lunedì 26 novembre 2012

Francesco Piu e la maschera blues "Ma-moo tones"







Arriva dalla Sardegna, e più precisamente da Sassari, uno dei bluesmen emergenti più apprezzati del panorama musicale italiano. Il suo nome è Francesco Piu ed è uno degli ospiti più attesi della settima edizione di "Su la Testa", rassegna musicale organizzata dall'associazione Zoo in programma al Teatro Ambra di Albenga dal 6 all'8 dicembre. Piu si esibirà l'ultima sera, sabato, e dividerà il palco con Dolcenera, Gnu Quartet e Federico Sirianni, e il vincitore del contest riservato a musicisti savonesi emergenti. Dopo due album di rodaggio, se così si può dire visto che "Live at Amigdala Theatre" (registrato nel maggio del 2010) ha collezionato ottime recensioni, il cantautore sassarese ha messo a segno il colpo decisivo con "Ma-moo tones". Un album blues moderno che esalta le caratteristiche e la maturità artistica raggiunta da Piu.
Passato, presente ma soprattutto futuro sono gli argomenti affrontati da Francesco in questa intervista in attesa dell'esibizione live di Albenga.


"Ma-moo tones" è il tuo terzo disco e arriva dopo il sorprendente "Live at Amigdala Theatre" e l'album d'esordio "Blues Journey" che sostanzialmente è un cd di cover. Il terzo capitolo della tua ricerca sul blues è entrato di diritto tra i migliori dischi dell'anno. Come è nato?


«Il disco è nato mettendo assieme diverse bozze composte da me negli ultimi due anni. Ogni tanto registravo qualcosa e mettevo da parte, poi a maggio dell'anno scorso ho selezionato le idee secondo me più riuscite ed ho iniziato a lavorarci più assiduamente».


Un importante contributo lo ha dato Daniele Tenca che ha scritto i testi di divese canzoni di "Ma-moo tones". Dove vi siete conosciuti e quale è stata la molla che vi ha fatto collaborare?


«Ci siamo conosciuti tramite il mio batterista Pablo Leoni che ha suonato anche nel suo disco. Mi è piaciuto il suo modo di scrivere e l'ho contattato chiedendogli di collaborare per la stesura di diversi testi dell'album».


Restituirai il favore a Daniele che in questo periodo sta lavorando al suo prossimo disco?


«Francamente non ne so niente, non ti saprei dire».


Per questo tuo terzo album hai potuto contare anche sulla prestigiosa collaborazione di Eric Bibb che ha curato la produzione. Come è nata la vostra collaborazione e quale è stato l'apporto di Bibb alle tue canzoni?

«La collaborazione con Bibb è figlia di due episodi fondamentali: nel 2010 ho avuto la fortuna di aprire un suo concerto e in quell'occasione ci siamo conosciuti di persona, mentre nel 2011 abbiamo addirittura suonato insieme grazie al mio amico Marco Cresci che ha organizzato il concerto. Poi ci siamo tenuti in contatto e grazie al grande lavoro del mio manager Gianni Ruggiero e dell'agente italiano di Bibb, Gigi Bresciani, siamo riusciti ad averlo in studio con noi ai primi di dicembre del 2011. Ha svolto un ottimo lavoro di produzione, soprattutto lasciando ai brani l'impronta di miscela che io avevo in mente, e lavorando sulla mia voce in maniera molto incisiva. Penso che abbia fatto uscire il meglio di me in questo lavoro».


Come si è svolto il lavoro in sala di registrazione?


«Tutte le tracce sono state suonate in diretta dal mio trio - Pablo Leoni alla batteria e percussioni e Davide Speranza all'armonica - sotto la supervisione di Eric. In un secondo momento ho cantato i brani con lui che, al mio fianco, mi indicava la corretta pronuncia e le diverse possibilità in cui potevo modulare la mia voce. A parte "Soul of a man" che è stata cantata e suonata tutta in presa diretta. È stata un'esperienza pazzesca, penso che mi abbia fatto crescere tanto sotto vari aspetti».


