lunedì 24 giugno 2013

La storia di "Dedalo e Icaro" raccontata da Il Cerchio d'Oro






"Dedalo e Icaro" è uno degli album di rock progressive italiano più belli e intensi degli ultimi anni. A firmarlo è stato Il Cerchio d'Oro. La band savonese, nata a metà degli anni Settanta e tornata in vita nel 2006 dopo un lungo periodo di inattività, ha prodotto un concept album, armonioso e senza cadute emozionali, che ha visto la luce in questi giorni. Impasti vocali suggestivi e assoli di grande classe confezionano brani che si collocano nella migliore tradizione del genere e che raccontano la storia millenaria di Dedalo e di suo figlio Icaro. Ad aggiungere valore al disco è la presenza di ospiti illustri della scena progressive: Pino Sinnone batterista dei Trip, l'ex PFM Giorgio "Fico" Piazza, Ettore Vigo e Martin Grice dei Delirium. "Dedalo e Icaro", arriva quattro anni dopo l'ottimo e per certi versi inatteso "Il viaggio di Colombo" (entrambi prodotti dalla genovese Black Widow). A firmare il disco sono stati Franco Piccolini, i gemelli Giuseppe e Gino Terribile, Piuccio Pradal, Roberto Giordana e Bruno Govone. Tra gli ospiti anche Daniele Ferro e Athos Enrile.
Con il batterista Gino Terribile siamo andati alla scoperta di "Dedalo e Icaro".



Mai siete stati così produttivi a livello discografico come in questi ultimi anni. Dalla vostra reunion nel 2006 avete prodotto "Il viaggio di Colombo" e quest'anno il bellissimo "Dedalo e Icaro". Cosa è cambiato nel vostro modo di lavorare? È tutto merito della raggiunta maturità anagrafica e artistica?

«In effetti nel 2006 ci siamo ricompattati dopo che la Psych Out, l'anno prima, aveva pubblicato in vinile del nostro vecchio materiale, tra l'altro amatoriale. Ci siamo detti, perché non riprovare? Abbiamo impiegato un po' di tempo per il "rodaggio", specie per Franco e Piuccio, fermi da 25 anni, mentre per me, per Giuseppe e Roberto il discorso è stato diverso. In pratica dopo lo scioglimento de Il Cerchio d'Oro nel 1980, abbiamo fondato, due anni dopo, i Cavern e di fatto non abbiamo mai interrotto l'attività musicale. Nel 1981, in effetti, c'è stato ancora lo spazio per pubblicare un singolo a nome Black Out, tra l'altro molto quotato in campo hard rock, che ha coinvolto quattro elementi de Il Cerchio d'Oro. Il nostro modo di lavorare non è molto cambiato, diamo molta importanza alle emozioni che suscita una musica creativa e fatta con gusto».

Non potevate registrare questi dischi negli anni Settanta?

«Negli anni Settanta - il gruppo come trio è nato nel 1974 - le possibilità erano scarse. Intanto eravamo giovani, studenti, e poi, francamente Savona offriva veramente poco».

Come è nata l'idea di musicare la storia di "Dedalo e Icaro"?

«Nel progressive erano caratteristici, fin dagli anni Settanta più che semplici raccolte di canzoni, i concept album, ossia album a tema. I soggetti preferiti erano figure mitologiche o storie di fantascienza. "Il viaggio di Colombo" ha rappresentato, oltre al fatto di proporre un personaggio ligure come noi, anche il concetto - come ha fatto Colombo stesso - di realizzare un sogno e di vincere una sfida. Nel nostro piccolo anche noi l'abbiamo vinta, visto il successo, specie di critica che ha ottenuto l'album non solo in Italia ma nel mondo. Addirittura in un libro stampato negli Stati Uniti è stato inserito tra i 100 dischi di prog italiano più belli di sempre! Per il seguito non è stato facile trovare un soggetto che ci convincesse e che non fosse già stato trattato. Poi abbiamo scelto "Dedalo e Icaro", storia incentrata non solo sul volo, ma anche sul rapporto padre/figlio con tutte le emozioni e le incomprensioni relative. Anche in questo caso c'era da vincere una sfida che purtroppo, questa volta non è stata vinta. Ma dico subito - magari è una facile allusione... - che già a giudicare dai primi riscontri, sia di critica che di vendite, questa volta non imitiamo il protagonista dell'album nella sua debacle». 

La storia di Dedalo e di suo figlio Icaro che muore avvicinandosi troppo al sole ha per voi un significato?

«Come appena detto, si può identificare anche nei rapporti conflittuali di oggi tra padre e figlio. Tante volte l'esperienza vince nei confronti dell'incoscienza».

Come vi dividete i compiti all'interno del gruppo e a chi spetta l'ultima parola?

«A chi spetta l'ultima parola? Per quanto sia difficile in un gruppo musicale, proviamo a essere democratici, anche perché pensiamo che in un gruppo sia essenziale interagire e dare spazio a ogni singolo elemento. Certo, per quanto riguarda l'aspetto compositivo, abbiamo dei ruoli più o meno precisi: Franco e Giuseppe sono gli autori principali delle musiche, ma anche io do un buon contributo; per i testi ci pensiamo io e mi fratello Giuseppe e in alcune occasioni Pino Paolino, nostro collaboratore fin dagli anni '70; gli arrangiamenti vedono il contributo di tutti, per quelli vocali Piuccio, Giuseppe ed io».

Che effetto vi fa ritrovarvi in sala d'incisione dopo quarant'anni di frequentazione artistica, seppur con alcune lunghe interruzioni?

«Questa è una storia diversa. Trenta/quaranta anni fa per fare un disco dovevi necessariamente andare in uno studio di registrazione, magari registravi il gruppo in presa diretta oppure separatamente a seconda di quante tracce disponibili si aveva a disposizione. Nel 1977 era già un lusso avere un 8 piste o un 16 piste analogiche. Oggi non è più così. Con le registrazioni digitali si può dire che si possono disporre di 50/100 piste, insomma un numero infinito, e con un buon tecnico, e il nostro Enzo Albertazzi lo è, si può registrare con comodo anche a casa, in uno studio improvvisato. Solo per le parti di batteria abbiamo avuto bisogno di uno studio di registrazione».

Il disco si colloca nella migliore tradizione del progressive italiano, tanto in voga negli anni Settanta. A quarant'anni di distanza cosa è il prog oggi?

