriera di cantante e il suo operato di attivista per i diritti umani. Benché noi non fossimo grandi esperti di rap e di hip hop ci colpirono il calore della sua voce e l'impegno civile dei suoi testi. In quei giorni con Andrea stavamo lavorando alla composizione dell'ultima canzone del disco ("Ma maison"): una canzone che gira intorno al concetto di casa inteso come un luogo all'interno del quale poter tradurre in realtà i propri sogni e valori, in cui sentirsi protetti e dal quale aprirsi al mondo. Abbiamo capito subito che Scotty avrebbe avuto molto da dire e da cantare a riguardo e non ci sbagliavamo».<br />
<br />
<i>Si parlava di collaborazione e mi viene da citare il nome di musicisti eccelsi come Edmondo Romano, Matteo Rebora e il violoncellista siriano Salah Namek che nel disco hanno svolto un lavoro di primissimo piano…</i><br />
<br />
«Abbiamo impiegato diversi anni per scegliere (e per incontrare) i musicisti che ci hanno affiancato nella realizzazione di questo nuovo disco e devo dire che la nostra ricerca ha portato a un risultato che ha superato di gran lunga le nostre aspettative. Ognuno di loro ha portato la sua storia, la sua sensibilità, la sua professionalità, dimostrando una grande partecipazione e generosità nei confronti della nostra musica. Edmondo Romano ha registrato dodici strumenti diversi (sassofono, clarinetti, flauti, mizmar, furulya, shanay, mohozeno, zurna, santur, chalumeau, low whistle) e ha portato nelle nostre canzoni un suono personale, raffinato e ricco. Matteo Rebora ha fatto un profondo lavoro di ricerca, ideando un set percussivo composto da cassa, piatti e da sedici strumenti tradizionali di origine araba, turca, persiana e indiana, capace di dare vita a un suono di confine tra le ritmiche e le sonorità tradizionali arabe e mediorientali e il pop colto occidentale. Salah Namek, con il suo violoncello, ha portato nella nostra musica la sua profonda conoscenza della musica classica araba orientale. Salah è infatti uno dei più grandi musicisti siriani ed è originario di Aleppo: città che viene considerata la capitale della musica araba orientale. Edmondo, Matteo, Scotty e Salah non sono i soli musicisti che hanno collaborato con noi a "Qui". Nel disco hanno suonato anche il bassista Emanuele Milletti che ha arricchito il nostro disco di sensibilità e armonia, il bassista tedesco Kai Kundrat (attualmente residente in Brasile), il grande Roberto Piga ai violini, il maestro Marco Spiccio al pianoforte e il giovane e talentuosissimo Julyo Fortunato alla fisarmonica».<br />
<br />
<i>Il mondo arabo, e in particolare la letteratura, hanno ancora un ruolo fondamentale nella vostra scrittura. In "Partoriscimi di nuovo" citate i versi di una poesia dello scrittore palestinese Mahmoud Darwish…</i><br />
<br />
«Assolutamente sì, Mahmoud Darwish è per noi un maestro di vita e non solo di scrittura. Nelle sue poesie respira l'umanità intera. Ogni volta che leggo una sua poesia sento di fare un passo in più verso la mia umanità. Ho avuto l'onore di studiare con Lucy Ladikoff: docente di lingua araba presso l'università di Genova, originaria di Gaza, amica intima di Mahmoud Darwish del quale ha pubblicato diverse raccolte di poesie tradotte in lingua italiana (non posso non citare "Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?"). Lucy mi ha adottata come una figlia e un giorno mi ha regalato la traduzione inedita di "Partoriscimi di nuovo", invitandomi a musicarla e a cantarla. È iniziato così un lungo lavoro di confronto tra me e Andrea che ha portato alla nascita di questa canzone alla quale siamo davvero molto legati e cha parla di esilio, di amore per la terra, per la madre: "partoriscimi di nuovo, partoriscimi per sapere in quale terra morirò ed in quale terra rinascerò…"».<br />
<br />
<i>Altro episodio è "Goodbye Amal" che è ispirato al romanzo "Ogni mattina a Jenin" della scrittrice Susan Abulhawa…</i><br />
<br />
«Consiglio a tutti di leggere "Ogni mattina a Jenin" (Feltrinelli), è un libro che apre il cuore e che racconta cent'anni di storia palestinese vista dagli occhi delle donne. Qualche anno fa ci avevano contattato da Roma per partecipare ad un reading mondiale organizzato da un'associazione statunitense che si occupa di attivismo e letteratura. In teoria non avremmo dovuto suonare in quell'occasione, ma subito dopo aver letto il libro, mi è venuto spontaneo scrivere questa canzone che ha subito convinto anche Andrea ed è senza dubbio uno dei brani più amati da noi e dal nostro pubblico. Spesso riceviamo mail di ringraziamento di persone che dopo aver ascoltato la canzone hanno acquistato e letto il libro di Susan Abulhawa e questo ci riempie di gioia».<br />
<br />
<i>Per quanto riguarda i testi la figura femminile è predominante. Da questo spunto vi chiedo quale secondo voi debba essere il ruolo della donna delle culture mediterranee nei prossimi decenni.</i><br />
<br />
«Abbiamo scelto come protagoniste delle nostre canzoni figure femminili perché crediamo moltissimo nell'importanza del protagonismo femminile e nella collaborazione tra donne per un mondo più giusto. Dico questo non perché crediamo che le donne siano migliori degli uomini ma perché si parla ancora troppo poco al femminile e sappiamo quanto risulti più difficile per una donna esporsi e raccontarsi (anche nel mondo dell'arte). Crediamo nella necessità di una rivoluzione culturale che liberi le donne e gli uomini dal maschilismo ancora molto presente nelle nostre società sotto forma di violenza e di dogmi culturali molto difficili da estirpare. Lo scorso anno abbiamo inaugurato con la nostra musica il Festival Chouftouhonna (Festival internazionale d'arte femminista di Tunisi) e abbiamo avuto modo di confrontarci con artiste, attiviste e giornaliste di tutto il mondo. Questa esperienza ci ha donato molta forza e ci ha liberato come individui e come coppia, si è creata una comunità di sorelle sparse per il mondo con le quali ci sosteniamo e ci confrontiamo a distanza. La frase ispiratrice del festival era: "Troppe donne, in troppi paesi del mondo parlano una sola lingua: il silenzio". Tornati in Italia abbiamo capito che il nostro sentire corrispondeva a quello di tantissime altre artiste, che non stavamo agendo da soli ed è anche grazie a questi incontri che è nato il nostro ultimo disco "Qui"».<br />
<br />
<i>Secondo voi l'arte, e in particolare la musica, può essere un veicolo per far avvicinare il mondo arabo e quello europeo?</i><br />
<br />
«Credo che lo strumento più importante per un cambiamento profondo e autentico dell'umanità sia l'empatia. Se l'arte lavora sull'empatia credo possa essere un buon mezzo per avvicinare le persone anche se non può essere l'unico. Ci vorrebbero anche precise scelte politiche volte ad avvicinare le persone, a farle incontrare e conoscere e bisognerebbe soprattutto rompere le catene dello sfruttamento e dell'ingiustizia da una parte e dall'altra del Mediterraneo».<br />
<br />
<i>Qual è il target delle persone che viene ad ascoltarvi dal vivo?</i><br />
<br />
«È molto difficile definire un target del nostro pubblico in quanto dipende moltissimo dai contesti in cui ci ritroviamo a suonare. In media però posso dire che in Italia come all'estero attiriamo spessissimo persone in ricerca e in viaggio. A volte si tratta di persone molto sofferenti che si stanno cercando e che trovano sollievo e speranza nelle nostre parole e nelle nostre note, a volte persone che hanno iniziato un percorso di consapevolezza politico e/o spirituale che ritrovano nella nostra musica i loro valori e la loro visione del mondo oltre al piacere delle note. Poi ci sono coloro che vengono colpiti dalla mia voce, dalla chitarra di Andrea e dalla bravura dei nostri musicisti. Devo dire che queste sono le categorie principali di coloro che entrano in contatto con noi anche dopo i concerti e che ci ha permesso di veder crescere con il tempo una specie di famiglia allargata sparsa per il mondo».<br />
<br />
<i>Potete suggerirci delle realtà musicali arabe da seguire?</i><br />
<br />
«Certamente! Ritornando alla poesia di Mahmoud Darwish non posso non segnalarvi Marcel Khalife: compositore e musicista libanese che ha trasportato in musica tantissime poesie di Mahmoud Darwish. Forse il suo disco che ho amato di più è "Suqut al--qamar" (la caduta della luna). Restando in Libano non posso non citare Fayrouz e Majida el--Roumi. Parlando di voci femminili consiglio anche la grande Julya Boutrus (Libano), Souad Massi (Algeria), Amel Mathoulothi (Tunisia), Lena Chamamyan (Siria), Yasmine Hamdan (Libano). Pensando a voci maschili contemporanee mi viene subito in mente il talentuosissimo cantautore Sabri Mosbah (Tunisia) e il gruppo rock‐indie libanese Mashrou' Leila ma anche qualcosa di più datato come il rai di Rachid Taha, Cheb Khaled, Cheb Mami. Per chi fosse interessato a una visione aggiornata sulla musica araba contemporanea consiglio di seguire la pagina Note d'Oriente: https://www.facebook.com/NotedOriente/».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Qui<br />
<b>Gruppo</b>: Rebis<br />
<b>Etichetta</b>: Gutenberg Music / Produzioni Musicali Primigenia<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Alessandra Ravizza e Andrea Megliola, eccetto dove diversamente indicato) <b><br /></b><br />
<br />
01. Vincimi con i tuoi occhi<br />
02. Je reviendrai en automne<br />
03. Qui<br />
04. Ma maison [<i>testo in inglese e benin di Natty Scotty</i>]<br />
05. Goodbye Amal<br />
06. Partoriscimi di nuovo<br />
07. Wadi nostalgie<br />
08. Cercami nel mare<br />
09. Da bambina<br />
10. Adrienne<br />
11. Pioggia fine<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/DRHjClq100E/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/DRHjClq100E?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
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<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-91869602260925184382017-06-06T22:28:00.000+02:002017-06-06T22:28:04.080+02:00Per Massimiliano Cremona "L'inverno è passato"<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-AaorvdGe_rE/WMxeCR3-_rI/AAAAAAAAcLs/ogtbPAUQzzY0nQoB1_vydrGd_ES05JWrACLcB/s1600/massimiliano-cremona.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-AaorvdGe_rE/WMxeCR3-_rI/AAAAAAAAcLs/ogtbPAUQzzY0nQoB1_vydrGd_ES05JWrACLcB/s320/massimiliano-cremona.jpeg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<b>Massimiliano Cremona</b> torna sulle scene con "L'inverno è passato". Il disco, pubblicato dall'etichetta New Model Label curata dal discografico Govind Khurana, è stato registrato con la collaborazione di<b> Giuliano Dottori</b> e ci regala dieci tracce all'insegna della canzone d'autore intimista in una dimensione elettro-acustica. Per il cantautore di Verbania si tratta del secondo lavoro a suo nome dopo l'album di debutto "Canzoni nella nebbia" (autoproduzione 2015) e diverse esperienze in formazioni del lago Maggiore come i Semadama (rock alternativo), Il Vile (stoner rock) e Los Borrachos (rock'n'roll). "L'inverno è passato" è un progetto molto personale che racconta di un passaggio, di una crescita e di una nuova primavera. La voglia di lasciarsi alle spalle una "stagione fredda", di rendere omaggio ad alcune persone che hanno segnato la sua vita e di metabolizzare la perdita di alcune di esse sono raccontate e cantate con maestria e con un tocco molto personale. Un disco interessante, ben confezionato e che acquista spessore nel corso degli ascolti.</div>
<div style="text-align: justify;">
L'album è stato in parte registrato a Milano allo Jacuzi Studio di Dottori, prodotto e arrangiato da <b>Marco "Kiri" Chierichetti</b> e masterizzato a Nashville da <b>Steve Corrao</b>. A completare l'organico dei musicisti che hanno partecipato alla registrazione, oltre a Marco "Kiri" Chierichetti (flauto traverso, armoniche, effetti sonori), troviamo <b>Enrico Sempavor Gerosa</b> (cori), <b>Alberto Fabbris</b> (chitarra elettrica e banjo), <b>Andrea Polidoro</b> (basso elettrico), <b>Sergio Polidoro</b> (batteria). </div>
<div style="text-align: justify;">
Con Massimiliano Cremona abbiamo approfondito alcuni aspetti del suo nuovo lavoro.<i> </i><br />
<br />
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<br />
<i>Massimiliano, "L'inverno è passato" è un titolo che può avere tanti significati. Qual è quello che dai al tuo disco?</i></div>
<br />
«L'inverno a cui alludo è una stagione dell'anima. Con questo titolo, e con le canzoni che sono contenute nel disco, voglio comunicare che una mia personale stagione fredda, di distacco, è passata, me la sono lasciata alle spalle. Spero di non sbagliarmi!».<br />
<br />
<i>Con alcune delle canzoni che compongono il disco sembra che tu voglia mettere al loro posto tessere di un tuo personale mosaico emozionale...</i><br />
<br />
«Sì, è proprio così. Finora per me la musica ha avuto un significato molto personale. Mi serve proprio per manifestare le mie emozioni, in primo luogo a me stesso e poi agli altri. Per cui è terapeutica. Se con il primo disco, "Canzoni dalla nebbia", l'attenzione era centrata molto su me stesso, con questo secondo album ho voluto parlare invece di persone importanti e del mio rapporto con loro. O, più precisamente, delle mie emozioni nei loro confronti. Che è ovviamente ancora un contenuto molto personale, ma, come dire, rispetto al primo disco "il cerchio" si è allargato, lo sguardo comincia a spostarsi verso l'esterno».<br />
<br />
<i>Ma è anche un disco di ripartenze e rinascite. Come quando canti ‹Sento le ali che si aprono in volo e comunque riprendo a guardare al domani›…</i><br />
<br />
«Sì. Spesso molti artisti hanno "un tema cardine" che ritorna in molte loro composizioni. Il mio è probabilmente proprio la ripartenza e la rinascita dopo un periodo di difficoltà».<br />
<br />
<i>In questo progetto ti sei avvalso della collaborazione con Giuliano Dottori. Come è nata e quale è stato l'apporto che ha dato al tuo progetto discografico?</i><br />
<br />
«Avevo visto Giuliano in concerto, mi era piaciuto molto e mi ero documentato su di lui. Avevo scoperto che ha uno studio di registrazione e ne avevo parlato con Kiri (<i>Marco Kiri Chierichetti, ndr</i>), il produttore artistico dei miei due dischi. Abbiamo preso la decisione di registrare voci, chitarre acustiche e fiati da Giuliano e si è rivelata una scelta estremamente felice. Giuliano è simpatico, competente e molto preparato, abbiamo trovato un clima ottimale per lavorare. Inoltre ha voluto partecipare attivamente in alcuni brani, soprattutto nella canzone "Veloce" che lo ha colpito e di cui si è preso particolare cura, emozionandomi molto. Ma gli interventi diretti di Giuliano – cori, chitarre elettriche, basso – e i suoi consigli hanno fatto fare un salto di qualità anche a diversi altri brani».<br />
<br />
<i>Musicalmente il disco è molto eterogeneo. Diversi colori e strumenti dipingono un affresco molto gradevole. Questa condizione è anche sinonimo di una tua maggiore consapevolezza artistica?</i><br />
<br />
«Questa eterogeneità è in gran parte frutto di un lavoro di squadra. Del confronto tra me e Kiri, innanzitutto, in quanto abbiamo lavorato molto sugli arrangiamenti. Ma più in generale tutti i musicisti coinvolti hanno dato un contributo determinante in questo senso. Gli episodi più acustici ("Canzone per un amico", "Sospetti", "Veloce", "Ninna nanna per Massi e i suoi amici") riflettono maggiormente il mio gusto e sono più vicini all'ideazione originaria dei brani. Kiri, in veste di arrangiatore, ha potuto esprimersi maggiormente nei brani elettrici: "Disincanto", in particolare, riflette il suo grande amore per gli anni Settanta. I suoi flauti e le sue armoniche, poi, aggiungono molte emozioni ai brani. I cori di Enrico Gerosa, d'altro canto, danno sempre una grande svolta ai brani (basti ascoltare "La spiegazione" e "Disincanto"), mentre il banjo di Alberto Fabbris ha letteralmente fatto "decollare" il brano "La spiegazione". I fratelli Andrea e Sergio Polidoro sono poi una solida e spumeggiante sezione ritmica e il loro apporto è stato fondamentale per far quadrare al meglio tutto il disco».<br />
<br />
<i>Dicono che scrivere il secondo album sia molto più difficile del primo. Per te come è stato?</i><br />
<br />
«Beh, è stato più impegnativo perché io e Kiri abbiamo voluto ottenere il meglio. Io desideravo fare un salto di qualità rispetto al primo album, in termini di ambizione del disco: una scaletta più lunga, registrare al di fuori di Verbania, puntare un po' di più sulla promozione e sulla visibilità del prodotto. Kiri, di contro, ha spinto per far evolvere il progetto in chiave elettrica, consentendoci di esprimerci in maniera differente, più articolata rispetto al passato. Il risultato è ottimale, ne siamo fieri e soddisfatti».<br />
<br />
<i>Quali sono le differenza sostanziali tra "L'inverno è passato" e il precedente "Canzoni dalla nebbia"?</i><br />
<br />
«L'evoluzione da una dimensione acustica ad una elettrica. Da artista quasi solitario ad essere una band di sei elementi. La spinta centrifuga dei contenuti, che si allargano alle persone a me care. Il sopraggiungere di momenti sereni e maggiormente ariosi».<br />
<br />
<i>In "Aria e acqua" traspare evidente il tuo amore per gli Afterhours. Cosa ha rappresentato per te questo gruppo?</i><br />
<br />
«Il primo amore in lingua italiana. Dopo essere cresciuto con il rock inglese e americano, sono stati il primo gruppo a coniugare sonorità a me gradite con testi in italiano. Rock e ballate, la voglia di scavare nel malessere degli ultimi decenni. Sperimentazione sonora e orecchiabilità. Ancora oggi, a ogni album spingono un po' più in là i loro limiti».<br />
<br />
<i>In "Veloce" canti di un addio ispirandoti alle atmosfere anni '70. Cosa ti piace artisticamente di quel periodo?</i><br />
<br />
«Beh, ciò che piace a molti, credo. L'affermazione dell'hard rock, l'alternanza tra brani potenti e atmosfere acustiche, i suoni, l'importanza guadagnata dalla chitarra elettrica, i capelli lunghi, un sogno di evasione da una cultura tradizionale».<br />
<br />
<i>Una ventata di energia elettrica arriva da "Sospetti", un tema che necessita di vigore, anche musicale…</i><br />
<br />
«Per molti anni sono stato un chitarrista rock, nei Semadama, ne Il Vile, nei Los Borrachos. Qui ho ritrovato il piacere di collegare la chitarra elettrica a un amplificatore valvolare. E, appunto, il brano richiedeva quel tipo di rabbia».<br />
<br />
<i>Facciamo un passo indietro. Come hai cominciato a suonare e a scrivere canzoni?</i><br />
<br />
«Ho iniziato abbastanza tardi a suonare la chitarra, verso i 18 anni. È diventata subito una fedele compagna, una alleata. Ma, nel mio caso, la musica trova il proprio complemento nelle parole. La musica distende il tappeto, prepara il contesto emozionale che le parole riempiono, completano. Ho sempre scritto. La differenza sta tra il tenere le cose per sé o decidere invece di proporle agli altri».<br />
<br />
<i>Oltre al disco, in questi mesi hai curato anche la realizzazione del libro "Camminare guarisce", scritto dall'amico Fabrizio Pepini. Ce ne vuoi parlare?</i><br />
<br />
«La cosa più bella che mi è capitata negli ultimi anni è stato incontrare i "Cavalieri Stanchi", un gruppo di amici e camminatori che ho conosciuto in Sardegna nel 2014, di cui Fabrizio era ed è la guida. La sua è una storia incredibile, che colpisce nel profondo. Dopo aver scoperto di avere una malattia incurabile, ha lasciato il lavoro e ha cominciato ad affrontare numerosi cammini (dieci volte Santiago, la Via Francigena dalle Alpi alla Puglia, ecc.) e la malattia si è arrestata. Il cammino è diventata la sua terapia. Ma, soprattutto, lo ha cambiato profondamente a livello interiore. Fabrizio ha maturato una grande saggezza, il libro "Camminare guarisce" raccoglie la sua testimonianza e sta aiutando molte altre persone a ritrovare la voglia di vivere, a non arrendersi, ad affrontare il presente con speranza e fiducia. Sono felice di aver contribuito alla realizzazione di questo progetto».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: L'inverno è passato<br />
<b>Artista</b>: Massimiliano Cremona<br />
<b>Etichetta</b>: New Model Label<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Massimiliano Cremona)<br />
<br />
01. Aria e acqua<br />
02. La spiegazione<br />
03. Canzone per un amico<br />
04. Con incanto ed ossessione<br />
05. L'inverno è passato. A Sissi<br />
06. Vuoto<br />
07. Disincanto<br />
08. Sospetti<br />
09. Veloce<br />
10. Ninna nanna per Massi e i suoi amici<br />
<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/X66Vo98bTgQ/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/X66Vo98bTgQ?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-42947440180854587962017-03-23T15:03:00.001+01:002017-03-23T15:03:17.092+01:00"Nel momento", Vitrone fissa le sue umane visioni<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-A8pJShNBmgg/WLVRNLIlVcI/AAAAAAAAcKk/Xi51bIkBsHoS_e9cwCtuovgLNjF0bMJ-gCLcB/s1600/vitrone%2B.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-A8pJShNBmgg/WLVRNLIlVcI/AAAAAAAAcKk/Xi51bIkBsHoS_e9cwCtuovgLNjF0bMJ-gCLcB/s320/vitrone%2B.jpeg" width="320" /></a></div>
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<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>Vitrone</b> è tornato e ha voglia di raccontare. A quattro anni di distanza dal precedente “Piccole partenze”, il cantautore casertano pubblica “Nel momento”, un disco in cui emerge l’urgenza di comunicare, di esprimere il proprio pensiero e di fissare concetti e idee. Una tale urgenza comunicativa avrebbe potuto condizionare il nuovo lavoro e invece quello che ne è venuto fuori è un album compatto e solido che musicalmente, rispetto al precedente lavoro a suo nome, sposta con decisione il baricentro verso il rock. Otto brani, cinque dei quali inediti, trovano la giusta collocazione grazie al tappeto sonoro costruito da musicisti di indiscusso valore come <b>Mimì Ciaramella</b>, storico batterista degli Avion Travel, capace di incidere con il suo drumming moderno, i chitarristi<b> Gianpiero Cunto</b> e <b>Dario Crocetta</b>, il bassista <b>Roberto Caccavale</b> e poi <b>Almerigo Pota</b>, al basso in "Oltre il buio", e <b>Alessandro Crescenzo</b>, piano e arrangiamento in "Nel momento". Musicisti che non si limitano ad eseguire la partitura ma partecipano attivamente agli arrangiamenti dei brani, sempre "puliti" e allo stesso tempo ricercarti, facendo diventare il lavoro di Gennaro Vitrone quello di un collettivo in grado di esprimersi sempre su alti livelli artistici. Tra le gemme di questo disco c'è la canzone "Oltre il buio", in cui la partenza e il viaggio, temi che si confermano essere centrali nella poetica di Vitrone, vengono resi nella loro drammatica attualità. "Nel momento" è una bella istantanea del tempo in cui viviamo che deve essere fissato per non perderne memoria o peggio per non essere cancellato frettolosamente con un semplice click. <br />
Con Gennaro Vitrone abbiamo approfondito il discorso sulla nascita e sul significato del nuovo album. </div>
<br />
<br />
<br />
<i>Gennaro, "Nel momento" è il tuo secondo disco solista. Quando hai capito che era arrivato il momento di tornare in sala di registrazione?</i><br />
<br />
«In realtà si era pensato ad un album realizzato live in studio che racchiudesse alcuni brani dei dischi precedenti. Live lo è diventato parzialmente perché nel frattempo sono nati cinque brani nuovi. La possiamo chiamare urgenza comunicativa».<br />
<br />
<i>Valige che si chiudono, partenze, stazioni, treni, pendolari, aeroporto… Il movimento e il viaggio restano una costante nella tua scrittura. Cosa ti affascina e come vivi personalmente questa situazione?</i><br />
<br />
«È così, a volte non me ne rendo conto ma è una costante. Il viaggio, il movimento rappresentano la forza, la voglia, il bisogno di mettersi in gioco, di confrontarsi».<br />
<br />
<i>Musicalmente, rispetto al precedente lavoro, hai impresso una accelerata rock ed elettrica al tuo nuovo disco. Ritieni che questo sia l'ambito in cui la tua poetica possa esprimersi al meglio?</i><br />
<br />
«Mi ritengo un musicista rock, negli anni '80 e nei primi anni '90 ho suonato in una hard rock band, poi negli anni a seguire ho cercato di sviluppare un mio linguaggio vestendo spesso i miei brani con arrangiamenti elettroacustici, è così anche nell'ultimo album in cui però la componente rock è più marcata».<br />
<br />
<i>Curioso come agli arrangiamenti delle canzoni da te scritte abbiano collaborato tutti i componenti del tuo gruppo…</i><br />
<br />
«Questo è un collettivo, c'è una band che ha lavorato ai brani cercando soprattutto un suono. Effettivamente in sala tutti hanno dato il loro contributo, il resto lo ha fatto <b>Giuseppe Polito</b>, giovane produttore napoletano, <b>Marco Sfogli</b>, attuale chitarrista della PFM, in veste di fonico e amico, e <b>Pompeo Zitiello</b> proprietario di uno dei due studi dove abbiamo lavorato, scomparso prematuramente due mesi dopo le riprese, gli devo tanto, era una persona stupenda. E poi alla produzione e precisamente al mastering ha lavorato <b>Vittorio Remino</b>, bassista negli Avion Travel nell'album "Danson metropoli" dedicato a Paolo Conte».<br />
<br />
<i>Perché hai voluto ripresentare con una nuova veste due canzoni che abbiamo già ascoltato nel tuo disco precedente? E parlo di "Piccole partenze" e "Torno al giardino".</i><br />
<br />
«Perché con i nuovi arrangiamenti i brani hanno indossato nuovi vestiti. È successo con "Piccole partenze", con "Torno al giardino" ma anche con tutti i brani del repertorio che suoniamo live, tutto decisamente rock».<br />
<br />
<i>Cosa ti fa pensare che le nuove versioni siano più azzeccate?</i><br />
<br />
«Trovo interessante sia le versioni dell'album precedente che queste, sono altri punti di vista e di approccio».<br />
<br />
<i>L'ultima volta che ci siamo sentiti, in occasione dalla presentazione di "Piccole partenze", avevi accennato alla possibilità di andare in tour con Mimì Ciaramella, batterista storico degli Avion Travel. Ora lo troviamo tra i crediti del disco…</i><br />
<br />
«Mimì è entrato nella band nel 2013 ma avevamo già suonato insieme nel 1994, quindi ci conosciamo da tempo. Lui rappresenta il vero valore aggiunto. Il suono e l'atmosfera che si respirano nell'album sono anche opera sua, noi lo abbiamo seguito. Se ascolti attentamente i brani si nota che spesso partono proprio dal suo groove, un drumming incredibile ed estremamente moderno. Del resto tutti gli Avion Travel sono dei grandissimi musicisti, una delle poche band italiane che ha ancora tanto da dire».<br />
<br />
<i>La tua è una scrittura per certi versi minimalista, fatta di metafore ma anche con un occhio ai drammi di oggi. E parlo della canzone "Oltre il buio" in cui è protagonista un giovane migrante che cerca di entrare in Europa nascosto in una valigia…</i><br />
<br />
«Assolutamente minimalista, io lavoro per sottrazione. Cerco di soppesare le parole, di provare a scavalcare una certa retorica e nello stesso tempo provo a non perdere mai di vista la musicalità di una parola, il suono stesso di una certa parola che mi può interessare più di altre. Quando scrivo parto sempre dal testo, successivamente nasce la melodia. La storia di questo piccolo migrante, in "Oltre il buio", mi ha commosso, confesso che quando ho letto, qualche anno fa, l'articolo che parlava di questa storia ho pianto lacrime amare. Ho dei figli sono ancora più sensibile, mi sono immedesimato e ho scritto il testo descrivendo semplicemente il fatto, poche parole mettendo l'accento su ‹senti l'indifferenza l'assenza›».<br />
<br />
<i>In "Il finto fioraio" racconti di questo fioraio che vende fiori di plastica e stoffa che non hanno profumo e condannati a non appassire. Trovo che sia una bella metafora della società dell'effimero, dell'apparire…</i><br />
<br />
«Sì, lo spunto nacque leggendo una biografia bellissima su Anna Magnani. Lei diceva, lasciate stare le mie rughe, c'è voluta una vita per averle. A queste parole bellissime ovviamente si contrappone la società dell'effimero con le sue brutture».<br />
<br />
<i>Tanti viaggi, alcuni ritorni e l'attimo da non farsi scappare. In "Nel momento", scatti questa istantanea che ha lo stesso nome di un libro di Andrea De Carlo…</i><br />
<br />
«"Nel momento", cogli l'attimo, la vera essenza della vita. Andrea De Carlo come Erri De Luca che pure cito con "La musica provata" sono scrittori così diversi e che amo tantissimo. "Tecniche di seduzione" di De Carlo, non so quante volte l'ho riletto. Erri De Luca ti invita a riflettere, vuole essere la tua coscienza, mi ricorda tanto Pasolini, sempre contro, costi quel che costi».<br />
<br />
<i>Curiosa la copertina che ritrae un uomo stilizzato intento a saltare dentro una scatoletta di sardine. Perché l'hai scelta e cosa significa?</i><br />
<br />
«La copertina è di <b>Giacomo Montanaro</b>, un artista che stimo molto. È di Torre del Greco, vicino Napoli, lavora con tecniche incredibili, oltre ai colori usa gli acidi, le muffe, crea queste opere che nella musica potremmo definire dissonanti. In questo caso il suo lavoro nasce dalle olimpiadi domestiche, il gesto di un atleta alle prese con un oggetto di uso domestico, immortalato proprio "nel momento" di massima tensione».<br />
<br />
<i>Come porterai queste canzoni in tour?</i><br />
<br />
«Il live, come ti accennavo, è decisamente rock, grande attenzione ai suoni, questo con la band al completo. Ci saranno ovviamente degli showcase acustici per le radio, negozi di dischi e librerie dove ci esibiremo in trio, chitarre acustiche e voci. Andiamo dove ci portano le canzoni, viaggio e movimento, come vedi tutto torna».<br />
<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Nel momento<br />
<b>Artista</b>: Vitrone<br />
<b>Etichetta</b>: G Records<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2017<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Gennaro Vitrone, eccetto dove diversamente indicato)<br />
<br />
01. Respira<br />
02. Piccole partenze<br />
03. Oltre il buio<br />
04. Una ragazza di oggi [<i>Vitrone; Fuschetti</i>]<br />
05. Torno al giardino<br />
06. Il finto fioraio<br />
07. Il pendolare<br />
08. Nel momento<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dzCVPh_FSNtWR2MJe8g9dbx_a0wVySki8b0q31cvDrs3V0Wek5ZzlH5BRHucXn7n7FyCysEZ1tNAovRLIjQrg' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-51449996569306544002017-03-17T11:51:00.000+01:002017-03-17T11:51:54.260+01:00"Malaccetto", questione privata di Ugo Cattabiani<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-a99BVR6Q9qA/WLVPue9XVnI/AAAAAAAAcKY/G_U07k9Y8JIWRVzZSVXzpHXYEAG1QJiUgCLcB/s1600/senza%2Btitolo-1692.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="286" src="https://3.bp.blogspot.com/-a99BVR6Q9qA/WLVPue9XVnI/AAAAAAAAcKY/G_U07k9Y8JIWRVzZSVXzpHXYEAG1QJiUgCLcB/s320/senza%2Btitolo-1692.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<br />
Quando ho preso in mano per la prima volta "Malaccetto", il nuovo disco di <b>Ugo Cattabiani</b>, mi sono chiesto il significato di quel cuore rosso ferito e medicato con due semplici cerotti incrociati a formare una X. Un cuore ridotto in sofferenza dagli eventi della vita o un simbolo di centralità? Ho provato ascoltando il disco a capire quale di queste due visioni potesse essere quella giusta. La verità, come spesso accade, è proprio al centro, dove appunto è raffigurata la X. Se nella poetica del cantautore parmense si colgono i segni evidenti di una certa disillusione e sofferenza interiore è anche vero che la via d'uscita c'è e la si può trovare nel cuore, nella passione e nella vita stessa. Soprattutto in una sguardo interiore capace di portare ad una riconciliazione con se stessi e ad una ripartenza, magari artistica come appunto in questo caso. "Malaccetto" è un disco estremamente godibile, dal punto di vista prettamente musicale gli arrangiamenti si legano perfettamente ai testi. Siamo di fronte ad un album vivace la cui ricchezza trasmette emozione, al contrario di quello che dicono certi addetti ai lavori nei riguardi della produzione dei giovani cantautori, ma questa è un'altra storia. </div>
<div style="text-align: justify;">
Alla realizzazione del disco hanno collaborato <b>Daniele Morelli</b> (chitarre acustiche), <b>Corrado Caruana</b> (chitarra acustica), <b>Oscar Abelli</b> (batteria), <b>Gabriele Fava</b> (sax), <b>Alessandro Mori</b> (clarinetto), <b>Antonio Menozzi</b> (contrabbasso), <b>Domenico Maisto</b> (pianoforte), <b>Andrea Trevisan</b> (armonica), <b>Maxx Rivara </b>(synth), <b>Federico Del Santo</b> (chitarra elettrica),<b> Giovanna Dazzi</b> e <b>Ross Volta</b> (cori).</div>
<div style="text-align: justify;">
Con Ugo Cattabiani abbiamo parlato naturalmente del disco ma anche di molto altro, a cominciare dall'amicizia con Andrea G. Pinketts che ha collaborato in un episodio del disco. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<br />
<i>Ugo, iniziamo subito dal titolo del tuo nuovo disco, "Malaccetto". Può essere letto in due modi, quale è più aderente al tuo sentire e perché?</i><br />
<br />
«Malaccetto è lo status di chi riceve incornate in un angolo cieco dell'arena, dove lo sguardo del pubblico non può arrivare. Nessun boato, nessuna suspense: sei alle strette, incalzato da te stesso, e capisci di esserti ficcato in un brutto guaio. È, per dirla con Fenoglio, una questione privata. Il cantautore tende a chiudersi nel ghetto dell'autoreferenzialità, e anch'io a un certo punto ho temuto di essermi incastrato da solo. Quando vado nei locali e vedo una band che fa battere il piede alla gente, mi prende l'ansia di aver sbagliato tutto. Ci sono musicisti straordinari in giro, artisti che vivono sull'orlo dell'indigenza per fare quello che sanno fare molto meglio di me. Per un certo periodo ho rifiutato il mio ruolo – quello di chi se la scrive e se la canta – perché mi restituiva la sensazione di essere fuori posto, nel contesto sbagliato. Malaccetto, appunto. Il problema è che non riesco a fare a meno di produrre canzoni: è una questione di sopravvivenza che non ha nulla a che vedere con il sostentamento. Più che di capacità o talento, nel mio caso parlerei di tara. Per questo, nonostante il disagio che mi provoca, vado avanti. Odio questa mia propensione allo psicodramma ma l'accetto».<br />
<br />
<i>Passiamo alla copertina con quel cuore incerottato che colpisce subito l'osservatore. Penso che abbia un significato quel cuore ferito…</i><br />
<br />
«Il cuore incerottato nasce come intuizione di Luca Soncini, artista visivo e pittore parmigiano, uno dei creativi che hanno lavorato alle grafiche del disco (gli altri sono Leonardo Barbarini e Lorenzo Castellan). L'idea di una ferita che non si rimargina, che può solo essere tamponata, mi ha conquistato all'istante. Penso che Soncini abbia sintetizzato e reso evidente il sentimento da cui nasce il testo di "Malaccetto". È una canzone in cui non dico "io" ma "tu": si rivolge a chiunque abbia vissuto un certo tipo di scorno. Un pittore che prova a vivere della propria arte sa di cosa parlo. Vi rimando al sito, pieno di fantastiche visioni, www.lucasoncini.com».<br />