"Ma-moo tones" è un disco eterogeneo: undici brani blues che di volta in volta vanno a braccetto con soul, country, rock e funky. Hai un background molto ampio...

«Sì, il mio background parte dalla mia infanzia. Grazie a mio padre e a mio fratello, musicisti per hobby, scoprii il blues ed il rock degli anni '60/'70. Ho poi ascoltato tanti altri generi ed è cambiato anche ciò che mi piaceva suonare: il metal, l'hard rock, il progressive rock, il jazz, il rhythm and blues... Anche l'esperienza a fare piano bar con mio zio Lelle mi ha fatto apprezzare cantautori americani come James Taylor e Neil Young. A livello professionale poi sono maturato molto suonando in tour col cantautore Davide Van De Sfroos, col quale ho girato l'Italia in lungo e in largo per due anni e mezzo. Alla fine di questo percorso, in cui ho "assaggiato" vari stili musicali, mi son reso conto che quello che mi faceva stare bene e che sentivo appartenermi era il blues. Perciò la mia idea ora è quella di partire dal blues e contaminarlo con ciò che di buono mi hanno lasciato gli altri generi».


Nel disco rendi omaggio anche a un mostro sacro come Jimi Hendrix con la canzone "Third stone from the sun" e a Blind Willie Johnson con "Soul of a man". Perché questa scelta?

«Per quanto riguarda Hendrix, da chitarrista, mi piaceva omaggiarlo con una mia rilettura di un suo brano, dato che lo reputo il numero uno in assoluto. "Soul of a man" di Blind Willie Johnson per due motivi: per la profondità del brano e perché tempo fa avevo un duo delta blues col mio amico Samuele Marchisio che si chiamava come la canzone, perciò mi ero promesso prima o poi di inciderla
su un mio disco».


È curiosa la copertina del tuo ultimo disco, come anche il titolo. Cosa significano?


«Il titolo del disco è un gioco di parole che deriva dalla parola mamuthones, che è una maschera tipica della tradizione carnevalesca della mia isola, la Sardegna. Miscelando la cultura sarda con quella che suono, quella del Mississippi e comunque americana, ne è venuta fuori la parola Ma-moo Tones! Dopo aver spiegato questo concetto al mio grafico Antonello Sedda, lui ha voluto ulteriormente rimarcare la miscela ricoprendo una tipica maschera dei Mamuthones con un insieme di ritagli di giornali e riviste provenienti da oltreoceano».


Sei nato e cresciuto in Sardegna, non certo il posto ideale per venire a contatto con la musica internazionale, blues o rock che sia. Per assistere a un concerto bisogna viaggiare e per un giovane non sempre è possibile. Tu come ti sei avvicinato alla musica?


«Come dicevo precedentemente, nasco in una famiglia di musicisti: mio padre suonava il basso, mio fratello la chitarra e tra zii e cugini musicisti potrei fare una big band! Addirittura mio prozio suonava la batteria con Fred Buscaglione. In questo ambiente familiare, quando sei circondato da vinili, musicassette e qualche chitarra in salotto, se hai un minimo di curiosità per la musica il fatto di poter giocare a "strimpellare" aiuta. Sicuramente in Sardegna non transitano molti musicisti di caratura internazionale con frequenza come nella penisola, ma grazie al Narcao Blues Festival e a diversi jazz festival che ci sono sull'isola, anche se in un periodo limitato dell'anno, ho potuto vedere dal vivo diversi musicisti, americani e non, con la M maiuscola, che comunque stimolano e accrescono l'entusiasmo di chi si avvicina al mestiere di musicista».


Sono sempre più numerosi i musicisti italiani, tra i 30 e i 40 anni, che suonano blues. Molti dimostrano anche una notevole conoscenza del genere...