«È un genere che appassiona, col fiorire di band nuove e col rinascere di band storiche. È un elenco lunghissimo e inoltre si assiste alla ristampa in cd e in vinile degli album storici di quel periodo».

Quale tipo di pubblico segue questo genere musicale?

«Il pubblico è di appassionati, di intenditori, è insomma un pubblico di nicchia ma queste "nicchie" sono sparse in ogni "cantuccio" del mondo, con punte elevate in Giappone e in Sud America».

In questo disco avete potuto contare anche sulla collaborazione di grandi musicisti come Martin Grice, Giorgio "Fico" Piazza, Ettore Vigo e Pino Sinnone. Come vi siete incontrati?

«I quattro grandi ospiti che abbiamo nell'album sono nostri amici. Oltre a essere grandi musicisti, ci teniamo a dire che sono persone assolutamente squisite. Noi fin dagli anni '70 abbiamo frequentato, specie in Liguria, tanti musicisti della scena prog. I Trip, che erano un gruppo italo/inglese, avevano nelle proprie fila Joe Vescovi che era di Savona. Pino Sinnone è di Torino ma viene spesso in Liguria. Con i Delirium, compagni di scuderia alla Black Widow, ci conosciamo da una decina d'anni e nel 2009 abbiamo anche suonato insieme in due occasioni. "Fico" abita vicino a Milano, ci siamo conosciuti alcuni anni fa e se ha ripreso a suonare - ora è protagonista in diversi concerti invitato da gruppi prog e rock - è anche un po' merito nostro che lo abbiamo spinto».

Quale contributo hanno dato al disco?

«Pino Sinnone suona nel brano di apertura "Il mio nome è Dedalo". Il suo drumming è preciso e caratteristico, riconoscibile. All'epoca l'album "Caronte" dei Trip ci entusiasmava e il suo contributo col suo groove era notevole. Martin Grice, il simpatico inglese dei Delirium, ci ha sempre detto di essere un nostro fan e ci ha regalato due stupendi assoli: il primo nello strumentale "Labirinto" dove sfoggia la sua bravura al flauto e il secondo nel brano conclusivo "Ora che son qui" con un solo di sax da brividi. In quest'ultima canzone è presente anche l'altro Delirium, Ettore Vigo, che ci ha donato un intervento di piano veramente di gran classe col suo tocco un po' classico un po' jazz. Infine Giorgio "Fico" Piazza ha suonato il basso nel brano "L'arma vincente", cantato dal nostro bassista Giuseppe. Anche a "Fico" è piaciuto da subito il nostro modo di fare musica. Un onore averlo come ospite anche perché dopo i primi quattro straordinari album con la PFM, non è presente su nessun altro disco, tranne che in quello del Cerchio d'Oro!».

Piazza e Sinnone sono stati anche ospiti nel corso della vostra recente esibizione alla Fiera Internazionale della Musica che si è tenuta a Villanova. Ci racconti qualche aneddoto?

«Ci hanno fatto un ulteriore regalo. In effetti Piazza ce lo aveva già fatto l'anno scorso, quando venne ad Alassio solo per suonare un pezzo con noi in occasione del concerto in memoria di Wegg Andersen organizzato dai Trip. Al Riviera Prog Festival a Villanova abbiamo eseguito alcuni brani nostri tratti da "Il viaggio di Colombo", poi con Pino una canzone dei Trip, "Two brothers", a seguire alcuni brani nostri da "Dedalo e Icaro" e per finire con "Fico" abbiamo eseguito quell'inno prog che è "Impressioni di Settembre". Suonarlo insieme a chi originariamente l'ha registrato è stata una bella emozione. Aneddoti? La settimana prima del festival Pino è venuto da noi per provare il brano dei Trip, poi ovviamente abbiamo provato anche le nostre canzoni. Alcune le conosceva altre no. A un certo punto ha detto: ‹ragazzi, a parte che siete amici, bravi musicisti e brave persone ma poi componete della Madonna!›. Di "Fico" possiamo dire che nel camerino di Villanova, quando abbiamo provato unplugged alcune cose con lui e poi un intro a cappella, ha detto: ‹non sono abituato a suonare con così tanti che cantano bene›. E poi una chicca: nel nostro album ha suonato col basso Fender regalatogli all'epoca da Greg Lake!».

Anche la grafica, molto bella, trovo che sia in stile prog...

«La copertina è molto bella, il disegno è di Stefano Scagni, lo stesso che ha ideato la grafica di "Il viaggio di Colombo" che ha raccolto consensi ovunque. In effetti è un art work invidiabile e anche "Dedalo e Icaro" è accattivante a prima vista e siamo certi che acquisterà ancor più fascino nella versione in LP, disponibile da luglio, visto che sarà stampato in Germania».

Quale sarà il futuro de Il Cerchio d'Oro?

«Per ora godiamoci i bei riscontri e le recensioni dell'album. Ce ne sono già alcuni sul web italiano ma anche sull'importante sito americano Prog Archives e vedremo che tipo di "volo" potrà spiccare "Dedalo e Icaro". Poi, oltre a qualche concerto, penseremo a nuovi progetti…».


Titolo: Dedalo e Icaro
Gruppo: Il Cerchio d'Oro
Etichetta: Black Widow
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce

01. Il mio nome è Dedalo  [musica Gino Terribile e Franco Piccolini; testo Gino Terribile]
02. Labirinto  [musica Franco Piccolini]
03. La promessa  [musica Giuseppe Terribile e Franco Piccolini; testo Pino Paolini]
04. L'arma vincente  [musica e testo Giuseppe Terribile]
05. Una nuova realtà  [musica Franco Piccolini; testo Gino Terribile]
06. Oggi volerò  [musica Giuseppe Terribile; testo Pino Paolino]
07. Il sogno spezzato  [musica Franco Piccolini; testo Pino Paolino]
08. Ora che son qui (Icaro...la fine)  [musica e testo Giuseppe Terribile]





lunedì 17 giugno 2013

Il magico mondo di musicale di "Nanaue"