<br />
<i>In una sorta di presentazione che tu fai all'album dici che queste canzoni hanno tamponato alla bell'e meglio l'emorragia. Cosa intendi?</i><br />
<br />
«"Malaccetto" non è un concept; non ho scritto le canzoni con un disegno a priori; eppure la tracklist finisce per raccontare una storia. Ho apportato modifiche ai testi (alcuni riscritti di sana pianta) quando già le registrazioni erano in fase inoltrata, proprio perché mi si stava chiarendo una meta a cui avrei voluto portare tutte e dieci le tracce. Quella meta era ed è il superamento dell'angoscia di girare a vuoto, di sprecare tempo ed energie senza centrare mai l'obiettivo: quello di comunicare col pubblico. L'emorragia è una falla esistenziale che solo la scrittura di nuove canzoni può tentare di tamponare. Il finale con "Bob della Zena" lascia aperto uno spiraglio di riconciliazione con me stesso, come il girotondo felliniano che chiude "8½"».<br />
<br />
<i>Nelle dieci canzoni del disco, o meglio cicatrici come le definisci tu, getti lo sguardo verso un passato pieno di speranze che poteva essere ma che non è stato. Una vena di amarezza affiora nel presente. È così o i miei ascolti serali mi hanno tradito?</i><br />
<br />
«Il fallimento è necessario preludio al senso. L'amarezza per "ciò che non è stato" l'ho superata scrivendo il disco, anche se ogni tanto riaffiora quando suono dal vivo. Forse, alla soglia dei quaranta, accuso un poco di disillusione sulle mie reali capacità di portare avanti questo mestiere. Continuo a farlo perché adoro le persone che lo praticano, persone che non troverei in nessun altro ambito lavorativo. Sai, mi ci vorrebbe un manager, non sono proprio capace di vendermi. I miei cd li regalerei tutti, se potessi. Sono al terzo disco da indipendente e mi spaventa il fatto che potrebbe non essere l'ultimo. Ogni release, stesso copione: dopo un timido arrembaggio che serve da pretesto per ubriacarmi con la ciurma, sfascio il timone e rinuncio alla direzione. Vale la pena, per un piccolo cabotaggio, pagare un prezzo così alto? La risposta è sì, perché non conosco altri modi per procurarmi cicatrici. Si pensa che l'arte possa consentire di superare un certo disagio, restituendo al limite un attestato di nobile sconfitta. Bah! Si cerca sempre di vincere o di convincersi che si è perso ingiustamente. Ciò non toglie nulla all'ambizione di migliorarmi, magari imparando una buona volta a cantare o – più ragionevolmente – a dedicarmi alla scrittura di canzoni per altri».<br />
<br />
<i>E poi sorprendi con questa inaspettata collaborazione con Andrea G. Pinketts nel brano "Mi piace il bar". Come è nata l'idea e cosa ci puoi raccontare del personaggio?</i><br />
<br />
«Pinketts è una vera rockstar. Incarna un sublime menefreghismo verso l'ordine costituito, ma è anche un raffinato gentleman dal galateo impeccabile, un colto uomo di mondo. Il personaggio è tutt'uno con lo scrittore e, nelle meravigliose rare volte che lo frequento, con l'uomo. Il bar è come la nazionale di calcio, Facebook o Sanremo: siamo tutti allenatori, filosofi, esteti, filantropi, amatori, politologi, intenditori di vino e collezionisti di musica. Chi più parla, meno ne sa. Poi ci sono gli agenti sotto copertura: sai, quelli che devono bere per infiltrarsi tra gli alcolisti e smascherare il pesce grosso che traffica in stronzate. E quando dico stronzate intendo proprio stronzate: chi traffica in esistenze fasulle. Pinketts, agente sotto copertura, ha scritto un piccolo grande compendio capace di spazzare via ogni retorica sul bar, costruendo un romanzo sull'unico protagonista possibile in quel contesto: se stesso. Quel libro s'intitola "Mi piace il bar" ed è introdotto da una ballata omonima. Il mio lavoro si è limitato a scovare la colonna sonora sottesa a quei versi. Serviva swing, il rimando agli anni del proibizionismo e al piacere di bere di nascosto, sotto copertura».<br />
<br />
<i>Cosa rappresenta nel tuo immaginario il bar?</i><br />
<br />
«La vita da bar è la vita che guardi e che ti guarda allo specchio oltre il bancone, e se sai leggere con onestà tra i fumi dell'alcol puoi trovarci eroismo e miseria – separati, abbinati o entrambi assenti – ed è inutile vantarti con gli altri avventori perché conta solo quello che pensa di te il barista: l'unico che, se ti dà credito, ti fa credito».<br />
<br />
<i>In "Odette" scrivi ‹Tutto ciò che non mi rende più forte mi uccide›. Qual è il significato di questo verso?</i><br />
<br />
«Odette è un'eroina da romanzo ottocentesco e, come in ogni romanzo ottocentesco che si rispetti, l'eroina – certificata dalla nostra contemporaneità come droga letale – o si uccide o s'insinua mellifluamente nell'organismo di chi la ama, uccidendolo. Ci sono uomini che continuano a vivere nonostante siano stati uccisi, oserei dire sepolti, dalla propria eroina. Il mio intento era di scrivere una canzone su questi uomini inchiodati dalla bellezza e sensualità, incapaci di uscire dal tunnel della dipendenza amorosa, pur sapendo che non saranno mai contraccambiati. Amare è faticoso, perciò a una certa età si tirano i remi in barca: il fisico non regge. C'è un limite oltre il quale non si può andare, in amore, ed è forse meglio non arrivare a sperimentarlo. L'amore scema sia per troppa distanza che per troppa frequentazione. Come conservarlo? Bisognerebbe guardarsi «per la prima volta». Un bel grattacapo. Il più delle volte ci si accontenta di un ricordo struggente, che in ogni caso è preferibile allo smacco dell'amnesia o – peggio – all'indifferenza nei confronti della persona che abbiamo amato alla follia. La forza sta nella capacità di lasciarsi alle spalle un amore senza smarrirne la memoria; nel caso non ci si riesca, una parte di noi è destinata a morire».<br />
<br />
<i>‹Questo tempo ha il maleficio di inchiodarti a dicerie di laide deliranti profezie› è un verso di "Notte d'artificio" che trovo descriva efficacemente un aspetto della società virtuale in cui troppo spesso ci rifugiamo…</i><br />
<br />
«Ti ringrazio per il complimento. Sì, è vero, nel chiacchiericcio virtuale il delirio di una mente disturbata trova altre menti disturbate pronte ad amplificarlo. "Notte d'artificio" l'ho scritta di getto la scorsa estate, dopo l'attentato sul lungomare di Nizza, senza però l'intento di commemorarne la strage bensì come soluzione personale a una profondissima tristezza che mi aveva colpito per tramite di quei fatti. Possibile che certe cose accadano a pochi chilometri di distanza senza che «le onde di uno stesso mare» si tingano di rosso? L'indignazione per un assassinio stupido e inutile mi ha riempito di rabbia ma anche di pietà per la bestia umana che è sempre pronta a dimostrare il suo vizio di fabbrica. La distorsione della realtà permea ogni ambito del quotidiano. Sui social non siamo che un'icona e un nickname, trollati da falsità e faziosità, noi stessi preda di violenza verbale, pedine di un gioco che fingiamo di capire, come i birilli abbattuti da un autista convinto di interpretare "il giusto". Quindi? Quindi il problema è che ci accendiamo come micce al minimo urto contro una provocazione, un insulto, un'insinuazione; siamo carichi di frustrazione, di stanchezza, di incapacità cognitiva, di confusione, di rumore. Non pratichiamo l'ironia o la pratichiamo sugli altri e mai su noi stessi, con poca intelligenza e pochissima empatia. Tanto vale rinunciare ad ogni presente e futura conquista. Spegniamoci, che è meglio, e accettiamo quel poco o nulla che siamo. "Notte d'artificio" nasce come monito a spogliarsi di ogni ardore nel segno dell'onestà intellettuale. L'unica certezza è il dubbio».<br />
<br />
<i>Con "Happy B (ti odio ma l'accetto)" punti il dito contro un certo tipo di spettatori, purtroppo sempre più presenti nei locali italiani…</i><br />
<br />
«Prima di rispondere, lasciami prendere un profondo respiro. Mi è difficile mantenere la calma quando ripenso a certi individui che… oddio, sto cercando di rimuovere quei ricordi. Mi limiterò a dire che ci vuole talento, oltre che bravura, ad impedire che un idiota ti rovini il concerto; d'altronde, si sbaglia in buona fede a fidarsi del tal ingaggio nel tal posto. Bob Dylan, nel suo discorso di ringraziamento per il Nobel, ha dichiarato: «Come artista ho suonato per cinquantamila persone e ho suonato per cinquanta persone, e vi posso dire che è più difficile suonare davanti a cinquanta persone». A parte il fatto che quando suono davanti a cinquanta persone metto un cerchiolino sul calendario (sold out!), non posso che apprezzare questa dichiarazione. Nel mio piccolo ho imparato a dare il massimo in ogni situazione, gettando il cuore oltre l'ostacolo e confidando nell'ispirazione, perché si tratta di far digerire delle novità a gente quantomeno perplessa, spaesata di fronte a uno spettacolo in cui bisogna ascoltare. Sei lì con la chitarra a tracolla, magari c'è un addio al celibato nella sala accanto, tu sei collocato tra il biliardino e la porta del bagno. Devi mostrare prontezza di spirito, replicare con arguzia alle sghignazzate, usare cilindro e bacchetta e insomma essere tetragono ai colpi del destino. Purtroppo c'è la volta in cui inciampi in un brutto presentimento – un presentimento che si autoalimenta sommando una serie di fastidiosi dettagli – finché non arrivi tuo malgrado alla soglia dello scontro fisico. In almeno tre casi ho provato istinti omicidi (l'ultimo dei quali, fedelmente riportato, costituisce il testo di "Happy B"). Credo sia nel diritto del pubblico non apprezzare la tua esibizione e dimostrartelo attraverso un'ostentata indifferenza; ma non è tollerabile giocare al tirassegno col cantautore. In passato, a vent'anni, ero più bravo a incassare: mi dicevo che quella era la gavetta e che prima o poi mi sarei lasciato alle spalle certi contesti. Oggi che ho il doppio degli anni, sono ancora qui che ne parlo».<br />
<br />
<i>Nell'album troviamo anche una tua interpretazione di "Lontano lontano" di Luigi Tenco, ricordato recentemente per i 50 anni dalla sua morte. Cosa rappresenta oggi per voi cantautori Tenco? Credi che il suo messaggio sia ancora al passo con i tempi?</i><br />
<br />
«Tenco è diventato un simbolo di intransigenza artistica ma anche di fragilità, di incomprensione. Non fa bene crogiolarsi nel sentimento di esclusione dal branco, si rischia di scambiare l'isolamento per autenticità; ma non si può negare il fatto che pochi artisti abbiano – come Tenco – le credenziali per essere definiti "veri", sganciati da ogni logica di riscontro mediatico. Credo che la parabola esistenziale e artistica di Luigi Tenco debba far riflettere su cosa la canzone d'autore può ancora essere: un centro di gravità che attrae o respinge a seconda della polarità di chi la pratica. Se non hai le carte in regola, se stai bluffando, verrai respinto. Oggi, più di ieri, è necessario non farsi abbagliare dal confezionamento della musica, dalla perfezione tecnica (peraltro facilmente raggiungibile coi computer sia in studio che dal vivo) e devo ammettere che, salvo rari casi, gli interpreti e i musicisti virtuosi finiscono per annoiarmi. La voce di Tenco, al contrario, ha qualcosa di misterioso che illumina inaspettatamente i testi molto semplici delle sue canzoni. Questa essenzialità è prerogativa di pochi. Ammiro gli artisti semplici ed essenziali, e a loro mi ispiro. Ciò detto, il gusto musicale in 50 anni si è evoluto parecchio e non mi considero un nostalgico del passato. Cerco di vivere la mia epoca anche dal punto di vista delle sonorità, delle nuove tendenze; ma alla fine, senza alcun pregiudizio, tante presunte novità mi lasciano indifferente».<br />
<br />
<i>Quando Tenco è morto tu non eri ancora nato, eppure…</i><br />
<br />
«I cantautori del passato sono quelli che mi intrigano di più, forse perché agivano in un contesto di scontri generazionali e di fermento sociale, con meno risorse e più volontà rispetto ad oggi, e posso solo immaginare quanto l'uscita di un nuovo disco fosse percepita come un "messaggio" da soppesare con attenzione. Sento in certi pezzi dei '60 e '70 un coraggio e una convinzione che oggi ci sogniamo. Anche ingenuità, nel senso migliore del termine. Perché non mi stanco mai di ascoltare Piero Ciampi? Perché Ciampi scriveva i suoi versi in osteria, su tovaglie di carta, poi correva dal fido Gianni Marchetti in RCA per farseli musicare. La cosa straordinaria è che un professionista come Marchetti le musicava sul serio, quelle tovaglie, senza scacciare l'importuno Ciampi. Miracoli di una gestione illuminata targata Ennio Melis».<br />
<br />
<i>Cosa deve accadere perché un evento si traduca in uno stimolo per scrivere una canzone?</i><br />
<br />
«Quando ti abitui a scrivere, sei sempre alla ricerca dello stimolo giusto. Imbratti risme di carta solo per capire che non era lo stimolo giusto. Lo stimolo giusto, però, è già quello che ti fa provare la frustrazione di non riuscirci: se non ci riesci, è perché non stai scavando abbastanza a fondo, non sei ancora sincero con te stesso. Ti accade un evento sconvolgente ma sei bloccato, le parole escono retoriche come le cronache che leggi sui quotidiani locali: significa che non hai ancora elaborato, non hai la giusta prospettiva dei fatti, vedi solo il lato personale e non l'essenza per così dire universale, quella che puoi rileggere a distanza di anni senza provare rammarico per la tua avventatezza».<br />
<br />
<i>Dici che prima o poi scriverai un libro delle cose che ti sono capitate suonando in giro per locali. È proprio così ricca di spunti la vita del cantautore?</i><br />
<br />
«Il libro sulle mie infamie da musicista senza lode lo sto già scrivendo a mente, e si dipana tra ciò che avrei voluto aggiungere ai testi delle canzoni e le canzoni che non sono stato in grado di comporre. La cornice di questa narrazione cerebrale è la mia ventennale esperienza come concertista nei bar (si torna sempre lì) in cui mi sono scontrato con testardi avventori che non si facevano scrupoli a sbeffeggiarmi o, nel caso, a pagarmi un giro. Ho tirato mattina a controbattere a tipi strambi che mi scambiavano per il loro psicologo o il loro migliore amico, e tutto perché mi ero messo sotto i riflettori a cantare cose mie. Sai, a volte penso che per un cantautore il gran gioco della musica sia finalizzato a introdursi nella vita di estranei: stimolarli, stuzzicarli, portarli sul tuo terreno di confronto, dopodiché saranno loro a venirti a cercare mentre ti bevi una birra dopo il concerto. D'altronde è quello che faccio io quando assisto a una performance d'eccezione: dopo l'ultima nota, blocco l'artista e gli srotolo l'elenco delle sensazioni che mi ha fatto provare. In questo senso la vita del cantautore è inversamente proporzionale all'eredità materiale che lascerà: ricchissima». <br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Malaccetto<br />
<b>Artista</b>: Ugo Cattabiani<br />
<b>Etichetta</b>: Rigoletto Records<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Ugo Cattabiani eccetto dove diversamente indicato)<br />
<br />
01. Malaccetto<br />
02. Rosa dei venti<br />
03. Canzone per un fratello<br />
04. Mi piace il bar [<i>Andrea G. Pinketts; Ugo Cattabiani</i>]<br />
05. Odette<br />
06. Lontano lontano [<i>Luigi Tenco</i>]<br />
07. Happy B (ti odio ma l'accetto)<br />
08. Circe<br />
09. Notte d'artificio<br />
10. Bob della Zena<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-15808471992330977152017-01-31T23:52:00.002+01:002017-01-31T23:52:44.027+01:00"A quiet life", il nuovo album dei Sir Rick Bowman<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-QlAq0xjJ1uA/WHQdz4B4aUI/AAAAAAAAcIA/uB4dyqCAZBUmaqKvD1d3dnEhIEdwkE9bACLcB/s1600/a%2Bquiet%2Blife.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://1.bp.blogspot.com/-QlAq0xjJ1uA/WHQdz4B4aUI/AAAAAAAAcIA/uB4dyqCAZBUmaqKvD1d3dnEhIEdwkE9bACLcB/s1600/a%2Bquiet%2Blife.jpeg" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
Si intitola "A quiet life" ed è il secondo disco dei toscani <b>Sir Rick Bowman</b>, band nata nel 2008 e subito protagonista nei locali delle province di Prato e Firenze in formazione semi-acustica. Il gruppo guidato da <b>Riccardo Caliandro</b> (voce e chitarra) ha messo in evidenza, fin da subito, una spiccata predilezione per la musica inglese, in particolare per il britpop. Progressivamente, al nucleo originario si sono aggiunti altri musicisti che hanno dato maggiore respiro al progetto e dopo alcuni Ep, la band ha pubblicato nel 2013 il primo disco autoprodotto dal titolo "Shades of the queue" con sonorità che hanno abbracciato anche il rock e l'elettronica. Archiviato il primo capitolo discografico, i Sir Rick Bowman sono tornati al lavoro e nei mesi scorsi hanno dato alle stampe "A quiet life", album che è stato registrato all'Ep Sop Recording Studio di Sesto Fiorentino e al The Carlos Room di Prato. Il lavoro è stato poi mixato e masterizzato da Leo Magnolfi. Diverse le influenze che si possono cogliere nelle tracce che compongono il disco e la predilezione verso certe sonorità britpop ha lasciato spazio a marcati accenni di psichedelia, rock, blues e naturalmente elettronica. Il disco, molto vario musicalmente e ben costruito, ha rappresentato un deciso passo in avanti nella maturazione artistica di questo interessante gruppo di cui fanno parte, oltre a Caliandro, <b>Andrea
Fabio Fattori</b> (chitarra solista), <b>Francesco Battaglia</b> (basso, cori),
<b>Giacomo Di Filippo</b> (tastiere), <b>Emanuele Pagliai</b> (batteria). </div>
<div style="text-align: justify;">
Della speranza di "una vita tranquilla" ne abbiamo parlato con Riccardo Caliandro. </div>
<br />
<br />
<br />
<i>Dopo "Shades of the queue" del 2013, avete dato alle stampe il vostro secondo disco, "A quiet life". Qual è il motivo che vi ha spinto a farlo?</i><br />
<br />
«"Shades of the queue" è un disco che abbiamo suonato molto, quasi troppo, e che racchiude il percorso evolutivo - e moltiplicativo - della band fino al 2013. Non c'è una ragione in particolare per il secondo, "A quiet life", - a parte i contratti milionari da rispettare (<i>ride</i>) - se non la voglia di fare altro, di dar forma a ciò che in modo naturale ha continuato a traboccare dagli strumenti. Abbiamo quindi cercato di mettere tutti e cinque gli occhi dietro l'obiettivo, per immortalare un momento di passaggio, personale e generazionale, come quello dei trent'anni. O venticinque, o trentacinque, in ogni caso quella traversata verso "A quiet life"».<br />
<br />
<i>La vostra bussola musicale punta verso il britpop anche se non mancano chiari riferimenti verso la psichedelia, il folk, il blues. Ritieni che il britpop abbia ancora qualcosa da dire?</i><br />
<br />
«Ci capita spesso di essere associati al britpop: niente di personale verso il genere, il 20% della band ci è anche cresciuto, ma siamo abbastanza convinti che - soprattutto in questo disco - ci sia psichedelia, blues, rock'n'roll, folk, elettronica; forse il gusto per la melodia che a volte frettolosamente si etichetta come britpop fa da collante di base ma se cantassimo in italiano, che etichetta ci verrebbe cucita addosso? Il britpop tornerà di moda forse tra cinque, sei anni, ma in questo momento sembra assumere un'accezione restrittiva, quasi negativa, quando usato. Noi crediamo - e chi scende nelle profondità della nostra musica lo sente - di far molto di più».<br />
<br />
<i>Quali sono i gruppi che pensate possano avervi maggiormente influenzato?</i><br />
<br />
«Ne potremmo citare molti. Ho iniziato a scrivere canzoni a otto anni, insieme a mia sorella Valeria (oggi la cantautrice Vilrouge) e allora - anche se di difficile percezione - le influenze erano gli ascolti in casa dei nostri genitori, dai classici italiani, fino ai Pink Floyd. Sono loro i primi in senso cronologico: lì si è determinato l'orientamento verso la musica anglosassone, o almeno credo. C'è poi chi di noi è cresciuto con i grandi chitarristi, il blues, i Led Zeppelin, il rock, gli anni '80, il pop, - quello fatto bene - ma anche la psichedelia, l'elettronica, il folk. ‹Ne potremmo citare molti› avevo detto, ma è più bello parlare per suggestioni».<br />
<br />
<i>Da dove deriva il nome del vostro gruppo?</i><br />
<br />
«È una lunga, lunga storia. "Sir", è frutto della mente geniale di un mio caro amico, che cominciò a chiamarmi così molti anni fa per via dei modi regali che mi contraddistinguevano all'epoca. "Rick", facile. "Bowman", dedicato a Dave Bowman, protagonista di uno dei film più influenti per la sua unicità, "2001 Odissea nello Spazio". Prima ero da solo, e poi siamo diventati la band, 'i' Sir Rick Bowman. Non è poi così lunga come storia».<br />
<br />
<i>Chi sono i Sir Rick Bowman e da dove vengono?</i><br />
<br />
«I Sir Rick Bowman si sviluppano a partire dal 2008, quando l'allora nucleo originale (chitarra, basso, batteria) inizia ad affacciarsi sui palchi delle province di Prato e Firenze in forma semi-acustica, arruolando progressivamente musicisti (seconda chitarra, piano) in grado di esprimere e dare vita ad un progetto che già dalle prime intenzioni sembra dover acquisire un respiro più ampio. Dopo alcuni avvicendamenti, arrivano alla formazione attuale».<br />
<br />
<i>Siete tutti intorno ai trent'anni, in un verso o nell'altro sono gli anni della svolta, delle grandi decisioni. Come li state affrontando a livello artistico?</i><br />
<br />
«Scrivendo "A quiet life". Abbiamo sentito la necessità di immortalare un momento di passaggio che in ogni caso non tornerà, ma facendolo con la consapevolezza di chi sa che una fase della vita sta per passare lasciandosi dietro gioie e dolori. Niente di tragico, s'intende, ma per sfiorare l'aulico vorrei affermare che ci siamo messi a sedere e ci siamo fatti un autoscatto col timer a dieci secondi o forse più, anziché un banale selfie».<br />
<br />
<i>"440 or this thorn in the side" getta una luce nostalgica sugli anni che passano. Ci spieghi questa canzone.</i><br />
<br />
«Come dicevo prima, il disco è un percorso attraverso varie fasi di analisi di ciò che si è (stati), e in questa ballata a metà tra gli Smiths e non so cosa, abbiamo voluto disegnare un ragazzo che si ritrova per caso in un luogo legato alla sua gioventù - un campo di calcio? - e, paralizzato dall'improvvisa percezione dello scorrere del tempo, è investito da un turbinio di emozioni e ricordi che quotidianamente lascia da parte».<br />
<br />
<i>"1937" ha un testo ermetico e la voce è usata quasi fosse uno strumento. Un brano onirico...</i><br />
<br />
«Assolutamente d'accordo. La dimensione onirica riveste un'importanza decisiva nel nostro modo di scrivere musica. In "1937" il testo è ungarettiano anche per le luci e le ombre che getta su frammenti di guerra passata e futura; a supporto, un groove asciutto e tribale mescolato a synth eterei, profondi. Psichedelia ristretta».<br />
<br />
<i>"Hurry & fall" è un pezzo che strizza l'occhio al folk suonato con accordature aperte, cori e armonizzazioni molto interessanti…</i><br />
<br />
«E poi c'è il folk. Il caro vecchio folk, le accordature aperte, andare 'da un'altra parte'. "Hurry & fall" nasce acustica, cruda, per vestirsi poi degnamente dell'abito dato nel disco. Ci siamo divertiti ad armonizzare con le voci, ad incrociare le chitarre... Ne è venuto fuori un bel pezzo, uno dei molti non riconducibili ad un'unica influenza, e forse più U.S.A. che U.K.».<br />
<br />
<i>Questo a confermare l'eterogeneità del disco che rispecchia un po' i vostri differenti gusti e background…</i><br />
<br />
«Ognuno di noi ha uno o più punti di contatto con un altro membro della band, ma forse non c'è davvero continuità tra i gusti di tutti, e questo finisce per manifestarsi nel substrato del disco. Ecco il punto di arrivo: un disco eterogeneo e organico, tortuoso e talvolta angolare, ma che non si spezza mai».<br />
<br />
<i>L'album si chiude con "Black horizon", una canzone che si discosta un po' da quelle precedenti. È un capitolo di questo disco o può essere considerato un punto di partenza per un prossimo progetto?</i><br />
<br />
«Curiamo molto la tracklist dei nostri dischi. Per "A quiet life" ognuno di noi ha buttato giù una proposta, e poi le abbiamo incrociate. "Black horizon" meritava la chiusura, chiude perfettamente il cerchio: è una canzone sospesa tra la parte più scura degli anni '80 e le suite dei '70, con una lunga coda onirica in crescendo che fa da contraltare all'andamento asciutto dei primi minuti. Gli ultimi tre accordi disegnano volutamente un finale aperto, rimettendo alla soggettività dell'individuo qualsiasi giudizio sulla 'vita tranquilla'. In ogni caso, non sappiamo ancora se sarà il punto di partenza per il disco che verrà, le prossime session ci diranno in che direzione incamminarci, abbiamo già qualche idea».<br />
<br />
<i>Avete ancora qualcosa nel cassetto delle session che hanno dato vita al disco?</i><br />
<br />
«Tra mutande e calzini qualcosa troviamo sempre. Ci piace molto improvvisare e abbiamo alcune versioni embrionali di potenziali pezzi giusti: se avranno un futuro o meno dipenderà anche dall'inclinazione che daremo al prossimo album».<br />
<br />
<i>Qual è la canzone che ritenete sia cresciuta maggiormente dopo il lavoro in studio?</i><br />
<br />
«Il lavoro all'El Sop con <b>Leo Magnolfi</b> ha fatto crescere tutti i pezzi. Siamo arrivati in studio con molte idee chiare (come al solito), ma la collaborazione con Leo è stata un'esperienza davvero costruttiva: siamo riusciti a dare calore e profondità, a plasmare i suoni, tutte le tracce sono migliorate sensibilmente, ognuna per un aspetto diverso. Ci siamo trovati bene a livello umano ed artistico, e le cose sono venute da sé. In definitiva, siamo soddisfatti del sound raggiunto in "A quiet life", ma non è il caso di fermarsi: vogliamo proseguire con la ricerca, non rimanere parcheggiati nella comfort zone, non ripetere ciò che riteniamo di saper fare». <br />
<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: A Quiet Life<br />
<b>Gruppo</b>: Sir Rick Bowman<br />
<b>Etichetta</b>: New Model Label<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Riccardo Caliandro)<br />
<br />
01. Otis<br />
02. Tip of the tongue<br />
03. His man<br />
04. A quiet life<br />
05. 1937<br />
06. Hurry & fall<br />
07. The A. of Spencer Dwight<br />
08. 440 or this thorn in the side<br />
09. Youth<br />
10. Seawolf<br />
11. Black horizon<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dyVWeTp0dSGQbX6FQj_RqqbCUeb8lRq5_qhe2R4zUmYxG156ZA0Ie7J-c7qhM1IWNpjLfNLwCKSROX91_9k7Q' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-88835411552081123512017-01-25T14:10:00.000+01:002017-01-25T14:10:13.367+01:00Giacomo Marighelli racconta "Il cerchio della vita"<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-8-Wo--wbVmU/WG5jGXLTaZI/AAAAAAAAcHQ/1RjuZf4LLEcoasE8u8A_nwjW9CngBS3eACLcB/s1600/marighelli.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-8-Wo--wbVmU/WG5jGXLTaZI/AAAAAAAAcHQ/1RjuZf4LLEcoasE8u8A_nwjW9CngBS3eACLcB/s320/marighelli.jpeg" width="320" /></a></div>
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A pochi mesi dall'uscita di "Del movimento dei cieli", album scritto insieme a Friedrich Cané, <b>Giacomo Marighelli</b> è tornato in sala di registrazione per dare vita al primo disco a suo nome dopo i tre pubblicati con lo pseudonimo di Margaret Lee e quello a nome Vuoto Pneumatico. "Il cerchio della vita" è una esperienza creativa a tutto tondo. Si tratta di un disco solista che ha visto il cantautore ferrarese scrivere e cantare le canzoni, suonare le chitarre elettriche e acustiche e inserire suoni e rumori. Unico ospite, peraltro limitato al solo brano "L'angelo dalle mani di tela", è <b>Massimo Menotti</b>, fresco collaboratore di Philip Glass, che ha arricchito la canzone con arpeggi di chitarra. "Il cerchio della vita" è un disco essenziale, nato da una produzione "in togliere", in cui Marighelli si espone senza filtro e maschere e che esprime appieno le potenzialità di questo artista, capace di legare musica e poesia in un intreccio indissolubile. L'amore in tutte le sue possibili manifestazioni e realizzazioni è il filo conduttore delle undici tracce che compongo l'album. L'amore non come rapporto a due, o non solo, ma come fondamento del tutto e fonte di energia universale, in grado di genera una coscienza individuale e poi una coscienza dell'umanità. Marighelli, appassionato di tarologia e metagenealogia, parte da storie d'amore, anche dolorose, per poi arrivare sempre all'aspetto positivo di ciò che si è realmente. Con questo disco, nato in un casolare isolato tra le cicale e i grilli nella torrida estate del 2015, Marighelli si conferma artista di prim'ordine del panorama indipendente, sempre pronto a stupire, come in questo caso. </div>
Con lui abbiamo approfondito il discorso su "Il cerchio della vita".<i> </i><br />
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<i>Giacomo, ci risentiamo a distanza di un anno esatto. In quell'occasione parlammo di "Del movimento dei cieli", disco scritto insieme a Friedrich Cané, oggi abbiamo in mano invece "Il cerchio della vita", il primo album a tuo nome pubblicato poche settimane fa. Cosa è successo in questo anno per spingerti a produrre questo nuovo disco?</i><br />
<br />
«Semplicemente sentivo l'energia e la creatività per produrre questo lavoro solista. È dal 2013 che ogni anno tra collaborazioni o altro pubblico un album (Margaret Lee, Vuoto Pneumatico e appunto con Friedrich Cané), quindi potremmo dire che è la normalità se dovessi mantenere questi ritmi».<br />
<br />
<i>Quanto hai portato con te dall'esperienza musicale con Cané e cosa vi troviamo nel nuovo disco?</i><br />
<br />
«Senz'altro l'esperienza di creare un'opera si imprime nelle profondità del proprio inconscio, con conseguente crescita artistica. Già con Cané ho iniziato a scrivere testi inerenti l'amore, ma non l'amore di coppia banale e classico come spesso si confonde; ma l'amore che serve per sviluppare l'umanità, la coscienza delle persone, l'amore di cui siamo composti naturalmente».<br />
<br />
<i>Ancora una volta i testi hanno un ruolo di primo piano nel progetto. Ti senti più poeta o musicista?</i><br />
<br />
«Non mi sento un bel niente, cerco costantemente di essere me stesso e autentico, quindi di conseguenza esprimerlo nella realtà. Cerco di essere poesia e musica in tutto ciò che faccio».<br />
<br />
<i>Per quanto riguarda la musica ti sei limitato a suonare le chitarre e a inserire suoni. Hai creato tappeti sonori su cui innestare le parole…</i><br />
<br />
«Diciamo che nascevano assieme; non mi reputo un virtuoso della chitarra nonostante io abbia seguito svariati ottimi maestri da quando avevo 11 anni. Non mi è mai interessato imparare determinate cose, preferisco farle fare agli altri. Ho cercato di creare ciò che secondo me mancava come sonorità nel mondo, dalle parole alla musica, attraverso il mio piacere».<br />
<br />
<i>L'unico musicista che troviamo tra i crediti è Massimo Menotti che ha suonato la chitarra nella canzone "L'angelo dalle mani di tela"…</i><br />
<br />
«Mi sarebbe piaciuto ci fossero anche altri musicisti, ma purtroppo alcuni erano impegnati e altri non disponibili per collaborazioni. Massimo è un'ottima persona e musicista, ha di recente pubblicato un disco per Philip Glass ("Minimalist Guitar Music")».<br />
<br />
<i>Nelle undici tracce del disco l'amore è elemento predominante. Credi che sia la pietra angolare dell'universo?</i><br />
<br />
«L'amore è ciò di cui siamo composti noi esseri umani, nella nostra essenza; quando indossiamo maschere andiamo disperdendoci, portandoci appresso nodi e nevrosi familiari che, senza neppure saperlo, ci impediscono di vivere realmente chi siamo. Questo disco ha lo scopo di sviluppare l'amore nell'ascoltatore. Una volta mi è capitata un persona avvolta dal nodo sadomasochistico che ha ascoltato un brano ("Mentre tu mi cerchi") e pochi secondi dall'inizio ha incominciato ad urlare dicendo che le era venuta la tachicardia, che non poteva proseguire perché stava male: riscoprire l'amore per lei era troppo, il che significava sciogliere il nodo di sofferenza da cui era avvolta e quindi eliminare dalla vita una parte della sua personalità a cui tanto era legata».<br />
<br />
<i>Quale aspetto dell'amore che tu canti è più difficile da affrontare?</i><br />
<br />
«Non credo ci sia un aspetto più difficile da affrontare, credo sia importante entrare sempre più dentro se stessi per sapere chi siamo, cosa vogliamo, lasciando da parte l'ego e facendo parlare la nostra essenza, il cosiddetto essere essenziale».<br />
<br />
<i>L'amore è allo stesso tempo anche dolore, da cui si genera una successiva evoluzione…</i><br />
<br />
«Il dolore è necessario per crescere e svilupparci, ma attenzione da non confonderlo con la sofferenza, ovvero dolore mantenuto vivo nel tempo. In questo caso si parlerebbe di nodo sadomasochistico (uno dei sei principali nodi che le persone hanno impedendo loro di vivere pienamente la loro vita). Se si impara che tutto è effimero, tutto è una ciclicità senza fine, automaticamente il presente diventa immenso e infinito».<br />
<br />
<i>Su un lato della copertina si legge "Questo disco ha lo scopo di sviluppare l'Amore nell'ascoltatore". Sei proprio convinto che la musica riesca ad ottenere questi risultati prodigiosi?</i><br />
<br />
«Come raccontavo prima, ho avuto varie conferme, di cui positive, con persone che utilizzano il disco nei momenti di buio e necessità di energie benefiche. Io ci ho messo questa intenzione; senz'altro ci sono persone più brave di me in questo, anche attraverso strumenti ancestrali, frequenze benefiche, hang, musiche rilassanti, ognuno con effetti differenti (chi l'amore, chi il rilassamento, chi il benessere). La musica, come tutte le forme artistiche e creative, raggiunge ottimi risultati».<br />
<br />
<i>Quanto c'è di personale in quello che canti?</i><br />
<br />
«Di personale c'è praticamente tutto trasformato però al transpersonale, quindi lasciandomi avvolgere da ciò che mi circonda, ciò che vedo, le storie degli altri».<br />
<br />
<i>Se le undici tracce del disco dovessero essere rappresentate in uno spettacolo teatrale come te lo immagineresti?</i><br />
<br />
«Pieno di colori con onde magnetiche visibili agli occhi, ma anziché essere onde magnetiche sono onde benefiche. Quarzi e pietre che compongono lo sfondo, una sfera immensa a volte nera a volte luminosa, quando nera dentro compare l'elettricità che scorre come fulmini. Poi in tridimensionalità lo sfondo della città, di un treno, delle nuvole, poi del mare, poi la luna; infine lasciare che gli spettatori vadano nel palcoscenico e si ritrovino avvolti in una scatola, scoprendo di essere loro i protagonisti e che la scatola oltre a loro contiene le stelle e tutto l'universo, fino a dissolversi e lasciare il pubblico tra le comete, sempre tutto nella tridimensionalità».<i> </i><br />