«Il blues è una musica semplice che punta dritta all'anima, magari in maniera più diretta rispetto ad altre, ma c'è anche da dire che alla fine è una cosa molto soggettiva, molte persone provano certe emozioni anche ascoltando altri generi».
 

Al giorno d'oggi si può vivere di musica e quali sono i maggiori problemi che i musicisti della tua generazione devono affrontare?


«Penso che si possa vivere di musica, io ci riesco ma devo dire che è sempre più difficile. La crisi non aiuta, i locali e gli organizzatori di festival fanno sempre più fatica e in Italia siamo molto indietro sia nell'essere riconosciuti come professionisti che nell'essere tutelati in ciò che facciamo. Senza andare troppo lontano, chi fa il musicista in Francia ha un aiuto economico notevole da parte dello Stato perché il musicista è considerato un artista, un patrimonio della cultura nazionale. Nella nostra penisola questa è fantascienza, dopotutto basta guardare la "cultura" che passa in tv e, soprattutto, basta vedere come vengono gestiti i soldi pubblici dai nostri politici per capire che siamo molto indietro, direi "Terzo Mondo"».
 

Quali sono i tuoi pregi e i tuoi difetti?

«Beh, non dovrei essere io a rivelarli. Comunque, dato che me lo chiedi, iniziamo con i pregi: sono un ottimista con molta determinazione. Per quanto riguarda i difetti direi che sono testardo e mi ostino ancora a fidarmi delle persone, ma pian piano mi sto disilludendo di quest'ultimo aspetto».
 

Il mondo musicale sarebbe più povero se...?


«Se non ci fosse il blues, naturalmente!».


Per finire ti sottopongo alle dieci domande secche che sono diventate un must di questo blog
- 
Assaggiare o gustare? Gustare, direi che è meglio soffermarsi sulle cose.

- Archeologia o fantascienza? Archeologia, prima di fare il musicista, da piccolo, sognavo di fare l'archeologo.

- Chitarra elettrica o acustica? Beh, dipende dai periodi. Oggi direi acustica.

- Lana o cotone? Cotone. Sia come tessuto, sia perché è legato alle radici del blues.

- Arancione o azzurro? Azzurro, come il cielo di Sardegna.

- Stevie Ray Vaughan o Eric Clapton? Questa è difficile perché sono due miei maestri ma scelgo Clapton perché mi ha influenzato maggiormente.

- Anguria o melone? Anguria perché mi rinfresca di più quando c'è caldo.

- Pastore tedesco o bulldog inglese? Pastore tedesco perché ne ho avuto uno quando ero piccolo. Ero molto affezionato a Kim.

- Borsalino o coppola? Mi piacciono entrambi ma scelgo Borsalino, forse è più blues.

- Acqua frizzante o liscia? Frizzante perché mi piacciono le bollicine.



Titolo: Ma-moo tones 
Artista: Francesco Piu 
Etichetta: Groove Company 
Anno di pubblicazione: 2012


Tracce
(testi e musiche di Francesco Piu, eccetto dove diversamente indicato)


01. The end of your spell
02. Over you
03. Trouble so hard
04. Hooks in my skin
05. Blind track
06. Colors
07. Stand-by button
08. Overdose of sorrow
09. Down on my knees
10. Soul of a man  [Blind Willie Johnson]
11. Third stone from the sun  [Jimi Hendrix]





martedì 20 novembre 2012

I colori di Giua e Armando Corsi illuminano "Tre"