"Nanaue" è il nome di un duo, di un disco, di un progetto. Matteo Nahum ed Emiliano Deferrari, entrambi genovesi e con numerose esperienze alle spalle in diversi ambiti artistici, hanno unito la voglia di suonare e comunicare dando vita ad un album intrigante, non commerciale, che necessita di ascolti attenti per apprezzare tutte le sfumature di composizioni che strizzano l'occhio al rock progressive di qualità e non solo.
Matteo Nahum, 40 anni una laurea in filosofia nel cassetto e collaboratore di Max Manfredi e Cristiano Angelini, nonché chitarrista de La Maschera di Cera, è sulle scene da molti anni. Ha suonato in diversi ambiti: jazz con Marco Leveratto, musica d'autore, flamenco-fusion con i Los Duendes di Marco Galvagno, cover rock band, musica etno acustica e rock progressive. Ha firmato anche numerose colonne sonore di spettacoli teatrali e di danza.
Emiliano Deferrari, 36 anni anche lui laureato in filosofia, è un polistrumentista che ha messo la sua firma su vari progetti. È stato cantante dei Real Dream, una tra le cover band dei Genesis più conosciute in Italia, del gruppo di musica popolare dell'est europeo, Ta'Am. Nel 2005 ha pubblicato l'album "So_Lo".
In questa doppia intervista parliamo di tutto quello che gira intorno a "Nanaue".




Matteo, raccontaci cosa è il progetto "Nanaue"...

Nahum: «Il progetto "Nanaue" è nato nel 2007 dall'incontro con Emiliano Deferrari. Galeotto fu MySpace e una serie di frequentazioni comuni nell'ambiente musicale genovese. Dopo aver sentito il suo disco solista ho capito che avrei voluto assolutamente scrivere qualcosa con lui. Direi che abbiamo scoperto molte affinità e, dalla prima canzone del 2007 ad oggi, abbiamo scritto più di 20 brani, che amiamo tantissimo, di cui una prima parte è stata pubblicata sul disco appena uscito per la Gutenberg Records/Primigenia Produzioni. Molti degli altri fanno parte regolarmente della scaletta dei concerti e sono in preparazione le versioni che comporranno il secondo disco».

Come è nato il vostro disco?

Nahum: «Emiliano ed io abbiamo fatto parte, in anni diversi e senza mai incontrarci, di una band genovese specializzata nelle cover dei Genesis, i Real Dream. Ci siamo incontrati altre volte in circostanze abbastanza differenti, persino durante il saggio di fine anno di una scuola di musica in cui ho insegnato. MySpace mi ha fatto conoscere le sue canzoni, di cui mi sono letteralmente innamorato, ed è ancora così ogni volta che arriva una sua nuova proposta per "Nanaue". Abbiamo iniziato un sempre più assiduo scambio di file, registrati nei rispettivi studi casalinghi, dal momento che non abitiamo nella stessa città, fino a sviluppare il materiale che compone il disco. In effetti la composizione procede talmente veloce che abbiamo più canzoni di quelle che potranno stare nel prossimo disco. In fondo "Nanaue" è il nostro parco giochi…».
Deferrari: «Io in realtà non mi ricordo del saggio di fine anno, ricordo invece un concerto di Peter Gabriel a Genova! Conoscevo e stimavo Matteo come un ottimo chitarrista, ma non sapevo nulla del Nahum compositore, e i suoi file, demo, provini e il disco dei Valnades Art mi hanno stregato. Ho capito di avere davanti a me un musicista completo e con un'apertura mentale veramente rara. Poi ho scoperto che è anche una persona deliziosa, democratica, rispettosa, onesta… Insomma ci sono state le condizioni migliori per poter lavorare insieme con entusiasmo».

Cosa significa "Nanaue"?

Nahum: «Nanaue è un semidio della mitologia hawaiana. La canzone dal titolo omonimo è nata prima di decidere di chiamare così l'intero progetto e racconta del ritrovamento del corpo di "Nanaue" su una spiaggia, evento che dà origine a una serie di considerazioni da parte di tutti i personaggi che sopraggiungono. "Nanaue" è un semidio con una doppia anima ed un doppio corpo, la testa e il tronco dello squalo e il resto del corpo dell'uomo. La sua natura è essere diviso tra l'istinto per la caccia e il sangue e il bisogno di amore, istinti contrastanti che sono anche all'origine della sua fine».
Deferrari: «La figura a cui fa riferimento Matteo è quella disegnata in un fumetto della Marvel, mentre la versione originale antropomorfa, cui si fa riferimento nella canzone, ha anche il volto umano, mentre dietro la schiena, nascoste da un mantello, vi sono le fauci di uno squalo!».

Il progetto ha portato con sé anche un disco molto interessante che mischia rock, sperimentazione e progressive...

Nahum: «"Nanaue", come dicevo, è il nostro parco giochi. Non ci sono regole o restrizioni, quello che ci piace fare, nel momento in cui ci va di farlo, lo proponiamo e lo realizziamo. Attingiamo da tutta la nostra storia musicale, sia in termini di ascolti che di esperienze lavorative che di studio. La tavolozza è quanto mai ampia e ci piace intrecciare i linguaggi, sotto ogni punto di vista. Le canzoni che sono nate fino ad ora sono tutte caratterizzate da una loro personalità molto forte e si possono trovare stili ed idee molto distanti tra loro, anche se tutto sommato sono tenute insieme da un filo conduttore dato dal nostro modo di comporre e di interagire. Se le canzoni che compongono il primo disco risentono abbastanza di un'anima prog, soprattutto per la "dilatazione" musicale che le caratterizza, quelle che sono state scritte successivamente sono più sintetiche ed asciutte. In effetti però non c'è una vera preferenza per un'idea di canzone in opposizione ad un'altra. Finché sarà possibile scriveremo assecondando liberamente i nostri desideri ed interessi».
Deferrari: «Il disco che hai sentito rappresenta il primo passo del nostro cammino, contiene cronologicamente le prime composizioni comuni. In genere quando due persone estranee si incontrano cercano un linguaggio comune con il quale comprendersi. Quello è ciò che è successo nell'album. Le nuove composizioni invece, che puoi ascoltare dal vivo insieme al materiale del disco, sono piuttosto un'avventura insieme verso nuovi territori inesplorati. Dovrai venirci ad ascoltare presto!».

L'inizio del disco riporta subito indietro al periodo d'oro del progressive. Qual è il vostro debito con questo genere musicale?