<br />
<i>Mi ha fatto pensare la copertina del disco. Quattro mani rosse con altrettanti insetti sulle dita e fiori che hanno perso il loro colore naturale e sono risucchiati in questo vortice. Una visione quasi post-atomica…</i><br />
<br />
«Cosa c'è di più atomico che dell'energia delle persone, della loro passione. La bellezza che si trasforma nell'unione degli esseri umani. Non a caso il motore degli umani è il centro energetico sessuale/creativo, come lo chiamo io centro Azione».<br />
<br />
<i>Quale sarà il tuo prossimo passo?</i><br />
<br />
«Prossimo passo non lo so, in questo momento mi sto dedicando molto ai tarocchi e alla metagenealogia; tarocchi usati non per predire il futuro ma per comprendere meglio certi aspetti sui quali vogliamo indagare della nostra vita e la metagenealogia è lo studio dell'albero genealogico il quale serve per conoscersi meglio, andare alla radice del problema e permetterci di sciogliere i nodi e le nevrosi in noi. Nella musica per ora non ho progetti, vorrei pubblicare il mio romanzo e potrebbe essere che ne farò un filmbook, una sorta di audiobook ma con le musiche e ruoli degli attori/declamatori. Non so, tutto è in procinto di definizione».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Il cerchio della vita<br />
<b>Artista</b>: Giacomo Marighelli<br />
<b>Etichetta</b>: La cantina appena sotto la vita<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Giacomo Marighelli)<br />
<br />
01. Avrei voluto masticare il tuo cuore<br />
02. Sei tu quella che aspettavo da tempo?<br />
03. D'amore si vive<br />
04. Mentre tu mi cerchi<br />
05. Le cose cambiano<br />
06. L'angelo dalle mani di tela<br />
07. Il grillo che fischia<br />
08. In solitudine<br />
09. Il dio denaro<br />
10. Il cerchio della vita<br />
11. La ragazza invisibile (<i>bonus track</i>)<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-24913025755222747772017-01-12T14:51:00.000+01:002017-01-12T14:51:21.852+01:00Con stupore Le3Corde esclamano "Na!?"<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-mrrhFOa1kOk/WE69aHrZNAI/AAAAAAAAcEs/Li0K42vQOaQvwsMO2PLD63fcpFw3XEBjwCLcB/s1600/le3corde.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://3.bp.blogspot.com/-mrrhFOa1kOk/WE69aHrZNAI/AAAAAAAAcEs/Li0K42vQOaQvwsMO2PLD63fcpFw3XEBjwCLcB/s1600/le3corde.jpeg" /></a></div>
<br />
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<div style="text-align: justify;">
Canzone d'autore, impegno civile, poesia e passione. Sono questi gli ingredienti di "Na!?", disco pubblicato da <b>Le3Corde</b>, gruppo tarantino nato nel 2008 dall'incontro tra la cantante e chitarrista <b>Giù Di Meo</b> e il bassista <b>Alessandro Martina</b>. Dopo aver dedicato attenzione verso i grandi cantautori italiani, il duo ha iniziato nel 2011 a lavorare a composizioni originali e ha pubblicato un cd demo. L'ingresso nel gruppo del batterista <b>Maurizio Casciabanca</b> nel 2014 ha dato slancio al progetto e due anni dopo ha visto la luce "Na!?", pubblicato per l'etichetta ferrarese New Model Label. Il disco d'esordio contiene sette canzoni originali, più una bella cover di "Ma che freddo fa", indimenticabile brano portato al successo da Nada. È musica legata alla tradizione cantautorale quella proposta da Le3Corde, ma è anche pop ricco di contenuti e significati. Una parte importante del lavoro è stato riservato ai testi che affrontano problemi attuali come la mancanza di lavoro, la politica che ha sporcato l'Italia, il futuro che si deve regalare ai figli e alla possibilità di scegliere senza per questo venir discriminati, e di eroi morti che ancora oggi sono un simbolo e una guida per molti giovani. Ma le canzoni che compongono il disco sono anche un invito a stupirsi della bellezza, delle ingiustizie e dei momenti felici. Per gli autori le canzoni devono essere anche uno sprone a non mollare e a dire no con la forza dell'intelligenza e non della violenza. Una rivoluzione fatta con il sorriso nella speranza di stupire e lasciarsi stupire anche in una città come Taranto. "Na!?" è un lavoro che merita di essere apprezzato e soprattutto ascoltato con attenzione. <br />Con i componenti del gruppo abbiamo parlato di questo disco che ha fatto parte delle cinquanta opere in lizza per la Targa Tenco 2016 nella categoria “Opera prima”. </div>
<br />
<br />
<br />
<i>Perché avete deciso di chiamarvi "Le3corde" come il titolo del monologo de "Il berretto a sonagli" di Luigi Pirandello?</i><br />
<br />
«La scelta del nome della band nasce dalla passione per il teatro e, in particolar modo, per le commedie di Eduardo De Filippo, il quale ha egregiamente interpretato "Il berretto a sonagli" di Pirandello. Nessun altro nome avrebbe potuto spiegarci con semplicità; le tre corde della mente... chi non ce l'ha?».<br />
<br />
<i>Cosa rappresenta per voi quella commedia, interpretata magistralmente da Eduardo De Filippo?</i><br />
<br />
«La commedia rappresenta sicuramente quella scissione che poi è alla base della vita: il conflitto fra forma e vita, fra finzione e verità. Ancora una volta il giudizio ritorna prepotente, come nella vita di tutti noi, e la pazzia diviene espediente per scansare la triste realtà. Uno scudo, un rifugio è la pazzia un po' come le arti in generale. D'altronde un po' come la musica, ci si rifugia e ci si trova conforto, ci si accuccia fra le note, ognuno per un motivo, ma pur sempre per sfuggire da qualcosa».<br />
<br />
<i>Chi di voi è la corda civile, chi la corda seria e chi la corda pazza?</i><br />
<br />
«Nessuno di noi rappresenta a pieno una corda sola; diciamo che ognuno di noi è uno e trino. Ogni corda la giriamo nel momento del bisogno, appunto per affrontare e/o sfuggire da qualcosa».<br />
<br />
<i>Avete intitolato il vostro disco "Na!?", mi spiegate cosa significa?</i><br />
<br />
«È una tipica espressione tarantina che rimanda allo stupore. Con il "Na!?" invitiamo a stupirsi ancora della bellezza, delle ingiustizie e dei momenti felici. Nulla deve essere dato per scontato ed il "Na!?" vuole racchiudere, con un velato omaggio alla nostra città, un invito a non mollare, a chiedersi il perché delle cose, a chiedere per sapere».<br />
<br />
<i>Con le vostre canzoni affrontate temi molto attuali. Cosa volete comunicare?</i><br />
<br />
«Le tematiche trattate sono diverse e, anche se apparentemente lontane, hanno come filo conduttore la bellezza del dire "No", la forza di opporsi con intelligenza e non con violenza, la voglia di rivoluzione gentile. L'augurio è sempre quello di stupire e lasciarsi stupire».<br />
<br />
<i>Nel testo della canzone "Di sana e robusta costituzione" troviamo il verso ‹il popolo non l'ha mai capita oppure il popolo l'ha dimenticata›. La recente consultazione referendaria smentisce questa affermazione. Cosa ne pensate?</i><br />
<br />
«Probabilmente la smentisce in parte... il giorno dopo il referendum nell'autobus (che è l'anima sociale e politica della città) parecchia gente sosteneva di aver votato NO solo perché Renzi aveva fatto arrivare parecchi immigrati in città. Questo allora merita o no un bel "NA!?" di stupore? Peccato che il risultato non vada spesso di pari passo con la determinazione e la conoscenza. Però noi continuiamo a stupirci... chissà, un domani lo potremmo fare in positivo!».<br />
<br />
<i>Il partigiano voleva ‹uno stato dal volto umano› e la società d'oggi cosa vuole?</i><br />
<br />
«La società di oggi vuole una guida, una grande fiducia da perseguire, un modello a cui rifarsi, ma non per imitazione o profitto, ma per convinzione. Si è persa la convinzione, sì, la parte più bella di una persona. Quello che chiamiamo "carattere", quella parte che freme e che parla, canta, suona, balla quando è convinto. Si è perso il gusto del personale, ma il nostro "NA!?" è ancora una volta un invito a stupirsi in positivo anche su questo concetto».<br />
<br />
<i>Altro tema caldo, quello di scegliere di non battezzare il figlio senza per questo essere bersaglio di critiche, in "Signor Buonasperanza"…</i><br />
<br />
«Brano che prende spunto dall'ultima commedia di De Filippo, ‹Gli esami non finiscono mai›. Una vita sotto esame, sotto giudizio, una vita da "contratto", per poi rendersi conto che le verità nascono altrove. Come la fede, quella verace, pura, sincera, nasce dal basso, dalla gente che incontriamo per strada, tutti i giorni. Un brano che dice "NO" e "NA!?" al tempo stesso; se da un lato colpevolizza certi atteggiamenti, dall'altro si stupisce di ciò che poi è veramente una fede, una dedizione, un amore verso un figlio. La scelta, alla base di ogni vita, è lo stupore più bello che si possa regalare».<br />
<br />
<i>Peppino Impastato è il protagonista, seppure mai citato esplicitamente di "A.N.N.A."…</i><br />
<br />
«L'acrostico è chiaro, i colori e i sapori di questo brano sono chiari, non era necessario cantare il nome di Peppino. ‹Non se lo sono scordati a Peppino› dice Felicia Impastato nel film "I cento passi", e nessuno mai potrà farlo. Poi crediamo che non sia necessario spiegare sempre tutto, ognuno girando le sue corde della mente potrà interpretare, stupirsi e assorbire tutto ciò di cui avrà bisogno».<br />
<br />
<i>In "Autunno" cantate di un vento bugiardo che ha indotto all'inganno. Cosa rappresenta questo testo?</i><br />
<br />
«Questo è il brano del tradimento; la musica, come abbiamo scritto prima, diventa sfogo e rifugio. Abbiamo immaginato come ci si possa sentire in quella condizione; la contraddizione fa sempre da padrona: il ritmo allegrotto e incalzante che tiene testa alle parole struggenti se immaginate senza musica. L'abbandono non è mai abbandono totale, qualcosa rimane. Certo, il vento nella vita soffia sempre, a volte molto forte, altre volte un po' meno, ma quella radice, quella piccola radice che rimane incollata alla base potrà stupire ancora una volta. E allora l'autunno che passi pure, per dare spazio ad altre nuove stagioni».<br />
<br />
<i>In passato la musica era un potente mezzo di comunicazione, ritenete che abbia mantenuto la stessa forza?</i><br />
<br />
«La musica era, è e sarà sempre un potente mezzo di comunicazione. Non crediamo di poter aggiungere altro».<br />
<br />
<i>Il disco si chiude con una bella cover di "Ma che freddo fa" di Nada. Perché questa scelta?</i><br />
<br />
«Nada è un'artista che ci piace molto, fresca, dal carattere tosto e deciso; questo brano lo portiamo spesso durante i live e, un po' come portafortuna, lo abbiamo inserito nell'album, anche per non rinnegare le nostre origini di interpreti di altri artisti famosi».<br />
<br />
<i>Che cosa ha significato per voi essere entrati con "Na!?" tra i dischi candidati alle Targhe Tenco?</i><br />
<br />
«"NA!?" abbiamo detto quando Govind Khurana della New Mobel Label ce l'ha comunicato. Una bella soddisfazione, una bella sorpresa. Siamo stati contentissimi di poter essere stati ascoltati e inseriti nei cinquanta artisti candidati alla Targa Tenco. Andremo sempre avanti, nonostante le mille avversità della vita di tutti i giorni, Le3corde risuoneranno ancor. D'altronde... se son corde gireranno».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Na!?<br />
<b>Gruppo</b>: Le3Corde<br />
<b>Etichetta</b>: New Model Label<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche Le3Corde, eccetto dove diversamente indicato)<b> </b><br />
<br />
01. Non è vero<br />
02. A.N.N.A.<br />
03. Di sana e robusta costituzione<br />
04. Il mondo<br />
05. Signor Buonasperanza<br />
06. Le tre corde (II)<br />
07. Autunno<br />
08. Ma che freddo fa [<i>Mattone, Migliacci</i>]<br />
<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/Cp_ScAfzuzM/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/Cp_ScAfzuzM?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-78555704201410242542016-12-29T15:30:00.000+01:002016-12-29T15:35:14.368+01:00Mauro Pinzone, una "Foto sintesi" di emozioni<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-hVNkcgH2A3Y/WFvCqLkYkSI/AAAAAAAAcFs/86EorNzjXawGUGgOmiZt0X1BgAWON7iwwCLcB/s1600/senza%2Btitolo-1649.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-hVNkcgH2A3Y/WFvCqLkYkSI/AAAAAAAAcFs/86EorNzjXawGUGgOmiZt0X1BgAWON7iwwCLcB/s320/senza%2Btitolo-1649.jpg" width="317" /></a></div>
<br />
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Tutte le volte che incontro <b>Mauro Pinzone</b> si finisce per parlare piacevolmente di musica e uno degli argomenti centrali degli ultimi mesi è stato il suo nuovo album. Pubblicato in questi giorni, "Foto sintesi" ha richiesto un lungo periodo di gestazione, tra accelerate, rallentamenti, cambi di direzione. Alla fine il prodotto è stato dato alle stampe e oggi abbiamo in mano, finalmente, un disco sincero, onesto, emozionante, con canzoni scritte ottimamente e suonate altrettanto bene che esprimono la visione del mondo e gli stati d'animo del cantautore ingauno. Un lavoro eterogeneo che abbraccia vari generi, dal jazz-rock alla progressive, dal classico cantautorale fino a qualche sentore new age. Il disco è composto da dieci canzoni inedite e due estratti di uno spettacolo di teatro canzone, "Punti di (s)vista", scritto e interpretato da <b>Roberto Bani</b> con le musiche di Pinzone. <br />
Mauro Pinzone è personaggio noto nell'ambiente musicale ligure. Nel corso della sua carriera ha intrecciato la sua chitarra con molti colleghi. È stato impegnato in diversi progetti a partire dai Pensieri Compressi che hanno lasciato l'impronta con l'ottimo album d'esordio, fino ad arrivare alla band multietnica degli Afka'r. Alcuni di questi compagni di viaggio Pinzone li ha voluti al suo fianco anche nel suo ambizioso progetto solista. Hanno contribuito alla realizzazione di "Foto sintesi" alcuni dei musicisti più apprezzati della scena savonese: <b>Maurizio De Palo</b> alla batteria, <b>Federico Fugassa</b> al basso e contrabbasso, <b>Mohamed Ben Hamouda</b> alle percussioni, <b>Claudio Bellato</b> alle chitarre, <b>Fabio Biale</b> al violino, <b>Davide Baglietto</b> al flauto e alla cornamusa, <b>Emanuele Gianeri</b> alle tastiere, <b>Giovanni Amelotti </b>alle tastiere e all'oboe. Una citazione a parte la merita <b>Alessandro Mazzitelli</b> che ha registrato e mixato il disco, oltre ad aver suonato le tastiere e inserito effetti sonori. <br />
Con Mauro abbiamo parlato del suo nuovo lavoro, del significato delle sue canzoni e della scena musicale savonese. </div>
<br />
<br />
<br />
<i>Mauro, iniziamo dal titolo del tuo nuovo disco "Foto sintesi". Qual è il suo significato?</i><br />
<br />
«Quando scrivo una canzone cerco di descrivere delle sensazioni, mi piace pensare che un brano possa farti sentire dei profumi, evocare delle immagini. Mi piace pensare che chi ascolta personalizzi queste sensazioni, trasformandole in veloci fermo immagine, come se fossero delle fotografie. "Foto sintesi" è, appunto, la sintesi di questo pensiero».<br />
<br />
<i>Da dove arrivano queste dieci canzoni?</i><br />
<br />
«Ovviamente ciascuna di esse ha una storia ben precisa ma sono tutte canzoni scritte nell'arco degli ultimi tre anni e quasi sempre nello spazio di qualche ora. Amo pensare che quando scrivo un testo ci sia una sorta di anima guida che mi ispiri. La musica viene sempre in un secondo tempo. Mi piacciono gli accordi "aperti" e i "rivolti". Alcune sono state scritte su "commissione", come "Donne soprappensiero" per una manifestazione sulla donna tenuta l'otto marzo, e "Stella", scritta per un concerto tenuto la notte di San Lorenzo (un modesto regalo ad Alberto "Il Cala" Calandriello), combinazione entrambi i concerti si tennero a Bardino. "Riflessi" e "Segreti" rappresentano più degli stati d'animo, delle visioni temporali e umorali in libertà…».<br />
<br />
<i>Quanto c'è di personale nei brani del tuo disco?</i><br />
<br />
«Beh, c'è sempre il punto di vista di chi li scrive, anche se si tratta di argomenti che parlano di altri. C'è tutto di personale, è la personale visione di un artista, di quello che gli accade dentro e attorno. Ogni canzone rappresenta sicuramente lo stato d'animo di quel momento, ma c'è sempre qualcosa che fa scoccare la scintilla creativa. Se poi la domanda implicita è cosa significano per me queste canzoni, beh… ognuna è un pezzo della mia vita. Alcune sono scritte ispirate da donne con cui ho condiviso qualcosa, oppure con le quali avrei voluto condividere qualcosa».<br />
<br />
<i>E proprio l'universo femminile è ricorrente nelle liriche delle tue canzoni. Gioie e dolori che solo le donne sanno regalare…</i><br />
<br />
«Non c'è dubbio che le donne siano esseri superiori agli uomini, e le loro contraddizioni, il loro essere fragili e forti allo stesso tempo ne fanno degli esseri speciali, unici. Sono convinto che se il mondo fosse guidato da donne sarebbe migliore. Dal punto di vista personale non ho difficoltà ad ammettere di avere più amiche donne che uomini, mi piace ascoltarle, mi piace discutere con loro. I discorsi degli uomini mi annoiano (ad eccezione ovviamente di chi fa musica e arte in genere), li trovo scontati, prevedibili, una linea retta che non ammette deviazioni. Una donna è sempre imprevedibile, e ti riserva sempre sorprese ed emozioni».<br />
<br />
<i>Nel disco troviamo anche due recitativi di Roberto Bani. Perché hai sentito l'esigenza di inserirli e quale funzione hanno nell'economia dell'album?</i><br />
<br />
«Con questo cd ho voluto anche omaggiare la scena artistica del ponente ligure, sintetizzando la mia opera di questi anni. Con Roberto, una paio di anni fa, abbiamo creato uno spettacolo, "Punti di Svista", in cui lui giocava con le mie canzoni e io con i suoi monologhi: sono pertanto nati otto "quadri" composti da monologhi di Roberto e canzoni mie, una di queste è "Non sei originale", e mi è piaciuta l'idea di inserire nel cd il rispettivo monologo, che aveva peraltro ispirato la canzone».<br />
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-KvCWeaZVhww/WFrmCmCI5nI/AAAAAAAAcFY/-KmCiAv6Q3gxE7K-f0vEQwdEva3cJGulgCLcB/s1600/senza%2Btitolo%2B%25281%2Bdi%2B1%2529-025.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="282" src="https://1.bp.blogspot.com/-KvCWeaZVhww/WFrmCmCI5nI/AAAAAAAAcFY/-KmCiAv6Q3gxE7K-f0vEQwdEva3cJGulgCLcB/s320/senza%2Btitolo%2B%25281%2Bdi%2B1%2529-025.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Bardino '13: Mauro Pinzone (<i>copyright Martin Cervelli</i>)</td></tr>
</tbody></table>
<i>Quale canzone rappresenta al meglio il tuo stato d'animo?</i><br />
<br />
«Credo ce ne siano due che mi fanno sempre stare bene quando le suono ed esprimono al meglio gran parte del mio essere, e sono "Stella" e "Segreti". Confesso che quando le suono, a differenza di altre canzoni, mi sembra sempre che sia la prima volta che le eseguo. Credo, infatti, che per un artista ogni sua opera sia tale nel momento in cui la crea, dopo è come se avesse vita autonoma, e pertanto l'artista se ne stacca e pensa a crearne altre».<br />
<br />
<i>Come si sono svolte e quanto sono durate le sessioni di registrazione?</i><br />
<br />
«Ahia, faresti meglio a porre questa domanda ad Alessandro Mazzitelli. Quando ho iniziato a registrare avevo l'idea di un disco totalmente acustico, iniziando con l'essenziale, voce e chitarra, e inserendo poche collaborazioni mirate a quello. Avevo anche l'intenzione di finire la registrazione (contrariamente a quella pronta ormai da più di dieci anni e che non mi decido a pubblicare) in pochi mesi. Strada facendo è cresciuto l'appetito, molti artisti si sono uniti e il progetto è nato a poco a poco. Ho lasciato ampi spazi ai musicisti, presenziando ben poco alle registrazioni, anche perché sapevo benissimo chi erano, che tipo di musicisti fossero e cosa avrebbero potuto apportare in creatività al disco. Alcune collaborazioni sono nate da un giorno all'altro, per esempio con Ben Hamouda: rivisto a cena a casa mia la sera e la sera dopo in sala di registrazione. Alcune sessioni si sono svolte a sorpresa, con Fabio Biale ed Emanuele Gianeri ad esempio, e ne sono venuto a conoscenza da fotografie su Facebook. I vari elementi si sono amalgamati, sotto la direzione attenta di Mazzitelli e la mia supervisione, anche in maniera disordinata ma con una loro precisa armonia. I tempi previsti si sono allungati in maniera esponenziale, vuoi per la mia pigrizia, vuoi per gli svariati impegni di Alessandro, vuoi perché inserivo nuovi artisti, insomma ci è voluta la telefonata di Davide Geddo che mi chiedeva a che punto ero per la partecipazione al festival "Su la Testa" di Albenga a farmi decidere di concludere la registrazione e pubblicare il disco. Nelle ultime settimane ho anche stressato la mia amica Angela Caprino perché si inventasse di sana pianta la grafica e direi che, nonostante il poco tempo, sia riuscita a fare un ottimo lavoro. Ti basti pensare che quando ho iniziato a registrare Alina, la compagna del "Mazzi", aveva il pancione a ora vedo una foto della piccola Ginevra che ha in mano il mio cd. La mia grande soddisfazione è quella di essere riuscito alla fine a coinvolgere alcuni tra gli artisti più significativi del ponente ligure, e ne sono orgoglioso».<br />
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://4.bp.blogspot.com/-Ubf-hd914PA/WFrlSzYKu-I/AAAAAAAAcFU/iyUIXy9jijMm63qzNc3ef--aAypoiL1ZgCLcB/s1600/senza%2Btitolo%2B%25281%2Bdi%2B1%2529-1132.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img alt="" border="0" height="213" src="https://4.bp.blogspot.com/-Ubf-hd914PA/WFrlSzYKu-I/AAAAAAAAcFU/iyUIXy9jijMm63qzNc3ef--aAypoiL1ZgCLcB/s320/senza%2Btitolo%2B%25281%2Bdi%2B1%2529-1132.jpg" title="" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Loano '15: Mauro Pinzone (<i>copyright Martin Cervelli</i>)</td></tr>
</tbody></table>
<i>Nel disco ti sei circondato di amici musicisti, da Giovanni Amelotti a Claudio Bellato, da Federico Fugassa a Maurizio De Palo. Come sono nati questi incontri e cosa hanno apportato al tuo disco?</i><br />
<br />
«Sono musicisti con cui ho suonato e con cui avrei voluto suonare da una vita. Maurizio De Palo ed Emanuele Gianeri fecero parte dei <b>Pensieri Compressi</b>, entrambi hanno contribuito alla registrazione del cd del 1998, sono musicisti formidabili. Ben Hamouda e Giovanni Amelotti, invece, hanno suonato con me negli <b>Afka'r</b>, il primo dando un'anima afro al gruppo, il secondo dando un'anima jazz. Sia Giovanni che Emanuele, oltre ad essere dei raffinati musicisti, hanno il dono di saper rendere ogni brano su cui mettono le loro preziose mani, un caleidoscopio pirotecnico di suoni. Federico Fugassa è oggi uno dei migliori bassisti in circolazione da queste parti, con un gusto unico, che mi ha impressionato sin dal primo momento che l'ho sentito suonare e che ho voluto fortemente partecipasse a questo progetto. Claudio Bellato lo conosco da più di vent'anni, è un ottimo chitarrista, forse uno dei migliori in Liguria, un grande amico e una persona splendida che meriterebbe molta più visibilità di quella che ha e con il quale da sempre avrei avuto il piacere di suonare. Fabio Biale… che dire che non sia stato ancora detto? Sentirlo e vederlo suonare è una delizia per le orecchie e lo spirito. Quest'estate mi ha ricordato come nel 1999 fossi già rimasto impressionato da come giostrasse sulle quattro corde del suo strumento, e di come mi feci dare il suo numero di telefono con la promessa di chiamarlo per coinvolgerlo in qualche progetto… e di come invece non lo chiamai. In questi anni gli ho fatto una corte pressante e alla fine mi ha fatto la sorpresa di partecipare alla registrazione. Davide Baglietto lo conosco da diversi lustri, una persona di cui nutro un infinita stima, soprattutto per la sua poliedricità come musicista, per la capacità di sapersi infilare con una cornamusa o un flauto in maniera egregia ovunque, mi piaceva l'idea che si "infilasse" anche in un brano del cd. Senza parlare poi di Alessandro Mazzitelli, che conosco anch'egli da una vita, e che conosce perfettamente me, soprattutto, con il dono di saper infilare pennellate di colori musicali qua e là con gusto e raffinatezza. Cosa hanno apportato al mio disco? Spero quello che si sentivano dentro all'anima, dentro al cuore».<br />
<br />
<i>Devo dire che mi piace particolarmente la canzone intitolata "Sorriso che corre". Cosa mi puoi raccontare di questo brano?</i><br />
<br />
«Differentemente da altre mie canzoni, questa è una storia, per questo credo piaccia molto. Durante i miei concerti prima di eseguirla racconto sempre come è nata: una sera piovosa, un autobus che mi passa davanti e dietro un ragazzo di colore che corre perché cerca di prenderlo alla fermata successiva e sorride, sorride in maniera splendente, da questa "visione" nasce la canzone "Sorriso che corre"».<br />
<br />
<i>Torniamo al recente festival "Su la Testa" di Albenga, durante il quale hai avuto l'occasione di far ascoltare in anteprima alcuni dei brani del tuo nuovo album. Che impressione ti ha fatto e quali sono state le difficoltà da superare?</i><br />
<br />
«Gran bella situazione, gran bel gruppo di organizzatori, grande rispetto dei musicisti, elevato livello musicale. In questa occasione mi sembra di essere stato sintetico, no? A parte gli scherzi, è stato sicuramente un grande onore per me suonare sul palco del Teatro Ambra e credo che sia il pubblico che gli organizzatori abbiano gradito. Difficoltà? La chitarra non teneva l'accordatura».<br />
<br />
<i>Nel corso della tua vita quale è stato il cantante che ti ha maggiormente influenzato?</i><br />
<br />
«Mah… bella domanda, ho passato diverse fasi, ma sicuramente i primi amori non si dimenticano mai. Sul versante italiano Eugenio Finardi, poi Claudio Rocchi e Claudio Lolli; sul versante straniero, David Crosby, Neil Young e Bruce Cockburn, quest'ultimo particolarmente, per la raffinatezza sia dei testi che della musica».<br />
<br />
<i>Come vedi la scena musicale savonese?</i><br />
<br />
«Troppe vecchie cariatidi che si trascinano, facendo comunque ancora la loro porca figura, e pochi spazi per giovani con idee nuove. Credo che la scena musicale savonese rispecchi quella nazionale, dove si riesumano con reunion improbabili, personaggi che incominciano ad annusare la curva del declino e di contro salette con ragazzi che ancora sudano, si sbattono, si sforzano di creare, ma che poi si ritrovano a suonare per i parenti stretti e gli amici a qualche festa di compleanno o che, ancora peggio, coverizzano a qualche apericena, avendo ben poche possibilità di mettersi alla prova davanti a un pubblico vero, sempre che un pubblico "vero" esista ancora…».<br />
<br />
<i>Cosa chiedi al futuro?</i><br />
<br />
«Di poter continuare a scrivere canzoni».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Foto sintesi<br />
<b>Artista</b>: Mauro Pinzone<br />
<b>Etichetta</b>: autoproduzione<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Mauro Pinzone, eccetto dove diversamente indicato)<br />
<br />
01. Donne soprappensiero<br />
02. Stella<br />
03. Prestito<br />
04. Smeraldo<br />
05. La verità<br />
06. Sensi amplificati<br />
07. Riflessi<br />
08. Segreti<br />
09. Sorriso che corre<br />
10. L'originale, parte I [<i>Roberto Bani; Roberto Bani e Mauro Pinzone</i>]<br />
11. Non sei originale<br />
12. L'originale, parte II [<i>Roberto Bani; Roberto Bani e Mauro Pinzone</i>]<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/VyFRfiGVFBI/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/VyFRfiGVFBI?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-39229753194335862572016-10-31T11:54:00.001+01:002016-10-31T11:54:41.662+01:00"Vizi, peccati e debolezze" del siciliano Luca Burgio<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-LHYIBc_XXYY/WAaCvuaNuKI/AAAAAAAAcAk/ajTLVyR9IYMj40d2ULz0D1FVNRoSAIfMQCLcB/s1600/lucaburgio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-LHYIBc_XXYY/WAaCvuaNuKI/AAAAAAAAcAk/ajTLVyR9IYMj40d2ULz0D1FVNRoSAIfMQCLcB/s320/lucaburgio.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><br /></b></div>
<div style="text-align: justify;">
Le notti nei locali di Madrid e la tradizione folk siciliana. Un filo rosso che il cantautore <b>Luca Burgio</b> ha saputo annodare e tradurre in musica nel suo disco d'esordio "Vizi, peccati e debolezze", prodotto con il decisivo contributo della <b>Maison Pigalle</b>. Il cantautore agrigentino ha trascorso alcuni anni nella capitale iberica, lavorando e
vivendo la movida. A Madrid l'artista siciliano ha gettato il seme
della sua musica e una volta tornato in Sicilia la pianta è cresciuta vigorosa fino a dare ottimi frutti. L'esperienza di vita in Spagna si è tradotta in musica e le atmosfere gipsy jazz con chitarre manouche, fisarmoniche e fiati mariachi si sono fuse e intrecciate con il folk siciliano. Nove canzoni, dal ritmo incalzante, ambientate in locali aperti fino a tarda notte, dove i vapori dell'alcol e il fumo delle sigarette si mescolano a racconti di sognatori romantici, poeti che trovano conforto nella bottiglia, amanti in preda ai propri istinti. Atmosfere fumose e swingate si legano a testi espliciti, ironici e dissacranti che raccontano esperienze vissute in prima persona. Un disco suonato e arrangiato molto bene che mette in evidenza come Burgio e la Maison Pigalle abbiano metabolizzato alla perfezione le lezioni di Paolo Conte, De Andrè, Gaber, Fred Buscaglione, del Vinicio Capossela che racconta le notti milanesi. Niente di nuovo sotto il solo verrebbe da dire dopo un ascolto superficiale ma l'utilizzo di strumenti come il mandolino e la fisarmonica, in un contesto sonoro già ricco, regalano colori e sfumature tutte da scoprire e gustare. </div>
<div style="text-align: justify;">
La Maison Pigalle è composta da <b>Andrea Scimè</b> (contrabbasso), <b>Armando Fiore</b> (percussioni), <b>Marco Macaluso</b> (fisarmonica), <b>Mauro Schembri</b> (mandolino). Hanno partecipato <b>Ettore Baiamonte</b> (chitarra), <b>Samuele Davì</b> (tromba), <b>Roberto Anelli</b> (pianoforte). </div>
<div style="text-align: justify;">
Con Luca Burgio abbiamo parlato del suo disco che è stato inserito tra i 50 candidati al Premio Tenco 2016 nella categoria “Opera prima”. </div>
<br />
<br />
<br />
<i>Luca, vizi, peccati e debolezze sono ancora ammessi nella società di oggi?</i><br />
<br />
«Certo! Chi dovrebbe vietarceli? Il nostro lato oscuro fa parte di noi da quando siamo nati. Fa parte del nostro essere. Non esiste nel genere umano una persona che non abbia mai familiarizzato con le proprie paure, le proprie voglie, il senso di colpa, tutto quello che ci rende così meravigliosamente umani! E oggi più che mai ci sentiamo ancora più liberi di vivere la nostra natura peccaminosa perché, ad esempio, la maggior parte di noi non ha più una fede religiosa tanto influente nella propria vita come lo era in passato, ma abbiamo accettato noi stessi per come siamo, non abbiamo più quella retorica moralista che per tanto tempo ci ha limitati nel fare e nel dire costringendo a castrare oppure nascondere le nostre più profonde pulsioni, non esiste più quell'immagine maschilista dell'uomo forte tutto d'un pezzo, io piango se sto male e bevo se ho un problema, urlo se mi incazzo, e divento un cretino se mi innamoro perché la mia debolezza mi fa sentire umano e io amo la mia natura volubile e vulnerabile».<i> </i><br />
<br />
<i>Raccontandoli ci hai fatto un disco, il primo della tua carriera. Quanto hai lavorato a questo progetto?</i><br />
<br />
«Tralasciamo il tempo impiegato a scrivere le canzoni perché le scrivevo senza alcun progetto e soprattutto senza l'idea di incidere un disco un giorno. Sono tornato dalla Spagna nell'ottobre del 2013 con un progetto che avrebbe impegnato i miei prossimi tre anni, il tempo di mettere su quello che sarebbe stato l'embrione della Maison Pigalle, ed insieme a Mauro Schembri e Marco Macaluso iniziammo la prima fase, l'arrangiamento delle canzoni e la registrazione di una demo di due brani che coinvolse anche il resto della band. Nel secondo anno ci avviammo alla seconda fase, la quale ci vide alle prese con i primi concerti e la registrazione del disco, attraverso il quale ci potemmo proporre alle diverse etichette discografiche. L'inizio della collaborazione con la New Model Label segna la fine della terza fase esattamente nel terzo anno di attività. Il progetto che mi sono portato dalla Spagna si è compiuto quest'anno e ora quello che resta da fare è portare la mia musica il più lontano possibile, mettergli le ali e passare lo stretto, tanto per cominciare».<br />
<br />
<i>Le canzoni del tuo disco hanno una ambientazione notturna. È questo il momento migliore per vivere?</i><br />
<br />
«Diciamo che è il momento migliore per scrivere, ognuno la vive come la sente ma la sera tutto prende un'altra forma, se la vivi fuori fra i locali, la musica, la gente che esce a fare festa, allora la notte ti seduce, ti coinvolge, distorce la giornata, le facciate dei palazzi e delle chiese tirano fuori le loro ombre e ogni vicolo o stradina diventa misteriosa, i basolati lucidi riflettono le luci gialle dei lampioni e i pub sembrano aspettare solo te, tu bevi qualcosa, stai con gli amici, magari conosci una niña che con un po' di fortuna ti porti a casa, allora metti in riproduzione casuale la discografia di Chet Baker, tiri fuori la tua bottiglia da 75 cl che conservi per queste occasioni, la bevete, a lei si socchiudono gli occhi, le si ammorbidisce la voce, e finite col passare la notte arrotolati alle lenzuola… poi l'indomani si alza e se ne va come se la lingua che aveva in bocca fino a qualche ora fa non era la tua… veloce, col trucco sbavato, e senza guardarti negli occhi si ripassa il rossetto e scappa a lavoro. E questo è più o meno l'effetto che mi fa il giorno! Poi la sera dopo magari resti a casa e scrivi quanto è successo e se sai prenderti alla leggera ti fai pure due risate».<br />
<br />
<i>Dove prendi ispirazione per scrivere canzoni?</i><br />
<br />
«Vedi, il concetto di ispirazione a mio avviso è stato sempre frainteso, per come la vedo io, sono continuamente ispirato, l'ispirazione è quel valore aggiunto o condanna congenita in tutti i romantici. È appunto l'ispirazione che accende la tua immaginazione, che ti rende sensibile, ti dà la possibilità di vedere le cose oltre la forma e di apprezzarne l'essenza, è quella capacità che hai di organizzare le forme e i colori e scattare una bella foto, o mischiare insieme degli ingredienti e tirare fuori un piatto sorprendente, o, come nel mio caso, prendere tutta la gente che vedi e quello che succede a te e a loro e organizzarlo in versi in maniera elegante o brutale. L'ispirazione non va e viene ma è sempre dentro di noi, per me raggiunge picchi massimi nelle situazioni della vita e nelle interazioni della gente».<br />
<br />
<i>I brani che tu canti in questo album sono storie vissute?</i><br />
<br />