Maria Pierantoni Giua, in arte semplicemente Giua, è una delle più promettenti cantautrici degli "anni Zero". La trentenne musicista originaria di Rapallo, già salita alla ribalta per la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2008 e apprezzata pittrice, sarà protagonista, insieme ad Armando Corsi, del festival musicale "Su la Testa", rassegna che andrà in scena al teatro Ambra ad Albenga dal 6 all'8 dicembre. Nel corso della prima serata della manifestazione organizzata dall'associazione Zoo, Giua presenterà alcuni brani tratti "TrE", album pubblicato a gennaio di quest'anno e che ha visto la collaborazione di Mario Arcari, Fausto Mesolella, Riccardo Tesi, Marco Fadda, Claudio Taddei e Jaques Morelenbaum. Un disco che è anche un incontro in musica tra due generazioni: quella di Giua e quella di Corsi, applaudito già a fianco di Ivano Fossati, Paco De Lucia, Eric Marienthal e tanti altri. Un incontro tra l'allieva e il maestro che si scalda con i colori della cultura mediterranea, le sonorità sud americane e le tinte forti del continente africano.
Abbiamo voluto presentare l'evento ingauno parlando direttamente con Giua che, con grande cortesia, ha risposto alle domande di questa intervista.



Insieme ad Armando Corsi stai girando l'Italia per promuovere l'album "TrE". Come sta andando?

«Sta andando bene, fare questo disco e proporlo in concerto ci sta dando grande soddisfazione. Ogni volta succede qualcosa di nuovo e col pubblico si instaura un rapporto forte, emozionante». 

Con Corsi hai instaurato un rapporto molto stretto di collaborazione artistica, fin da quando era il tuo maestro di chitarra…

«Quello con Armando è stato un incontro importantissimo per me, dal punto di vista umano e artistico. È nata una profonda amicizia che ha fatto sì che ancora oggi, oltre al piacere di suonare insieme, ci sia la voglia di confrontarsi e continuare a fare progetti insieme». 

Raccontaci un aneddoto di questo tour?

«Quest'estate c'è venuta un'idea stravagante: abbiamo deciso di suonare nei mercati di frutta e verdura trasformando "TrE" in un'esperienza diversa, di incontro e provocazione col progetto "L'arte (h)a peso, per ridare peso all'arte" insieme al poeta e musicista Pier Mario Giovannone. Ogni concerto si è trasformato lasciando ancora più spazio all'improvvisazione e alle persone che ci ascoltavano, il tutto in un posto vivo, brulicante e caotico come può essere un mercato! È stata una esperienza bellissima e divertente». 

Nelle tue canzoni c'è molta ironia, da dove viene?

«Non so bene da dove venga; forse è un modo di pensare, di interpretare, di prendere e trasformare le cose che succedono, anche quelle più difficili, trovando una chiave, un passaggio per capire e andare oltre». 

Nei tuoi lavori non mancano le suggestioni latine, gli echi brasiliane e a tratti anche sonorità africane. Quanto ha inciso su tutto ciò la vicinanza con Corsi, da sempre grande interprete di questi generi?

«La presenza di Armando ha sicuramente ha inciso molto nella scelta delle sonorità che sono entrate nel disco. In realtà io e Armando siamo entrambi, per ragioni diverse, immersi in questi mondi musicali che danno voce a un nostro linguaggio comune». 

Beppe Quirici, Oscar Prudente, Gianluca Martinelli, Riccardo Tesi, Fausto Mesolella, Marco Fadda, Jaques Morelenbaum, sono solo alcuni dei grandi professionisti che hanno creduto in te. Hai una bella responsabilità, non credi?

«Più che di responsabilità mi piace parlare di privilegio: spero di saper cogliere e fare sempre tesoro di questi incontri». 

Quali sono i tuoi prossimi progetti artistici?

«Ho diversi progetti in cantiere. Sto scrivendo canzoni nuove, sto collaborando col poeta Pier Mario Giovannone a un porgetto di filastrocche musicate per i bambini, sto pensando a un disco come interprete, e ho in mente un'avventura che spero mi porti dall'altra parte dell'Oceano...». 

Sei anche una raffinata interprete del repertorio di De André. Quanto di Faber è nel tuo sentire e nel modo di fare musica?

«Ascolto Faber da quando sono bambina. "La guerra di Piero" è una delle prime canzoni che mi cantava mio padre facendomi piangere tantissimo! Credo sia stato uno degli ascolti più importanti e suggestivi per me». 