Nahum: «Entrambi abbiamo fatto parte dei Real Dream, entrambi amiamo moltissimo tanto Peter Gabriel quanto i Genesis - naturalmente "prima maniera", anche se personalmente trovo i Genesis dell'era pop egualmente efficaci, in quel genere -. Uno dei nostri primi incontri, precedenti alla nascita di "Nanaue", fu in effetti ad un concerto di Gabriel a Genova, nel 2004… A questo si aggiunga che per quattro anni ho fatto parte de La Maschera di Cera, una delle più importanti formazioni del nuovo prog italiano, insieme al Tempio delle Clessidre di cui è fondatrice Elisa Montaldo, nostra compagna di avventure - per nostra grande fortuna! - dal vivo. È naturale quindi che io sia legato a questa idea di canzone "estesa" che, anzi, mi è sempre sembrata ovvia fin da bambino, fin da molto prima di ascoltare il mio primo disco prog, "In the court of the Crimson King". Dell'idea originale del prog, mi continua ad affascinare il tentativo avventuroso di mescolare i generi dopo averli compresi a pieno, di superare i cliché, il che, a ben guardare, fa però parte di tutta la storia della scrittura musicale più riuscita. Chissà se Mahler, che amo praticamente fino alla follia, è prog».
Deferrari: «A 3 anni ascoltavo i Beatles ok, ma a 6 ogni mattina, appena sveglio, ascoltavo un lato della cassetta di "Selling England by the Pound". A 10 avevo tutta la discografia di Yes, King Crimson, Genesis e Pink Floyd. A 19 anni cantavo in una cover band dei Genesis, i Real Dream che poi videro Matteo come lead guitarist in anni successivi. Qualche ispirazione dal mondo del prog ce l'avrò pur avuta!».

Ci sono però anche accenni blues come in "Eternal Lover" e latin-funk in "Meet the Aeolist" che arricchiscono ulteriormente l'album…

Nahum: «Certo, e probabilmente nel disco nuovo ci sarà anche più funk. Tutto quello che amiamo ha diritto di cittadinanza, anche se nessun genere è preponderante nelle nostre canzoni. In effetti ogni stile diventa il pretesto per raccontare una storia, un po' come facevano i Queen più geniali che vestivano le canzoni con gli abiti più disparati, secondo l'occasione, senza per questo ripetere precisamente i cliché dei generi che toccavano. "Eternal Lover" ha certamente un'anima blues, ma declinata con la libertà e lo spazio dei Pink Floyd ed anzi, il solo centrale è "arrivato", così come è registrato, con la notizia della scomparsa di Rick Wright, verso cui è un omaggio un po' commosso».
Deferrari: «Il genere musicale non è un confine invalicabile per noi, piuttosto è il vestito migliore per una composizione musicale, quello che permette all'armonia, alla melodia e al racconto di fiorire nel migliore dei modi possibili».

Con le canzoni dell'album toccate tanti generi ma quale è il filo conduttore di questo disco?

Nahum: «Da un punto di vista strettamente musicale, il filo conduttore credo si trovi un po' nella complessità - che è ben diversa, pensiamo, dalla "pesantezza" - della scrittura. Più continuiamo a creare canzoni più, abbastanza curiosamente, scopro che tendiamo anche ad influenzarci reciprocamente e questo è molto divertente. Firmiamo le nostre canzoni sempre al cinquanta per cento, indipendentemente da chi abbia dato vita allo spunto originale. Forse un giorno ognuno di noi scriverà qualcosa secondo lo stile che sembra, a prima vista, quello dell'altro. Un po' come per "All you need is love" e "The fool on the hill" per Lennon e McCartney! Poi, ci sono le storie dei personaggi che sono al centro delle canzoni».
Deferrari: «Il disco è fatto di sei racconti sofisticati più un'introduzione e una coda. Dal punto di vista narrativo, ogni brano esplora le forze opposte che muovono le creature umane - o quasi -, le aporie e le incongruità degli uomini, siano esse fisiche, etiche, sentimentali».

Matteo, nel corso della tua carriera sei riuscito a vincere due volte il Premio Tenco. Non è da tutti…

Nahum: «Il primo disco vincitore a cui ho preso parte è "Luna persa" di Max Manfredi, disco per il quale ho suonato e partecipato in piccola parte alla stesura degli arrangiamenti. È un disco meraviglioso ed è una grande fortuna averne fatto parte, soprattutto per i grandi musicisti ed amici che hanno contribuito alla sua realizzazione in maniera decisiva. Il disco ha vinto la Targa Tenco, molto meritatamente. Il secondo disco, a due anni di distanza, è quello di Cristiano Angelini. "L'ombra della mosca" che ha invece vinto l'Opera Prima e, in questo caso, sono doppiamente felice dal momento che gli arrangiamenti sono stati scritti per la quasi totalità da me - con un grande contributo di Federico Bagnasco, peraltro uno degli artefici di "Luna persa" -, oltre ad essermi stata assegnata la direzione dei lavori. È stata una bellissima avventura e non sarà facile dimenticare la telefonata di Cristiano, ricevuta in autostrada, che mi informava della vittoria… Senza entrare nella noiosa questione se esista una "scuola genovese" della canzone o meno, certamente è vero che ci sono molti autori, qui, di livello altissimo, che interagiscono e si influenzano reciprocamente. Se a questo si aggiunge il numero di musicisti eccezionali - che si trovano anche nei dischi menzionati, così come in quello di "Nanaue" - che vivono e lavorano in questa città, è facile capire come possa succedere di arrivare a fare dischi importanti».

Matteo, cosa ti ricordi della tua esperienza artistica a fianco di Max Manfredi e Cristiano Angelini?

Nahum: «È un'esperienza che continua, ci sono nuovi progetti e concerti in cantiere quindi siamo ben distanti dalla dimensione del "ricordo". Entrambi sono pronti per realizzare i nuovi lavori, quindi i prossimi mesi saranno certamente dedicati anche a questo».

Jazz, progressive rock, flamenco, canzone d'autore. Sono tutti generi dove hai lasciato la tua impronta. Che tipo di chitarrista sei e in quale genere ti senti più a tuo agio?