«Per fortuna o purtroppo sì, in questo disco mi sono sputtanato, senza ritegno! Mi sono chiesto il perché qualcuno debba ascoltare le mie canzoni, e ho pensato che se avessi raccontato le situazioni quotidiane che vive chiunque o le avventure che più o meno il target a cui mi rivolgo ha vissuto, con i particolari ironici, tristi, stravaganti e calcando sempre la mano sul nostro "lato oscuro" su quei pensieri che tutti ci facciamo ma che mai portiamo alla luce, sulle nostre perversioni e insicurezze sarei potuto arrivare a quella semplicità che accomuna tutti. Insomma siamo tutti sporchi e quando ascolto qualcuno che mi propone delle storie mi piace pensare "cazzo quant'è vero!" e così, dal cuore pulsante della mia vergogna è venuto fuori "Vizi, peccati e debolezze"».<br />
<br />
<i>Quando sei entrato in studio avevi già le idee chiare riguardo al suono che il disco avrebbe dovuto avere?</i><br />
<br />
«Più o meno sì, questa connotazione un po' noire, i suoni pesanti e cupi, l'esaltazione dei bassi, è il suono che meglio sposa il senso dei testi, è proprio il sound che cercavo e per questo mi sono affidato totalmente a <b>Davide Terranova</b> per il missaggio e alla Maison Pigalle e alla loro creatività per gli arrangiamenti. Ovviamente anch'io avevo le mie idee, ad esempio tutte le parti della tromba non le avevo mai sentite dal vivo ma le avevo in testa così per come sono nel disco, a parte l'assolo di "Buscavidas", lì <b>Samuele Davì</b> si è lasciato andare all'improvvisazione assoluta dando il dovuto carattere al brano, e la chitarra di Ettore Baiamonte che ha sostituito tutto quello che fino a quel momento erano soltanto semplici accordi, con accompagnamenti ben pensati e piazzati sapientemente all'interno del disco».<br />
<br />
<i>È un disco dalle sonorità molto ricche, come si sono svolte tecnicamente le sessions di registrazione?</i><br />
<br />
«Ho cominciato io con una traccia guida di voce e chitarra sulla quale poi abbiamo dato il via alle registrazioni della chitarra, a cui sono seguite contrabbasso e percussioni, subito dopo abbiamo inserito nell'ordine fisarmonica e mandolino e infine tromba, pianoforte e voce. La parte più impegnativa è stata quella del missaggio in cui abbiamo passato ore e ore in silenzio sullo stesso pezzo. Davide è stato davvero formidabile e devo dire che dopo la fase finale del master quello che ne è venuto fuori nel complesso è stato parecchio soddisfacente».<br />
<br />
<i>Mandolino e fisarmonica sono due strumenti non facili da trovare nei dischi dei cantautori. Perché li hai voluti nel tuo album?</i><br />
<br />
«Quando ho cominciato questa avventura c'era una sola persona che ero sicuro di poter chiamare per iniziare un progetto così importante da farmi mollare tutto per ritornare in Italia, e quella era Mauro Schembri. Mauro nasce come chitarrista e poi polistrumentista, sapevo che qualcosa di interessante sarebbe potuto uscire anche da qualche altro strumento. Al mio arrivo mi sono reso conto che suonava il mandolino in maniera così tosta che solo anni di heavy metal avrebbero potuto formare, una specie di mitragliatrice di note che si univa perfettamente all'intenzione dei miei testi, così arrangiammo tutto con il mandolino che è comunque il suo strumento principale. Ma serviva qualcosa che ammorbidisse il tutto, che ci unisse e completasse il trio che avevo intenzione di mettere su per cominciare, che desse quel sound folk e bohemien che cercavo, e così trovammo le nostre risposte in Marco Macaluso e la sua fisarmonica. Con la completezza del suo strumento il trio era pronto a partire, destinato in seguito ad unirsi agli altri».<br />
<br />
<i>Quali sono i tuoi vizi e le tue debolezze?</i><br />
<br />
«Vuoi che ti faccia un elenco? Ovviamente sto scherzando, sono un tipo abbastanza calmo, il mio è solo un personaggio creato per accompagnare il nome del disco mica viceversa! In realtà riesco a controllare al meglio le mie emozioni e spesso fra i miei amici passo per quello freddo e calcolatore, ma non è colpa mia, è che seguo la ragione sopra ogni cosa, ritengo sia l'unica cosa concreta e in quanto tale l'unica che abbia un senso. Sono il classico ragazzo da una donna sola, e sono anche abbastanza fedele, non ho mai tradito in vita mia e soprattutto non mi piace e non mi è mai piaciuto bere. Non mi masturbo e non ho alcuna perversione in testa che superi aggiungere il miele nel latte già zuccherato, anzi, proprio tutto quello che la gente chiama feticismo è la cosa che più aborro nella meravigliosa unione fra due persone che si amano e che vede la sua completezza nella sua stessa semplicità. Potrei anche quasi essere fiero di me se non fosse che molto spesso sono uno sfacciato bugiardo».<br />
<br />
<i>In questo disco quanto c'è della tua esperienza di vita a Madrid?</i><br />
<br />
«Tanto per cominciare Madrid è il posto dove ho cominciato ad arrangiarmi e anche se il brano ha visto la luce al mio ritorno in Italia, diciamo che "Buscavidas" è stato concepito a Madrid. L'album porta i rumori della città, i bar con le tapas schierate e le cameriere tatuate. Ogni volta che cambiavo casa facevo un giro nel circondario cercando il bar con la cameriera più bella da guardare, se posso prendere una birra perché non farlo davanti a un bel panorama! Ma non solo questo anche il punto di vista del bancone era ricco di esperienze, i vecchi che venivano a bere birra alle dieci del mattino mentre altri prendevano il loro caffè latte e la notte tutti quelli che passavano, ognuno a fare festa e mentre io e i miei colleghi sfornavamo pizze per gente che non la masticava neanche, oppure quelli con camicia cravatta e valigetta, li guardavo consumare mentre parlavano al telefono e li invidiavo, non sapevo che lavoro facessero ma volevo farlo anche io. Un anno dopo vendevo pannelli fotovoltaici, contratti luce e altra roba ecosostenibile con tanto di camicia valigetta e tante cazzate da dire al telefono. Madrid più che testi veri e propri mi ha regalato stati d'animo così al lavoro come a casa, pensa che proprio li ho vissuto l'ebbrezza della convivenza di coppia con tutte le cose belle e brutte che ci girano attorno, quindi quanto d'amore e d'odio riesci e decifrare fra i testi più o meno sono anche il frutto di questa, parecchie storie comprese».<br />
<br />
<i>Il tuo disco d'esordio è stato inserito nel lotto dei cinquanta finalisti del Premio Tenco nella categoria "Opera prima". Cosa ti ha fatto capire questo riconoscimento?</i><br />
<br />
«Sai quando sono tornato dalla Spagna, come ti dicevo avevo lasciato tutto, il lavoro, una ragazza che amavo, la casa che avevamo scelto insieme, incluso una città che adoravo, non avevo più niente alle spalle e non avevo ancora niente davanti a me, quello che avevo erano gli sguardi incerti della mia famiglia che mi stava vedendo fare solo un'enorme cazzata. Puoi immaginarti come mi sentivo, nel bel mezzo del nulla. Ovvio che i dubbi assalivano anche me, in tutto questo la relazione che si andava esaurendo non aiutava, e i risparmi che avevo guadagnato a Madrid andavano finendo. Insomma i primi sei mesi qui a Palermo sono stati terribili, ma non sarei mai potuto tornare indietro e non lo volevo nemmeno. Quando le cose hanno cominciato a prendere forma e si sono visti i primi risultati mi sono guardato alle spalle e ho visto che il progetto che avevo stabilito stava proseguendo tappa dopo tappa, ho continuato a spingere fino ad adesso, ogni volta che prendo una mazzata capita sempre qualcos'altro che mi aiuta a rialzarmi e quella si chiama vita, perché "non c'è vento favorevole per chi non sa dove andare", si vede che questa è la rotta giusta. Come mi sento adesso? Orgoglioso come sempre, sono fiero del lavoro che abbiamo fatto almeno fino ad ora con Andrea, Mauro, Marco, Armando ed Ettore ed ora ci aspetta il "Tenco ascolta", altra splendida opportunità firmata club Tenco. Per il resto, ad maiora semper!».<br />
<br />
<i>Come capisci che una canzone è buona abbastanza per essere incisa?</i><br />
<br />
«Non lo capisco, ne discuto con la band e se effettivamente è coerente con il concetto dell'album e gli arrangiamenti li riconosciamo soddisfacenti allora si può pensare di inserirla nell'album, ma l'ultima parola resta sempre quella del pubblico. Di solito mi fisso sulla reazione che ha la gente alle nostre canzoni e quello è un ottimo metro di giudizio».<br />
<br />
<i>Ti ricordi come hai iniziato a suonare?</i><br />
<br />
«Certo! Ho cominciato facendo punk in un gruppo di provincia, all'epoca cantavo solamente o meglio gridavo come un dannato, ma almeno gridavo canzoni mie, poi mio fratello mi mise in mano una chitarra acustica e praticamente non l'ho più mollata, non ho mai familiarizzato con l'elettrica. Dopo presi a fare country riarrangiando in chiave acustica gli stessi pezzi punk. Cominciai a divertirmi con i versi nell'ultimo progetto "I Bardi" dove i brani venivano da un libro di poesie che avevo scritto e che musicammo con una band di ben nove elementi in chiave prog rock. Poi sono partito ed è cominciato il progetto da solista».<br />
<br />
<i>Ti consideri un cantautore?</i><br />
<br />
«Beh! Mi sono sempre considerato prima di tutto un estimatore della vita e i suoi piaceri, quello che vedo e sento lo metto in versi perché sento mia questa forma di espressione. Canto e scrivo le mie canzoni, ho scelto di fare questa vita con le delusioni e le soddisfazioni, con le difficoltà che comporta avere questo come obiettivo. Oggi come oggi è dura essere presi sul serio, specie se sei all'inizio. Ma che ti aspetti? È giusto che sia così! Se vuoi essere preso sul serio devi lavorare seriamente, non fermarti mai, anche quando il mondo ti crolla addosso, sono in tanti quelli che aspettano soltanto di vederti abbassare la guardia, ma tu devi avere solo una cosa in mente e deve essere vedere dove ti porta quello che hai cominciato, come va a finire la tua storia, ma con la dignità di voler vedere sempre la faccia che vuoi allo specchio, e difendere con amore quello che ti senti di essere! Ebbene io sono Luca Burgio e sì, sono un cantautore».<br />
<br />
<i>Un po' di De André, un pizzico di Gaber, qualche riflesso di Capossela e Paolo Conte, e poi?</i><br />
<br />
«Guarda hai centrato in pieno e me li hai nominati proprio tutti! Aggiungerei soltanto Mannarino e l'immancabile Tom Waits, ho preso a piene mani da tutti loro! Ma più in particolare questo disco parte da sonorità manouche, che ho sempre amato, e si arricchisce principalmente delle influenze classiche e folk della Maison Pigalle che ha saputo trovare il giusto equilibrio tra quanto distingue questi artisti e la loro unicità di gusto che ha reso "Vizi, peccati e debolezze" un album al momento abbastanza apprezzato».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Vizi, peccati e debolezze<br />
<b>Artisti</b>: Luca Burgio e Maison Pigalle<br />
<b>Etichetta</b>: New Model Label <br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Luca Burgio)<br />
<br />
01. 75 cl di brindisi<br />
02. Satan's speech<br />
03. La rondine e l'inverno<br />
04. Il sordo<br />
05. La sindrome di Dorian Gray<br />
06. La cicala e la formica<br />
07. Un bicchiere fra di noi<br />
08. Un fegato in più<br />
09. Buscavidas<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/DQY8kVctubo/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/DQY8kVctubo?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-54220564196588333282016-10-26T11:18:00.001+02:002016-10-26T11:18:34.432+02:00"The Docks Dora Session" dei Fratelli Tabasco<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-00JhB7RePns/V2R5CeycxtI/AAAAAAAAb10/3LuALIogl2sja4ITm5iJ1XVina4KXNNRQCLcB/s1600/fratelli%2Btabasco.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="284" src="https://1.bp.blogspot.com/-00JhB7RePns/V2R5CeycxtI/AAAAAAAAb10/3LuALIogl2sja4ITm5iJ1XVina4KXNNRQCLcB/s320/fratelli%2Btabasco.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Cinque ragazzi con una sfrenata passione per il blues, un locale dove il pubblico è in perfetta sintonia con la band e dove l’adrenalina scorre come le birre lungo il bancone, una manciata di canzoni originali che strizzano l’occhio ai vecchi classici. Ecco gli ingredienti che hanno dato vita a “The Docks Dora Session”, disco d’esordio dei <b>Fratelli Tabasco</b>, gruppo nato a Torino nel 2013. Dopo aver passato un intero anno in studio a produrre e perfezionare il repertorio, composto quasi esclusivamente da brani originali, i Fratelli Tabasco, gruppo di amici e non parenti come invece potrebbe far pensare il nome, hanno esordito live alla seconda edizione del Borgiallo Blues Festival. Gli impegni dal vivo sono proseguiti in modo incessante con partecipazioni a festival e rassegne in tutto il nord Italia e svariate apparizioni radiofoniche. Nel 2015 la svolta con il successo della settima edizione del concorso “Rock the Docks”, organizzato dalla Rainbow Music di Torino, che ha permesso al gruppo di registrare l'album “The Docks Dora Session”. La scelta di produrre un disco dal vivo calza a pennello con le caratteristiche del repertorio proposto dalla band: piccante e “peperonato”, come amano chiamarlo i Fratelli Tabasco. Chitarre, armonica, batteria e organo a creare una miscela che pesca nel repertorio dei grandi bluesmen del passato ed è arricchito da influenze rock, funky e soul. Le nove canzoni in scaletta non possono lasciare indifferente gli amanti del genere che si trovano di fronte ad un sound vigoroso, infuocato e travolgente. Chi è alla ricerca dell’originalità e della novità può passare oltre ma chi è amante del blues, dei Black Keys, del Ben Harper più sanguigno, dei Jon Spencer Blues Explosion e di R.L. Burnside può gustarsi questo piatto piccante e molto saporito. I Fratelli Tabasco sono <b>Boris</b> (voce e armonica), <b>Joele</b> (chitarra), <b>Marco</b> (basso), <b>Simone</b> (batteria), <b>Lorenzo</b> (tastiere) e quella che segue è l’intervista di presentazione del disco d’esordio.</div>
<br />
<br />
<i>Come mai avete scelto di esordire con un album live? Di solito il disco dal vivo arriva dopo almeno un paio di album in studio…</i><br />
<br />
<b>Joele Tabasco</b>: «Abbiamo cercato di ricreare il più fedelmente possibile quello che ci riesce meglio: l'esibizione dal vivo. Le registrazioni sono state molto brevi, ma in realtà quest'album è il frutto di quasi due anni di prove assidue per migliorare sempre gli arrangiamenti e i testi. Il nostro scopo con "The Docks Dora Session" è di far trasparire fedelmente come può essere un nostro concerto».<br />
<br />
<i>Dove avete registrato il disco e quale è stata l'occasione per farlo?</i><br />
<br />
<b>Marco Tabasco</b>: «Abbiamo avuto l'occasione di registrare il nostro primo album dopo aver vinto l'anno scorso il concorso "Rock the Docks" che metteva in palio la possibilità di registrare presso la Rainbow Music ai Docks Dora, mitici magazzini industriali dismessi e ormai punto dove si concentrano molte sale prova e studi di registrazione. Ad ogni modo ci siamo ritrovati di punto in bianco con l'opportunità di incidere un disco e non ci siamo fatti cogliere impreparati: avevamo già sufficienti canzoni nostre e l'idea di creare il nostro primo album proprio in quel posto di Torino ci ha entusiasmato. Ai Docks Dora sono legatissimo... e proprio lì ho fatto le mie prime prove in sala, e proprio lì ho conosciuto musicisti che ora sono miei cari amici ed è proprio lì che ho conosciuto Simone, che poco dopo mi ha introdotto a Boris e Joele e sono nati i Fratelli Tabasco. Insomma i Docks Dora sono un po' la mia seconda casa».<br />
<br />
<i>Devo dire che il disco suona veramente molto bene. Quanto tempo è stato necessario per preparare l'esibizione e la contemporanea registrazione in presa diretta?</i><br />
<br />
<b>Joele Tabasco</b>: «In realtà la maggior parte del lavoro è stata fatta in un week-end. Volevamo fare qualcosa che ci sarebbe venuto semplice e abbiamo subito pensato a ricreare le atmosfere degli anni '50. Abbiamo cercato di registrare utilizzando il più possibile la nostra strumentazione per il semplice fatto che sapevamo come suonava e come utilizzarla al meglio. Per il pubblico abbiamo chiamato qualche nostro amico (anche perché nella sala non ci stavano tutti) per rendere l'atmosfera più rilassata possibile e... voilà! Abbiamo passato il sabato a registrare tutte le canzoni in presa diretta come se fosse un piccolo live e domenica i piccoli ritocchi. Il mixaggio è stato fatto nelle sere successive per aggiustare il tutto senza stravolgere il nostro sound».<br />
<br />
<i>Ci sono state sovraincisioni o elaborazioni in studio?</i><br />
<br />
<b>Boris Tabasco</b>: «Sì, sono state fatte alcune sovraincisioni ma solo dell'armonica per una questione prettamente pratica: durante la presa diretta ci veniva difficile registrare al meglio sia la voce che l'armonica, poiché i take di prova fatti non risaltavano a dovere né la voce né l'armonica. Quindi è venuto istintivo concentrarsi prima su una parte e poi sull'altra».<br />
<br />
<i>Quali sono le difficoltà maggiori che avete incontrato a registrare un disco alla "buona la prima"?</i><br />
<br />
<b>Marco Tabasco</b>: «L'organizzazione è stata fondamentale: ci siamo prefissati una data di uscita dell'album cercando di rispettarla il più possibile... e la parte delle registrazioni è solo una fetta di tutta la fase organizzativa: abbiamo pensato alle foto, alla grafica dell'album, alla diffusione nei canali digitali come Spotify, Google Play, Amazon, iTunes e molti altri, alla stampa del cd, ai video, al concerto di presentazione e ovviamente alle date successive. Insomma una volta usciti dallo studio di registrazione con il master definitivo è cominciato il vero lavoro».<br />
<br />
<i>Per il momento non abbiamo la controprova ma la situazione live calza a pennello con la vostra musica. Ora inevitabilmente dovrete chiudervi tra le quattro mura di uno studio, ci avete già pensato e cosa dobbiamo aspettarci?</i><br />
<br />
<b>Simone Tabasco</b>: «Il lavoro in sala è costante e continuamente ci troviamo a modificare le canzoni o addirittura accantonarle per un po' per poi riprenderle in mano dopo qualche tempo e stravolgerla in un'altra chiave ritmica. Possiamo certamente dire che le idee per nuovi pezzi non mancano e le influenze di altri generi non ci spaventano. Per quanto riguarda il nostro prossimo disco non sappiamo ancora nulla di certo ma abbiamo già qualche linea guida che stiamo seguendo per costruire quello che sarà il nostro primo album in studio».<br />
<br />
<i>Qual è la vostra storia musicale?</i><br />
<br />
<b>Simone Tabasco</b>: «Suoniamo tutti insieme in questo progetto soltanto da due anni e mezzo, ma la sensazione è quella di averlo sempre fatto insieme. Joele e Boris strimpellavano insieme già dai tempi del liceo sotto le guide di Luigi Tempera e Andrea "Rooster" Scagliarini, che li hanno cresciuti a forza di jam sessions. Io dopo alcuni anni tra studi jazz e concerti ska e punk mi sono lasciato rapire dal blues e, successivamente a un lungo periodo di gavetta, ho incontrato Marco proprio tra gli studi musicali dei Docks Dora. Da qui è iniziato un incredibile percorso artistico pieno di soddisfazioni».<br />
<br />
<i>Perché amate descrivere la vostra musica con l'aggettivo "peperonata"?</i><br />
<br />
<b>Marco Tabasco</b>: «Dobbiamo questo aggettivo a un nostro grandissimo amico: Jos Griffioen! Jos, grande musicista e appassionato di blues, ci ha incontrati quasi per caso circa un anno fa e fin da subito si è innamorato del nostro sound, presentandolo quasi sempre prima dei nostri live come "peperonato" con il suo inconfondibile accento olandese. Non abbiamo potuto che riconoscere la sua efficacia, rende assolutamente l'immagine delle nostre atmosfere».<br />
<br />
<i>I nove brani che presentate nel disco sono tutti originali. Come sono nati e chi di voi ha avuto maggiore peso nella fase creativa?</i><br />
<br />
<b>Boris Tabasco</b>: «Diciamo che nella fase di nascita dei brani ho un po' più di peso io, ma che in definitiva per la parte musicale e compositiva ognuno gioca un ruolo fondamentale. Quando uno di noi ha un'idea per una nuova canzone non pensa mai soltanto a se stesso, ma è consapevole del fatto che la suoneranno con lui i suoi fratelli, quindi scriviamo testi che rappresentino esperienze vicine a tutti e di cui discutiamo. Questo perché mentre arrangiamo e poi suoniamo ognuno di noi deve potersi riconoscere ed esprimersi con onestà».<br />
<br />
<i>Di cosa parlano le vostre canzoni?</i><br />
<br />
<b>Joele Tabasco</b>: «Le nostre canzoni sono i nostri blues. Tutti noi abbiamo necessità di raccontare il nostro tempo e di dare la nostra visione a chi ci ascolta, anche affrontando temi importanti. Trattandosi di blues è difficile dire di cosa non parliamo, perché di fatto il blues parla della vita nel suo complesso, con tutti i problemi, i bei momenti e le strane situazioni che capitano. Per adesso parliamo poco d'amore, preferiamo descrivere storie di personaggi improbabili e usarli per affrontare temi più o meno seri».<br />
<br />
<i>Quale canzone rappresenta al meglio l'essenza del gruppo?</i><br />
<br />
<b>Boris Tabasco</b>: «Penso subito a "Blues On!". Non è il nostro cavallo di battaglia, ma a livello lirico potrebbe essere davvero stata scritta da chiunque di noi. È un po' il nostro biglietto da visita musicale perché parla dei nostri luoghi, della voglia di far viaggiare la nostra musica per il mondo e di condividerla con tutto l'entusiasmo possibile».<br />
<br />
<i>A questo punto ditemi, quali sono i musicisti che vi hanno maggiormente influenzato?</i><br />
<br />
<b>Joele Tabasco</b>: «Per quanto riguarda la musica blues siamo partiti ascoltando i più famosi come Muddy Waters e Stevie Ray Vaughan e poi sempre di più andando a scovare quelli un po' più di nicchia. Abbiamo avuto anche maestri di blues al nostro fianco che ci hanno guidato ed insegnato il genere tra jam session, lezioni e concerti: come Luigi Tempera e Andrea Scagliarini. Ma ad oggi il nostro suono, quello che si può sentire nel nostro disco, è frutto di influenze di artisti come Black Keys, Ben Harper e R.L. Burnside».<br />
<br />
<i>Nella Torino postindustriale quanto blues si respira oggi?</i><br />
<br />
<b>Boris Tabasco</b>: «La scena blues a Torino è molto vivace e piena di artisti affermati e anche qualche emergente. È ormai facile trovare molte serate dedicate a jam session, che è un po' la vera palestra per suonare blues: dove i più esperti condividono il palco con i giovani o i curiosi che si avvicinano al genere. Inoltre i locali continuano a promuovere gli artisti locali alternati a qualche ospite nazionale e non. La scena non si ferma solo a Torino ma si estende anche in provincia, dove in estate prendono piede festival dove è possibile incontrare artisti e scambiare quattro chiacchiere».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: The Docks Dora Session<br />
<b>Gruppo</b>: Fratelli Tabasco<br />
<b>Etichetta</b>: New Model Label<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Fratelli Tabasco)<br />
<br />
01. Radioactive mama<br />
02. Ask yourself<br />
03. Up all night<br />
04. Harmonic drive<br />
05. Same damned shame<br />
06. Jack knife<br />
07. Blues on!<br />
08. D.Q.T.H.L.<br />
09. Boris' boogie<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dzWkzDI_DDaPTxvhaWBB8XFI5qgDYKAa27MZsD8XqljkzF4IRP2mbzUBQVl8ITfYxces4FM_BEPkA0VMnM6CQ' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div>
<br />
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-29034566077804784452016-09-24T12:08:00.000+02:002017-01-04T13:52:24.965+01:00Catalpa e "Il suono lontano" di un'altra Firenze<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-NL2T18c-onI/Vzy8-ct898I/AAAAAAAAbyg/DW-BXLFS7hghDCcIfuaSVe4mq9bEhu-3wCLcB/s1600/catal.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-NL2T18c-onI/Vzy8-ct898I/AAAAAAAAbyg/DW-BXLFS7hghDCcIfuaSVe4mq9bEhu-3wCLcB/s320/catal.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Sono passati un po' di mesi da quando ho approntato questa intervista. Complice la pausa estiva e i tanti concerti che per fortuna nel periodo più caldo dell'anno si susseguono a ritmo incessante, riprendo il discorso solo in questi giorni. Giusto in tempo per riascoltare con piacere "Il suono lontano", il primo album dei <b>Catalpa</b>, duo fiorentino composto dall'ex componente dei Barbed Wire Temple, <b>Axel Pablo Lombardi</b> (voce e chitarra), e da <b>Giuseppe Feminò</b>, batterista e percussionista tornato a suonare dopo aver chiuso l'esperienza con l'Orchestra de Felicitade. Il disco continue tredici brani ambientati per lo più a Firenze, ma non in quella che attira tutti gli anni milioni di turisti bensì in quella popolare, dei quartieri, della vita fatta di sacrifici e lavoro. Storie di vissuto quotidiano che hanno come sottofondo Piazza dell'Isolotto, il Ponte di Mezzo, Sorgane, San Niccolò ma che potrebbero essere ambientate benissimo in altre periferie, non solo italiane. Tredici fotografie in bianco e nero della vita di tutti i giorni. <br />
Un disco d'esordio interessante, forse non in grado di entrare subito nella testa dell'ascoltatore ma in cui la passione e la voglia di esprimersi traspare in modo evidente. Registrate in presa diretta chitarra e batteria, sono state aggiunte successivamente voce, basso (<b>Francesco Notarbartolo</b>) e fiati (<b>Simone Morgantini</b>). Sul piano meramente musicale l'impostazione cantautorale si sposa con marcati accenni rock e blues. Ballate intime lasciano il posto a brani più tirati dove le chitarre sono protagoniste indiscusse come nella title track e in "Sorgane", canzone che chiude il cd.</div>
A presentarci il loro disco d'esordio sono Axel Pablo Lombardi e Giuseppe Feminò. <br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<i>Iniziamo questa chiacchierata parlando del progetto Catalpa. Come è nato e soprattutto perché ha visto la luce?</i><br />
<br />
<b>Giuseppe Feminò</b>: «Il progetto Catalpa (inizialmente Vagalume) nasce dall'incontro musicale di Axel, Giuseppe e Claudio a una festa di laurea di un amico in comune. Decidiamo di ritrovarci in sala e cominciamo a suonare dei brani di Axel, ostici al primo ascolto ma illuminanti col tempo. Claudio è costretto a lasciarci per dedicarsi al suo progetto preesistente e principale (Dangerego) e rimaniamo in due. Scherzosamente ci chiamiamo Eurithmics. Cerchiamo nel tempo elementi da inserire per ampliare le sonorità ma si rivelano tutti tentativi abbastanza deludenti. Le costanti prove ci portano a completare un numero di brani sufficiente per realizzare un disco, che è quello che vogliamo fare. Il vedere la luce ha un significato che non riesco ad accostare al nostro progetto, diciamo che costanza e applicazione portano a risultati più o meno importanti».<br />
<br />
<i>Quando penso alla parola catalpa mi vengono in mente due cose: l'album di debutto di Jolie Holland e l'albero tipico dell'America settentrionale. Voi che catalpa siete?</i><br />
<br />
<b>Axel Pablo Lombardi</b>: «Siamo la catalpa che cresce nei giardini e nei parchi dalle nostre parti».<br />
<br />
<i>Nella vostra musica, seppur in qualche frangente venga fuori la vena punk blues di Axel, è predominante la matrice cantautorale di scuola italiana. Quanto siete legati a quel genere?</i><br />
<br />
<b>Axel Pablo Lombardi</b>: «Sono cresciuto ascoltando altri generi musicali ma la musica italiana fa parte della mia cultura, mi circonda da sempre: le ninne nanne e le filastrocche dell'infanzia, le canzoni urlate con gli amici sul motorino, la radio, la televisione... videomusic! Quindi per fare qualche nome: Battisti, Dalla, Pino Daniele, Rino Gaetano e Piero Ciampi. Mi sono piaciuti molto i primi dischi di Moltheni anche perché non conosco i successivi, e poi gli Skiantos, i Flor e Pippo Pollina».<br />
<br />
<i>Giuseppe, dopo aver concluso l'esperienza con l'Orchestra de Felicitade, ti sei allontanato dalla musica per un po' di tempo. Cosa ti ha spinto a riprendere in mano le bacchette?</i><br />
<br />
<b>Giuseppe Feminò</b>: «Premesso che con l'orchestra suonavo le percussioni e cantavo, ho ripreso le bacchette in mano perché i brani di Axel mi sono piaciuti, vivono una dimensione a mia misura. Suonare fa bene all'umore: la possibilità di essere creativo, le ore piccole, i vizi a ciascuno i suoi, fanno vivere meglio».<br />
<br />
<i>La scena musicale fiorentina, e più in generale toscana, è molto viva, ci sono tanti artisti di ottimo livello che stanno producendo musica di qualità. Da dove arriva tutto fervore artistico?</i><br />
<br />
<b>Giuseppe Feminò</b>: «Abito in campagna e non conosco la scena musicale fiorentina o toscana, posso azzardare ad indovinare dicendo che a Firenze e in Toscana c'è dell'ottimo vino».<br />
<br />
<i>Le canzoni del vostro disco sono quasi tutte ambientate a Firenze e dipingono quadri di vita in quartieri che conoscete bene. Trovate che la quotidianità sia stimolante da cantare?</i><br />
<br />
<b>Axel Pablo Lombardi</b>: «Bella domanda. Penso che la vita sia piena di cose belle, alcune molto piccole e semplici che si trovano proprio nella quotidianità, ed è un peccato lasciarsele scappare!».<br />
<br />
<i>Ma ci sono anche i ricordi delle estati in Versilia…</i><br />
<br />
<b>Axel Pablo Lombardi</b>: «A Vittoria Apuana c'è la casa della nonna di mia moglie, dove, oltre ad andarci d'estate con la famiglia, mi capita di stare qualche giorno da solo d'inverno quando faccio dei lavori in Versilia. La sera quando ho finito di lavorare faccio notte a suonare e scrivere canzoni, faccio anche delle belle passeggiate sulla spiaggia, e in una di quelle ho ascoltato il messaggio di mio figlio in segreteria che mi ha fatto venire la voglia di scrivere quella canzone».<br />
<br />
<i>"Hotels & homeless" è ambienta invece a Genova con i suoi ‹palazzi molto alti appiccicati l'un l'altro, vicoli strettissimi marchiati a fuoco dall'umidità›…</i><br />
<br />
<b>Axel Pablo Lombardi</b>: «Altro viaggio di lavoro. Dovevo imbiancare l'appartamento di un amico a Genova, siamo arrivati con la sua macchina, poi un imprevisto non mi ha permesso di poter lavorare e per tornare a casa ho dovuto prendere il treno, che tra l'altro era stato soppresso per la neve. Quindi per passare il tempo ho fatto una lunga passeggiata intorno alla stazione, faceva molto freddo però è stata molto piacevole».<br />
<br />
<i>San Niccolò, il quartiere dell'Isolotto, il lungarno… Ci volete stimolare a visitare Firenze?</i><br />
<br />
<b>Axel Pablo Lombardi</b>: «Diciamo che racconto questi quartieri da visitatore, ci arrivo molto presto la mattina, faccio spesso una salutare passeggiata prima di andare a lavoro, mi dà la stessa sensazione di libertà di quando facevo "forca" a scuola e vagabondavo per Firenze».<br />
<br />
<i>Quartieri in cui non è raro assistere agli ‹umani sforzi di risorgere›…</i><br />
<br />
<b>Axel Pablo Lombardi</b>: «Guardandosi intorno si può vedere tanta brava gente, ognuna di quelle persone compie ogni giorno enormi e umani sforzi per risorgere…».<br />
<br />
<i>In "Ponte di mezzo" regalate un bel quadro di integrazione razziale cantando ‹cinque bambini giocano alla fontana, bianchi neri e uno viene dal Perù evviva voi, insegnateci il futuro lentamente›. I bambini sono degli ottimi insegnanti...</i><br />
<br />
<b>Axel Pablo Lombardi</b>: «I bambini ci riportano alla vera essenza della vita. Quei bambini che giocano insieme alla fontana provengono da varie parti del mondo e condividono la loro gioia sopra ogni pregiudizio, se potessero crescere in modo naturale, come meriterebbero, liberi da ogni sovrastruttura sociale o culturale, potrebbero veramente insegnarci un futuro migliore».<br />
<br />
<i>La vostra Firenze è la stessa di quella del Presidente del Consiglio?</i><br />
<br />
<b>Axel Pablo Lombardi</b>: «Firenze è Firenze, ci contiene tutti, ognuno ha la sua dimensione e il suo piccolo grande universo, è la mia, quella di Giuseppe, del Presidente del Consiglio, di chi tira il pane ai piccioni in piazza e di chi scippa le borse, di chi non ha i soldi per mangiare e di chi va al Grand Hotel».<br />
<br />
<i>La copertina ritrae un particolare del ponte all'Indiano, cosa rappresenta per voi quell'immagine?</i><br />
<br />
<b>Giuseppe Feminò</b>: «Se tornassimo indietro nel tempo e volessi andare a casa di Axel potrei passare solo dal ponte all'Indiano. Isolotto e Campi Bisenzio sono i nostri luoghi di origine, il ponte all'Indiano li collega».<br />
<br />
<i>Come suonerà "Il suono lontano" dal vivo?</i><br />
<br />
<b>Axel Pablo Lombardi</b> e <b>Giuseppe Feminò</b>: «Speriamo bene».<br />
<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Il suono lontano<br />
<b>Gruppo</b>: Catalpa<br />
<b>Etichetta</b>: autoproduzione<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Axel Pablo Lombardi) <br />
<br />
01. Cercis Siliquastrum<br />
02. Hotels & homeless<br />
03. Catalpa<br />
04. Il biglietto del '66<br />
05. Un panino al pollo<br />
06. Baia verde<br />
07. Piazza dell'Isolotto<br />
08. San Niccolò<br />
09. Vittoria Apuana<br />
10. Ponte di mezzo<br />
11. Il suono lontano<br />
12. Bella luna<br />
13. Sorgane<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dz39Q8BLeVsvwMZhNpVewnMYlnyxhsjtruaRE_dHe4B37iEsISulPNIw3zk-pD0TrAzahgHdYJHycgUhr88AQ' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-12873662626921340442016-06-16T12:48:00.000+02:002016-06-16T12:48:21.347+02:00"Anche se non sembra", gli Edgar sono tornati<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-_gk0qGstCTg/V01dhPJVNKI/AAAAAAAAbz8/-MC0FKGKuB0trTJ4iSFgYqVnJiuEwmKjgCLcB/s1600/edgar.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-_gk0qGstCTg/V01dhPJVNKI/AAAAAAAAbz8/-MC0FKGKuB0trTJ4iSFgYqVnJiuEwmKjgCLcB/s320/edgar.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Ci sono voluti sette anni ma alla fine gli <b>Edgar</b> sono tornati. "Anche se non sembra" è il nuovo album del gruppo ligure che arriva dopo il disco d'esordio, "Alcuni fattori marginali", prodotto e arrangiato da <b>Piero Milesi</b> e pubblicato nel 2008. Il gruppo vede la luce sul finire degli anni '90 come laboratorio di improvvisazione e nel 2003, con il nome di <b>Edgar Cafè</b>, rappresenta la Liguria e vince l'annuale edizione di Arezzo Wave. Cinque anni dopo arriva il primo disco di cui Milesi, scomparso nel 2011, è il vero deus ex machina. La sua morte interrompe i piani e l'attività degli Edgar e solo nel 2013 la band "rinasce" riannodando i fili spezzati e perdendo parte del nome. L'anno dopo gli Edgar si occupano delle musiche e suonano dal vivo nello spettacolo teatrale "The wedding singers" prodotto dal Teatro della Tosse di Genova con Angela Baraldi e la regia di Emanuele Conte. Poi finalmente il ritorno in studio per il nuovo disco, "Anche se non sembra", composto insieme a <b>Daniela Bianchi</b> e <b>Antonio Melvavi</b>, prodotto dalla
OrangeHome Records di <b>Raffaele Abbate</b> e registrato negli studi di Leivi.</div>
<div style="text-align: justify;">