Vedendoti in scena dai l'impressione di essere una donna molto determinata e che sa quello che vuole. Ma chi è Giua una volta scesa dal palco?

«Non credo di essere tanto diversa una volta scesa dal palco. Per me fare un concerto non è realizzare qualcosa che altrimenti non sarei, ma è dar voce a qualcosa che sono. La mia determinazione sta in questo, nel perseguire un desiderio. Questo non vuol dire essere forti, sempre sicuri di sé e avere la risposta pronto per tutto. Sono una persona complessa, con difetti e debolezze, pregi e possibilità: cerco di non sedermi o nascondermi, ma di lavorare a quello che sono». 

Cosa ti fa più paura come donna e come artista?

«Mi fa paura la semplificazione, mi fa paura la possibilità di perdere le persone che amo e l'idea di non riuscire a seguire le mie passioni. Il successo più grande per me come donna e come artista è poter fare quello che mi piace con le persone che amo».

Cosa ti ha lasciato a livello professionale ed emotivo la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2008?

«L'esperienza del Festival mi ha fatto capire tante cose e mi ha messa di fronte a domande e possibilità rispetto alle quali ancora mi interrego. Ad oggi mi è più chiaro quello che non mi piace e la differenza tra vocazione e successo».

In un mercato sempre meno interessato all'oggetto fisico, parlo di cd o vinile, cosa rimane oggi del lavoro del musicista?

«È una buona domanda. Io amo ancora sedermi ad ascoltare un cd, magari sfogliando il libretto, e non credo di essere l'unica a farlo: chi vorrà continuerà a trovare il modo per ascoltare musica nonostante i cambiamenti e il mercato. Quello che credo non possa esser fatto fuori è il live, l'esibizione dal vivo che è la vera occasione per musicisti e pubblico». 

Che musica ascolti in questo periodo?

«Sto ascoltando di tutto, dalle nuove proposte, per capire quali sono le idee che girano in Italia e fuori, ad Atahualpa Yupanqui, passando per il mio amato Caetano Veloso e arrivando a Paolo Conte».

Faccio anche con te il gioco delle dieci domande secche...

- Aglio o cipolla? Cipolla, sono allergica all'aglio!
- Gustav Klimt o Edward Hopper? La luce di Edward Hopper.
- Arancia o banana? L'arancio dell'arancia.
- Treno Intercity o regionale? Se ho tempo il regionale e un buon libro.
- Coniglio o riccio? Riccio, di mare.
- Termosifone o stufa a legna? Stufa a legna e una tazza di tè!
- Sgabello o poltrona? Poltrona, comodissima!
- "Cime tempestose" di Emily Bronte o "Le affinità elettive" di Goethe? "Delitto e castigo" di Dostoevskij?
- Spatola o pennello? Adoro le spatole.
- Giallo o rosso? Rosso.


Titolo: TrE
Artisti: Giua e Armando Corsi
Etichetta: Egea
Anno di pubblicazione: 2012

Tracce

CD 1
01. Scatole cinesi
02. Gru di palude
03. Belem
04. Pop corn
05. Forse non è amore
06. La culla di giunco
07. Totem e tabù
08. Alberi (feat. Riccardo Tesi)
09. Beleza
10. Penelope (feat. Jaques Morelenbaum)
11. La via dell'amore (feat. Jaques Morelenbaum)
12. Qui sul collo e sull'orecchio (feat. Noezhan)
13. Agave
14. Wonderwoman
15. Come fa una mela

CD 2
01. Volver
02. La casa nel parco
03. Cantarito de Greda (feat. Marco Fadda)
04. I' te vurria vasà (feat. Fausto Mesolella)
05. Veinte años (feat. Mario Arcari)
06. Beuga bugagna (feat. Anita Macchiavello)
07. Bonus track: Volver (feat. Claudio Taddei)


lunedì 12 novembre 2012

Fabio Biale e "La sostenibile essenza della leggera"






