mercoledì 20 novembre 2013

Emanuele Belloni: l'incontro con Guinga e il Tenco






L'amore per i ritmi brasiliani, l'incontro con Guinga, il primo disco e il Premio Tenco. Emanuele Belloni non ha avuto fretta a percorre queste tappe e ad avvicinarsi al mondo della musica, quella standardizzata e scandita da scadenze ben definite. Ha vissuto, viaggiato, fatto maturare la sua arte e solo allora, grazie anche ad un incontro fortunato, di quelli che cambiano la vita, ha capito che era giunto il momento di dare seguito alla sua passione. E così, dall'incontro magico con il chitarrista e compositore brasiliano Guinga e dalla voglia di provarci è nato "E sei arrivata tu", disco d'esordio che non è passato inosservato. È finito dritto dritto nella cinquina finalista dal Premio Tenco categoria opere prime e la giuria gli ha riservato il secondo posto finale ma soprattutto è arrivato il riconoscimento unanime della qualità della proposta di questo cantautore.
Così lo descrive Guinga: ‹Se le sue canzoni diventeranno famose non dipenderà solo dalla sua sensibilità, ma dal contenuto di esse. Canzoni che, sono certo, arriveranno con molta forza ed energia al cuore di chi le ascolterà. Penso che questo primo lavoro sia solo l'inizio di un'opera intera bellissima, che si concretizzerà con il tempo›.
E per capire chi è Emanuele Belloni non abbiamo avuto idea migliore che chiederlo direttamente a lui.


Come ti sei avvicinato alla musica brasiliana? 

«Tutto è nato da una cassetta di Jobim, circa 30 anni fa. Mi impressionò subito la bellezza armonica dei brani, la melodia suonata fuori dalla marcazione "quadrata" e il ritmo avvolgente».

Da dove nasce il tuo amore per il Brasile?

«Da infatuazione ad innamoramento ci sono voluti anni di studio - con Gianluca Persichetti splendido chitarrista, maestro e amico -, una spruzzata di incontri con musicisti e autori carioca conditi da qualche viaggio: a quel punto è stato colpo di fulmine!».

Quali sono i tuoi autori preferiti?

«Se parliamo di Brasile, gli storici senza dubbio andando anche più indietro nella tradizione con Villa Lobos, Cartola, Noel Rosa fino a Caetano, Djavan e Joao Bosco. La buona musica italiana da Tenco a De Andrè e il rock anni Sessanta, con punte psichedeliche nei Settanta. Insomma la musica di "prima" nessuno l'ha superata».

Sei arrivato secondo al Premio Tenco nella categoria opera prima. Come hai vissuto l'esperienza sanremese?

«Il Premio Tenco è sempre stato per me l'obiettivo, in quanto a qualità e riconoscimento, per un percorso di canzone d'autore: sei mesi fa non era uscito né un disco né un concerto. Chi mi sveglia dal sogno?».

Cosa pensi di questa manifestazione che, nonostante i problemi economici, resta la vetrina più importante per i cantautori?

«Credo che sia in assoluto il più importante palcoscenico per i cantautori. Ci sono però delle piccole incongruenze: i giurati hanno poco tempo per ascoltare tutte le proposte e non c'è più lo spazio per una fase finale dal vivo. Nella categoria dischi d'esordio, poi, avrebbe senso includere gli esordienti veri e non chi è già noto al pubblico con precedenti formazioni musicali. Così come nella categoria disco dell'anno la presenza dei superbig (De Gregori, Guccini e Fabi quest'anno) azzera le possibilità di vincita dei meno noti. Non dimentichiamo che chi esordisce lo fa di solito con le sole sue energie, senza major e con tanta fantasia».

Determinante per il tuo primo disco è stato l'incontro con Guinga. Ci racconti come è avvenuto?

«Ad un concerto. Sono stato fulminato da come raccontava i suoi brani, voce e chitarra. Un chitarrista superbo dallo stile unico e inimitabile. L'ho avvicinato dopo il concerto e gli ho chiesto una lezione di chitarra. E lui mi ha regalato la consapevolezza di essere un musicista».

Guinga e Alfredo Paixão. Quanto e come hanno contribuito alla tua musica e alla tua crescita artistica queste due figure?