Undici tracce che creano un vorticoso magma musicale, a volte ipnotico e certamente onirico in cui mancano volutamente i punti di riferimento rappresentati da facili ritornelli. Difficile anche voler prendere parte al sempre vivo gioco della catalogazione artistica, che troppo spesso porta a cieche classificazioni come se la musica fosse una collezione di insetti. Il nuovo disco degli Edgar è un tentativo coraggioso che dimostra la vitalità di pensiero e di espressione di questo gruppo ora formato da <b>Stefano Bolchi</b>, <b>Daniele Ferrari</b>, <b>Osvaldo Loi</b> e dal bolognese <b>Federico Fantuz</b>. La dimensione acustica va a braccetto con sonorità energiche di indie rock e con la poesia di testi ambiziosi e studiati che parlano di lavoro giovanile, di rapporti interpersonali, di quotidianità e il lento scorrere del tempo. Il disco si chiude con "Già", dovuto e commosso ricordo di Piero Milesi. </div>
Con Stefano Bolchi abbiamo parlato del ritorno degli Edgar.<br />
<br />
<i><br /></i>
<i><br /></i>
<i>Siete sulla scena dalla fine degli anni '90, quando ancora vi chiamavate Edgar Cafè, e in tutti questi anni avete pubblicato solo due dischi. Perché avete prodotto così poco?</i><br />
<br />
«Quello che si trova nei due dischi è una parte del materiale sonoro e testuale prodotto in questo arco di tempo. Il tempo trascorso è relativo, e questo è un "credo". Tempo relativo rispetto alle istanze creative che ci hanno mosso, che ci hanno spinto a suonare, parlare e costruire rispettando i tempi di ciascuno di noi, valorizzandone l'autenticità non forzata, non veloce, non pubblicabile a tutti i costi».<br />
<br />
<i>Il vostro primo disco vide la luce nel 2008 e nacque dalla collaborazione con il produttore <b>Piero Milesi</b>. Poi sono passati sette anni, fino all'incontro con Raffaele Abbate che ha curato la produzione del vostro nuovo disco. Che differenze nel modo di lavorare avete riscontrato tra Milesi e Abbate?</i><br />
<br />
«Il ruolo che hanno avuto Piero Milesi in "Alcuni fattori marginali" e Raffaele Abbate in "Anche se non sembra" è proprio diverso. Milesi si è occupato della direzione artistica del progetto. Piero ha composto delle parti, arrangiato insieme a noi i brani, suonato in alcune canzoni, supervisionato missaggio e mastering. Era un produttore d'altri tempi, di quelli che si innamoravano e davano anima e corpo per un progetto sconosciuto, facendo un vero e proprio investimento a rischio. Un ruolo di quel tipo si dice che oggigiorno sia estinto. In "Anche se non sembra" Raffaele non ha preso parte alla produzione artistica ma si è concentrato sulla costruzione del sound del disco in sinergia con il gruppo».<br />
<br />
<i>Quali sono gli stimoli che vi hanno portato nuovamente in sala di registrazione?</i><br />
<br />
«Non ci sono stati stimoli esterni a portarci in sala di registrazione. Ci ha mosso il desiderio di far ascoltare queste canzoni tramite un disco pubblicato».<br />
<br />
<i>Il titolo del disco è "Anche se non sembra", spiegatemi allora qual è la verità…</i><br />
<br />
«Pare che attualmente occorra apparire per esserci e di conseguenza se qualcosa o qualcuno non appare sembra non esistere. Per quanto riguarda la verità non so proprio che dire, anzi credo che con la verità l'uomo abbia un rapporto impossibile».<br />
<br />
<i>Considerate le undici canzoni del disco come se fossero parte di una storia o sono fotografie indipendenti?</i><br />
<br />
«Le sonorità degli undici brani sono molto diverse tra di loro. Non è stato costruito un filo narrativo in sequenza ma sono evocati legami di senso. Ci piace lasciare all'ascoltatore la libertà di interpretare».<br />
<br />
<i>Leggendo i testi delle canzoni si capisce che è stata fatta molta ricerca. Usate soluzioni interessanti e non comuni tra cui rielaborazioni di modi di dire e paronomasie. Sembra che l'elaborazione dei testi rivesta un ruolo di primo piano nella vostra fase creativa…</i><br />
<br />
«Anche se non sembra, i testi non rivestono questo ruolo principale. Certe trovate testuali sono nate non da un lavoro di ricerca linguistica ma da un approccio ludico, improvvisato, comunque elaborato poi criticamente insieme. Il lavoro sulla musica ha pari importanza. Si parte sempre da un inconsapevole improvvisazione».<br />
<br />
<i>In "L'astronave" c'è una strofa che mi ha fatto pensare: «È quando non resta più niente che l'orizzonte comincia a cambiare». Io adatterei questa frase all'esistenza umana: solo toccando il fondo si può dar vita a un cambiamento radicale. Cosa ne pensate?</i><br />
<br />
«Che è un interpretazione possibile, anche se non siamo dell'idea che esista un fondo, piuttosto siamo dell'idea che partire dal vuoto faccia ben sperare. È grazie al vuoto che si muovono le cose se no ci sarebbe l'immobilità. Ho scritto quella frase partendo da un immagine visiva: la linea dell'orizzonte, priva di qualsiasi riferimento attorno, che inizia a prendere forma, un po' come il fenomeno del miraggio. Ho riportato questa visione letteralmente».<br />
<br />
<i>Se non sbaglio avete una visione critica della società attuale. In "Luogo comune" cantate «…la nostra mente è presa da tutto non sa fermarsi davanti a niente». Neanche la musica riesce a fermare questa corsa generata dal bombardamento continuo di stimoli e notizie, vere o false che siano?</i><br />
<br />
«È una visione decisamente critica della società in cui ci sentiamo immersi, e siamo in crisi pure noi. Sì, siamo bombardati, e il rischio è di essere fagocitati. Si consumano stimoli vuoti che a loro volta consumano. La musica non c'entra niente e non può fermare nessun bombardamento. È soltanto uno strumento, di chi la produce e di chi la ascolta. È sicuramente difficile fermarsi rispetto a questo tritatutto, ma sta al soggetto scegliere di farlo».<br />
<br />
<i>In "Vivo" l'uomo subisce la superiorità dell'universo: «bipede astuto inventi le ore ma il tempo passa come gli pare»… È il nostro destino?</i><br />
<br />
«L'uomo è descritto come fragile di fronte alla mancanza, alla vita, sebbene abbia fatto di tutto per controllarla, persino il tempo. Ma in "Vivo" l'uomo non è inerme, anzi: la vitalità è una scelta di resistenza, scelta indelegabile».<br />
<br />
<i>E i sentimenti e l'amore? Sono solo «un bicchiere vuoto sul banco del bar»?</i><br />
<br />
«Sì, se non si riempiono di un buono e genuino vino».<br />
<br />
<i>Nel disco, quasi fosse la chiusura di un cerchio, avete dedicato la canzone "Già" proprio a Piero Milesi, scomparso alcuni anni dopo aver prodotto il vostro primo disco "Alcuni fattori marginali"…</i><br />
<br />
«Piero si è dedicato al progetto profondamente e intensamente, si è molto coinvolto affettivamente, era il primo lavoro professionale in cui ci imbattevamo, eravamo tutti molto emozionati. Il ricordo che ho impresso è quello di una forte intensità. Dopo l'uscita del disco ci fu un periodo di giusta distanza, ma l'amicizia nata ci riportò a condividere serate e discorsi insieme. Si parlava anche di un secondo disco. Il brano "Già" era abbozzato in un provino che a Piero piacque particolarmente. Ci è venuto spontaneo dedicargli il brano in "Anche se non sembra"».<br />
<br />
<i>"Anche se non sembra" ha un suono molto particolare, tutto sembra racchiuso in un vortice privo di un centro di gravità. Quali sono i musicisti che vi hanno maggiormente ispirato?</i><br />
<br />
«La musicalità del subcomandante Marcos».<br />
<br />
<i>In un periodo in cui la musica si ascolta su Youtube o simili un album come il vostro, difficile se non impossibile da etichettare, non temete che possa perdersi?</i><br />
<br />
«In realtà crediamo nella distinzione. Partiamo prima di tutto da quello che noi vorremmo trovare intorno: differenza, diversità. Il non rientrare in pieno in un genere ci sembra inevitabile quando si è aderenti a se stessi. Trovo preoccupante pensare che sia necessario etichettare qualcosa per riconoscere che esista. Certo è che c'è un sacco di musica in giro ed il web è un territorio caotico dove si combatte con le armi dell'autopromozione e dell'autoaffermazione. È già perso in questo mare. È un prodotto come tantissimi altri che fanno fatica ad essere diffusi».<br />
<br />
<i>Toglietemi una curiosità, perché vi chiamate Edgar?</i><br />
<br />
«Non c'è un senso preciso o un riferimento a qualcosa. La storia precedente a Edgar era Edgar Cafè. Abbiamo tolto il caffè: ce l'ha detto il cardiologo».<br />
<br />
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<b>Titolo</b>: Anche se non sembra<br />
<b>Gruppo</b>: Edgar<br />
<b>Etichetta</b>: OrangeHome Records<br />
<b>Data di pubblicazione</b>: 2015<br />
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<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Stefano Bolchi, eccetto dove diversamente indicato)<br />
<br />
01. Vivo [<i>Antonio Melvavi, Stefano Bolchi</i>]<br />
02. L'astronave<br />
03. Sembra semplice [<i>Antonio Melvavi, Stefano Bolchi</i>]<br />
04. Gli asini<br />
05. D'istinti saluti [<i>Stefano Bolchi, Federico Fantuz</i>]<br />
06. Lettera [<i>Antonio Melvavi, Stefano Bolchi</i>]<br />
07. (esse barrato) [<i>Antonio Melvavi, Stefano Bolchi</i>]<br />
08. Luogo comune<br />
09. Tappetino part-time [<i>Antonio Melvavi, Stefano Bolchi</i>]<br />
10. La penultima pagina<br />
11 Già<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dwinJknMIM67gBlzvOpS2YZr_2V4DMW94vY732bSLbocfgNMYRYuQhw-4iNmtBQnqtNMGp6sVeMIM8-GdNjfA' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-57916930142533893642016-05-18T14:56:00.001+02:002016-05-18T14:56:18.475+02:00I Del Sangre celebrano "Il ritorno dell'Indiano"<br />
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<a href="https://2.bp.blogspot.com/-8odVUZ9-gFs/VyEvq_V5e5I/AAAAAAAAbwE/bqsIsmEKnZ4qDWftJ-Gt_RmRCvFehXYrQCLcB/s1600/DEL%2BSANGRE-IL%2BRITORNO%2BDELL%2BINDIANO-big.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-8odVUZ9-gFs/VyEvq_V5e5I/AAAAAAAAbwE/bqsIsmEKnZ4qDWftJ-Gt_RmRCvFehXYrQCLcB/s320/DEL%2BSANGRE-IL%2BRITORNO%2BDELL%2BINDIANO-big.jpg" width="320" /></a></div>
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Sono tornati e il piglio, questa volta, è decisamente rock. I <b>Del Sangre</b>, dopo sei anni di assenza, sono nuovamente sulla scena con "Il ritorno dell'Indiano", disco di pregevole fattura che rilancia le ambizioni del duo toscano. Dopo due album pubblicati solo su internet, come "Vox Populi" (2008) che contiene antichi canti popolari riarrangiati e riadattati secondo uno stile a metà tra tradizione italiana e folk americano ed "El Rey" (2010) dalle atmosfere introspettive, il duo <b>Luca Mirti</b> e <b>Marco "Schuster" Lastrucci</b> ha deciso di puntare in alto e di voltare lo sguardo oltre oceano. Il disco è stato finalmente stampato in formato fisico e i Del Sangre hanno potuto contare su una produzione con i fiocchi, affidata al sempre fedele collaboratore <b>Gianfilippo Boni</b> (anche in veste di musicista al pianoforte e al Wurlitzer), una sicurezza nella cura del suono. I Del Sangre per questa nuova avventura discografica non hanno badato a spese e si sono avvalsi della collaborazione del batterista <b>Fabrizio Morganti</b>, già al fianco di Irene Grandi e Biagio Antonacci, del chitarrista <b>Giuseppe Scarpato</b>, già con Edoardo Bennato, di<b> Claudio Giovagnoli</b> al sax<b> </b>e di <b>Paolo "Pee Wee" Durante</b> all'organo Hammond. </div>
<div style="text-align: justify;">
L'album, dalle marcate sonorità rock, è composto da dieci brani e una cover in cui si rintracciano influenze della produzione di Bruce Springsteen (l'intro chitarristico di "Alza le mani" rende omaggio a "Lucky Town" mentre "Successe domani" riprende ritmica e l'incedere di "Part man, part monkey) fino a quella dei Clash. Il tutto è stato rivisitato in chiave personale e con l'aggiunta di un pizzico di modernità. Una occhiata verso gli anni '70 i Del Sangre l'hanno data con la cover. Mirti e Lastrucci hanno omaggiato Ivan Della Mea, uno dei più importanti cantautori di protesta di quegli anni, ripescando la canzone "Sebastiano", qui presentata in una bella versione rock. Una scelta che ha regalato ulteriore spessore artistico a questa ottima prova discografica del duo. Il disco in generale ha un bel "tiro" e i testi, a metà tra l'autobiografico e l'impegno sociale, sono conditi da una ironia pungente nei confronti del potere e di uno Stato lontano dalle esigenze dei cittadini. </div>
<div style="text-align: justify;">
Luca Mirti (voce e chitarra) e Marco Lastrucci (basso) presentano, nell'intervista che segue, il sesto album della loro carriera, iniziata nel 2002 con "Ad un passo dal cielo" e proseguita due anni dopo con "Terra di nessuno" che contiene il singolo "Radio aut", vincitore del Premio Ciampi. </div>
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<i>Ci sono voluti sei lunghi anni per poter ascoltare un vostro nuovo disco. Cosa avete fatto dal 2010, anno dell'uscita di "El Rey", ad oggi?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Ci siamo presi il nostro tempo per riflettere su dove stavamo andando. Io ho continuato a suonare, ho una cover band messa su da svariati anni con amici. Ci divertiamo a riproporre dal vivo pezzi di buon rock anni '70 coi quali sono cresciuto e mi serve per allentare un po' la pressione che può portare un impegno come quello coi Del Sangre».<b> </b><br />
<b>Marco "Schuster" Lastrucci</b>: «Dal 2010 al 2014, data di inizio della pre-produzione di "Il ritorno dell'Indiano", sono stati anni di pensieri e ricerca, non ricordavo dove avevo seppellito l'ascia di guerra, ho scavato molto... poi è venuta lei da me, un po' come l'uroboro che può sembrare immobile ma in realtà è in eterno movimento».<br />
<br />
<i>Il vostro è un ritorno in grande stile dal momento che avete deciso di stampare il disco in cd, cosa che non era successa nei due precedenti episodi, e vi siete affidati all'etichetta Latlantide. Lo considerate il disco del "dentro o fuori"?<b> </b></i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «In un certo modo sì perché ci abbiamo investito molto in termini di tempo e di denaro, quindi la riuscita positiva o meno di questo lavoro determinerà in modo pesante quello che saranno i nostri passi futuri».<br />
<br />
<i>Quanto avete investito in questo lavoro?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Molto, appunto. Sia in termini emotivi, perché rimettersi in gioco dopo diversi anni e alla nostra età non è mai semplice, sia in termini di tempo sottratto alle famiglie e al lavoro, e anche dal punto di vista economici. Questo disco è stato realizzato solo in minima parte con l'ausilio del crowdfunding - che è una formula che paradossalmente si rivela vincente solo se hai un "nome" e un conseguente appeal - ragion per cui ci siamo indebitati con un finanziamento che pagheremo ancora per due anni».<br />
<br />
<i>Per realizzare questo lavoro vi siete affidati a musicisti di grande qualità artistica: su tutti Giuseppe Scarpato e Fabrizio Morganti. Come sono avvenuti questi e gli altri incontri?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Collaboriamo da anni con Gianfilippo Boni che è sempre stato il coproduttore di tutti i nostri lavori e nel suo studio di registrazione abbiamo realizzato i nostri dischi, da "Terra Di Nessuno" del 2004 in poi. Gianfilippo, oltre ad essere un apprezzato fonico e cantautore, è sempre stato il nostro trait d'union coi vari musicisti che gravitano nella scena musicale toscana, per cui Fabrizio Morganti è stata una sua geniale idea, oltretutto i trascorsi e il presente di un musicista come Morganti, parlano per lui e così è stato per altri musicisti che sono andati a comporre il puzzle. Un discorso a parte è quello di Giuseppe Scarpato del quale mi innamorai, artisticamente parlando, vedendo un video di Edoardo Bennato (Giuseppe è il suo chitarrista produttore da ormai venticinque anni) e fortuna vuole che, pur essendo lui napoletano, risieda a Firenze ormai da anni. È stato semplice contattarlo, proporgli il materiale e imbarcare anche lui in questa avventura. Scelta che si è rivelata vincente in termini di suono, ma questo era scontato data la portata del musicista».<br />
<br />
<i>Avete sempre differenziato molto le sonorità da un disco all'altro ma questa volta il taglio rock lo ritengo particolarmente indovinato…</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Sì. Quello che abbiamo sempre cercato di fare, nel nostro piccolo, è stato quello di non ripetersi e ogni nostro lavoro presenta colori differenti. Siamo passati dal folk più tradizionale al country, fino a un folk più oscuro e visionario ma non avevamo mai fatto il disco rock come volevamo, per tutta una serie di ragioni. Stavolta ce l'abbiamo fatta. Abbiamo messo in campo "l'artiglieria pesante" e questo disco è un forte richiamo a quelle tradizioni rock americane che hanno sempre contraddistinto i nostri ascolti».<br />
<br />
T<i>ra le canzoni del disco ce ne sono due dedicate ad altrettanti personaggi ribelli della storia italiana. La prima riguarda "Gaetano Bresci", anarchico che uccise re Umberto I e che in questa canzone confessa il proprio reato. Qual è il messaggio di questo brano?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Fondamentalmente che nessuna istituzione, per quanto potente possa essere, può sentirsi al sicuro. Prima o poi passano tutti sotto la lente del giudizio, sia esso divino o popolare. La storia è fatta di corsi e ricorsi».<br />
<br />
<i>L'altra canzone in questione è "Argo Secondari", brano legato alla figura dell'anarchico che diede vita al movimento degli Arditi del Popolo, organizzazione paramilitare nata in opposizione allo squadrismo fascista. Cosa rappresenta per voi?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Non è propriamente la storia di colui che dà il nome alla canzone. Argo Secondari è solo l'eminenza grigia, il punto finale dove vanno a confluire una gran parte di personaggi storici passati ed attuali che, a loro modo, hanno incarnato la figura del ribelle. Figure che passano da Che Guevara a Gesù Cristo fino anche a John Belushi e Billy Bragg per citarne alcuni. Diciamo che è un sogno nel quale l'anima della ribellione si desta e prende per mano un popolo marciando fino alla vittoria finale».<br />
<br />
<i>Non mancano le canzoni di denuncia come appunto "Sacra corona unita". Il rock militante trovate che sia ancora attuale?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «La parola militante presuppone lo schierarsi in maniera netta e decisa da una parte della barricata. Io ho sempre pensato al nostro come a un rock sì di protesta, ma anche di libertà. Cosa questa che certi steccati ideologici non ti permettono di avere, nella maniera più assoluta. Non so se sia o meno attuale, so solo che è l'unico modo attraverso il quale riesco a esprimere al meglio i miei pensieri su ciò che mi circonda che non è tutto merda ma neanche tutto rose e fiori. È la vita…».<br />
<br />
<i>Con "Gli occhi di Geronimo" tornate all'attualità. Alla disperazione di chi perde il lavoro e che decide di farsi giustizia da solo. Una storia alla "Johnny 99" di springsteeniana memoria…<b> </b></i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Sì. Questa è una canzone portata in dote da "Johnny 99" e da "Billy Austin" (canzone di Steve Earle, ndr), ma anche da una situazione che è impossibile da non vedere, se proprio non si vuol mettere la testa sotto la sabbia. Quando i sogni e gli ideali di un uomo crollano sotto i colpi di una società che pensa solo a distruggere anziché aiutare chi è in difficoltà e si arriva alle conseguenze estreme, le strade sono due. O ci si punta una pistola alla testa, o si cambia prospettiva e la pistola la si gira verso un altro bersaglio. Sia ben chiaro che questa non è esaltazione dell'omicidio, ma una mera constatazione della parte più oscura della realtà che stiamo vivendo e che ci tengono nascosta».<br />
<br />
<i>Avete un occhio particolarmente critico anche verso la società occidentale governata da soldi, potere e lobbies. Il vostro messaggio è chiaro in "Successe domani". Stiamo correndo verso il precipizio o c'è ancora tempo per sterzare?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Allo stato attuale vedo una implosione della società occidentale, derivante maggiormente dalla perdita dei propri valori e del non senso di appartenenza alle proprie radici storico culturali. Diciamo che siamo entrati in un lungo tunnel buio dove la luce in fondo non è altro che un treno che sta arrivando in contromano e, a meno di brusche sterzate, finiremo investiti».<br />
<br />
<i>Si colloca alla perfezione in questo album la cover che avete scelto di cantare. Si tratta di "Sebastiano" di Ivan Della Mea, una delle figure più importanti della canzone di protesta degli anni '70. Perché avete fatto questa scelta?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Perché volenti o nolenti Ivan Della Mea è stata una figura di rilievo del cantautorato di protesta degli anni '70 e la nostra attenzione è sempre andata verso quella che io amo definire "musica di sostanza". Oltretutto conoscevamo Ivan e ci è sembrato doveroso rendergli omaggio con questa cover che a mio parere ci veste abbastanza bene. Mettici anche che se quei pochi, fra i quali noi, non riportassero all'attenzione certi lavori che hanno dato qualcosa di concreto alla musica italiana, queste canzoni sarebbero destinate all'oblio. Perché ai ragazzi d'oggi - se non in minima parte - non importa molto di capire da dove sono venuti, ma solo dove stanno andando. Ma se non hai delle radici solide, sei solo un gigante con le gambe d'argilla, ti addentri nel buio del bosco senza quella lanterna in mano che altro non è che il tuo passato, le tue origini. È importante».<br />
<br />
<i>Nel corso della vostra carriera avete avuto occasione di dividere il palco con Della Mea?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Abbiamo calcato lo stesso palcoscenico nel 2004 a Livorno al Teatro La Gran Guardia in occasione del Premio Ciampi che vincemmo come gruppo emergente. Quella stessa sera si esibirono artisti di grosso calibro che ottennero il premio alla carriera fra i quali Ivan Della Mea, appunto, ma anche Nicola Arigliano, Ricky Gianco, Giovanni Lindo Ferretti con Ambrogio Sparagna, Ligabue. Fu una serata indimenticabile».<br />
<br />
<i>Secondo voi per scrivere testi credibili è necessario che l'autore viva queste esperienze sulla propria pelle?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Sì e no. Se fosse così, De André non sarebbe mai esistito essendo venuto da famiglia borghese agiata. Diciamo che l'artista, e io non mi definisco tale, deve avere una certa sensibilità. Una spiccata ricettività verso ciò che lo circonda e quando le antenne captano qualcosa, una parte nascosta di lui che viene fuori in quel preciso istante, butta tutto su carta. È però auspicabile che l'artista debba - nei limiti del possibile - vivere non in controtendenza (e questo spesso accade...) con quanto va predicando perché comunque ha la responsabilità di parlare alla gente e deve essere sincero e credibile».<br />
<br />
<i>"Scarpe strette" e "L'Indiano" mi sembra siano canzoni più autobiografiche rispetto alle altre. Qual è il loro significato?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «A volte capita che scrivi e lo fai di getto. A cose fatte, ti rendi conto che la canzone sta parlando di te. È un processo tanto curioso quanto affascinante. "L'Indiano" è un brano che parla di un ritorno dopo anni di vicissitudini personali e finisce con l'essere la metafora degli ultimi anni del mio vissuto. Capita che a un certo punto della tua vita in cui non hai più vent'anni e ti affacci ai cinquanta, come nel mio caso, fai due conti e metti tutto sulla bilancia; credo sia fisiologico. E allora guardi a quello che è stato, a quello che poteva essere e a quello che è al netto delle sconfitte che ti hanno portato dall'essere incendiario fino a diventare pompiere e in tutto questo rivedi anche un po' di quella che è stata la vita di tuo padre che resta un faro indispensabile. Almeno per me».<br />
<br />
<i>Chi sono gli indiani ai giorni nostri?</i><br />
<br />
<b>Luca Mirti</b>: «Chiunque tira avanti per sopravvivere con mille euro al mese. E lo fa combattendo una battaglia che sa già essere perduta in partenza». <br />
<br />
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<b>Titolo</b>: Il ritorno dell'Indiano<br />
<b>Gruppo</b>: Del Sangre<br />
<b>Etichetta</b>: Latlantide/Edel<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Luca Mirti eccetto dove diversamente indicato)<br />
<br />
01. L'Indiano<br />
02. Alza le mani<br />
03. Successe domani<br />
04. Gaetano Bresci<br />
05. Fuori dal ghetto<br />
06. Una chitarra per la rivoluzione<br />
07. Sacra corona unita<br />
08. Scarpe strette<br />
09. Argo Secondari<br />
10. Gli occhi di Geronimo<br />
11. Sebastiano [<i>Ivan Della Mea</i>]<br />
<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-41814514741005452862016-04-26T09:29:00.000+02:002016-04-26T09:29:26.291+02:00Emily Sporting Club cantano Pier Vittorio Tondelli<br />
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-wXb7mqS7pPI/VullSfN2nBI/AAAAAAAAbs4/78Z9ZZCkS4A8NFzqJvUNfY1tnOpmVsxeg/s1600/Emily-Sporting-Club_copertina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-wXb7mqS7pPI/VullSfN2nBI/AAAAAAAAbs4/78Z9ZZCkS4A8NFzqJvUNfY1tnOpmVsxeg/s320/Emily-Sporting-Club_copertina.jpg" width="320" /></a></div>
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<b>Emily Sporting Club</b> debutta con un omaggio a Pier Vittorio Tondelli, scrittore di culto per i giovani</div>
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degli anni '80 che con il romanzo "Altri libertini" ha rappresentato una importante voce fuori dal coro. L'influenza dello scrittore e giornalista di Correggio è evidente nelle liriche e nelle atmosfere delle canzoni del disco d'esordio del gruppo nato nel 2013 dall'incontro tra <b>Elisa Minari</b>, il cantante e l'autore dei testi <b>Nicola Pulvirenti</b>, il chitarrista <b>Silvio Valli</b> e il batterista <b>Alfredo De Vincentiis</b>. Non si tratta però di una mera riduzione in musica degli scritti di Tondelli quanto di un'opera che prende spunto e subisce l'influenza di "Altri libertini" ma ne elabora un pensiero proprio e al passo con i tempi. "Altri libertini" racconta un'età di passaggio, di fuga dei giovani alle prese con tramontate rivendicazioni sessantottine. E proprio il contesto di insoddisfazione descritto così efficacemente nel libro da Tondelli è un sentimento che Emily Sporting Club riprende e attualizza. </div>
<div style="text-align: justify;">
Il romanzo di Tondelli, così come <i>Emilia Paranoica</i>, sono quindi il punto di partenza di questo album in cui si alternano varie sonorità che confermano quanto i componenti del gruppo abbiano metabolizzato la musica che li ha preceduti e siano stati in grado di svilupparne di propria, attuale, vibrante e dalla spiccata sensibilità. I riferimenti sono eterogenei e si possono trovare nel rock degli U2, nella new wave ma anche nel progressive italiano degli Area e nel post punk di gruppi come Joy Division e Cure. </div>
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Di "Emily Sporting Club" abbiamo parlato con Elisa Minari e Nicola Pulvirenti. Il tutto nell'intervista che segue. </div>
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<i>Nella presentazione del vostro disco si legge che è ispirato al romanzo "Altri libertini" dello scrittore Pier Vittorio Tondelli. Sono passati più di trentacinque anni dalla pubblicazione di questo libro, lo ritenete ancora attuale?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Certo. È proprio uno dei motivi per cui lo abbiamo scelto. I personaggi descritti si trovano in un contesto di insoddisfazione verso il quotidiano, uno "spleen", un'apatia e, allo stesso tempo, il bisogno di trovare se stessi, di fare sbocciare la propria vita magari andandosene dalla provincia. È il loro mondo, lo amano ma purtroppo sta stretto. Sia per ciò che offre, sia per la necessità tutta personale di trovare la propria strada, il proprio "odore". Suona piuttosto familiare, no?».<br />
<br />
<i>Lo avete letto tutti questo libro?<b> </b></i><br />
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<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Qualcuno anche più volte. Tondelli è stato uno degli autori della mia adolescenza. Non è stato l'unico dei suoi romanzi che abbiamo apprezzato: Tondelli ci piace perché ha uno stile che arriva subito e storie riconoscibili. Chi non ha avuto la propria Annacarla? Chi può dire di non essere mai partito per cercarsi?».<br />
<br />
<i>Elisa, quando è stato pubblicato il romanzo avevi sette anni. Chi te lo ha fatto scoprire?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Elisa Minari</b>: «Se non ricordo male fu alle superiori, la professoressa d'italiano lo aveva inserito in una lista di libri consigliati come letture estive. Ovviamente lo "divorai". Erano gli anni della scoperta di Jim Morrison, David Bowie, Lou Reed, Hendrix e tutto quel mondo musicale che è stato fondamentale per me. "Altri libertini" era decisamente sulla stessa lunghezza d'onda, sia per lo stile che per il sentire racchiuso nelle sue storie».<br />
<br />
<i>Qual è il messaggio che più vi ha colpito del romanzo che tanto scandalo suscitò quando fu pubblicato?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Appunto questa necessità di imparare a viversi anche passando per esperienze in qualche modo difficili, dolorose, a volte rischiose. Ed è un bisogno che alberga in tanti: il fatto che ne siano protagonisti dei ragazzi di tutti i giorni rende questa familiarità. Questi personaggi svelano, tra le pagine, anche gli aspetti che sono cautamente celati a una società che non è pronta ad accoglierli: come un organo trapiantato e rigettato ma, tante volte, migliore di quello che ha sostituito».<br />
<br />
<i>Perché avete deciso di ispirarvi al romanzo?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Lo abbiamo sentito vicino sia geograficamente, per i luoghi che abbiamo riconosciuto e vissuto in prima persona e per i personaggi dall'aria familiare, sia stilisticamente. Quante volte abbiamo scorrazzato per la piazza di Reggio Emilia o siamo passati al bar della Stazione Centrale? Magari ascoltando i Gong o Lou Reed. "Altri libertini" ha aggiunto ai nostri ricordi, personaggi che, a pensarci bene, potevano essere Giusy, Salvino, Miro… Fa parte del nostro bagaglio e ci siamo divertiti ad "aggiungere" altri episodi».<br />
<br />
<i>I giovani degli anni Ottanta, che accolsero entusiasticamente "Altri libertini", cosa hanno in comune con i giovani di oggi?</i><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Proprio le affinità a cui ci siamo ispirati. Certo, i tempi sono cambiati, ma il linguaggio esplicito, quotidiano è quello che si trova spesso nelle espressioni culturali di oggi. Basti pensare a un qualsiasi pezzo rap. Potremmo azzardare e definire "Altri libertini" un romanzo hip-hop».<br />
<br />
<i>Come Pier Vittorio Tondelli avete deciso di usare nei testi delle vostre canzoni un linguaggio diretto, abrasivo, crudo in alcune episodi e lontano dal perbenismo. Lo ritenete necessario per esprimere le vostre "idee contro" e lo stato di disillusione?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Non credo. Lo stesso messaggio può essere espresso in forme diverse. Lo stile certo permea più facilmente chi è pronto ad ascoltarlo. Non riteniamo che le nostre idee siano contro tout-court. C'è una necessaria presa di coscienza di una situazione che non soddisfa ma poi ne devono seguire un confronto e una reazione».<br />
<br />
<i>Cantate la mancanza di prospettive di una generazione, la disperazione di chi deve ricominciare e le storture della società attuale. Quali sono i vostri antidoti a tutto ciò?</i><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Come si diceva, ognuno ha i propri momenti "neri" e può capitare di percepire la sindrome locked-in: da solo e senza speranze nei confronti del mondo esterno. Bisogna ripensare a forme di condivisione e partecipazione. Sentirsi meno soli e creare reti di persone potrebbe permettere di invadere il campo della società da cui ci si sente esclusi per diventare noi stessi quella società che vorremmo. Saremmo cittadini più consapevoli, compassionevoli (nel significato etimologico). L'antidoto funziona se è condiviso».<b> </b><br />
<b>Elisa Minari</b>: «In questo senso un antidoto efficace è la creatività, l'arte e l'interazione tra le sue diverse forme. L'unione di letteratura, musica e teatro, ad esempio, permette un notevole scambio di energie e idee atte alla realizzazione di un'opera che sarà unica e "plurale"».<br />
<br />
<i>La letteratura si conferma fonte primaria di ispirazione per i musicisti. Perché è così difficile invece che una canzone o un album ispiri un romanzo?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «…o forse, semplicemente, non ce ne accorgiamo perché non è esplicitato. Lo stesso Tondelli srotola elenchi di musicisti, attori, ballerini. Non sarei certo del fatto che non si sia lasciato trasportare. La creazione/generazione culturale non esiste di per sé. È sempre un'evoluzione di ciò che è il nostro vissuto. Dante non ha creato la sua Commedia dal nulla e Miles Davis non avrebbe raggiunto le sue "rivoluzioni" se non avesse iniziato dagli standard. Poi capita, e di frequente, che l'influenza arrivi da forme espressive differenti e allora un Pollock o una scena di Tarantino potrebbero riconoscere un tributo a qualche canzone».<br />
<br />
<i>Da dove deriva il nome Emily Sporting Club?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Anche in questo caso, ci siamo lasciati coinvolgere da uno dei racconti in cui è descritto un luogo di ritrovo dei ragazzi della provincia, sotto la tenso-struttura di uno Sporting Club. Un luogo da cui si dipanano le singole storie e in cui si torna per condividerle, in cui si trovano i soliti amici e si incontrano quelli che lo saranno per un giorno o due. Ci è piaciuto e lo abbiamo preso in prestito ma giuro che lo trattiamo bene».<br />
<br />
<i>Gli E.S.C. sono nati nel 2013 ma le vostre esperienze in ambito musicale sono svariate. Me le descrivete?</i><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Alcune sono state condivise come Akràsia in cui eravamo Elisa, Silvio ed io. Poi ci sono stati i Nomadi, Freak Antoni, …».<br />
<b>Elisa Minari</b>: «Sì, diciamo che dopo le esperienze reggiane di Akràsia e altre band dell'hinterland, ho semplicemente continuato a suonare. Dal '98 in poi in particolare ho imparato tantissimo dalle esperienze live e in studio. Ci sono stati ingaggi per nomi famosi e non, ma la cosa che ho preferito maggiormente è sempre stato fare parte di un gruppo che propone il proprio suono, la propria personalità, che si tratti di inediti o cover».<br />
<br />