Nahum: «Sono un chitarrista "non chitarrista". Cerco di essere il chitarrista che serve all'arrangiatore che sono, nel momento in cui sto affrontando una canzone. Non sono mai stato capace di abbracciare un genere in maniera definitiva, il che è contemporaneamente un limite ed una risorsa. Ci sono certamente tanti specialisti più bravi di me per ogni genere musicale ma, altrettanto certamente ho a disposizione un punto di vista molto più ampio. C'è un episodio buffo che mi diverte ricordare a questo proposito. Qualche anno fa partecipai ad un bellissimo seminario di tre giorni con Pat Metheny - musicista e persona che stimo tantissimo -, a Ravenna Jazz. La prima mattina, appena sedutosi, iniziò con la domanda ‹quanti chitarristi ci sono qui?›. Tutti con le mani alzate tranne io, che stavo in prima fila. La seconda domanda fu ‹quanti musicisti ci sono, invece?›. Alzai la mano e lo vidi che mi guardava ridendo. Mi sono girato indietro e di mani alzate ne ho viste proprio poche.
Detto questo, è anche vero che mi piace molto studiare lo strumento, forse persino troppo, e questo mi ha portato a padroneggiare tanti generi in modo credibile. Sono persino diplomato in chitarra classica anche se, di fatto, non sono mai stato un concertista in questa area, che peraltro adoro e continuo ad esplorare, di tanto in tanto. Certamente non punterei su di me in una gara tra chitarristi, però mi vorrei in squadra al momento di registrare un disco e, altrettanto, quando mi riguardo su Youtube, mi accorgo che non tanti possono fare proprio tutte quelle cose».


Nel corso della tua carriera hai firmato anche le colonne sonore di una decina di spettacoli teatrali e di danza confermando la tua versatilità artistica...

Nahum: «La scrittura è la cosa che mi appassiona di più, la cosa che tipicamente mi fa perdere il senso del tempo, anche se devo alternarla alla chitarra per fare in modo che l'una faccia riposare e restituisca vitalità all'altra. In effetti una mia grande passione è il cinema, non passa settimana senza uno o due film in sala, ed è abbastanza ovvio che ne sia nato l'interesse per la musica, per le immagini o, più in generale, per media come il teatro. In effetti non escludo che nel prossimo futuro questa parte della mia vita diventi quella preponderante, o almeno è quello che mi auguro e per cui sto operando. Ho lavorato per molti spettacoli di Alessandro Langiu, un autore ed attore tarantino che ha scritto lavori molto interessanti ed importanti su tematiche legate all'ambiente ed alla legalità. Esperienze molto belle che hanno portato anche musiche di cui sono molto felice. Un ricordo molto emozionante è legato all'esperienza con Francesca Zaccaria, una bravissima danzatrice con cui abbiamo creato una performance per il festival Corpi Urbani di Genova, coadiuvati dal coreografo e danzatore Giovanni Di Cicco».

Emiliano, sei nato a Genova ma da un po' di tempo ti sei trasferito a Roma. Che differenze hai riscontrato in ambito musicale tra le due città?

Deferrari: «Mi sono trasferito a Roma dieci anni fa, per musica e per amore! È una scelta che rifarei, non perché io non sia profondamente legato alla mia terra natale, alla sua peculiare bellezza, e al carattere così irritante dei suoi abitanti, ma perché avevo semplicemente bisogno di cambiare. Vedere le cose da una prospettiva più ampia, sentirsi un po' stranieri. L'ho fatto ed sono venuti fuori un album e due Ep, un matrimonio, un bimbo bellissimo. Da tre anni mi sono trasferito ai Castelli Romani, a due passi da Roma, ma con il profumo della natura e il cibo più genuino».

Ho notato che sul tuo sito internet si posso scaricare gratuitamente le tue esibizioni dal vivo. Quali sono le tue idee sulla diffusione della musica?

Deferrari: «Nel 2005 pubblicai il mio primo album solista con una licenza Creative Commons - penso di essere stato uno dei primi in Italia -, una licenza che permetteva ai possessori del cd di copiare la musica e diffonderla gratuitamente a meno che non fosse stato per fini economici. Suonai anche al primo Creative Commons Festival vicino a Venezia, insieme a molte realtà musicali legate alla diffusione della musica al di fuori delle forche caudine del vecchio copyright. Poi, per esigenze pratiche dovetti iscrivermi alla SIAE, essendo molto difficile essere coautore di brani insieme a iscritti SIAE per questioni burocratiche che non vado a spiegarti. È pur vero che, sia io che Matteo abbiamo un'impressione molto negativa sul lavoro e sulle condizioni della società italiana per il diritto d'autore. Pensa che ogni giorno ci informiamo su come fare per "emigrare" in altre società dell'Unione Europea, molto più democratiche, trasparenti ed economiche. Per tornare a bomba sulla tua domanda, ritengo che ogni autore debba poter scegliere cosa fare della propria musica, e come diffonderla. Molti di noi regalano brani o concerti su internet, sui propri blog, siti o social network, sapendo paradossalmente di infrangere la legge. Questo mi sembra francamente ridicolo».

Guardandovi indietro quali sono stati i momenti più piacevoli della vostra carriera?

Nahum: «Ci sono molto ricordi piacevoli legati alla musica. Esempi recenti ed ovvii sono quelli legati alle Targhe Tenco, o ai primi concerti di "Nanaue", ma in effetti i giorni a cui sono più affettivamente legato sono quelli della Bologna dei primi anni 2000, con un progetto meraviglioso che si chiama Valnades Art, di cui è possibile vedere molti video in rete. Effettivamente, oltre alla bellezza della musica, ci sono molti ricordi personali che sono legati a questo progetto, i primi viaggi, le prime avventure - e disavventure!! - da musicisti, le prime notti in giro. Sono stato fortunato a viverle con persone che sono fratelli prima ancora che colleghi e sono certo che è un'avventura destinata a riprendere. In effetti, dopo 15 anni di musica in giro, mi trovo per la prima volta nella condizione di potermi voltare indietro e fare i conti con tutti questi ricordi, è una sensazione molto piacevole».
Deferrari: «L'uscita del mio album solista il primo agosto del 2005! La data peggiore per la pubblicazione di un album, ma era tanta la gioia per vedere il cd, il libretto, le mie note di copertina… e la musica, finalmente distribuita per l'etere e venduta ai primi concerti. E poi la prima recensione del mio album, mi ricordo fu Rockerilla a scrivere parole lusinghiere. Ricordo con grande affetto tutti i viaggi in giro per lo stivale che ho fatto per suonare la mia musica, da solo o in duo, e oggi nelle varie incarnazioni live di "Nanaue", insieme a Matteo. Ancor prima però ricordo le mie prime sessioni in una vera sala di incisione, nel marzo-aprile del 1999, in Islanda. A quei tempi studiavo all'Università di Reykjavik e fui contattato da un bravissimo cantautore italo-islandese, Leone Tinganelli, per suonare la chitarra, cantare e produrre artisticamente un suo album di musica italiana per il mercato islandese. Fu una maniera alquanto singolare per cominciare la mia carriera in sala d'incisione».