«Sono stati l'anima armonica e l'anima ritmica di questo lavoro. Guinga ha illuminato i brani più significativi del disco con armonizzazioni mozzafiato. Alfredo è stato la guida ai suoni e alla scelta dei musicisti più significativi. Guinga mi ha fatto capire che l'anima della musica ha sempre un accordo perfetto, Alfredo Paixão che vanno rispettate e non mischiate le qualità degli strumenti: insomma niente salmone con i porcini!».

Nel disco, oltre al Brasile, paghi il tuo debito anche ai grandi della scuola genovese. Qual è il tuo rapporto con i vari Tenco, De Andrè, Lauzi, Ciampi…?

«Ho sempre ascoltato i 33 giri presenti nella discoteca di mio padre e ho approcciato ad orecchio i primi accordi di chitarra. Impossibile non rimanere incantati dalla semplicità degli accordi e dalla magia di quelle storie raccontate nelle canzoni. Il primo brano è stato "Tutti morimmo a stento", De Andrè vol.1: facevo la tromba con un kazoo».

A 42 anni hai pubblicato il primo disco; non è l'età di un esordiente. Quando e perché ti sei avvicinato alla musica?

«Come ti dicevo, intorno ai 10 anni la prima chitarra rubata a mio fratello. A 15 anni il primo brano scritto per una compagna di banco e a 17 "Lo Sceriffo del west" che ha dovuto aspettare 25 anni per diventare un brano del mio primo disco. In mezzo ci sono stati tanti brani che oggi, a rileggerli, sono un po' il mio diario personale. Ma senza Guinga che mi propose di produrre il disco in Brasile, credo che non staremmo qui a parlare io e te».

Nella vita hai fatto anche il tecnico informatico e ci si sarebbe aspettati un utilizzo delle nuove tecnologie anche nel disco. Invece sei andato nella direzione opposta: tutto acustico. Perché?

«Perché volevo sentire l'anima degli strumenti e la genialità dei loro magici esecutori - Enzo Pietropaoli, Franco Piana, Michael Rosen, Israel Varela, Nelson Faria per citarne alcuni - che, senza parti obbligate, sono venuti in studio e hanno seguite le linee guida mie e di Alfredo Paixão. Non è un rifiuto delle nuove tecnologie ma la consapevolezza che sei corde, una pelle e un ottone possono creare qualcosa di più magico se pizzicate, percosse e soffiate».

La copertina trasmette l'idea del viaggio. La stazione, la panchina e il cappello arancione. Qual è il viaggio che stai vivendo?

«Da una vita mi trovo in stazioni e incroci che hanno fatto di questi percorsi un dedalo di incontri e dipartite. Oggi il mio viaggio lo vedo verso il sole, perché di pioggia, inerpicate e ruzzolanti discese ne ho un po' piena l'anima. Ma tranquillo, ci sarà sempre un cappello su una panchina a ricordarmi il senso dell'imprevisto».

Quando hai scritto le canzoni del disco?

«Dallo "Sceriffo del west" di 25 anni fa a "Era no mar" scritta e cantata in portoghese a ringraziare il Brasile e i musicisti che hanno partecipato - Guinga, Paixão, Nelson Faria, Rafael Barata -. Mi vergognavo un po' e volevo mettere quest'ultima come ghost track, poi il brano è piaciuto anche nel suo arrangiamento scarno ed è diventata l'undicesima traccia di "E sei arrivata tu"».

Hai già in mente il secondo disco? Resterai fedele alla linea o cambierai strada?

«Sì, sto lavorando al secondo disco. Credo che porterò sempre con me quello che i grandi musicisti mi hanno regalato e hanno regalato alla mia musica. Ma la musica, come diceva Vinicius, è l'arte dell'incontro e non puoi mai sapere chi incontrerai alla prossima stazione del tuo viaggio».