<i>Quali sono state le motivazioni che vi hanno spinti a dar vita a questo progetto e come funziona la collaborazione tra di voi?<b> </b></i><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Ci conosciamo da anni; in alcuni casi, abbiamo mosso le prime esperienze musicali assieme. Ci frequentiamo al di là della band e, condividendo questa aspirazione, ci è sembrato naturale realizzarla in un contesto in cui ci fosse sintonia».<b> </b><br />
<b>Elisa Minari</b>: «Esattamente. Riallacciandomi al discorso delle esperienze musicali di ognuno, personalmente avevo necessità di poter creare musica inedita in un contesto che conosco, che mi assomiglia per i motivi indicati da Nicola. Infatti l'idea di "Altri libertini" come testo di partenza è nata una sera in compagnia davanti a un bicchiere di vino, si era tornati a suonare insieme dopo diversi anni, e conoscendo le potenzialità e i gusti della band si è deciso di provare a dare forma a quest'idea che tanto ci piaceva».<br />
<br />
<i>Quali sono per voi le qualità di maggior pregio del vostro disco?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Credo che abbiamo avuto la fortuna di creare un'amalgama sonoro che ci ha soddisfatti potendo attingere un po' dai suggerimenti contenuti nel libro, un po' dai nostri gusti personali senza vincoli particolari. Personalmente mi sono divertito a giocare con uno stile di scrittura diretto e a fondere gli spazi del libro con i nostri».<br />
<br />
<i>Dal punto di vista musicale, le vostre canzoni suonano attuali e contemporanee. Come avete lavorato sugli arrangiamenti?<b> </b></i><br />
<br />
<b>Elisa Minari</b>: «Amalgamando le nostre sonorità e idee. Pare scontata come risposta, in realtà non lo è. Se si ascolta il disco per intero si noterà che il vestito dato a "Boy" non c'entra nulla con "Piedi inversi", che a sua volta pare molto distante da "Autobahn". In effetti uno arriva da una struttura armonica che suona anni '90, l'altro da una base elettronica a loop, l'altro da un giro più chitarristico. Musicalmente l'apporto di ognuno è stato diretto al fine di rispettare la natura originaria dei brani proposti dai musicisti, senza cercarne una produzione omogenea. Questa libertà d'azione è risultata ottimale se pensiamo al linguaggio tondelliano e alla struttura ad episodi del libro stesso».<br />
<br />
<i>Una curiosità: perché non avete riportato i testi nel booklet a corredo del cd?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Nicola Pulvirenti</b>: «Abbiamo voluto dare più spazio alle immagini lasciando la libertà di vivere i brani con l'ulteriore dimensione visiva. Lasciamo che chi ascolta possa marcare l'accento sui passaggi che sente più vicini, li faccia propri e dipinga il proprio viaggio durante l'ascolto: chissà, magari si tratta di uno sceneggiatore…».<br />
<br />
<i>In che forma si sviluppano i vostri live?<b> </b></i><br />
<br />
<b>Elisa Minari</b>: «Lo spettacolo Emily Sporting Club prevede diversi allestimenti. Uno è quello che ci ha visto esordire sul palco del teatro Asioli di Correggio, un concept diretto dal regista Gabriele Tesauri che ci vede immersi in un continuo raggio di videoproiezioni, la musica è alternata a letture e performance di attori. La stessa idea la manteniamo nella formula per i live nei locali, adattandola ovviamente agli spazi a disposizione, concependo lo spettacolo come un flusso ininterrotto di canzoni, immagini e testi recitati. Stiamo preparando anche il set acustico che ci stimola a guardare i pezzi da un nuovo punto di vista». <br />
<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Emily Sporting Club<br />
<b>Gruppo</b>: Emily Sporting Club<br />
<b>Etichetta</b>: New Model Label<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi di Nicola Pulvirenti e musiche di Emily Sporting Club, eccetto dove diversamente indicato)<br />
<br />
01. Postoristoro<br />
02. Emily Sporting Club<br />
03. Piedi inversi<br />
04. Boy<br />
05. Del lavoro<br />
06. Hangover<br />
07. 2Mars<br />
08. Autobahn<br />
09. Più di così (non se ne può) [<i>testo di Pier Vittorio Tondelli</i>]<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-90277036242841630572016-04-12T12:26:00.000+02:002016-04-25T05:16:59.626+02:00Patrizia Cirulli regala "Mille baci" di poesia<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-gv0ftHjIDoU/VvRqHvlIDJI/AAAAAAAAbtc/g8CF0LZjLi8W7_OyfAc2SjAVKMG4Y-8GA/s1600/1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-gv0ftHjIDoU/VvRqHvlIDJI/AAAAAAAAbtc/g8CF0LZjLi8W7_OyfAc2SjAVKMG4Y-8GA/s320/1.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
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<br />
<div style="text-align: justify;">
Cantare versi scritti da altri può significare due cose: avere poco da dire oppure voler dire tutto, come in questo caso. <b>Patrizia Cirulli</b> nel suo nuovo lavoro in studio, dal titolo "Mille baci", è riuscita a regalare emozioni prendendo in prestito poesie di autori famosi e vestendole con abiti musicali eleganti, a volte sgargianti altre dai colori meno appariscenti, oppure semplici ma dall'effetto caldo e avvolgente. Una tavolozza musicale che scorre veloce all'ascolto e lascia piacevoli sensazioni. Si tratta di un progetto che avrebbe potuto fare cadere l'artista in una sterile e mal riuscita riproposizione di poesie di poeti famosi invece la cantautrice milanese ha lavorato sodo e la sua profonda sensibilità le ha permesso di dare alle stampe un'opera raffinata in cui brillano quindici gemme. Poesie di Catullo, Oscar Wilde, Quasimodo, Saba, D'Annunzio, Alda Merini, Trilussa, Eduardo De Filippo, Baudelaire, Pessoa e un emozionate scritto di Frida Kahlo al marito Diego Rivera hanno trovato nuova giovinezza grazie al lavoro della Cirulli che ha messo in evidenza la profonda essenzialità poetica della parola.</div>
<div style="text-align: justify;">
Come nel precedente "Qualcosa che vale", Patrizia Cirulli si è affidata alle cure di <b>Lele Battista</b>, arrangiatore e polistrumentista dal tocco internazionale che ha saputo dare ampio respiro a tutto il progetto. A questa coppia artistica ormai collaudata si sono aggiunti nomi importanti della scena musicale italiana, tra cui <b>Tony Canto</b>, <b>Andrea Di Cesare</b>, <b>Luigi Schiavone</b>, <b>Niccolò Bodini</b>, <b>Giorgio Mastrocola</b>, <b>Giordano Colombo</b>, <b>Davide Ferrario</b>,<b> Antonio Magrini</b> e <b>Massimo Germini</b>. Un discorso a parte lo merita <b>Fausto Mesolella</b> di cui la Cirulli ha musicato una brano o meglio una poesia dal titolo "Dormo".<br />
Ormai le classifiche lasciano il tempo che trovano ma "Mille baci" può tranquillamente ambire alle posizioni di vertice della produzione italiana di quest'anno e se le radio uscissero dalle logiche di mercato questo disco avrebbe le carte in regola per arrivare al grande pubblico perché gli ingredienti ci sono tutti. Non ultimo la bellissima voce calda e sensuale della Cirulli. </div>
<div style="text-align: justify;">
Patrizia, oltre ad essere una grande artista, è donna dalla spiccata sensibilità con cui è piacevole conversare e il cui amore per il mare della Liguria è confermato dal videoclip della canzone "Mille baci", registrato sulla spiaggia di Cavi di Lavagna. Non poteva quindi che nascere una intervista ad ampio respiro sul suo nuovo lavoro discografico.</div>
<br />
<br />
<br />
<i>Patrizia, quale è stata la difficoltà più grande che hai dovuto affrontare per mettere in piedi questo progetto?</i><br />
<br />
«Da un punto di vista artistico, compositivo, non ho avuto nessun tipo di problema. È avvenuto tutto in modo naturale e istintivo. Più che altro ho poi dovuto fare un lavoro di ricerca per contattare gli eredi dei poeti e chiedere loro il permesso per utilizzare i testi. Questa è stata una parte del lavoro che ha richiesto pazienza, impegno e costanza. È stato davvero un piacere conoscere gli eredi di questi grandi poeti che mi hanno anche incoraggiato con i loro complimenti, come nel caso di Alessandro Quasimodo e Luca De Filippo. Sono stati tutti molto attenti e disponibili all'ascolto del lavoro presentato. Li ringrazio immensamente per avermi dato il loro appoggio e il permesso di realizzare questo disco».<br />
<br />
<i>Con quale criterio hai scelto le poesie da musicare?</i><br />
<br />
«Mettendomi davanti al testo e cercando di percepire la sua musicalità, oltre al mio gusto personale. Mi è capitato di "cantare" alcune poesie solo prendendo in mano il foglio. Leggendole avevo già in mente la melodia. Alcune le ho incontrate. Altre le ho cercate. Ho comunque scelto quelle che avevano una struttura e un linguaggio moderno e attuale».<br />
<br />
<i>Una volta in mano le poesie avevi già una idea precisa dell'abito musicale da cucire loro addosso?</i><br />
<br />
«Per alcune si, come ti dicevo. Alcune le ho cantate subito. Per altre, ho lavorato un po' di più. L'idea di base, comunque, mi arriva abbastanza velocemente, ho già un'idea di quello che sta per succedere. Qui ti parlo della scrittura, della composizione musicale. Gli arrangiamenti sono poi stati curati da Lele Battista, che a livello di arrangiamento aggiunge poi la sua creatività in studio, rispettando però la natura della composizioni».<br />
<br />
<i>Come hai fatto ad adattare la musica alle poesie?</i><br />
<br />
«Ho in mente quella che è la forma canzone. Non cambio una sola parola del testo originale. Semplicemente ho necessità di ripetere alcune frasi come ritornelli o strofe o momenti di passaggio, come succede nelle canzoni. In base alla musicalità delle parole e al senso del testo, si viene a creare uno stato emotivo particolare e da lì parte la creazione musicale. In fondo è quello che succede quando un compositore musica il testo di una canzone».<br />
<br />
<i>Da Catullo a Oscar Wilde, da Quasimodo a Baudelaire. A quale dei poeti che canti sei più legata e perché?</i><br />
<br />
«A livello personale, ti dico Alda Merini. Non mi riferisco necessariamente ai due brani che sono presenti nel disco con i testi di Alda (anche se li amo molto), ma proprio a lei come essere umano e poetessa. È stata una grande donna, ha saputo attraversare e superare il dolore e trasformarlo. Ha scritto delle cose meravigliose e i suoi scritti e le sue parole sono grandi insegnamenti per tutti noi. Senza nulla togliere, ovviamente, alla grandezza degli altri poeti».<br />
<br />
<i>Il tuo rapporto con la letteratura e la poesia quando è nato?</i><br />
<br />
«Mi piaceva leggere già da bambina, ho cominciato naturalmente con i testi proposti dalla scuola. Ricordo le prime letture con Calvino, poi Leopardi, Edgar Allan Poe. Mi piace ricordare che alle scuole elementari, ho portato agli esami dell'ultimo anno una poesia di Francesco Guccini. L'insegnante presentò una serie di poeti e relative poesie in modo da sceglierne una da presentare agli esami. Ad un certo punto parlando di Guccini, disse che questo poeta faceva anche il cantante. Io, che amavo la musica e sapevo già che avrei voluto cantare, scelsi a scatola chiusa la poesia del "poeta cantante". Si trattava della poesia "Il vecchio e il bambino". Un testo poi musicato e diventato canzone».<br />
<br />
<i>Tra le canzoni presenti nel disco c'è "Dormo", il cui testo è stato scritto non da un poeta ma da un grande compositore e musicista come Fausto Mesolella. Perché l'idea di inserirla?</i><br />
<br />
«"Dormo" è una poesia scritta da Fausto Mesolella, che come sappiamo è un grande chitarrista e compositore. In questo caso però, credo forse per la prima volta, compare proprio come poeta. La musica è stata composta da me, quindi ho musicato questo testo come tutte le altre poesie del disco. Fausto scrive anche poesie. Ne ho lette alcune e mi sono piaciute molto. Non solo, mi sono proprio affezionata ad alcune di loro. Così le ho musicate e le ho fatte ascoltare a Fausto. Gli sono piaciute, mi ha dato la sua approvazione e ne ho così scelta una per questo disco».<br />
<br />
<i>Questo progetto ti ha portato a cantare anche in inglese, spagnolo, francese, portoghese e anche in dialetto napoletano. Un bell'impegno…</i><br />
<br />
«E anche in romanesco con la poesia di Trilussa. In effetti ho dovuto poi farmi aiutare nella pronuncia da alcuni madrelingua. È stato comunque divertente anche se questo ha richiesto, ovviamente, un impegno. Ho pensato fosse corretto riportare su disco, come versione ufficiale, i testi dei poeti nella loro lingua originale, sia per rispetto nei confronti degli autori, sia perché il senso autentico è quello scritto in lingua originale. Ho poi aggiunto a fine disco, due traduzioni in italiano dei brani di Oscar Wilde e di Frida Kahlo. Questi due brani si trovano nel disco anche nelle versioni in italiano».<br />
<br />
<i>Tra i testi poetici da te cantati c'è, come dicevi, quello in cui Frida Kahlo dichiara il suo amore per Diego Rivera. Secondo me è uno dei capitoli più belli del disco…</i><br />
<br />
«Sono d'accordo con te. Cantare un testo di Frida è stata per me una cosa straordinaria. È un'artista e una donna che ho sempre amato. Come sai, avevo scelto testi di poeti per questo disco. Poi un giorno, per una serie di associazioni mentali, mi sono ricordata di avere in casa dei suoi libri e ricordavo di aver letto delle sue poesie. Allora sono andata a riprenderli, ho individuato quello che poi sarebbe diventato il testo di questa canzone, "Poema para Diego Rivera", ovvero "Poesia per Diego Rivera". È un elenco di quello che Diego, il marito, era per lei. Un testo, secondo me, molto semplice nella forma ma con un grande impatto emotivo, soprattutto se si conosce la sua e la loro storia. Quando l'ascolto, spesso piango, mi commuovo. Così come ho pianto mentre componevo la musica».<br />
<br />
<i>Il disco è composto da diciotto tracce. Negli anni Settanta sarebbero finite su un doppio LP. Non ti è venuto il dubbio che fossero troppe?</i><br />
<br />
«In realtà i brani sono quindici. La traccia numero sei è il testo di Baudelaire recitato in italiano da Giancarlo Cattaneo, speaker di Radio Capital e voce del progetto "Parole Note", che declama la poesia su un tappeto musicale tratto dalla canzone che segue immediatamente dopo, che sarebbe la poesia di Baudelaire cantata da me in francese. Le altre due tracce, la diciassette e la diciotto, sono le versioni in italiano dei brani di Frida Kahlo e Oscar Wilde. Mi è venuto in mente alla fine, ma è stato un dettaglio. Ho ritenuto opportuno farle stare tutte insieme, fanno parte della stessa famiglia anche se nel disco convivono vari generi musicali. È frutto del mio stile compositivo che si muove fra musica leggera e musica d'autore».<br />
<br />
<i>Hai lasciato qualcosa nel cassetto?</i><br />
<br />
«Sì, ho lasciato fuori altri poeti e altri brani. Ho dovuto per forza di cose fare poi una scelta, altrimenti si che poi sarebbero state troppe canzoni».<br />
<br />
<i>Come per il precedente album, "Qualcosa che vale", ti sei affidata agli arrangiamenti di Lele Battista. Quali sono le qualità che ti hanno convinta a proseguire questo sodalizio artistico?</i><br />
<br />
«A parte la stima personale e artistica, Lele mi conosce e riesce a comprendere nell'immediato quello che voglio fare e quello che c'è da fare nei brani che gli porto nella versione voce e chitarra. Ha una grande sensibilità artistica e umana. Fra l'altro, Lele duetta con me nel brano "Stringiti a me", la traccia numero quindici con il testo di D'Annunzio».<br />
<br />
<i>Ad accompagnarti in questo ambizioso progetto sono stati alcuni tra i musicisti più apprezzati della scena italiana. Con quale di questi pensi di avere più affinità e con chi ti piacerebbe registrare un album intero?</i><br />
<br />
«Sono tutti musicisti straordinari, è vero. Le affinità le ho un po' con tutti loro. Per registrare un album intero, istintivamente ti direi Fausto Mesolella. Ma anche Tony Canto e Massimo Germini».<br />
<br />
<i>Quali diresti essere i maggiori pregi di questo disco?</i><br />
<br />
«Si tratta di un disco che può essere ascoltato e apprezzato da tutti. In realtà non è un disco di "nicchia", è di facile ascolto. Ma ha profondità. È stato concepito per essere ascoltato e accolto da tutti, dai salotti letterari alle scuole elementari, in ambiti culturali e popolari. Ho scelto poeti famosi ma poesie non molto conosciute, a parte quella che dà il titolo all'album. Gli arrangiamenti sono pop nel senso più ampio e bello del termine. All'interno del disco coesistono, come ti dicevo, vari mondi. Si alternano leggerezza e profondità, volte a evocare e valorizzare lo spirito del testo. Poi ci sono momenti molto particolari e unici, come la messa in musica in forma canzone di un testo di Frida Kahlo. E anche di Eduardo De Filippo. Sono canzoni che si lasciano cantare. Il valore aggiunto è che i testi sono scritti dalla penna immortale di autori straordinari».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Mille baci<br />
<b>Artista</b>: Patrizia Cirulli<br />
<b>Etichetta</b>: Incipit Records / Egea Music<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
<br />
01. Ay! Had we never loved at all [<i>testo di Oscar Wilde; musica di Patrizia Cirulli</i>]<br />
02. Deseo [<i>Federico Garcia Lorca; Patrizia Cirulli</i>]<br />
03. Forse il cuore [<i>Salvatore Quasimodo; Patrizia Cirulli</i>]<br />
04. Aprile [<i>Gabriele D'Annunzio; Patrizia Cirulli</i>]<br />
05. Mille baci [<i>Gaio Valerio Catullo; Patrizia Cirulli</i>]<br />
06. T'adoro al pari della volta notturna (preludio) [<i>traduzione di Attilio Bertolucci; Patrizia Cirulli</i>]<br />
07. Je t'adore à l'égal de la voûte nocturne [<i>Charles Baudelaire; Patrizia Cirulli</i>]<br />
08. Poema para Diego Rivera [<i>Frida Kahlo; Patrizia Cirulli</i>]<br />
09. Quanno parlo cu te [<i>Eduardo De Filippo; Patrizia Cirulli</i>]<br />
10. E più facile ancora [<i>Alda Merini; Patrizia Cirulli</i>]<br />
11. La capra [<i>Umberto Saba; Patrizia Cirulli</i>]<br />
12. Dormo [<i>Fausto Mesolella; Patrizia Cirulli</i>] <br />
13. Primavera [<i>Trilussa; Patrizia Cirulli</i>]<br />
14. Nao sei se è amor [<i>Fernando Pessoa; Patrizia Cirulli</i>]<br />
15. Stringiti a me [<i>Gabriele D'Annunzio; Patrizia Cirulli</i>]<br />
16. Sono solo una fanciulla [<i>Alda Merini; Patrizia Cirulli</i>]<br />
17. Poesia per Diego Rivera [<i>Frida Kahlo; Patrizia Cirulli</i>]<br />
18. Se noi non avessimo amato [<i>Oscar Wilde; Patrizia Cirulli</i>]<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dzA3HoL3sY6XIwFvA9jp_KAdXTDoCuR1pW7syouRbbz2W61zxTdO43G82OH9874NTdUiaT5zHir5MvSD_koBQ' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-36049069217415384352016-03-29T12:36:00.000+02:002016-03-29T12:36:29.781+02:00Per Giancarlo Frigieri non è mai "Troppo tardi"<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-KjGIDFMGpb0/VsjwpxBDNDI/AAAAAAAAbp4/bDyuRFf7pmg/s1600/troppo_tardi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-KjGIDFMGpb0/VsjwpxBDNDI/AAAAAAAAbp4/bDyuRFf7pmg/s320/troppo_tardi.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
La sconfitta come accettazione dei propri limiti ma soprattutto come nuova possibilità, come occasione per ripartire e per imboccare strade inesplorate. È questo in filo conduttore che lega le otto canzoni di "Troppo tardi", nuovo album di <b>Giancarlo Frigieri</b>. Armato di chitarra e voce il cantautore di Sassuolo, al suo settimo capitolo discografico in poco meno di dieci anni di carriera solista (è stato per alcuni anni batterista dei Julie's Haircut), ha lasciato da parte lo stereotipo classico del cantautore e ha esplorato soluzioni sonore inconsuete. Basta ascoltare la canzone "Motivi familiari" in cui la sezione ritmica è affidata all'espressione ‹ti amo› in lingua finlandese mandata in loop, oppure il brano "Il chiodo" in cui Frigieri simula il tocco delle spazzole sulla batteria sussurrando ‹zitti tutti›, o ancora "Elicotteri e cani" in cui respiri e feedback di chitarra regalano un effetto percussivo. Anche le chitarre non sono usate in modo convenzionale e un esempio è il brano "Fiori" in cui l'assolo è creato unendo frammenti di melodie di autori classici del Novecento oppure la canzone "Galleria" che parte pagando un debito ai Primal Scream e termina quasi fosse uno spot pubblicitario. Tante piccole soluzioni che rendono il disco intrigante e piacevole. Notevole il lavoro che Frigieri ha fatto sui testi in cui sembra emergere quasi una auto-analisi che esorcizza una vita fatta di inciampi e ripartenze, in un susseguirsi di stagioni che passano e non ritorneranno. Testi che non per questo gettano una luce malinconica sulle canzoni ma sono semplicemente l'accettazione di una condizione umana a cui tutti dobbiamo adeguarci e che non può essere cambiata o stravolta. </div>
<div style="text-align: justify;">
Nell'intervista che segue Giancarlo Frigieri ha parlato del suo nuovo album.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<br />
<br />
<i>Giancarlo, è "Troppo tardi" per cosa?</i><br />
<br />
«Per tornare indietro. È sempre troppo tardi. Bisogna vivere il proprio presente».<br />
<br />
<i>In questo album canti dell'accettazione delle sconfitte e della possibilità di ripartire. La società attuale pensi che dia l'opportunità di rimettersi in carreggiata dopo una falsa partenza?</i><br />
<br />
«La possibilità di ripartire c'è sempre. Ogni sconfitta è una deviazione ed è proprio per questo che può aprire ad un percorso nuovo».<br />
<br />
<i>Hai vissuto sulla tua pelle quello che canti?</i><br />
<br />
«A volte sì, a volte no. Molto spesso no».<br />
<br />
<i>Questo è il tuo settimo album a tuo nome. Penso che le velleità di sbancare il banco con la musica tu le abbia ormai archiviate, eppure continui a proporre lavori di grande qualità. Cosa ti spinge e ti stimola ad andare avanti?</i><br />
<br />
«Non riesco a fermarmi. Scrivo canzoni da quando avevo nove anni, è una cosa che faccio in continuazione e non saprei proprio smettere. Magari in futuro non saranno canzoni ma musica strumentale, non so. Inoltre credo di essere bravo, soprattutto dal vivo».<br />
<br />
<i>In "Elicotteri e cani" canti: ‹Hai messo i sogni dentro ad un cassetto ed hai creduto ai racconti di chi ti ha detto che non meritiamo niente e non può andare meglio di così›. Ci commenti questa frase…</i><br />
<br />
«Ne "Il chiodo" dico: ‹Quelli a cui piace stare dalla parte dei perdenti faranno sì che tu non vinca mai›. Più o meno è la stessa cosa».<br />
<br />
<i>Mi sembra di percepire anche una critica alla società di oggi fatta di apparenza, di una ricerca del consenso altrui, di una omologazione massiccia e invasiva. È così o mi sbaglio?</i><br />
<br />
«Quando si fanno canzoni credo che la ricerca del consenso non sia necessariamente una cosa cattiva. Giuseppe Verdi scriveva a Boito, il suo librettista, che: ‹Bisogna guardar losco e fare un occhio al pubblico e un occhio all'arte›. Personalmente mi ritrovo perfettamente in questo. Credo che la maggior parte dei sedicenti alternativi non realizzi canzoni che si lasciano ascoltare principalmente perché non ne è capace».<br />
<br />
<i>Nel disco hai fatto quasi tutto da solo: hai cantato e hai suonato le chitarre. Hai un così brutto carattere da non volere nessuno al tuo fianco oppure pensi che un altro musicista possa condizionare le tue idee?</i><br />
<br />
«È la prima volta che suono proprio tutto da solo. Ho deciso così e basta. Prima di ogni disco penso alle cose che mi impongo di non fare e poi devo rispettare questa regola, trovo che il limitare le proprie risorse sia una cosa che agevola la creatività. In genere, almeno in studio, ho qualche collaboratore e sono piuttosto aperto a idee esterne. Non sono mai presente ai missaggi, per dire. Mi limito ad alcune indicazioni di base e poi lascio fare. Chi partecipa al disco deve poter esprimere le proprie risorse».<br />
<br />
<i>Perché la scelta di una copertina anonima: una macchia di colore blu, senza titolo e senza il tuo nome?</i><br />
<br />
«Lo avevo già fatto con il mio primo album in inglese. Tornassi indietro, almeno i titoli dei brani dietro li metterei, perché poi quando il pubblico li sente dal vivo, va a cercare sui dischi il pezzo che gli è piaciuto e questo agevola la vendita del supporto. Un occhio al pubblico e uno all'arte, vedi? Questa volta quello al pubblico è rimasto chiuso. È stato un errore, ma non si può rimediare. È troppo tardi, appunto».<br />
<br />
<i>Con il tuo precedente lavoro, "Distacco" del 2014, sei finito tra i candidato alle Targhe Tenco. Con "Troppo tardi" a cosa aspiri?</i><br />
<br />
«A niente. Che è quello che ho sempre ottenuto fino ad oggi. Niente di niente di niente. Finire tra le Targhe Tenco non serve a niente, finire con le belle recensioni sui giornali non serve a niente, quantomeno non ti dà quello "spazio di incidenza", per dirla con Gaber e Luporini, per cambiare un bel niente dell'ambiente che ti circonda. Non ho aspirazioni di carriera, mi limito a suonare dal vivo e a registrare le mie canzoni. Se invece parliamo del risultato puramente artistico, non ricordo quale compositore disse che la musica sarebbe stata un ibrido tra canzone acustica e parti elettroniche e che avremmo avuto delle opere capaci di coniugare immediatezza e profondità. Da questo punto di vista spero che questo album si possa ascoltare anche tra centocinquant'anni con la stessa freschezza con la quale lo si può ascoltare adesso, anche se mi rendo conto che è solo un messaggio in bottiglia nell'oceano. Però è tutto quel che posso fare».<br />
<br />
<i>Little Steven, il chitarrista di Bruce Springsteen, in una recente intervista ha dichiarato: ‹Non faccio fatica ad ammettere che è stato un privilegio e un grande insegnamento venir su nell'unico periodo della storia (gli anni Sessanta e parte dei Settanta) in cui la musica migliore era anche la più commerciale, quella che dominava nei cuori della gente e anche nelle classifiche›. Cosa te ne pare?</i><br />
<br />
«Ogni epoca ha la sua musica e la sua maniera di produrla e ascoltarla. Little Steven è stato fortunato a riuscire a farne un mestiere senza snaturare il proprio gusto. Sul fatto che fosse la musica migliore un sacco di gente non sarebbe d'accordo».<br />
<br />
<i>Oltre alla tua carriera solista porti avanti il progetto K. Butler & The Judas. Ce ne parli?</i><br />
<br />
«Facciamo delle cover di Dylan, le facciamo ogni volta in maniera diversa, non facciamo praticamente mai le prove e improvvisiamo molto. Siamo dylaniani nello spirito, non nella calligrafia ed è una cosa che si può permettere solo chi ha grandi musicisti nella band, come abbiamo noi. I grandi musicisti ovviamente sono Antonio Righetti, Lele Borghi e Gianni Campovecchi. Io sono l'imbroglione di turno, che però riesce a farla franca».<br />
<br />
<i>È da poco finito il Festival di Sanremo. Ti interessa? Ti sarebbe piaciuto essere su quel palco?</i><br />
<br />
«Certo che mi piacerebbe essere a Sanremo. Il motivo è semplice. È un'opportunità per fare dischi e concerti che vengano considerati. Ricordo una data di Max Gazzè al Kalinka di Carpi nel periodo de "La favola di Adamo ed Eva" davanti a venticinque persone. Due mesi dopo era a Sanremo, ha aggiunto un pezzo al disco e lo ha ripubblicato. Tempo un mese ancora e ha riempito i teatri. Sanremo è la manifestazione più vista, soprattutto dal pubblico cosiddetto "indipendente"».<br />
<br />
<i>Dove ti possiamo trovare?</i><br />
<br />
«Su www.miomarito.it ci sono le date. Venite a sentirmi dal vivo. È l'unica arma che ho».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Troppo tardi<br />
<b>Artista</b>: Giancarlo Frigieri<br />
<b>Etichetta</b>: New Model Label<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2015<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Giancarlo Frigieri)<br />
<br />
01. Nakamura<br />
02. Galleria<br />
03. Nel mondo che faremo<br />
04. Elicotteri e cani<br />
05. Il limite<br />
06. Motivi familiari<br />
07. Fiori<br />
08. Il chiodo<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/Y78Rppo1kkg/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/Y78Rppo1kkg?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-18508134925099358582016-03-11T12:36:00.000+01:002016-03-11T13:40:13.711+01:00Giorgia del Mese vive emozioni post-ideologiche<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-__OmpQb4Ikc/Vs9jT7waxHI/AAAAAAAAbqQ/o5AGccPb5Nc/s1600/copertina_nuove_emozioni_post_ideologiche.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-__OmpQb4Ikc/Vs9jT7waxHI/AAAAAAAAbqQ/o5AGccPb5Nc/s320/copertina_nuove_emozioni_post_ideologiche.jpg" width="320" /></a></div>
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A distanza di due anni e mezzo dall'ottimo "Di cosa parliamo", la cantautrice campana <b>Giorgia del Mese</b> torna con "Nuove emozioni post-ideologiche", terzo album della sua carriera, in uscita l'11 aprile sotto etichetta Radici Music. Un disco potente, graffiante, incisivo che esalta le capacità di scrittura di questa artista tra le più interessanti del panorama italiano. Le atmosfere post-rock ed electropop si legano a suggestioni noise in un vortice sonoro a cui il produttore <b>Andrea Franchi</b>, già a fianco di Marco Parente e Paolo Benvegnù, dà spazialità e vigore. Dalle narrazioni a tratti ruvide, senza filtri, dirette, emerge l'urgenza di raccontare e descrivere le dinamiche del mondo, della società e dei rapporti personali osservandoli da un prospettiva diversa, per certi versi alternativa. Si parte dall'insofferenza di "Nuova visione" fino ad arrivare a "Caro umanesimo", poco più di due minuti di rabbia e accuse per quello che sta accadendo a migliaia di persone in fuga attraverso il Mediterraneo. E si riparte con l'inquietudine di "Fuoco tutto" per arrivare ad un finale strumentale noise che evoca la partenza verso lo spazio della navicella da cui la del Mese ha osservato il mondo in questo nuovo capitolo della sua storia artistica. Ad accompagnare il viaggio ci sono gli alberi della copertina che come tante mani stilizzate indicano un centro di gravità non ancora raggiunto. </div>
<div style="text-align: justify;">
Come già successo nel disco precedente, Giorgia del Mese ha voluto al suo fianco alcuni amici in questa nuova avventura: <b>Andrea Mirò</b>, che dà il suo contributo su "Bello trovarti", l'istrionico <b>Peppe Voltarelli</b>, che dà vita ad un riuscito ed emozionante duetto su "Soltanto tu", <b>Francesco Di Bella</b>, che canta insieme alla del Mese nell'unica cover del disco, "Lacreme" dei 24 Grana. </div>
<div style="text-align: justify;">
"Nuove emozioni post-ideologiche" è uno dei dischi più belli e coinvolgenti degli ultimi mesi. Giorgia del Mese mette sul piatto canzoni che hanno spessore e dignità di esistere e che meritano di essere ascoltate ed apprezzate. Un disco che rappresenta un punto di riferimento per la nuova scena italiana e con Giorgia abbiamo approfondito il discorso nell'intervista che segue. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<br />
<br />
<br />
<i>Giorgia, da dove arrivano le canzoni del tuo nuovo album intitolato "Nuove emozioni post-ideologiche"?</i><br />
<br />
«Le canzoni di questo album sono state pensate in un anno di considerazioni, di aggiustamenti di vita e di assunzioni di nuove postazioni da cui osservare in modo partecipato. Direi che è un disco di pessimismo esistenziale ma orientato ad un ottimismo antropologico».<br />
<br />
<i>Sei sicura che stiamo vivendo in una epoca post-ideologica? Io temo che le ideologie non siano morte ma abbiano solo cambiato forma…</i><br />
<br />
«Il "post ideologico" fa riferimento ad una nuova ideologia dominante almeno in occidente e in particolare nel nostro paese, dove annacquare e imborghesire gli obiettivi e le aspettative è diventato la normalità, dove le ideologie e le conquiste dei partiti comunisti e delle lotte degli anni precedenti vengono squalificate per dare cittadinanza al "meno peggio", al "siamo tutti nella stessa crisi", uccidendo una coscienza di classe e ricacciandoci indietro. Un disastro».<br />
<br />
<i>Quale "Nuova visione" auspichi?</i><br />
<br />
«"Nuova visione" è in realtà una provocazione e non una proposta. È la rassegnazione di vivere sperando che non arrivi il peggio, abdicando a sogni e prospettive, abbracciando quello che ci ha invece ucciso: la politica statalista reazionaria e l'antipolitica razzista e egoista».<br />
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-7B92AllMx5s/VuK8HylTu9I/AAAAAAAAbro/yqsLt_l6iV81t0CmpJ5oesUtGIKNk2h2g/s1600/senza%2Btitolo%2B%25281%2Bdi%2B1%2529-538.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="228" src="https://1.bp.blogspot.com/-7B92AllMx5s/VuK8HylTu9I/AAAAAAAAbro/yqsLt_l6iV81t0CmpJ5oesUtGIKNk2h2g/s320/senza%2Btitolo%2B%25281%2Bdi%2B1%2529-538.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i>Giorgia del Mese. Genova, 31 maggio 2015 (copyright)</i></td></tr>
</tbody></table>
<i>Hai arricchito questo tuo terzo lavoro con un alcuni ospiti. A partire da Andrea Mirò che ha dato il suo contributo in "Bello trovarti". Come vi siete incontrate?</i><br />
<br />
«Con Andrea Mirò è stato un bellissimo incontro. È una persona appassionata, curiosa, generosa e una grande artista. L'ho incontrata varie volte in festival dove abbiamo condiviso il palco e un giorno le ho dato il mio disco. Dopo qualche mese mi ha scritto dicendo: ‹cazzo, non immaginavo fossi così forte›».<br />
<br />
<i>A impreziosire "Soltanto tu" c'è l'istrionico Peppe Voltarelli. Come si è svolta la session in studio?</i><br />
<br />
«Con Peppe Voltarelli c'è una amicizia che è nata al Premio Tenco 2011. Viviamo entrambi a Firenze e questo ci ha permesso di coltivare le nostre affinità artistiche e umane, è una delle persone con cui mi sono sempre sentita a mio agio nonostante la sua statura artistica. Inoltre è un compagno e questo ci unisce molto. La sessione in studio è stata in primo luogo divertente e spensierata, e questo è una rarità quando si registra un disco, tutto merito di Peppe...».<br />
<br />
<i>Unica cover del disco è "Lacreme" dei 24 Grana con Francesco Di Bella che duetta con te. Perché hai scelto questa canzone?</i><br />
<br />
«Era da tempo che volevo cantare un brano in napoletano visto che sono originaria di Salerno, ma sono restia a scrivere in lingua. Con Francesco Di Bella c'è un affetto profondo e ritengo che lui sia uno degli autori più sensibili in circolazione. "Lacreme" è un brano che avrei tanto voluto scrivere io…».<br />
<br />
<i>"Caro umanesimo" è una bordata esplosiva e rabbiosa contro la società di oggi con le sue storture, ipocrisie, sofferenze ed egoismi. Poco più di due minuti di rabbia…</i><br />
<br />
«"Caro umanesimo" è un grido di rabbia e impotenza rispetto a quello che succede a centinaia di migliaia di fratelli e sorelle che cercano una vita migliore in occidente e noi, non abbiamo saputo salvare, accogliere, proteggere».<br />
<br />