"La sostenibile essenza della leggera" è il titolo del primo disco di Fabio Biale. Dopo una intensa attività negli Almalibre, gruppo che accompagna il cantautore varazzino Zibba (vincitore del Premio Tenco 2012), nei Liguriani, negli Amici di Django, nei Luf e nei Birkin Tree, il violinista savonese ha pubblicato in questi giorni il suo cd d'esordio. Dieci brani, più una simpatica ghost track, che sono una sorta di bilancio della sua carriera. Canzoni scritte molti anni addietro e rimaste nel cassetto e composizioni recenti hanno trovato finalmente la luce in questo disco registrato al Prestige Recording Studio di Uscio, nell'entroterra di Genova. Biale si è avvalso della collaborazione di alcuni compagni di viaggio degli Almalibre come Stefano Ronchi, Stefano Cecchi e Stefano Riggi, del batterista Marco Fuliano, del bassista Davide Medicina, dei chitarristi Daniele Franchi e Alessio Caorsi, di Max Vigilante impegnato alla tromba e all'honky tonk piano.
In questa intervista Biale ci racconta la nascita di questo interessante prodotto discografico "nostrano".



Cosa ti ha spinto a impegnarti in questo progetto?

«Ho in mente un progetto solista da almeno dieci anni. Ne ho parlato con tutti, almeno una volta l'anno, e più o meno tutti, almeno una volta l'anno, mi domandano: "Ma il tuo disco?". Il problema non era scrivere le canzoni, la musica o quant'altro. Il problema era: cosa mi aspetto da me come solista? Cosa, o meglio, come voglio che suoni la mia musica. Finalmente quest'anno ho trovato le persone giuste con cui lavorare e mi sono dato la risposta; questo disco deve suonare come un sunto dei dieci anni musicali passati: folk, swing manouche, rock, combat folk. Un disco variegato che trovi nel sound la sua unità».

Nella prima pagina del booklet spieghi cosa significa il termine "leggèra" riportando la definizione che ne dà il vocabolario Treccani. Per te però che significato ha il titolo "La sostenibile essenza della leggera"?

«Sono un fanatico dei giochi di parole. Il titolo nasce, chiaramente, dal rovesciamento de "L'insostenibile leggerezza dell'essere" di Kundera. Un rovesciamento creato per gioco, senza nessun secondo fine, parecchio tempo fa. Non è stato il primo titolo che mi è saltato in mente. Prima ho pensato a "Plaid: canzoni per andare in camporella", poi "Troppi venerdì di Passione, poche domeniche di Resurrezione", e altri mille. Un giorno poi la mia fidanzata mi ha ricordato questa frase e ho capito subito che era il titolo giusto, logico. Tra i personaggi delle canzoni ci sono delle leggere ma lo sono con lievità. L'essenza del nostro essere poco di buono è sostenibile, vale essere raccontato. Poi mi piaceva pensare che potesse intendersi anche come la sostenibile essenza del pop, della musica leggera. E il gioco è fatto. A proposito di giochi di parole. Sono appassionato di anagrammi onomantici, anagrammi di nome e cognome. Da Martin Cervelli ho trovato un bellissimo "Vercelli in tram" (una gita da mettere in conto, dunque), "Trivelli Carmen" (se conosci delle Carmen, memento!). Poi c'è "Il Clan Tre Vermi": se avessi il tuo nome sarebbe sicuramente il titolo del mio primo disco!».

Gli Almalibre, band di cui sei membro insostituibile, sono una fucina di musicisti solisti. Solo poche settimane fa abbiamo assistito all'esordio discografico di Stefano Ronchi, adesso è il tuo turno. Far parte di un gruppo è per voi riduttivo o avete tutti un messaggio da trasmettere?

«Almalibre è una famiglia bellissima. Mille input e mille energie creative gettate dentro di essa. Ho sempre suonato in band ed è per me la dimensione perfetta. Prima con gli Irishields, i Luf, Amici di Django, tuttora con i Liguriani e i Birkin Tree. Per me, un disco solista è una prova, più che di maturità artistica, di maturità organizzativa. Era il momento di prendere un'idea e gestirla in piena autonomia. Vedere dove sarei stato capace di arrivare. Un bellissimo gioco».