Attualmente in quale ambito sono indirizzati i vostri ascolti musicali?

Nahum: «Da un anno a questa parte sono "caduto nel tunnel" di Mahler e non credo ci sia un rimedio, è fortunatamente incurabile. In effetti ascolto molta musica orchestrale - forse potrei dire colloquialmente e impropriamente "classica" - dal momento che leggo continuamente manuali di orchestrazione, che è una bella scusa per approfondire musica meravigliosa. Amo tantissimo Ravel, Debussy, Mozart, Bach... Ascolto anche molte colonne sonore, cerco di restare aggiornato su quello che succede e trovo che sia uno dei pochi campi nella musica commerciata dove c'è ampio margine per la creatività. A questo proposito consiglio a tutti la colonna sonora di "Tin Tin" di Spielberg, scritta da John Williams, è un'esplosione di intelligenza musicale e creatività. Di recente ho ascoltato "Grand Hotel" dei Procul Harum, non mi ero mai reso conto di quanto "fossero Nanaue" e poi i miei amatissimi Focus, del grande Thijs van Leer, organista, flautista, compositore e essere umano meraviglioso, incontrato a Roma nel 2011 in occasione della prima edizione del Prog Exhibition, con La Maschera di Cera».
Deferrari: «Ascolto qualsiasi cosa sia degna di essere ascoltata, quindi posso solo dirti cosa c'è al momento nel mio Ipod. 9 sinfonie di Beethoven che ho ri-ascoltato in loop per almeno due mesi nel tardo inverno, "Grand Hotel" dei Procol Harum - che ho consigliato io a Matteo -, "33 and 1/3" di George Harrison, album di gran classe del 1976 - ascoltate "See yourself" e capirete qualcosa in più di "Nanaue" -, "Random Access Memory" dei Daft Punk - una godibilissima antologia della musica dance immersa in un divertente sogno – pantomima – hype, chiama come vuoi due francesi travestiti da robot dal 1997! -, "Tresspass" dei Genesis, nella meravigliosa versione remixata e rimasterizzata del 2010, "Bolivia" di Gato Barbieri, che dal primo ascolto, all'età di 12 anni è diventato uno dei motivi per cui sono e mi sento un musicista. E poi tutti i provini del prossimo album di "Nanaue", che sarà veramente una bomba!».

È presto per chiedervelo, ma sapete già in quale direzione andrà la vostra musica?

Nahum: «Quando prendo una direzione precisa, avverto subito il bisogno di andare nella direzione opposta. È un approccio schizofrenico ma mi porta a visitare sempre nuovi territori. Attualmente cerco di studiare orchestrazione in ogni momento disponibile, poi magari registro delle parti di batteria e chitarra elettrica. Certamente avrà sempre più importanza la musica per immagini, certamente proverò a spingermi in direzioni che ancora non mi appartengono per cercare di far mio qualche elemento nuovo».
Deferrari: «Direi la mia! Ho sempre scritto e suonato quello che volevo e sentivo, qualsiasi direzione prendo la prende la mia musica, quando succederà il contrario… non sarò più io. Ho un album solista quasi pronto, fermo dal 2010 per fare spazio all'onda lunga di "Nanaue". Un giorno lo concluderò, ma sono più interessato a lavorare ai diversi progetti comuni con Matteo. Non possiamo dire nulla di preciso ma tra dvd, album nuovi e idee per musical ne abbiamo per un quinquennio almeno».

Per finire vi invito a rispondere alle dieci domande secche.

- Aratro o zappa? Nahum: Zappa, Frank. Deferrari: Zappa, come Frank che ha sempre fatto tutto con le sue mani!
- Elicottero o deltaplano? Nahum: Elicottero, ma pilotato davanti allo schermo di un computer e tutto fatto di pixel. Era una cosa che amavo molto ai tempi del Commodore 64. Immagino che ora siano più complicati. Deferrari: …poltroncina in business class no, eh?
- Bagna cauda o cacciucco alla livornese? Nahum: È possibile tutti e due? Deferrari: Cacciucco, o la bouillabaisse maremmana!
- Ragno o scorpione? Nahum: In questo caso nessuno dei due, sono totalmente aracnofobico e se ci fosse un termine per la fobia degli scorpioni, sicuramente avrei anche quella. Deferrari: Ragno, vorrei avere tutte quelle braccia.
- Alfa o omega? Nahum: Uhm… per uno che ha letto un bel po' di volte "Essere e Tempo" di Heidegger - nessuno è perfetto, sono laureato in filosofia, disgrazia che condivido con Emiliano -, certamente Omega, come orizzonte costantemente presente. Deferrari: Tutto ciò che sta in mezzo tra alfa e omega.
- Ripido o in salita? Nahum: Ripido! Nel senso dell'allenamento e dell'ostacolo da superare per migliorarmi. Deferrari: È uguale, quello che importa è la pendenza in percentuale.
- Sei o 12 corde? Nahum: Quello che serve quando serve. Deferrari: È una domanda troppo generica, 12 corde in 6 gruppi di due o in 4 gruppi di tre? ...purché suonino!
- Rivoluzione francese o Rivoluzione d'ottobre? Nahum: Qui e oggi, decisamente quella francese. Ma le rivoluzioni, tutte, si scontrano col materiale statisticamente scadente a cui si applicano: gli esseri umani. Deferrari: Rivoluzione non violenta.
- Sogni o realtà? Nahum: Realtà modellata dai sogni. Deferrari: La realtà comprende i miei sogni.
- Aprile o novembre? Nahum: Aprile per la canzone di Max, novembre per la temperatura e la pioggia. Niente che vada da giugno a settembre, grazie, odio l'estate molto più di Bruno Martino. Deferrari: Questa domanda è su un piatto d'argento per Matteo. Io dico: tutto ciò che va da giugno a settembre, qualcuno deve pur lavorare quando Matteo va in letargo estivo!