<i>In "Strana abitudine" mi piacerebbe che mi commentassi il verso «...questa strana abitudine di morire senza protestare». Mi è venuta in menta la società italiana di oggi che è talmente distratta che non scende in piazza neppure per salvare la sanità pubblica…</i><br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://3.bp.blogspot.com/-fg05Dk2lPJA/VuK7QJ09mkI/AAAAAAAAbrg/XdZW3gyTpqU1qoy4hwFEHGFLlxUquWgqA/s1600/senza%2Btitolo%2B%25281%2Bdi%2B1%2529-541.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-fg05Dk2lPJA/VuK7QJ09mkI/AAAAAAAAbrg/XdZW3gyTpqU1qoy4hwFEHGFLlxUquWgqA/s320/senza%2Btitolo%2B%25281%2Bdi%2B1%2529-541.jpg" width="212" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><i>Genova, 31 maggio 2015 (copyright)</i></td></tr>
</tbody></table>
<br />
«Hai colto molto bene quello che cerco di raccontare in "Strana abitudine", questa condizione esistenziale di resistenza, di cupezza, una area "depressogena" che assumiamo come normale, ma non lo è, eppure qualcosa esplode, qualcosa riemerge e si ribella. Spero!»<br />
<i></i><br />
<i></i>
<i>Si cambia decisamene tono con "La cosa da dire", in cui canti accompagnata da una chitarra acustica. Poco meno di un minuto e mezzo per dire cosa?</i><br />
<br />
«"La cosa da dire" è un saluto ad un amico che se ne è andato, a cui è dedicato l'intero disco, per dirgli e dirci scusa, ma con vigore e prospettiva, perché tradiamo tutto ma tutto resta ancora da onorare».<br />
<br />
<i>Mi piace molto anche la copertina. Io però al posto degli alberi vedo tante braccia teste che invocano pace…</i><br />
<br />
«La copertina è opera dell'artista Simone Vassallo. Abbiamo voluto creare una foresta intricata, oscura, ma vista dal basso forse si può conoscere meglio e fa meno paura».<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />
<i>Perché hai deciso di chiudere il disco con un brano strumentale, a tratti noise, in cui tastiere, chitarre e batteria elettronica si rincorrono nello spazio quasi fosse una corsa verso quel centro a cui puntano gli alberi della copertina?</i><br />
<br />
«Il disco si chiude con un brano strumentale noise, perché questa è l'intera cifra del disco: un lavoro rumoroso, elettrico, imperioso, in cui non c'è spazio per la commozione».<br />
<br />
<i>A produrre e a curare l'arrangiamento è ancora una volta Andrea Franchi, un sodalizio artistico ormai consolidato il vostro. Quanto è importante la presenza di un produttore e cosa ha apportato al tuo disco?</i><br />
<br />
«Il produttore artistico nei miei lavori è una figura determinante, è colui che sa tradurre le intenzioni e le intuizioni della scrittura e farle viaggiare con una nuova vita. Andrea Franchi è un super produttore perché ha la rara capacità di mettere il suo grande talento al servizio di un autore rispettando e interpretando l'identità di chi produce».<br />
<br />
<i>Concludendo, come sarà "Nuove emozioni post-ideologiche" dal vivo?</i><br />
<br />
«Il tour 2016 sarà una sorpresa per chi ha seguito i miei live precedenti. Saremo in duo con Andrea Franchi in un set elettro-pop, come questo disco vuole».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Nuove emozioni post-ideologiche<br />
<b>Artista</b>: Giorgia del Mese<br />
<b>Produttore</b>: Andrea Franchi<b> </b><br />
<b>Etichetta</b>: Radici Music <br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Giorgia del Mese, eccetto dove diversamente indicato)<br />
<br />
01. Nuova visione<br />
02. Bello trovarti<br />
03. Caro umanesimo<br />
04. Soltanto tu<br />
05. Fuoco tutto<br />
06. Lacreme [<i>24 Grana</i>]<br />
07. Strana abitudine<br />
08. Senza più scuse<br />
09. Tutto a posto<br />
10. La cosa da dire<br />
11. _<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dwtUy7q2bQaJTPhuqqh377jdSN2ofJLP2q2BU6W8Km8irLOgYABiu44UgD4l9nk6O1nfmJMWAg6Q2C5QSRBjA' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div>
<br />
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-35056956378862747402016-03-01T10:51:00.002+01:002016-03-03T19:00:25.885+01:00"Storie della fine di un'estate" di Carlo Ozzella <br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-mTK56KU_6LA/VpVlcGpLI0I/AAAAAAAAbmE/7Kxz3p6_S4A/s1600/Cover.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="289" src="https://3.bp.blogspot.com/-mTK56KU_6LA/VpVlcGpLI0I/AAAAAAAAbmE/7Kxz3p6_S4A/s320/Cover.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
I colori e i sapori dei mesi estivi, i sogni e i tanti volti dell'amore, della libertà e dell'amicizia fanno capolino nel nuovo album di <b>Carlo Ozzella</b>. "Storie della fine di un'estate", pubblicato a due anni e mezzo di distanza dal precedente "Il lato sbagliato della strada", segna un deciso passo in avanti nella crescita artistica del cantautore milanese. Abbandonati, almeno per il momento, i Barbablues, compagni di viaggio per oltre quindici anni e protagonisti di centinaia di concerti nei locali del nord Italia, e affrancatosi dalle influenze, a volte troppo marcate, della produzione di Bruce Springsteen, Ozzella ha dato vita ad un disco di sano rock influenzato dalla tradizione americana così come dalla canzone d'autore italiana. Musicalmente Ozzella ha scelto di utilizzare molto meno il sax, strumento tra i più importanti del disco precedente, e di lasciare poco spazio agli assolo, tutto ciò a vantaggio di un suono più compatto e moderno. È cambiato anche il punto di osservazione da cui Ozzella guarda il mondo. Gli aspetti sociali, tanto importanti nelle canzoni de "Il lato sbagliato della strada", hanno lasciato il posto ad una visione più intima e personale in cui gli stati d'animo, le emozioni e le esperienze di vita sono diventate protagoniste nelle undici tracce autografe. Per raccontarsi Ozzella ha lasciato da parte la lingua inglese, utilizzata in alcune delle canzoni del primo disco, e ha scelto di cantare tutti i brani in italiano. Scelta ampiamente condivisa da chi scrive e che ha donato maggiore omogeneità all'album.<br />
Arricchisce il cd la canzone "Quando il cielo è fragile", scritta da Lorenzo Semprini e pubblicata una decina di anni fa in inglese nel disco dei Miami & The Groovers. Il brano è stato poi tradotto da Daniele Tenca e quella pubblicata da Ozzella è la prima versione ufficiale in italiano. "Storie della fine di un'estate" è un disco brillante, coerente e generoso che scorre fluido senza momenti di stanca o cali di tensione e che conferma l'ottima vena creativa di Ozzella. </div>
<div style="text-align: justify;">
In studio di registrazione il cantautore milanese si è avvalso della collaborazione di <b>Claudio Lauria</b> al sax, di <b>Davide Malanchin</b> alla batteria e alle percussioni, di <b>Martino Pellegrini</b> al violino, di <b>Paolo Quaglino</b> alle chitarre, di <b>Riccardo Maccabruni</b> all'Hammond e alla fisarmonica, di <b>Roberto Cito</b> al basso e di <b>Stefano Gilardoni</b> al pianoforte e al mandolino.</div>
<div style="text-align: justify;">
A raccontarci la genesi di "Storie della fine di un'estate" è Carlo Ozzella nell'intervista che segue. </div>
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<br />
<br />
<i>Carlo, è sempre un piacere poter chiacchierare con te. Cosa è successo nella tua vita dall'ultima volta che ci siamo bevuti una birra insieme?</i><br />
<br />
«Tantissimi concerti, molti nuovi amici che seguono la mia musica, una bimba che cresce, un'altra in arrivo fra pochi mesi… e un nuovo album!».<br />
<br />
<i>Presentaci "Storie della fine di un'estate", il tuo nuovo disco uscito in questi giorni…</i><br />
<br />
«Dodici brani, tutti in italiano, rock d'autore. È un disco in cui si incontrano le sonorità tipiche del rock americano classico, del folk rock più moderno e della canzone d'autore italiana, in cui la cura dei testi ha una grande importanza. Le canzoni raccontano pezzi di vita, ricordi, sogni, l'amore con i suoi tanti volti, l'amicizia. Dopo il precedente album, in cui mi ero soffermato maggiormente su tematiche sociali, sulla crisi che stavamo attraversando, volevo che questo lavoro contenesse storie molto più personali, storie reali, in cui ognuno si potesse identificare».<br />
<br />
<i>Rispetto al precedente disco, questo non è più firmato insieme ai Barbablues. È cambiato qualcosa?</i><br />
<br />
«Ero convinto che questo disco dovesse rappresentare una svolta per me. Volevo che suonasse alla grande, che contenesse idee nuove da un punto di vista musicale, che venisse registrato in maniera assolutamente professionale. I Barbablues sono nati come "party band", hanno fatto questo per quindici anni e ancora lo fanno in maniera eccezionale! Ma suonare delle cover e animare una serata è una cosa diversa rispetto a produrre un disco. Insieme ci siamo resi conto che era bene separare queste due realtà, che per inseguire l'idea che avevo in testa era necessario affidarsi a nuovi musicisti, ad un produttore artistico. E poi portare avanti un progetto solista, in cui potesse emergere la figura di un cantautore con le sue storie da raccontare».<br />
<br />
<i>Da dove arrivano le canzoni di questo disco?</i><br />
<br />
«Subito dopo l'uscita del precedente lavoro per un anno circa non ho scritto praticamente niente. Poi gradualmente una serie di nuove canzoni hanno iniziato a venire alla luce, prima le musiche, poi le idee sui testi, poi versi sempre più affinati. In alcuni casi si è trattato di un'esigenza espressiva immediata, emozioni che non sapevo elaborare se non facendole confluire in una canzone, in altri di lunghe riflessioni, su cosa volevo raccontare e in che modo. Mi piaceva in generale l'idea che alla fine ne risultasse un compendio di differenti storie ed esperienze».<br />
<br />
<i>C'è un filo conduttore che lega le storie che canti in questa tua nuova fatica discografica?</i><br />
<br />
«La prima volta in cui ho ascoltato l'album finito mi sono accorto che c'è un termine che ricorre spesso nelle canzoni: "libertà". Credo che questo tema attraversi in maniera trasversale tutto il disco, anche da un punto di vista musicale».<br />
<br />
<i>Nei testi mostri un carattere molto determinato. In più di una occasione inviti a vivere totalmente la vita, a rinascere senza dover fingere. </i><i>È questo il modo in cui vorresti vivere?</i><br />
<br />
«Mi rendo conto sempre di più come spesso ci troviamo a condurre vite in cui scegliamo solo in parte cosa vogliamo davvero. Per il resto è una grande finzione, abbiamo la nostra parte e dobbiamo recitarla. La cosa sorprendente è che se ci pensi bene nessuno ci costringe a farlo! Eppure per uscire dagli schemi ci vuole molto coraggio e io per primo non sempre sento di averlo».<br />
<br />
<i>È applicabile questa visione alla società di oggi?</i><br />
<br />
«Sono convinto che sia possibile fare dei primi passi, partire dalle piccole cose e in quelle riaffermare le proprie scelte, non condizionate. Chiedersi se quello che si sta facendo ci piace davvero, ci rende felici, e se non è così intraprendere un nuovo cammino».<br />
<br />
<i>Musicalmente gli interventi di sax, molto presenti nel tuo primo disco, sono più ridotti a vantaggio di violino e tastiere. Un cambio di rotta?</i><br />
<br />
«In parte sì. Volevo allargare le mie possibilità espressive, usare sonorità più variegate e soprattutto fare un disco che suonasse attuale, moderno. Il sax è uno strumento magnifico e Claudio (<i>Lauria, ndr</i>) in particolare è un musicista di grande qualità, ma ricorrere sempre al sax come strumento solista rischiava di portarci un po' indietro negli anni, a sonorità che oggi sono un po' superate. Le stesse strutture delle canzoni sono state pensate in questo senso, in generale ci sono pochi assolo e i pezzi scorrono via molto più compatti».<br />
<br />
<i>Trovo che le canzoni suonino meno "springsteeniane" rispetto a quelle del primo disco. Personalmente ritengo che sia segno di maggiore maturità artistica. Tu cosa ne dici, sei cosciente di tutto ciò?</i><br />
<br />
«Per me è stato un percorso di crescita abbastanza naturale. Un amico giornalista, Daniele Benvenuti, nella sua recensione a "Il lato sbagliato della strada" lo aveva definito come l'album "più sonoramente springsteeniano" che lui avesse ascoltato negli ultimi venticinque anni. Il che naturalmente mi aveva fatto piacere, è da quel mondo che venivo e in qualche modo a quel sound mi ero ispirato. Ma restare in quel solco conteneva una grande insidia, quella di non esprimere affatto una propria identità, che è l'esatto contrario di ciò che significa essere un artista».<br />
<br />
<i>Rock ma anche aperture verso certe sonorità irlandesi come in "Ti bacio per tutta la vita"…</i><br />
<br />
«Avevo in mente alcuni strumenti che senz'altro avrei voluto utilizzare, come il violino, la fisarmonica, per dare al disco sfumature folk. Volevo sentire nelle canzoni il legno degli strumenti, delle chitarre acustiche, del mandolino, percepire le loro vibrazioni. In questo disco tutti gli strumenti che si sentono sono reali, nulla di campionato o di replicato. Per l'Irlanda poi ho un amore profondo e non vedo l'ora di ritornarci. Adoro i suoni e le atmosfere della sua musica tradizionale, la sua storia e la sua mitologia, i suoi paesaggi».<br />
<br />
<i>Vedo che rispetto al disco precedente, dove erano presenti anche canzoni in inglese, hai scritto tutti i testi in italiano. Una scelta azzeccata che rende il lavoro molto più omogeneo. Chi ti ha consigliato di fare questa scelta?</i><br />
<br />
«Ho avuto diversi "consiglieri" in questo senso! Ma sinceramente è una decisione che già si era fatta strada in me. Ad un tratto ho capito che era necessario fare una scelta, definire una mia identità e portare avanti un mio modo di fare musica e di scrivere le canzoni. Solo in questo modo avrei potuto essere credibile. Ho sempre dato una grande importanza ai testi delle canzoni, io sono cresciuto ascoltando i maestri come De André, Guccini o De Gregori, e mi sono reso conto che solo scrivendo in italiano avrei potuto dare profondità alle parole, raccontare in maniera più precisa, definita e anche poetica le mie storie, pur con le complicazioni che la lingua italiana comporta».<br />
<br />
<i>Tra i musicisti che hanno contribuito c'è anche Riccardo Maccabruni, già con i Mandolin' Brothers e Massimo Priviero…</i><br />
<br />
«Ho conosciuto Riccardo proprio seguendo i concerti di Priviero. Ho potuto vedere in più occasioni quanto fosse bravo e versatile, oltre che un ragazzo simpaticissimo e molto disponibile. Ci siamo parlati, gli ho detto che mi sarebbe piaciuto averlo nel disco a suonare gli Hammond e alcune parti di fisarmonica: ha accettato subito con entusiasmo e ha fatto un lavoro egregio. Posso dire lo stesso di Martino Pellegrini, che ha suonato le parti di violino. La magia di "In una notte come questa" è tutta merito loro».<br />
<br />
<i>Quasi tutti i testi sono scritti parlando in prima persona. Questo significa che sono storie che nascono da tue esperienze personali?</i><br />
<br />
«Nella maggior parte dei casi è proprio così, sono storie vissute davvero, in prima persona e solo in un secondo momento elaborate, trasformate. Il processo di scrittura, il lavoro sui testi ti porta inevitabilmente poi ad assumere un punto di vista più generale, a cercare di astrarre e di rendere le tue storie più "universali". Ma ho scritto tutte le canzoni guardando molto dentro me stesso, elaborando esperienze e cercando di esprimere i miei stati d'animo, i sentimenti, che non sapevo raccontare e trasmettere diversamente. Non è stata una scelta premeditata, è qualcosa che è venuto in maniera molto naturale».<br />
<br />
<i>"Quando il cielo è fragile" è l'unica canzone che non hai scritto tu…</i><br />
<br />
«Esatto, è una canzone dei miei amici <b>Miami & The Groovers</b>, il cui titolo originale è "When the tears are falling down". Era presente nel loro primo disco, uscito nel 2005, e alcuni anni dopo un altro amico e ottimo musicista, <b>Daniele Tenca</b>, ha scritto il testo in italiano del brano. Nei loro concerti i Miami spesso mixano le due versioni e in diverse occasioni il brano è anche stato eseguito interamente in italiano. Mancava però un'incisione in studio "ufficiale" di questa versione e così, mentre stavo lavorando al disco e facendo un po' di scelte su quali brani includere o meno, <b>Lorenzo Semprini</b> mi ha scritto e mi ha chiesto ‹perché non la incidi tu?›. Sono stato indeciso per un po' di tempo, il pezzo mi piaceva molto ma avevo paura che suonasse un po' "estraneo" nel contesto del disco. Poi durante una serata che abbiamo fatto poche settimane prima di andare in studio a registrare l'abbiamo suonata dal vivo. Dalla reazione del pubblico ho capito che dovevo inciderla e metterla nel disco».<br />
<br />
<i>E poi hai abbandonato il bianco e nero scegliendo colori molto solari per la copertina. Il sole splende alto anche se sono "Storie della fine di un'estate"…</i><br />
<br />
«Volevo che questo fosse assolutamente un album "a colori", nell'artwork del cd così come nelle immagini utilizzate nelle canzoni e nei suoni. Quando abbiamo iniziato la pre-produzione del disco ci siamo accorti che potevamo solo in una certa misura definire le parti dei singoli strumenti, perché la vera forza dei brani sarebbe venuta fuori solo suonandoli, cogliendo l'ispirazione di quel momento. E io credo che alla fine aver scelto questo tipo di approccio abbia portato grande vitalità e solarità alle canzoni».<br />
<br />
<i>Tra i ringraziamenti c'è anche Bruce Springsteen & The E Street Band. Se non ci fosse stato lui ti saresti avvicinato alla musica?</i><br />
<br />
«Sono convinto di sì. La musica mi ha accompagnato praticamente da sempre e già quando avevo undici anni suonavo la chitarra e cantavo. Scoprire Bruce è stato come intraprendere un cammino, avendo accanto una guida, per raggiungere un posto in cui ciò che fai coincide davvero in pieno con ciò che sei. Ma quando hai scoperto la bellezza del viaggio il percorso che fai passa in secondo piano: puoi scegliere magari una strada diversa, ma non puoi fare a meno di percorrerla».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Storie della fine di un'estate<br />
<b>Artista</b>: Carlo Ozzella<br />
<b>Etichetta</b>: Avakian Productions/IRD<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Carlo Ozzella, eccetto dove diversamente indicato)<br />
<br />
01. Santi, perdenti ed eroi<br />
02. Niente da perdere<br />
03. Alla fine del giorno<br />
04. Ti bacio per tutta la vita<br />
05. La strada che conduce a te<br />
06. Forti e liberi<br />
07. In una notte come questa<br />
08. Un vuoto da riempire<br />
09. Niente è così sia<br />
10. Quando il cielo è fragile [<i>Daniele Tenca, Lorenzo Semprini, Roberto Vezzelli</i>]<br />
11. Fino all'ultimo respiro<br />
12. Viola<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-74982415481706943122016-02-19T22:38:00.001+01:002016-02-20T00:08:47.449+01:00Claudia Pisani presenta "Ho incontrato Merope"<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-SExMsd-oq1M/VqFHcdSwY3I/AAAAAAAAbnI/8y4XUl117_Q/s1600/Claudia%2BPisani%2B-%2BHo%2Bincontrato%2BMerope%2BFronte.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-SExMsd-oq1M/VqFHcdSwY3I/AAAAAAAAbnI/8y4XUl117_Q/s320/Claudia%2BPisani%2B-%2BHo%2Bincontrato%2BMerope%2BFronte.jpg" width="320" /></a></div>
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Musica d’autore italiana e songwriting nord europeo per il primo album di <b>Claudia Pisani</b> intitolato “Ho incontrato Merope” e arrivato sul mercato targato OrangeHomeRecords. La ventinovenne musicista ligure, originaria di La Spezia e cresciuta tra Sestri Levante e Genova, si presenta con un disco raffinato e poetico in cui affiora una viva curiosità nei confronti dei sentimenti e delle cose e in cui traspare una certa urgenza comunicativa. Claudia canta le dieci canzoni che compongono l’album in italiano così come in francese, inglese e spagnolo. Scelta che rischia di disorientare in un primo momento l’ascoltatore ma ben presto prevale il piacere dell’ascolto e delle emozioni che le composizioni riescono ad evocare. Si tratta di un disco eterogeneo, introspettivo e minimalista che musicalmente strizza l’occhio a certe produzioni del mercato nord europea, distanti da quello che viene offerto in gran parte dal panorama italiano. Le canzoni sono vere poesie in musica che non tengono conto della regola che prevede la presenza di strofa, ponte e ritornello. E ci sono episodi come "The colour of love" e "White night" che durano l’arco di un paio di minuti e si limitano ad una introduzione e al finale o recitativi come "Attimi", in cui la voce sensuale e morbida della Pisani è accompagnata dal pianoforte. "Ho incontrato Merope" è la fotografia di una giovane artista che ha scelto di essere se stessa e di non lasciarsi catturare dalle mode o da certe produzioni fotocopia che troppo spesso si ascoltano sul mercato italiano. </div>
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Determinate per la nascita del disco è stato l’incontro avvenuto quattro anni fa tra la Pisani e il produttore <b>Raffaele Abbate</b> che ha creduto in questo progetto e ha curato la produzione e gli arrangiamenti. Un apporto fondamentale quello del maestro di casa OrangeHomeRecords che ha saputo valorizzare le composizioni della Pisani donando al disco atmosfere sognanti e rarefatte. Al fianco della Pisani si sono seduti in sala di registrazione il cantautore toscano <b>Stefano Barotti</b>, in veste di chitarrista, il batterista <b>Lorenzo Capello</b>, il sassofonista <b>Antonio Gallucci</b>, <b>Raffaele Kohler</b> al flicorno e il contrabbassista <b>Pietro Martinelli</b>. </div>
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Nell'intervista che segue Claudia Pisani racconta come ha incontrato Merope. </div>
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<br />
<i>Claudia, quanto ha significato per te registrare il tuo primo disco?</i><br />
<br />
«Quanto? Tanto, e in questo tanto c'è racchiuso tutto ciò che non riesco a dire».<br />
<br />
<i>Da dove hai preso spunto per intitolare il disco "Ho incontrato Merope"?</i><br />
<br />
«Ho preso spunto da una Merope che ho incontrato. Una ninfa, trasformata in stella da Zeus insieme alle sue sorelle, a formare la costellazione delle Pleiadi. A differenza delle sorelle, Merope è l'unica ad essersi innamorata di un umano. Per questo motivo viene raffigurata con il volto coperto o lo sguardo rivolto in basso in segno di vergogna, e per questo si dice sia la stella meno lucente; deve nascondere la sua colpa. Quando la incontrai sentii subito la necessità di dare un'altra lettura alla sua figura e darle voce. Lo sguardo rivolto in basso, come segno del darsi al suo amore terreno e lì perdersi; la sua poca luminosità, non dovuta alla vergogna o ai sensi di colpa, ma semplicemente al suo disinteresse nel brillare, perché persa in altro, in una sua ricerca. È un punto di riferimento a cui guardare quando il dubbio giustamente si insinua e mette in discussione la strada che si sta seguendo».<br />
<br />
<i>Perché hai scelto di cantare le canzoni del disco, oltre che in italiano, anche in francese, inglese e spagnolo?</i><br />
<br />
«Un ruolo fondamentale in questa scelta lo ha avuto l'incontro musicale con Lhasa de Sela (per questo motivo ho voluto riproporre un suo pezzo nel cd, "La frontera"). L'ho incontrata una sera come sottofondo musicale in un locale; mi sono chiesta di chi fosse quella voce, e ho posto la domanda alla barista. Mi ha mostrato il cd: "La Llorona". L'ho amata da quella sera, e continuo a farlo. Ogni volta che la ascolto mi rapisce. "La Llorona" era uscito nel 1997, il suo primo cd, tutto in spagnolo. Il secondo, a distanza di sei anni, "The living road", presenta tracce in spagnolo, francese e inglese. Mi ha colpito come la sua voce in queste tre lingue doni delle sfumature emotive diverse. Era una strada che mi incuriosiva e l'ho voluta percorrere giocando con la mia di voce».<br />
<br />
<i>Non pensi che questa scelta possa in qualche modo disorientare l'ascoltatore?</i><br />
<br />
«Sì, potrebbe. E direi che non è per forza un male».<br />
<br />
<i>Quanto ha influito sulla tua carriera di cantautrice l'incontro con il produttore Raffaele Abbate?</i><br />
<br />
«Molto. È con lui che questo progetto è iniziato. Lui ha trovato interessanti le mie idee ed io mi sono ritrovata nel suo modo di svilupparle. L'intesa artistica è stata fin dall'inizio molto forte, legata ad una libertà di dirci sinceramente ciò che pensavamo cammin facendo. La strada è stata sicuramente tortuosa, piena di attese, di vuoti, di dubbi, ma la sensazione di star costruendo qualcosa di buono e di vero ha ridato sempre l'energia giusta per continuare e riprendere in mano la situazione anche nei momenti più critici. È un viaggio, che non dura qualche giorno, ma anni. E si è persone con le proprie piccole e grandi sfide quotidiane da vivere. Nel viaggio sono stata fortunata ad incontrare Pierpaolo Ghirelli e Lorenzo Capello, che hanno abbracciato il progetto e con i quali porterò in giro Merope».<br />
<br />
<i>Le prime note del disco richiamano De André, poi la geografica del suono delle tue canzoni porta verso il nord Europa. Cosa ti ha stimolato a volgere lo sguardo verso quelle realtà artistiche?</i><br />
<br />
«Nel cd ci sono canzoni figlie di tempi diversi. Credo semplicemente l'incontro con artisti nuovi e la curiosità di sperimentare nuove sonorità date sia, come dicevo prima, dall'utilizzo di altre lingue, sia dalla ricerca di melodie minimali che meglio potevano rappresentare il mio linguaggio emotivo. Il viaggio verso determinati colori si sposa quindi con le scelte di arrangiamento, che accompagnano spesso il nocciolo della canzone, strumento e voce, tra rarefazioni, minimalismi e doppie, triple voci. Penso che "White night" sia l'espressione più chiara di ciò che intendo dire».<br />
<br />
<i>Nell'album c'è anche un brano in cui non canti ma reciti il testo. Una scelta casuale oppure un richiamo alla tua passione di scrittrice di poesie?</i><br />
<br />
«No, non è stato casuale. "Attimi" è una poesia a cui tengo molto. Nata ovviamente da carta e penna, con il suo silenzio di sottofondo. Ho provato ad avvicinarmi a lei con il piano, perché è lo strumento con cui mi trovo più a mio agio a parlare, e conversando, abbiamo steso alcune note tra un pensiero e l'altro. Sono stati momenti stimolanti».<br />
<br />
<i>I testi delle tue canzoni sono autobiografici?</i><br />
<br />
«C'è un po' di me, un po' di te, un po' di chi legge l'articolo, di chi ascolterà il cd e di chi non lo ascolterà mai».<br />
<br />
<i>Desideri, sogni, lacrime e sorrisi. Sono questi gli elementi preponderanti che disegnano la tua poetica?</i><br />
<br />
«È la vita che li tiene stretti a sé».<br />
<br />
<i>A quale brano sei particolarmente legata e perché?</i><br />
<br />
«Non è facile rispondere perché sono legata a ciascuno in maniera diversa. Ti rispondo con la consapevolezza della possibilità di risponderti diversamente magari fra qualche mese."Le son d'un rȇveur", vuole essere un urlo sussurrato alla vita, all'andare oltre il nero e vederne i colori che lo compongono; a comprendere le proprie paure ed imparare a conoscerle per non permettere loro di fermarci ed essere ostacolo alla crescita del nostro essere. È più che naturale avere paura di cadere, ma la caduta è inevitabile se si vuol vivere. Quindi, invece di darle il potere di immobilizzarci, proviamo a danzarci insieme. Magari per una volta può capitare a noi di farle lo sgambetto».<br />
<br />
<i>Quali sono attualmente i tuoi ascolti musicali?</i><br />
<br />
«A proposito di atmosfere nordiche, Agnes Obel, Sóley, Moddi; oltreoceano seguo con molto interesse Beck, Patrick Watson... il suo ultimo lavoro "Love songs for robots" è un viaggio che percorri a testa in giù».<br />
<br />
<i>Qual è il tuo primo ricordo legato alla musica?</i><br />
<br />
«Avrò avuto più o meno cinque anni. I miei nonni mi avevano regalato una pianola, con dei tastini tutti colorati; se li schiacciavi partivano le più improbabili musiche. Mi ricordo mia nonna Ersilia, la obbligavo a starmi ad ascoltare per ore, convinta di farle credere che fossi io a suonare quelle musiche. E di riuscire ottimamente nell'impresa. Il fatto è che ho preso coscienza del tutto solo qualche anno fa. Mi è tornato alla mente quel ricordo e mi è caduto il castello. Quanto ridere si sarà fatta. Con quella pianola, più avanti, mi divertivo a tirare giù le musiche degli esercizi di ginnastica ritmica che facevo. Poi ci siamo perse per un bel po' di tempo, ma è stata la mia prima passione e il mio primo ricordo musicale».<br />
<br />
<i>Stai lavorando a un nuovo progetto discografico?</i><br />
<br />
«Ho composto nuovi pezzi, ma non vedo a breve un nuovo progetto discografico. Ci sarà sicuramente, ma voglio prendermi tutto il tempo per perdermi e comprendere piano piano dove la musica mi sta portando».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Ho incontrato Merope<br />
<b>Artista</b>: Claudia Pisani<br />
<b>Produttore</b>: Raffaele Abbate<br />
<b>Etichetta</b>: OrangeHomeRecords<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi e musiche di Claudia Pisani, eccetto dove diversamente indicato)<br />
<br />
01. Un giorno qualunque<br />
02. Elisir notturno<br />
03. Tre lacrime e un sorriso<br />
04. The colour of love<br />
05. White night<br />
06. Le son d'un rȇveur<br />
07. Un passo verso te<br />
08. Attimi<br />
09. La frontera [<i>Lhasa de Sela</i>]<br />
10. The chimes<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/zDmefx8QstA/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/zDmefx8QstA?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-47055287129470986612016-01-29T14:55:00.001+01:002016-01-29T14:55:50.354+01:00'Del movimento dei cieli' cantan Cané & Marighelli<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-b2n--2PGcwg/VpIv6_2VZiI/AAAAAAAAblw/eWRDyAbo25M/s1600/cane%25CC%2581.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://1.bp.blogspot.com/-b2n--2PGcwg/VpIv6_2VZiI/AAAAAAAAblw/eWRDyAbo25M/s320/cane%25CC%2581.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
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<div style="text-align: justify;">
Isolarsi dal mondo e vivere a contatto con la natura per scrivere musica e su questa innestare parole che parlano di astrologia, filosofia, tarocchi, amore e spiritualità. È quello che hanno fatto <b>Friedrich Cané</b> e <b>Giacomo Marighelli</b> nell'album "Del movimento dei cieli", pubblicato dall'etichetta ferrarese New Model Label. Per trovare la giusta ispirazione Cané è andato a vivere in un casolare abbandonato vicino a Ferrara e seguendo il fluire del tempo, senza sveglie e orologi a scandire le ore e la frenesia della vita moderna, ha composto brani di musica elettronica che abbracciano la sperimentazione, il trip-hop, l'electro-rock e anche la classica contemporanea. Marighelli, artista poliedrico e con diversi album all'attivo a proprio nome, come Margaret Lee e con il progetto Vuoto Pneumatico, ha composto le liriche seguendo un processo di adattamento alle idee sviluppate da Cané. Una condivisione artistica e allo stesso tempo un completamento avvenuto in maniera quasi naturale che ha dato origine a un lavoro non di immediata assimilazione ma assai stimolante e che nasconde diverse chiavi di lettura. Tema centrale dell'album è l'amore, visto nella sua evoluzione e analizzato nella sua capacità di essere motore dell'universo così come elemento fondante dell'esistenza degli individui. L'ascoltatore partecipa ad un viaggio tra lo spazio e il tempo, passando dal macro al micro, dallo spirituale al carnale. Un continuo oscillare in un vortice magmatico e avvolgente che disorienta e non concede punti di ancoraggio. In questo quadro solo i tarocchi sembrano poter regalare una chiave di lettura; le carte sono l'unico mezzo per prendere coscienza del reale e della propria esistenza. </div>
<div style="text-align: justify;">
Abbiamo provato a saperne di più intervistando i due artisti.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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<br />
<i>Giacomo, "Del movimento dei cieli" è il tuo primo esperimento di musica elettronica. Cosa ti ha attirato verso questo genere?</i><b> </b><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «Non saprei dirlo con esattezza; era già dal 2012, durante la stesura del disco "Margaret Lee presenta: Giacomo Marighelli", che sentivo mi sarebbe piaciuto realizzare un disco con musica elettronica. Nel frattempo è nata la collaborazione per Vuoto Pneumatico e l'idea è finita in un cassetto anche se già nel disco di Vuoto Pneumatico qualche cosa di elettronico ha iniziato ad emergere. Chiacchierando con l'amico Friedrich Cané, è nata la voglia da parte di entrambi di lanciarci in questa avventura, e la cosa che mi è piaciuta di più è che ho lasciato totalmente a lui la parte della composizione dei brani, ed io mi sono occupato solo dei testi e della voce stessa. Così è nato "Friedrich Cané & Giacomo Marighelli – Del movimento dei cieli"».<br />
<br />
<i>Quando si sono incrociate le vostre strade?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «Ci conoscevamo già da anni grazie all'amico comune Eugenio Squarcia, detto Moreau. Friedrich ha registrato due basi elettroniche per le canzoni "Buio asmatico" e "Buon Natale" dell'album "Vuoto Pneumatico"; da lì a poco tempo abbiamo deciso di creare qualche cosa assieme».<br />
<br />
<i>Come sono nate le canzoni del disco?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «Per quasi tutto il mese di agosto del 2014 Friedrich ha vissuto in un rudere vicino a Ferrara: disperso dal mondo intero, nascosto anche se vicino ad un centro abitato, senza acqua potabile, tra le stelle, gli alberi e il vento. Ogni sera sono andato a trovarlo, lui mi faceva ascoltare ciò che in giornata aveva composto, mi spiegava il titolo che voleva dargli sotto forma di spiegazione scientifica, ed io estrapolavo i concetti trasportandoli nel quotidiano della vita comune: dal macro al micro. Tutto il disco è collegato dall'inizio alla fine; le canzoni parlano di una storia d'amore, di ciò che possiamo vivere ogni giorno, dell'amore vero, che se si vive pienamente è assoluto nello spazio e nel tempo. Riguardo i titoli ho accennato che era Friedrich ad indicarmeli, perché anche lui stesso è partito da un concept seguendo una linea dritta dal primo ("Nadir") all'ultimo brano ("Zenith"); quindi i titoli sono l'unica parte dei testi che non ho scelto io ma che ho accolto da lui».<br />
<b>Cané</b>: «È stata un'esperienza fuori dal tempo. Ero svincolato dal normale ciclo di vita, dagli orari scanditi dagli impegni. Mangiavo quando avevo fame, dormivo quando avevo sonno. Suonavo per ore, senza sosta, senza accorgermi della luce e del buio. Uscivo di notte per guardare il cielo stellato, per ascoltare i suoni degli animali, del vento, delle foglie. La scaletta del disco è emersa naturalmente: il racconto di un'evoluzione, una storia che ruota intorno alla nascita e allo sviluppo dell'universo, inteso come organismo intelligente. Giacomo ha intuito il parallelismo con la vicenda umana, il riflesso di qualcosa di più grande con il quale è connessa in un intreccio indissolubile».<br />