Per chi non ti conosce ci spieghi chi è Fabio Biale?

«Chi è Fabio Biale? Parafrasando Cyrano: filosofo, naturalista, maestro d'arme e rime, musicista, viaggiatore 'ascensionista', istrione ma non ebbe claque, amante anche senza conquista. Poi aggiungo, bottegaio che in bottega crea, e musicista che in tournée dorme ovunque. Non cantautore ma cantastorie. Logorroico con timidezza. Malato di musica. Sicuramente calvo».

Quando sono nate le canzoni del disco?

«Le canzoni sono nate in un lasso di tempo amplissimo. "Ema" è sorta in un'ora di filosofia, in terza liceo, più di sedici anni fa. "Il fiore non colto" racconta una storia avvenuta nella seconda metà del 2011. C'è tutta l'adolescenza e la prima età matura. Hanno tutte concepimenti molto diversi, ma tutte nascono da un "amplesso", un episodio reale ben preciso. C'è pochissima finzione. I personaggi sono tutti veri, le fasi creative delle canzoni ben agganciate all'episodio. Una per tutte: "Al mio funerale". Nel febbraio 2005 andai tre giorni ad Istanbul con Zibba. Il giorno prima mandai una e-mail ad un'amica che si chiudeva con uno scaramantico testamento in versi. Casomai l'aereo fosse caduto. Quel testamento è diventato, pari pari, il testo della canzone».

Nel disco proponi anche una interessante rilettura di "Psycho killer" dei Talking Heads. Perché questa scelta?

«Sono stato al cinema a vedere il film "It must be the place" di Paolo Sorrentino. Mi ha fatto letteralmente cagare. Però David Byrne mi ha folgorato. Eravamo in pieno fervore 'registratorio'. Così ho cercato di scrivere una traduzione che suonasse bene, con la stessa musicalità della versione originale. Ho pensato un riff che fosse il più AC/DC possibile, ho pompato i violini e via. Una cover serve a ricordarmi che c'è tantissima bella musica in giro e che la mia musica non deve avere la superbia di sentirsi indispensabile. Dovrebbe ricordarlo ogni artista. C'è un pantheon di musica meravigliosa già scritta: provare ad entrarci ma con rispetto, grazie».

"Emily" è invece un estratto di una poesia di Emily Brontë…

«"Emily" ha una bella storia. Aspettavo il tecnico Fastweb per montare il modem. Mi chiamano e mi dicono: ‹stasera c'è la festa della Miky, vieni!›. La Miky un regalo se lo merita sempre ma non potevo proprio uscire a comprarglielo. Così ho scritto una musica al volo, essenziale, un 'rocketto' da automobile. Non avevo il tempo di scrivere un testo, così ho pescato fra i versi di Emily Brontë. Possono toccare la sensibilità della Miky, ho pensato. Poi, in inglese, è più facile farle entrare nella musica. In due ore e mezza ho preparato tutto e registrato alla bell'e meglio. Un anno dopo riascolto tutte le cianfrusaglie che possono servire per il disco e ritrovo "Emily" e mi sembra che funzioni e, non l'avrei mai detto, la scelgo per il disco. È il primo pezzo che abbiamo registrato».

"A Zonzo", ultima canzone del disco, inizia con una divertente citazione di "Azzurro" di Adriano Celentano della durata di una ventina di secondi. Dopo un minuto e quaranta secondi di silenzio inizia una canzone che sembra non far parte del disco e soprattutto non mi pare sia cantata da te. Di cosa si tratta?

«"Tutti in gita" è un pezzo che ho scritto e registrato nel 1992 insieme al mio compagno di classe Floriano Ferro. 24 anni in due. Lui con una tastiera Casio da 50 mila lire e io con la voce bianca. Un pezzo di storia».