Titolo: E sei arrivata tu
Artista: Emanuele Belloni
Etichetta: Odd Times Records/Egea distribuzione
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Emanuele Belloni)

01. Come un commosso viaggiatore
02. E sei arrivata tu
03. La ballata del fuoco e l'acqua
04. Se l'amore fosse
05. Il circo
06. Lolita
07. Un sole d'amore
08. Lo sceriffo del west
09. Provateci un po' a prendermi
10. L'ultimo treno dei miei sentimenti
11. Era no mar



mercoledì 6 novembre 2013

Finaz, da Bandabardò all'album "Guitar Solo"






Da chitarrista e co-fondatore di Bandabardò (1993) alla carriera solista. Finaz, al secolo Alessandro Finazzo, ha preso la strada che molti prima di lui hanno seguito. La voglia di comunicare, di far conoscere la propria arte e le proprie idee hanno spinto il musicista di Volterra a pubblicare nel 2012 l'album "Guitar Solo", il primo disco solista in cui compare anche una splendida versione della hendrixiana "Blue Haze". Il titolo la dice lunga sul progetto che vede Finaz, armato della sua insostituibile chitarra acustica, esplorare diverse anime e generi, senza mai perdere però la propria identità e una omogeneità di fondo. Un disco che esalta il talento di Finaz, uno dei più raffinati e virtuosi chitarristi italiani.
Nel corso della sua carriera Finaz ha collaborato con molti dei più importanti artisti italiani: da Carmen Consoli a Franco Battiato, da Stefano Bollani a Daniele Silvestri, da Paola Turci a Caparezza. Intensa è stata anche la sua attività di produttore seguendo i progetti di Peppe Voltarelli, con il quale ha vinto il Premio Tenco nel 2010, Folkabbestia, Working Vibes. Senza dimenticare gli innumerevoli premi collezionati dal musicista toscano in oltre vent'anni di attività.
Finaz sarà uno dei nomi di punta dell'ottava edizione di Su la Testa, rassegna musicale organizzata dall'Associazione Culturale ZOO, che dal 5 al 7 dicembre si svolgerà al teatro Ambra di Albenga. Finaz suonerà l'ultima sera insieme ad Enrico Ruggeri, Ennio Rega e Fabio Biale. In attesa di ascoltarlo dal vivo gli abbiamo rivolto alcune domande.



Da componente di Bandabardò a chitarrista impegnato in una carriera da solista. Cosa ti ha spinto a prendere questa strada?

"E' una tipica esigenza artistica. Dopo aver suonato sempre in una band e con vari artisti del panorama italiano e internazionale, ho sentito l'esigenza e l'urgenza di cimentarmi in un confronto diretto con il mio adorato strumento. Quale mezzo migliore se non quello di presentarmi da solo con la sei corde? Una sfida personale che ho deciso di accettare e devo dire, sinceramente, ha dato più frutti di quanto sperassi".

A livello emotivo che differenza c'è a vivere questi due modi differenti di fare musica?

"A livello emotivo fa molta differenza. Anche se posso contare su una esperienza più che ventennale sui palchi di mezzo mondo, devo dire che presentarsi da solo all'inizio creava molta tensione e nervosismo. E' stato come ricominciare. Direi però che è molto stimolante. Soprattutto perché lo show che presento non si avvale di loop, parti preregistrate o basi, è tutto live, rigorosamente live: è divertente ricreare con una sola chitarra il suono di una band. Pensa che questa estate ho suonato a Pistoia Blues e quando sono sceso dal palco il mitico Robben Ford mi ha accolto dicendo: "Wow, stavo entrando nei camerini e ho sentito una band dal suono molto cool, mi sono affacciato e ho visto che eri da solo. You blew my mind". Poi non so cosa sia successo perché sono svenuto dall'emozione".

"Guitar Solo" è il tuo primo disco solista. Lo rifaresti se avessi la possibilità di tornare indietro nel tempo?

"Non ho pentimenti, anzi sto già preparando il volume due".

Nel disco rendi omaggio a Jimi Hendrix interpretando "Blue Haze"...

"Hendrix è stato e sarà per sempre il più grande innovatore della chitarra. Ogni chitarrista che si rispetti ha il dovere di rendere omaggio al genio di Seattle. È come un debito che deve essere pagato".

Oltre al tuo impegno in Bandabardò, hai prestato la tua chitarra a tantissimi artisti. Sei in grado di dirci qual è la salute della canzone italiana?

"In Italia continua a circolare molta musica di qualità. Purtroppo è il pubblico che è cambiato. Quando ero adolescente scappavo di casa la sera dopo cena per rintanarmi in qualche localino malfamato pur di ascoltare della musica live, sia che conoscessi chi suonava sia che non lo conoscessi. Puro amore per la musica e tanta curiosità. In questo momento dobbiamo cercare di rieducare gli italiani al gusto di ascoltare la musica dal vivo. Soprattutto sono contrario a tutte queste tribute band che imperversano nei locali italiani. E' chiaro che pur di suonare ti metti a replicare le canzoni di quell'artista o di quel gruppo ma a te, come musicista, non lascia niente e non fa crescere il panorama musicale italiano. Risultato: i grandi vecchi resistono e le novità ci vengono solo dai format. Per carità non sono contrario alla musica che esce dai format, dico solo che non deve essere l'unico modo per promuovere la musica".