<br />
<i>Siete stati liberi di esprimervi o vi siete influenzati vicendevolmente con consigli, suggerimenti, ascolti e quant'altro?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «Ci siamo lasciati abbastanza liberi, pochi consigli l'uno all'altro. Devo dire che con i testi non ho avuto vincoli o difficoltà a lavorare con lui; l'unico brano in cui Friedrich mi ha chiesto se potevo inserire l'elenco degli elementi è "Elementi in divenire", ed è stato un piacere per me declamarli».<br />
<b>Cané</b>: «Ho cercato di ridurre al minimo il rumore di fondo. Ho scelto l'isolamento e prima di iniziare a scrivere non ho ascoltato musica per circa due mesi. Durante le registrazioni ho letto molto e le idee hanno preso forma. Penso che io e Giacomo ci siamo influenzati a vicenda, anche se forse in modo inconsapevole».<br />
<br />
<i>Sul booklet, tra i ringraziamenti compare il nome di Franco Battiato. Un omonimo o un ringraziamento a un artista la cui musica è stata fonte di ispirazione?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «È stata una scelta di Friedrich. Ascolto volentieri Battiato ma non ne sono un seguace e non lo conosco a fondo. Non c'è un periodo artistico che preferisco, anche se uno degli album che conosco meglio è "Gommalacca"».<br />
<b>Cané</b>: «Battiato è un punto di riferimento musicale, ha saputo coniugare sperimentazione e musica colta, attraversando generi molto diversi tra loro e tutto questo nell'ambito del panorama musicale italiano, che di certo non è tra i più ricettivi. Apprezzo molto il periodo elettronico degli anni Settanta, quello rock della seconda metà degli anni Novanta, e le composizioni di musica sacra. A livello sonoro, l'album più incisivo penso sia "Dieci stratagemmi"».<br />
<br />
<i>Secondo voi la musica elettronica nel futuro prenderà sempre più il sopravvento oppure rimarrà solo una delle possibili strade da percorrere?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «Il futuro non esiste, chi può dirlo. Secondo me la musica prenderà volti sempre più ancestrali, come una sorta di ritorno alle origini ma con coscienza».<br />
<b>Cané</b>: «L'approccio alla musica elettronica rappresenta una scelta tecnica. Nel momento in cui ti rendi conto che le potenzialità sono infinite, sta a te trovare gli arrangiamenti e i suoni che meglio si adattano alla composizione. Che siano wobbler acidi da drum'n'bass o sezioni di un'orchestra sinfonica, o la combinazione di sonorità diverse, i confini di genere ormai sono stati abbattuti. Questo è il vero cross-over».<br />
<br />
<i>Presenterete dal vivo le canzoni dell'album?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «Le stiamo già presentando. Quando i locali sono interessati a proporre concerti di poesia e di arte, allora ci considerano. L'artista Alessandra Naif ci accompagna con la pittura dal vivo, quindi musica e pittura live. Purtroppo in Italia anche se sei un musicista indipendente, devi fare parte di un giro che automaticamente etichetta l'indipendente moderno, o meglio l'"in-dipendente" all'interno di determinati canoni o schemi commerciali. Insomma nulla di diverso da stereotipi di major o gerarchie divisorie».<br />
<b>Cané</b>: «Il disco ha una sua complessità, che per quanto possibile viene riproposta dal vivo. Durante i concerti, ai synth si affiancano il pianoforte e il piano elettrico. Le parti suonate sono quelle che caratterizzano i brani, ma con alcune varianti che le rendono più vive».<br />
<br />
<i>Quali sono i vostri punti di riferimento nella vita di tutti i giorni e in ambito musicale?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «Nella vita è vivere, essere me stesso e non ciò che gli altri vogliono che io sia; quindi un costante sviluppo della propria coscienza, impegnandomi a sviluppare e crescere con amore. In ambito musicale, onestamente in questo periodo sono totalmente casuali: vado su Youtube e inizio ad ascoltare i brani suggeriti e da lì continuo per mesi girando attorno a generi anche totalmente differenti. Ho scoperto gruppi fantastici in questa maniera. Ma anche grazie a consigli di amici, basta che ci si mandi un brano durante un discorso via chat o e-mail, ed ecco che si scoprono mondi sconosciuti. Fondamentalmente il mio passato musicale è composto da Nick Cave, Giorgio Gaber, Giorgio Canali, Noir Désir, Fausto Rossi Faust'O, i primi Litfiba, i Bluvertigo, One dimensional man, qualche album dei Marlene Kuntz, quando ero bambino ascoltavo Marilyn Manson, e tanti altri».<br />
<b>Cané</b>: «Amo chi riesce a vedere al di là degli schemi, senza preoccuparsi di essere giudicato. In questo senso, ammiro alcune menti illuminate come quelle di Douglas Hofstadter, di Jiddu Krishnamurti, di Richard Feynman. Nella maggior parte dei casi, rimango impressionato da chi sviluppa concetti radicali. In ambito musicale, gli innovatori come Johann Sebastian Bach, Georg Friedrich Händel, Brian Eno, Peter Gabriel, i Massive Attack, i Radiohead, Björk, David Sylvian. Tra gli italiani Battiato, Benvegnù e Umberto Maria Giardini. Nella vita di tutti i giorni è difficile avere dei punti di riferimento. Mi affido alle stelle mobili più che a quelle fisse, credo negli incontri. Bisogna lasciarsi trasportare dalla corrente, dominarla senza venirne travolti».<br />
<br />
<i>Come avete finanziato il vostro disco?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «L'abbiamo finanziato grazie al crowdfunding. Siamo contenti di questa possibilità sostenuta da persone che credono in noi. Sono metodi ottimi, possono aiutare ed essere efficienti. Se mi interesso di arte, inizio io stesso a sostenerla, e queste metodologie online me lo permettono facilmente».<br />
<b>Cané</b>: «Il crowdfunding è uno strumento democratico e consente di confrontarsi con il riscontro del pubblico molto più di quanto faccia un talent show. Intendo dire che chi decide di finanziare un progetto, lo fa perché ci crede davvero: è attivo, curioso, alla continua ricerca di informazioni e stimoli. L'esatto contrario dei passivi come si lasciano anestetizzare da uno schermo televisivo».<br />
<br />
<i>Più volte nei testi delle canzoni compaiono i tarocchi. Giacomo, che significato hanno per te e che rapporto hai con l'esoterismo?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «I tarocchi sono uno strumento che uso quotidianamente; parto dal presupposto che il caso non esiste, quindi qualunque carta esca ha una motivazione ben precisa per essere uscita. Attraverso le carte possiamo conoscere meglio noi stessi, capire il proprio inconscio, "mostrarci" cose che senza certi strumenti non vorremmo davvero capire e/o mettere a fuoco. Essendo strumenti (un ponte, un tramite), il tarocco serve come "scusante" per accettare e ammettere determinate parti del proprio inconscio. Questo vale anche leggendoli ad un consultante; lo si può aiutare a prendere coscienza, a capire quali siano i suoi reali problemi, da dove provengono, il perché certi nodi gli impediscano di proseguire nella vita e lo costringano a ristagnare sempre nella stessa situazione. Ecco, le carte sono davvero utili da questo punto di vista. Non esistendo il tempo, non mi interessa leggerle come metodologia divinatoria, cartomanzia, perché tutto ciò che viene detto del futuro condiziona il consultante a tal punto da fare accadere quel futuro, o da non farlo accadere. Presupponiamo che non ci sia un destino, non ci sia il destino, ma ci sia Destino. All'interno di Destino ognuno di noi ha infiniti destini. Quindi in ogni istante stai certamente andando verso una direzione, ma tu quando vuoi puoi cambiarla; quindi se tu mi predici una di quelle infinite linee, magari in quel momento ci stavo anche andando, ma finita la lettura posso benissimo cambiare linea. Quindi è totalmente inutile».<br />
<br />
<i>Qual è il filo conduttore del disco?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «L'amore».<br />
<b>Cané</b>: «La fonte d'ispirazione principale è sempre la natura. Rimango meravigliato di fronte alle geometrie, ai colori, ai meccanismi. Facciamo parte di tutto questo, noi siamo l'universo. Possiamo espanderci verso l'orizzonte o condensare la materia in uno spazio infinitesimo. L'evoluzione del cosmo coincide con quella degli esseri viventi».<br />
<br />
<i>Quali sono le parole che meglio descrivono le tue canzoni?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «Amore, cosmo, vita e poesia».<br />
<b>Cané</b>: «Pensiero, trasporto, superamento dei confini».<br />
<br />
<i>C'è qualche argomento di cui non parlerai mai nelle tue canzoni?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «Non lo so, cerco di non precludere nulla. Adesso sento molta motivazione in argomenti d’amore, non d'amore con la "a" minuscola, ma dell'Amore incondizionato, dell'essere umano, e di tutto ciò che sento fluire con esso, anche del quotidiano».<br />
<b>Cané</b>: «Per questo disco non ho scritto testi, ma non escludo di farlo in futuro. Penso che la libertà di espressione sia fondamentale nelle attività creative, per questo motivo ho apprezzato il lavoro svolto da Giacomo: i suoi testi spesso sono criptici e si prestano a molteplici interpretazioni, la forma metrica è inconsueta e mai banale. Scriverli sotto flusso di coscienza ha contribuito molto al risultato finale. In sintesi, l'unica cosa importante è evitare di produrre banalità. Ma tutto ciò deve avvenire senza sforzo, deve essere un processo spontaneo».<br />
<br />
<i>Giacomo, sei un artista poliedrico e nel corso della tua carriera hai percorso molte strade. Una di queste ha portato al progetto Vuoto Pneumatico con Gianni Venturi. È una storia finita o l'album del 2014 avrà un seguito?</i><br />
<br />
<b>Marighelli</b>: «Chi può dirlo. Attualmente mi sto dedicando ad altro, tra cui il primo disco solista firmato come Giacomo Marighelli e che se riesco pubblicherò volentieri entro il 2017».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Del movimento dei cieli<br />
<b>Artisti</b>: Friedrich Cané e Giacomo Marighelli<br />
<b>Etichetta</b>: New Model Label<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2015<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi di Giacomo Marighelli; musiche di Friedrich Cané)<br />
<b> </b><br />
<br />
01. Nadir<br />
02. Il motore immobile<br />
03. Il demiurgo sulla soglia del tempo<br />
04. Elementi in divenire<br />
05. Azimuth<br />
06. Idrodinamica<br />
07. Fotosintesi<br />
08. Le infinite forme<br />
09. Dybbuk<br />
10. Almucantarat<br />
11. Satellite<br />
12. Ardesia<br />
13. Icosaedro<br />
14. Zenith<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dyScsKpoD2XNhiYdGCzG6gvlY8Hhfmjyt5i1L9A8uNfcZkiv_NFSwIUMlXIhR9f6P594SdSGSDDEjINLXMCIQ' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></div>
Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-84620679084379489342016-01-23T11:44:00.000+01:002016-01-23T11:44:48.684+01:00"Shah mat": per The Chanfrughen è scacco matto<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-I0jKPdmEemI/Vp_u0z12UzI/AAAAAAAAbm4/xATKf3MKs0I/s1600/copertina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://2.bp.blogspot.com/-I0jKPdmEemI/Vp_u0z12UzI/AAAAAAAAbm4/xATKf3MKs0I/s320/copertina.jpg" width="312" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Arrivano da Andora, dall'estremo ponente della provincia di Savona, in Liguria, e "Shah Mat" è il loro secondo disco. Loro sono <b>The Chanfrughen</b>, trio composto da <b>Alessandro Bacher </b>(chitarra), <b>Gianluca Guardone</b> (voce e basso) e <b>Andrea "Felix" Risso </b>(batteria). Archiviato l'esordio discografico del 2014 con "Musiche da inseguimento", il gruppo è tornato al lavoro e ha inciso un disco dalle marcate influenze anni Settanta in cui il funky si sposa con la psichedelia e con incursioni rock blues di notevole impatto. Chitarre taglienti, trame di synth e un retrogusto speziato che porta a oriente sono gli ingredienti di questo lavoro registrato al Greenfog di Genova in presa diretta, come
si faceva una volta, senza cuffie e con l’ausilio di strumentazione
vintage. Un disco che merita di essere ascoltato e che suona compatto, senza cali di tensione emotiva. Ad arricchire il robusto sound del gruppo ci ha pensato <b>Agostino Macor</b>, già
componente della band di rock progressivo La Maschera di Cera, che ha suonato synth, organo e
mellotron. <b>Emanuele Miletti</b> ha dato il suo contributo al sitar.</div>
<div style="text-align: justify;">
I testi scritti da Gianluca Guardone raccontano personaggi dall'animo corrotto come il sanguinario mercenario di Bordighera in "Delle Fave" o l'egocentrico arrivista "Limonov" ispirato dal romanzo di Emmanuel Carrère, di paradisi fiscali in "Belize", di luoghi lontani nella canzone che dà il titolo al disco, e di problemi attuali come quello dei profughi che scappano dalla guerra e dalla miseria o del tristemente noto "T.S.O." che per The Chanfrughen è diventato Trattamento Sociale Obbligatorio. </div>
<div style="text-align: justify;">
Con l'aiuto dei componenti del gruppo abbiamo andorese siamo andati alla scoperta di "Shah Mat". </div>
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<br /></div>
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<br /></div>
<br />
<i>Ragazzi, iniziamo dal nome della vostra band. Cosa significa Chanfrughen e dove lo avete pescato?</i><br />
<br />
<b>Chanfrughen</b>: «A questa domanda rispondiamo insieme, all'unisono, perché siamo sulla stessa barca. Il nome non significa nulla ma nello stesso tempo contiene un suono, un modo di essere e non essere, un modo per definire la nostra attitudine al rumore, all'unione di generi, suoni e cianfrusaglie. Come abbiamo sempre dichiarato, dobbiamo il nostro nome ad un geometra andorese che ancor prima della nostra nascita definiva così noi musicisti».<br />
<br />
<i>Incontro fortunato quindi. Passiamo a parlare del vostro secondo disco che si intitola "Shah Mat", espressione di derivazione persiana che descrive una situazione del gioco degli scacchi: il re è morto o meglio scacco matto. Qual è il vostro re morto?</i><br />
<br />
<b>Guardone</b>: «Il re morto non è per me una persona isolata che nella sua torre muove i fili del suo popolo. Esso è morto da tempo facendo spazio a nuove figure che con meno visibilità e più arroganza ci impongono regole da seguire».<br />
<b>Risso</b>: «Ai giorni nostri i re morti sono tanti, si susseguono in continuazione. Un po' li ho uccisi io, un po' si sono autoeliminati. La realtà è un creatura multiforme, bisogna imparare a non avere un re che ci guidi».<br />
<b>Bacher</b>: «Son d'accordo con Gianluca, credo ci siano modi alternativi, più passionali, per vivere al meglio. Recentemente ho scoperto la figura del broker telefonico».<br />
<br />
<i>Come si sono svolte le registrazioni?</i><br />
<br />
<b>Bacher</b>: «Il disco è stato registrato in larga parte in presa diretta nell'arco di tre giorni trascorsi al Greenfog Studio di Genova. Ci siamo chiusi tutti in una stanza, come una volta, per cercare di ricreare le atmosfere live dei brani, consapevoli che questo approccio ben si adattava alla nostra attitudine seventies».<br />
<br />
<i>Come è cambiato il suono del gruppo con l'inserimento di Agostino Macor?</i><br />
<br />
<b>Chanfrughen</b>: «Intanto diciamo che è un gran simpaticone, molto bravo con i calembour. L'apporto di Ago è stato importante perché coi suoi vari ammennicoli - synth, organo, rhodes, clavinet - ha edulcorato il nostro suono e ci ha permesso di trovare nuove idee per spaziare nei nostri pezzi vecchi e nuovi».<br />
<br />
<i>Chi di voi scrive i testi?</i><br />
<br />
<b>Guardone</b>: «Li scrivo io cercando con le mie poche capacità di unire i testi in italiano alla metrica, spesso abbastanza complessa. Suonando anche il basso, oltre che cantare, devo adattare le parole con un taglia e cuci stile uncinetto. Si parte di solito da un personaggio o da una storia che ci piace o troviamo interessate e poi la sviluppo».<br />
<br />
<i>Quali sono le fonti che più hanno ispirato la scrittura delle vostre canzoni?</i><br />
<br />
<b>Chanfrughen</b>: «Siamo partiti da una idea di rock energico e ruspante alla Jon Spencer per poi ritrovarci a suonare in diversi modi, con parti varie che sfiorano il prog, l'acidità chitarristica alla Hendrix, i testi provinciali alla Conte, le ritmiche alla Fela Kuti. Un melting pot che cerca di accontentare tutti i nostri palati, per la verità molto diversi tra loro».<br />
<br />
<i>Perché avete deciso di iniziare il disco con una ouverture?</i><br />
<br />
<b>Bacher</b>: «In realtà è nata come parte integrante di "Belize". La canzone prende forma pian piano. Ci piaceva l'idea di un brano che lasciasse all'ascoltatore il tempo di capire di cosa si trattasse. Ci piaceva questa idea di artigianalità delle canzoni, speriamo venga fuori».<br />
<br />
<i>Nonostante arriviate dalla provincia nelle vostre canzoni parlate di luoghi lontani: Belize, Armenia, Mar Nero, Samarcanda. Perché vi siete spinti così lontano?</i><br />
<br />
<b>Bacher</b>: «Perché come direbbe Conte: ‹se non ci sei mai stato in un posto lo descrivi meglio›».<br />
<b>Guardone</b>: «Ci piace parlare di perle nascoste, personaggi fuori dal coro. Lontano o vicino, poco conta, è importante l'interesse verso il soggetto».<br />
<br />
<i>Chi è il protagonista della canzone "Delle Fave" che dopo aver sparso sangue durante la guerra in Bosnia ha trovato una fine ingloriosa nelle sigarette Marlboro?</i><br />
<br />
<b>Risso</b>: «È Carlo Delle Fave, un folle che in mancanza di sbocchi di vita a Bordighera diventò un mercenario pluriomicida. L'idea di raccontare questo personaggio è nata vedendo il docufilm "Sono stato Dio in Bosnia" che racconta appunto l'epopea di Delle Fave che fece fortuna durante la guerra nell'ex Jugoslavia. Il paradosso è che andò pure in televisione a raccontare la sua storia e Toto Cutugno disse di lui che era un brav'uomo. Persino lo stesso Delle Fave ha sempre evitato di definirsi così. Nulla di più facile nella società dai miti distorti. Si lasciò morire con uno stile di vita autodistruttivo, forse si pentì di quello che aveva combinato in vita».<br />
<br />
<i>In "T.S.O." avete trasformato il trattamento sanitario obbligatorio, balzato tristemente alla cronaca negli ultimi tempi, con il trattamento sociale obbligatorio. Per voi dove sta la pazzia?</i><br />
<br />
<b>Guardone</b>: «È folle creare regole che ghettizzano persone dalla sensibilità superiore. C'è la tendenza a ridicolizzare i più sensibili per non dover ammettere sbagli e superficialità di noi cosiddetti normali».<br />
<br />
<i>Una canzone l'avete dedicata anche ai "Parassiti", razza umana ben difficile da sconfiggere…</i><br />
<br />
<b>Guardone</b>: «Sono i classici personaggi che trovi sempre inchiodati al bancone del bar, quelli che dai loro racconti ti sembrano che vivano in un romanzo di Jack London però poi li trovi sempre lì».<br />
<br />
<i>Le vostre canzoni sono molto attuali. In "Shah Mat" fate riferimento anche al tragico problema dei profughi: ‹…pazzi d'occidente incontrano chi scappa da levante addosso la miseria della storia, bloccati dalla fame e dalla soia mentre noi... ad ovest... grosse quantità di oppio e derivati, ci consumiamo negli orari sbagliati›. Qual è la vostra idea della situazione attuale?</i><br />
<br />
<b>Chanfrughen</b>: «Non vogliamo occuparci di politica, ci limitiamo nel nostro piccolo a descrivere la realtà. I mercanti che percorrevano la via della seta compravano le merci migliori arricchendosi e noi ora, dopo millenni di furti, ci lamentiamo di persone che cercano soltanto una parte di vita che gli abbiamo sottratto».<br />
<br />
<i>Ho lascito per ultima "Belize" di cui è uscito uno splendido video. Descrivetemi questa canzoni dai confini così lontani…</i><br />
<br />
<b>Bacher</b>: «Il video è stato girato in tre diverse location: a Bergeggi, sul Monte Beigua e al teatro Altrove a Genova. Diciamo grazie a tutti i nostri collaboratori che si sono fatti in quattro per noi e hanno subito anche dei furti sul Beigua! Ma non si sono fermati davanti a nulla».<br />
<b>Guardone</b>: «Il Belize mi ha sempre incuriosito. Un piccolo paradiso fiscale, fuori dai grandi giri, un incrocio di razze e sentimenti, una piccola favola vista oceano, quelle terre romantiche dove vedresti bene Corto Maltese ad accompagnarti».<br />
<br />
<br />
<b>Titolo</b>: Shah mat<br />
<b>Gruppo</b>: The Chanfrughen<br />
<b>Etichetta</b>: Molecole Produzioni<br />
<b>Anno di pubblicazione</b>: 2016<br />
<br />
<b>Tracce</b><br />
(testi Gianluca Guardone, musiche The Chanfrughen)<br />
<br />
01. Voodoo belmopan (ouverture)<br />
02. Belize<br />
03. Parassiti<br />
04. Rhum, spezie, sciac trà<br />
05. Shah mat<br />
06. T.S.O.<br />
07. Delle Fave<br />
08. Limonov<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/PBi_ix9_4i4/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/PBi_ix9_4i4?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
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<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1052227208437961053.post-5544281375435198902016-01-12T15:33:00.000+01:002016-01-13T21:32:19.664+01:00Le Mosche augurano "Boa Viagem Capitão"<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-zmFsipCvW1s/Vnr76bIZd7I/AAAAAAAAbjA/b1XEhMkKSWE/s1600/le%2Bmosche.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://4.bp.blogspot.com/-zmFsipCvW1s/Vnr76bIZd7I/AAAAAAAAbjA/b1XEhMkKSWE/s320/le%2Bmosche.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
L'album "Boa Viagem Capitão" segna l'esordio discografico de <b>Le Mosche</b>, formazione che nasce a Bologna ma che guarda a orizzonti molto più ampi. Nelle nove canzoni scritte da<b> Giampiero Lupo</b>, brindisino di nascita, si possono rintracciare i migliori insegnamenti della canzone d'autore doc, influenze jazz, elettroniche e stimolanti inserzioni di musica popolare dell'Italia meridionale. La forte impronta culturale del sud Italia si sposa alla scelta di cambiare continuamente registro e di affidarsi a soluzioni che in alcuni frangenti lasciano piacevolmente spiazzati. Si passa con estrema facilità da canzoni cantate in francese ad altre in italiano o inglese. Non manca un episodio di canzone tradizionale come la rielaborazione del famoso brano pugliese "La rondinella", cantato in dialetto brindisino. </div>
<div style="text-align: justify;">
Filo conduttore del disco è il viaggio, non solo fisico ma visto anche come continuo cambiamento e mutare dell'esistenza umana. Emblematica la scelta del gruppo di aprire e chiudere il disco con due recitativi (voce narrante di <b>Simona Sagone</b>) che segnano alla perfezione l'inizio e la fine, per ora, di questa prima esplorazione del mondo e del genere umano. </div>
<div style="text-align: justify;">
Un disco piacevole, dal sapore mediterraneo con qualche spruzzata di ritmica sudamericana, che è una buona base di partenza per un viaggio la cui storia è ancora tutta da scrivere e la cui destinazione per ora è ignota. </div>
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Le Mosche sono<b> </b>Giampiero Lupo (voce, synth, chitarre, organetto, mandola, castagnole e loops), <b>Mirco Mungari</b> (clarinetto, saz, bouzouki, oud, tamburi a cornice e friscaletto), <b>Giovanna Merico</b> (sax e tamburo a cornice), <b>Lorenzo Mattei</b> (basso e darbouka). Ospiti del disco sono la cantante <b>Claudia De Candia</b> sul brano "Nui" e il batterista <b>Tiziano Schirinzi</b>.</div>
<div style="text-align: justify;">
In questa intervista Lupo e Mungari presentano il loro progetto. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<br />
<br />
<i>Chi sono Le Mosche?</i><br />
<br />
<b>Mungari</b>: «Siamo un gruppo folk-cantautorale che unisce la musica dei cantautori italiani con la tradizione mediterranea, l'elettronica e il jazz».<br />
<br />
<i>Quali sono state le vostre esperienze artistiche prima di questo disco d'esordio?</i><br />
<br />
<b>Mungari</b>: «Ricordiamo con affetto un minuscolo garage alla periferia di Bologna, la "saletta", come usavamo chiamarla, in cui davvero tutto è cominciato. Un'estate e un inverno di prove, esperimenti, chiacchiere, litigi, sogni a occhi aperti, duro lavoro: nell'afa e nel freddo si cementava la nostra amicizia e il nostro rapporto artistico. Tutti noi venivamo da esperienze artistiche molto diverse. Giampiero e Lorenzo dal cantautorato e dal rock indipendente, Giovanna dal jazz e io addirittura dalla musica antica e da alcune esperienze di ricerca nella musica etnica».<br />
<br />
<i>Dopo questo inizio come è proseguita la vostra avventura nel mondo della musica?</i><br />
<br />
<b>Lupo</b>: «Una volta formatosi, il gruppo è stato impegnato in diversi concerti a Bologna e anche fuori. Durante l'estate 2012 abbiamo autoprodotto una demo di cinque tracce contenenti canzoni inedite e due brani popolari rivisitati. La demo si intitola "Il mio piccolo segreto" e ha visto la collaborazione del sassofonista agrigentino <b>Andrea Francesco Manno</b>. Nel 2013, Le Mosche hanno partecipato con successo a "Musica nelle aie", manifestazione che ha visto l'esibizione di una selezione di gruppi locali per le strade di Faenza. Frutto di questa esperienza è stata la collaborazione con l'etichetta Galletti-Boston che ha selezionato un nostro brano presente nella demo "Il mio piccolo segreto" e lo ha inserito nella compilation "Musica nelle aie 2013". Dopo tanti concerti e tanta esperienza di lavoro in studio, ha visto la luce il primo album della band, "Boa Viagem Capitão", un concept album di dieci canzoni, nove inedite e una della tradizione popolare salentina rivisitata. Il filo conduttore dell'album è il viaggio con le sue mille sfaccettature, narrato attraverso le storie di dieci piccoli invisibili eroi».<br />
<br />
<i>Come è nato "Boa Viagem Capitão"?</i><br />
<br />
<b>Mungari</b>: «L'idea di registrare un album sul concetto del viaggio è maturata durante la scelta delle canzoni da inserire nella scaletta del cd. Ci siamo accorti che tutte le canzoni scelte avevano il viaggio come filo conduttore. Ci è sembrato quindi naturale pensare a un concept album che avesse un incipit, il testo narrato di "Boa Viagem Capitão", delle storie ed un finale, il testo narrato di "Boa Viagem Capitão (outro)". Tecnicamente parlando, l'album è stato registrato da Giampiero Lupo in diverse location, mixato al Pure Rock Studio di Brindisi da Nanni Surace e masterizzato al Nautilus di Milano».<br />
<br />
<i>Filo conduttore del disco, si diceva, è il viaggio ma mi piace allargare il discorso al movimento, all'evoluzione. Lo trovi corretto?</i><br />
<br />
<b>Lupo</b>: «Direi senz'altro di sì. Il mutamento è proprio della musica in sé, ed è il presupposto da accettare in ogni esperienza artistica. Non si può viaggiare senza cambiare e cambiarsi, senza evolvere nel senso più semplice del termine: ovunque tu stia andando, il viaggio agisce su di te, e quando arrivi sei una persona diversa rispetto a quando sei partito. Viaggiare significa voler cambiare».<br />
<br />
<i>Anche il mare è uno degli elementi più ricorrenti nelle vostre liriche. Che rapporto avete con questo elemento?</i><br />
<br />
<b>Lupo</b>: «Il nostro è un rapporto molto profondo con il mare. È un elemento fondamentale nel viaggio e di questi tempi purtroppo è legato anche al bisogno di alcuni di affrontarlo, con tutti i pericoli che questo comporta, per sfuggire a guerra e fame. Nel nostro piccolo abbiamo voluto raccontare anche questa storia».<br />
<br />
<i>Nel disco troviamo canzoni cantate in francese, in inglese, recitativi e anche musica tradizionale. Perché avete voluto variare così tanto nella proposta artistica?</i><br />
<br />
<b>Mungari</b>: «In realtà, non ci siamo preoccupati molto dell'eterogeneità della proposta artistica. Semplicemente ci siamo voluti esprimere nel linguaggio che ci era più congeniale, sia esso narrato o in una lingua diversa dall'italiano. In alcuni casi, si veda "L'aviateur", la storia che viene raccontata decide la lingua da utilizzare. La canzone citata parla appunto di una donna algerina che fugge dall'atrocità della guerra di indipendenza dalla Francia. O in "Nui", un brano che racconta di una donna salentina che vede partire il suo compagno per la guerra».<br />
<br />
<i>Non pensi che tutta questa eterogeneità possa rendere difficile all'ascoltatore inquadrare il vostro stile?</i><br />
<br />
<b>Mungari</b>: «Probabilmente è vero, non è facile inquadrare il nostro stile. La cosa però è in parte voluta, perché non amiamo essere costretti all'interno di un solo genere musicale. Inoltre, riteniamo che ciò che mette insieme le diverse proposte artistiche sia appunto il sound che ci caratterizza e che in qualche modo accomuna i diversi pezzi del nostro repertorio».<br />
<br />
<i>Perché avete scelto di aprire e chiudere l'album con due recitativi?</i><br />
<br />
<b>Lupo</b>: «Per suggerire una struttura circolare, un frame che traccia anche un percorso. Un inizio e una fine che non coincidono ma si richiamano a vicenda. Inoltre, i due recitativi introducono il tema che accomuna le storie narrate nell'album e chiudono invece con una voce di speranza, forse non una vera chiusura ma un invito a prendere coraggio ed iniziare un nuovo viaggio».<br />
<br />
<i>Nel disco proponete una rilettura di "La rondinella", brano della tradizione cantato in dialetto. Che rapporto hai con la musica tradizionale? La ritieni ancora fonte di ispirazione?</i><br />
<br />
<b>Lupo</b>: «Assolutamente sì. Siamo tutti consapevoli di quanta parte della musica tradizionale abbia ispirato la musica odierna di tutti i generi. Il nostro rapporto con la musica tradizionale non è strettamente filologico, ma ci piace prenderla come una fonte di ispirazione per esplorare nuove strade, sia nella tavolozza sonora, con l'utilizzo di strumenti etnici e tradizionale, sia nell'arrangiamento, cercando di modernizzare, senza stravolgere, armonie antiche».<br />
<br />
<i>In "Boa Viagem Capitão" cantate: ‹Viaggiare è un atto di tremenda arroganza, di dolce e inevitabile assurdità›. Vorrei che mi spiegassi questa affermazione…</i><br />
<br />
<b>Lupo</b>: «Come dicevo prima, viaggiare coincide con cambiare. L'atto del cambiamento è insieme un rischio e una responsabilità; chi parte sa di dover mettere qualcosa in discussione, e partendo accetta la rottura col passato. Partire presuppone una decisione, una scelta, e comunque una cesura; qualcosa che era quotidiano viene condannato a diventare ricordo, e qualcosa che era immaginazione è costretto a diventare realtà di ogni giorno. Per viaggiare bisogna correre il rischio dell'abitudine nuova e dell'amore per essa».<br />
<br />
<i>In "Santa Lucia" raccontate in pochi versi drammatici lo stato d'animo di una persona che decide di cambiare sesso. Argomento non facile da trattare. Come è nato questo testo?</i><br />
<br />
<b>Lupo:</b> «Il testo è dedicato a una mia amica e l'idea in particolare nasce dal concetto dell'esclusione. Una esclusione che nasce dall'orientamento sessuale e dalla decisione di cambiare sesso. Una volontà che nella nostra società è purtroppo causa di segregazione ed emarginazione. Tuttavia scrivendo il testo ho voluto sottolineare che l'esclusione è spesso superata attraverso l'inclusione all'interno di un gruppo anch'esso soggetto all'emarginazione. La nostra eroina, così come è avvenuto nella realtà, ha trovato sostegno tra gli emigranti che come lei hanno dovuto lasciare la propria casa. È per questo che si immagina, con poca modestia ed un po' di trasgressione, Santa Lucia, patrona transgender degli emigranti».<br />
<br />
<i>Perché in copertina avete scelto di rendere omaggio a Salgueiro Maia, l'eroe della Rivoluzione dei Garofani del 1974 in Portogallo?</i><br />
<br />
<b>Lupo</b>: «L'idea è nata in noi da un'inquadratura di un film. Una colonna di carri armati sta per entrare nel centro di Lisbona all'alba del 25 aprile 1974, portando nel vivo la Rivoluzione dei Garofani; i mezzi però si arrestano davanti ad un semaforo rosso. Un giovane capitano domanda stizzito il perché di quella sosta, e un soldato imbarazzato gli risponde che ‹c'è il semaforo rosso, capitano. Non dobbiamo dare nell'occhio›. Per noi quella scena surreale è una sorta di archetipo di ogni viaggio impossibile, assurdo, scomodo. Quel giovane capitano dal volto pacifico era Fernando José Salgueiro Maia, l'eroe silenzioso della rivoluzione portoghese, colui che con la sua mite pazienza riuscì a riportare la democrazia nel suo paese senza sparare una pallottola, e finì dimenticato nell'ingratitudine senza mai reclamare nulla. Ci sembrava doveroso omaggiarlo in qualche modo, perché una delle prime scintille che hanno dato vita all'idea del nostro album è scaturita proprio dai discorsi su quella irreale rivoluzione, sul viaggio interiore di una generazione di capitani di vent'anni che scelgono di non sparare più un colpo seguendo le loro coscienze».<br />
<br />
<i>In quasi tutti i testi delle canzone ho scorto un fondo di amarezza e disillusione. Solo nel recitativo finale sembra esserci speranza per il viaggiatore...</i><br />
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<b>Lupo</b>: «Veniamo dal sud, anche il bassista ormai si sta adeguando. Il disincanto, la fatica del quotidiano, l'emarginazione più o meno palese fanno parte del nostro vissuto e della memoria delle nostre terre. Il viaggio, per chi viene da sud, è anche una terribile necessità di vita. Nel nostro piccolo noi quattro siamo tutti in qualche modo emigranti, abbiamo dovuto accettare il viaggio e il cambiamento per costruire i nostri sogni. Questo si riverbera nella nostra musica, insieme con la speranza, esile ma tenace, che ogni viaggio porta comunque con sé».<br />
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<i>Dove vi porterà il vostro viaggio?</i><br />
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<b>Mungari</b>: «Kavafis diceva: ‹Quando parti per Itaca devi augurarti che il viaggio sia lungo / fertile in avventure ed esperienze›. Non ci domandiamo, oggi, dove approderemo; preferiamo goderci il paesaggio dal ponte di prua e imparare qualcosa in ogni porto in cui getteremo l'ancora».<br />
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<b>Titolo</b>: Boa Viagem Capitão<br />
<b>Gruppo</b>: Le Mosche<br />
<b>Anno di produzione</b>: 2015<br />
<b>Etichetta</b>: New Model Label<br />
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<b>Tracce</b><br />
(musiche e testi di Giampiero Lupo, eccetto dove diversamente indicato)<br />
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01. Boa Viagem Capitão<br />
02. L'aviateur (Nuara)<br />
03. Santa Lucia<br />
04. Una mattina<br />
05. Renata<br />
06. La rondinella [<i>tradizionale</i>]<br />
07. Nui<br />
08. Ritorni<br />
09. La vertigine azzurra<br />
10. Boa Viagem Capitão (outro)<br />
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<br />Martin Cervellihttp://www.blogger.com/profile/15402282318126242186noreply@blogger.com0