Hai registrato il disco a Uscio nello studio di un altro Almalibre, Stefano Cecchi che ha curato anche la produzione artistica. Senza dimenticare l'apporto del sassofonista Stefano Riggi, anche lui colonna degli Almalibre. Siete una grande famiglia…

«Una grande famiglia, senza dubbio. L'apporto di ogni elemento è stato fondamentale. Grandi professionisti e grandi amici. Una parola in più va spesa per Stefano Cecchi che mi ha dato la spinta per andare avanti, che ha creduto in questo progetto e che col suo talento di fonico e produttore artistico ha dato tantissimo perché tutto suonasse così appropriato. Abbiamo curato la produzione in ogni dettaglio, ogni suono: Stefano è stato sempre perfetto. Grande sintonia e grande fiducia reciproca hanno fatto il resto».

La grafica del disco è curata dal savonese Alex Raso. Toglimi però un curiosità, dove l'hai scattata la foto di copertina?

«La foto in copertina me la sono 'autoscattata' nel mio negozio a Stella San Martino. Possiedo un minimarket di paese, che gestisco con mia sorella. Ogni tanto ho i miei momenti di delirio: ho ritagliato un paio di finti occhiali e ho fotografato mezzo paese con questi indosso. Riguardando la foto c'era tutta la sostenibile essenza della leggera che sono. Indubbiamente».

Quali sono i tuoi progetti futuri e hai in mente di promuovere il cd con un tour?

«Progetti: suonare. Sempre. Comunque. Con Zibba, portando in giro il nuovo album, coi Liguriani coi quali stiamo lavorando ad un nuovo disco che uscirà in primavera, coi Luf con i quali collaborerò al nuovo disco anch'esso di prossima uscita. Poi un bellissimo duo con Stefano Ronchi: blues, ragtime... Stefano è un chitarrista che ti fa godere le orecchie. Il progetto solista avrà il suo spazio ma è molto presto per dirlo. Intanto presenterò il disco giovedì 6 dicembre, nel pomeriggio, a "Su la Testa" ad Albenga, poi il 12 dicembre sarò a Piozzo a Le Baladin».

Infine le dieci domande secche…

- Mora o lampone? Mora e in special modo di gelso. Il frutto che da bambini mangiavo quando giocavo nei boschi.
- Lampadario o abat-jour? Abat-jour: luce più soffusa, più atmosfera.
- Balena o sardina? Balena. Mi ricorda la storia di Moby Dick, l'avventura, il mare impetuoso ma anche Pinocchio.
- Astronauta o minatore? Nel 1989 avevo 9 anni e si festeggiava il ventennale dello sbarco sulla luna. Al museo di storia naturale di Genova ho visto la mostra dedicata all'allunaggio e ho capito che da grande avrei voluto fare l'astronauta.
- East coast o west coast? West coast, California. Alle spalle il deserto. C'è altro da aggiungere?
- Tappezzeria o colore? Colore. La tappezzeria fa casa dei nonni.
- Radio o televisione? Radio. Odio la tv, non la possiedo da sei anni.
- Bosco o spiaggia? Bosco. L'astronauta che mangiava le more viveva lì.
- Aereo o treno? Treno. Il treno viaggia, l'aereo sposta. È il viaggio che conta, non la traslazione.
- Birra rossa o bionda? Bianca!!! Weissbier tutta la vita!


Titolo: La sostenibile essenza della leggera
Artista: Fabio Biale
Etichetta: Prestige
Anno di pubblicazione: 2012

Tracce
(testi e musiche di Fabio Biale, eccetto dove diversamente indicato)

01. Al mio funerale
02. Gesti
03. Il fiore non colto
04. Canzone d'amore per un nonno addormentato
05. Emily  [Emily Brontë; Fabio Biale]
06. Ema
07. Psycho killer  [David Byrne, Chris Frantz, Tina Weymouth]
08. Il mio amico matto
09. D.C.
10. A zonzo