Titolo: Nanaue
Artisti: Matteo Nahum e Emiliano Deferrari
Etichetta: Gutenberg Music/Primigenia Produzioni
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce

01. Intro
02. Charming gaze
03. Nanaue
04. Meet the Aeolist
05. Eternal lover
06. Perspectives
07. Sleepy drive
08. Nanaue (repirse)



lunedì 10 giugno 2013

Giacobs e "La rivoluzione della domenica"





La razza dei cantautori gode di ottima salute e Genova è terra feconda, in passato e nel presente. Tra le novità più interessanti dell'anno si segnala l'album d'esordio di Giacobs dal titolo "La rivoluzione della domenica". Non più giovanissimo, il trentenne genovese Federico Giacobbe ha trovato la sua strada dopo alcuni tentativi discografici andati a vuoto e diverse esperienze in ambito poetico. La scintilla è scoccata grazie all'incontro con il produttore Rossano Villa (ex Meganoidi) e il musicista Michele Savino che hanno creduto nel progetto e hanno trovato la giusta dimensione alle composizioni di Giacobs. Una produzione raffinata e ricca che sposa la voce calda di Giacobs e si discosta dallo stereotipo del cantautorato minimalista costruito su voce e chitarra.
Il disco è stato registrato da Rossano Villa all'Hilary Studio di Genova e arrangiato da Michele Savino che suona anche il pianoforte e le tastiere. Hanno partecipato anche Saverio Malaspina (batteria e percussioni), Dario La Forgia (basso), Laura Marsano (chitarre), Fabrizio Cosmi (chitarra elettrica) e lo stesso Rossano Villa ai fiati e alla fisarmonica. L'album è distribuito solo in formato digitale da Zimbalam e per chi scrive è un vero peccato.
Il disco ce lo presenta Giacobs in questa intervista.


Giacobs, con "La rivoluzione della domenica" fai il tuo esordio discografico. Perché lo hai fatto? 

«Perché sentivo l'esigenza di mettermi in gioco e di far sapere al mondo musicale della mia esistenza».

Come è nata l'idea di registrare questo disco? 

«È da quando avevo diciotto anni che scrivo canzoni e ora che ne ho trenta era l'ora di iniziare a farle ascoltare».

Il ringraziamento a Rossano Villa e Michele Savino è d'obbligo, e poi?

«È d'obbligo ma il mio grazie meno scontato va al Rossano e al Michele uomini e artisti in possesso di grande sensibilità che hanno capito il messaggio che volevo esprimere e non hanno tentato, nemmeno per un secondo, a cambiarmi ma piuttosto hanno cercato i modi migliori per valorizzarmi».

Se non fosse passato questo treno cosa sarebbe successo a Giacobs il musicista? 

«Diciamo che il treno l'ho fatto passare io perché nessuno mi ha mai regalato nulla, forse anche perché non ho mai voluto scendere a compromessi. Ho fatto il primo disco a trent'anni perché non ho mai cercato scorciatoie facili».

Come e quando ti sei avvicinato alla musica? 

«Intorno ai quindici anni, quando i miei amici ascoltavano le hit da discoteca io scoprivo De Andrè rimanendo estasiato nello scoprire come si potesse far arrivare messaggi pungenti come spade senza alzare la voce».

Oltre a De Andrè chi sono stati i tuoi "padri ispiratori"? 

«Ovviamente i grandi cantautori: Tenco, De Gregori, Battiato, Rino Gaetano ma sono stato sempre stimolato e incuriosito a scoprire anche altri mondi musicali molto distanti».

Prima di questo disco ti sei dedicato alla poesia evidenziando una innegabile urgenza espressiva. Qual è il tuo pensiero? 

«La poesia rispetto alla musica non ha nessun tipo d'obbligo stilistico o di forma quindi ti rende più libero e istintivo. Tuttavia senza la parte musicale mi sento incompleto».

Come vedi il mondo della musica di oggi? 

«Lo vedo specchio esatto della società che non ha né tempo né voglia di fermarsi a pensare e che si sente sicura nell'assecondare il piattume che dà certezza, proprio per questo esplorare territori non convenzionali mette paura».

Non pensi che il mercato sia saturo e che presentare un nuovo progetto sia molto rischioso? 

«Non è saturo, è saturissimo direi! Però sarebbe stato troppo comodo starsene a casa a giudicare gli altri senza mettersi in gioco».

Cosa ti aspetti dalla tua carriera di musicista? 

«In realtà non mi aspetto niente se non di sentirmi sempre libero e appagato con me stesso per quello che faccio».

Il disco è acquistabile sui migliori digital store ma uscirà anche in versione fisica? 

«No, è stata fatta questa scelta perché purtroppo i cd non si vendono più e poi comunque ritengo utile evolversi e in qualche modo venire incontro alle nuove esigenze, questo per tutelare sempre la cosa più importante che è il contenuto».

Nella vita, oltre al musicista, fai il conducente di autobus a Genova. Come hanno commentato i tuoi colleghi il tuo esordio discografico? 

«Con complimenti, critiche e indifferenza. Del resto nell'ambito del lavoro ci sono uomini e donne con età, gusti e culture diverse. Piuttosto, parlando del mio lavoro posso dire che è una fonte incredibile di ispirazione. Un autobus è un contenitore sociale incredibile».


Titolo: La rivoluzione della domenica
Artista: Giacobs
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2013



mercoledì 5 giugno 2013

"Timbrica", pt. 2: Danilo Raimondo





Ricercatore, artigiano, musicista e divulgatore. Danilo Raimondo è tutto questo. Nella sua casa di Castelbianco, in Liguria, Danilo costruisce e inventa una varietà incredibile di strumenti, utilizzando per lo più materiali che si trovano in natura: canne, zucche, legno, conchiglie, ossa. Tutto quello insomma in grado di generare un suono. Oltre a essere "artigiano del suono", l'artista, quarantaduenne nativo di Albenga, svolge anche una intensa attività didattica nelle scuole di mezza Italia. Le sue lezioni e soprattutto i laboratori, introducono i bambini nel mondo dei suoni e stimolano la loro fantasia e creatività. A Castelbianco è anche possibile visitare il "Museo vivo dell'oggetto e dello strumento musicale" curato da Danilo Raimondo e soggiornare al B&B Fuori di Zucca (http://www.artigianodelsuono.com).
Tra i tanti impegni dell'"artigiano del suono" c'è anche quello di musicista. Passione che lo ha portato a legare il suo nome a quello del percussionista Loris Lombardo. Dalla collaborazione tra i due artisti savonesi è nato l'album "Timbrica".
Con l'intervista a Danilo completiamo il viaggio alla scoperta della timbrica e dei suoni.