In questo periodo sei tornato a collaborare con Peppe Voltarelli, con il quale in passato hai firmato alcuni brani e la colonna sonora di "Tatanka". Cosa state mettendo in cantiere e che rapporto c'è con Peppe?

"Con Peppe siamo entrati in studio all'inizio di ottobre per registrare il suo nuovo cd. Con lui collaboro da quasi dieci anni, come musicista e produttore, e devo dire che mi ha dato tanta soddisfazione e divertimento. Peppe è un artista libero e ti lascia libero di intervenire con la tua musicalità. Un modo molto bello e creativo per fare musica insieme. Penso che il cd, a mio parere il più bello della sua carriera, uscirà a gennaio dell'anno prossimo. Non perdetelo".

Quanta filosofia ci vuole, ricordo che sei laureato con 110 e lode, a fare il musicista di questi tempi?

"Ti dirò, quando ho iniziato il musicista era visto come un disperato che tentava la ruota della fortuna. A quei tempi tutti miravano allo stipendio fisso, all'impiego assicurato. Ti guardavano come fossi un alieno e i familiari era molto preoccupati. Adesso, vista la profonda crisi e l'incertezza, forse è uno dei pochi mestieri che quantomeno ti lascia libero di creare, di sentire, di realizzarti. Penso che la filosofia serva per chiunque in questo momento".

A dicembre sarai uno degli ospiti di punta del festival Su la Testa che da otto anni propone eventi culturali di grande qualità. Che futuro avrà la musica dal vivo?

"Come dicevo prima spero che la musica dal vivo torni ad essere un momento irrinunciabile di ogni essere umano. Spengete i televisori, i social network e tornate a bere una bella birra gelata in compagnia di buona musica sudata, vera".

I grandi della musica quasi mai hanno mai frequentato il Conservatorio eppure in Italia sembra un passo obbligato per avere maggior credito. Cosa ne pensi?

"Se fai il tuo mestiere con coscienza e impegno sei sempre rispettato. Personalmente uno dei miei migliori amici è Roberto Fabbriciani, forse il più grande flautista di musica classica contemporanea del mondo. Tra noi c'è molto rispetto e cerchiamo di collaborare sempre più spesso. Nella musica non c'è menzogna o raccomandazione che tenga, o sai suonare e comunichi qualcosa alla gente che ti ascolta o forse è meglio cambiare mestiere. Un pezzo di carta non ti assicura affluenza di pubblico o il suo gradimento".

Si narra che Springsteen, all'età di sette anni, sia rimasto folgorato dalla visione di Elvis Presley impegnato all'Ed Sullivan Show. Da quel giorno il suo unico obiettivo è stato fare il musicista. A te cosa è capitato di così folgorante da iniziare a suonare la chitarra?

"Una cosa simile. Prestarono a mio fratello un disco dei Beatles e quando lo mise sul piatto... avevo otto anni e decisi che quella sarebbe stata la mia strada".

Hai collaborato con tutti i più grandi, ma sono sicuro che hai ancora qualche nome scritto sull'agenda con cui vorresti collaborare…

"Ci sono tantissimi artisti con cui vorrei collaborare. Io amo suonare con i miei colleghi, confrontarmi, condividere. Se proprio devo spararla grossa direi sir Paul McCartney. Dubito che avrei la forza anche solo di reggere la chitarra in mano, però sarebbe godurioso, no? Stando con i piedi per terra invece devo dire che non ho nomi scritti sull'agenda. Ho suonato veramente con tanti artisti incredibili che mi hanno dato tanto e sono tutte cose spesso capitate per caso, lascio fare al fato. In questo momento, per esempio, sto suonando insieme ad Alex Britti e Fausto Mesolella, un trio nato quasi per scherzo ma quando siamo insieme su un palco escono scintille".


Titolo: Guitar solo
Artista: Finaz
Etichetta: OTRLive
Anno di pubblicazione: 2012