Danilo, in un certo senso sei stato tu a dare il via al progetto "Timbrica". Hai suggerito a Loris la partecipazione al "Percfest" e da lì è iniziata la vostra avventura…

"Sì, l'anno scorso a maggio Loris mi ha chiamato perché aveva appena comprato un hang e voleva provare a suonare un po' insieme, e quasi per scherzo gli ho detto che si poteva provare a partecipare al concorso del "Percfest". Il giorno dopo Loris era a casa mia e abbiamo iniziato a comporre il brano che poi ha vinto".

Naturale evoluzione è stato il disco "Timbrica". Quale è stato l'input che vi ha spinto a registrarlo?

"Lo spunto è stato dato dalla nostra voglia di provare a miscelare tutti questi suoni che potevamo creare e, contemporaneamente, soddisfare la curiosità di sapere cosa ne poteva venire fuori".

Il tuo soprannome "Artigiano del suono" la dice lunga sul tuo approccio verso musica. Perché questa scelta?

"Perché io non nasco come musicista ma ho iniziato con la costruzione di oggetti e strumenti musicali e siccome non faccio la liuteria classica ma lavoro principalmente zucche, canne di fiume, legno, ossa e qualunque materiale mi dia il suono che in quel momento sto cercando, il nome "artigiano del suono" mi pareva azzeccato".

Come nascono i tuoi strumenti?

"I miei strumenti nascono dalla riproduzione e modificazione di strumenti musicali di ogni parte del mondo. Partendo dalla preistoria fino ad oggi, uno dei giochi e delle attività umane più belle e praticate è la musica e io mi sento parte di questa grande specie musicale che è l'umanità e non riesco a fare a meno di provare a far suonare tutto ciò che incontro, ed essere, il più possibile, io stesso suono".

Nel disco compare per la prima volta anche lo zulivo. Ce ne parli?

"Lo zulivo è una sorta di berimbao a 4 corde con due zucche che hanno la funzione di risuonatori. Si può suonare con una pietra e una bacchetta (la stessa tecnica del berimbao), pizzicato o con l'archetto. Tempo fa dietro casa mia a Castelbianco è caduto un olivo e c'era un bel ramo dritto, l'ho preso e con quello ho realizzato il primo zulivo che si chiama così perché l'ho fatto lavorando questo ramo di ulivo e usando due zucche. Quindi zucche più ulivo uguale zulivo, diciamo che è una ricetta sonora".

"Timbrica" è un bel prodotto, gradevole, che non annoia ma quale evoluzione futura potrà avere?

"Lavorare con Loris e piuttosto semplice, fra di noi c'è un'ottima intesa musicale, specialmente in fase compositiva. Realizzare il disco è stato un lavoro molto impegnativo ma tutto sommato anche facile: è bastato lasciarsi andare, seguire la musica che è dentro di noi e in tutti gli oggetti e strumenti che abbiamo utilizzato. Il passo successivo sarà ricreare dal vivo queste sonorità, in un concerto dove utilizzeremo un grande set di strumenti musicali, diciamo inusuali. Penso inoltre che abbiamo ancora molto da dire, quindi seguiranno altri lavori che ci porteranno a scoprire nuovi suoni".

Per quale motivo avete preferito utilizzare strumenti così poco conosciuti?

"E' venuto naturale seguire il percorso che è alla base della nostra collaborazione. Il progetto si chiama "Timbrica" proprio perché quello che ci interessa è la ricerca di nuove sonorità, che arrivino dalla preistoria o dalla contemporaneità non importa. Quindi il suono di un sasso ci interessa come quello del vibrafono".

Avete dimostrato che si possono fare canzoni utilizzando i suoni della natura e strumenti che per certi versi richiamano quelli ancestrali ma nella musica moderna come si può inserire questo progetto?

"Non saprei, questo è un progetto che potrebbe rientrare nella world music, anche se secondo me la definizione del genere musicale potrebbe essere proprio timbrica, poiché non ci rifacciamo a nessuna tradizione ma anzi il tentativo è quello di usare i suoni senza cadere nella musica indiana o brasiliana o in qualunque altra tradizione. In fondo si potrebbe dire che siamo alla ricerca di un'identità sonora e culturale".

Cosa ti ha spinto a occuparti di musica e come è nata la tua passione di costruire strumenti?

"Tutto è cominciato nel 1998. Era un periodo in cui viaggiavo ed ero in India da quattro mesi, lì ho incontrato un canadese che viaggiava con una zanza, uno strumento di origine africana, ed è stato amore a prima vista, non per il canadese, ma per la zanza. Quando sono tornato in Italia, ho cercato lo strumento in vendita e non sono riuscito a trovarlo, quindi me ne sono costruito uno. Mi ricordo che per fare le lamelle avevo usato le mollette per capelli. Da quel giorno non mi sono più fermato e ho continuato a costruire strumenti senza darmi limiti, sperimentando dai fiati alle corde, riproducendo molti strumenti di tipo etnico e modificandoli".

Zucche, conchiglie, canne. Qual è il materiale che preferisci per esprimere la tua passione?

"Sicuramente la zucca, come diceva Frank Zappa "cucurbitacea sapiens"".

Loris ci ha parlato del suo sogno di creare un centro di specializzazione sulle percussioni a Savona. Sarebbe bello che tu insegnassi la tua arte ai giovani.

"Sono a conoscenza di questo suo ambizioso progetto, sarebbe molto bello se si riuscisse a realizzare un centro di studio avanzato delle percussioni, speriamo di incontrarci fra qualche anno per un'intervista sulla sua nascita".


Titolo: Timbrica
Artisti: Loris Lombardo & Danilo Raimondo
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(musiche di Danilo Raimondo eccetto dove diversamente indicato)


01. Timbrica  [Loris Lombardo e Danilo Raimondo]
02. Alinamsuq  [Loris Lombardo e Danilo Raimondo]
03. 福  [Loris Lombardo e Danilo Raimondo]
04. Junglejazz
05. Libido  [Loris Lombardo]
06. Eiwrbalat  [Loris Lombardo e Danilo Raimondo]
07. Kalimbalen
08. Handpan solo live  [Loris Lombardo]