Una chitarra acustica, microfoni sapientemente posizionati all'interno di un oratorio e canzoni che scavano nella memoria, nelle proprie paure e nelle proprie fobie. Sono questi gli elementi che caratterizzano "Scansadiavoli", il terzo disco del cantautore e chitarrista parmigiano Rocco Rosignoli. Un progetto pregevole, intimista e molto coraggioso ai tempi d'oggi in cui non sembrano esserci né voglia né tempo per approfondire e capire la poetica di certe creazioni. Ed è un peccato perché "Scansadiavoli" è un bell'album, coerente e senza cadute di stile, in cui Rosignoli, con una sapiente e matura capacità di unire musica e parole, trova il coraggio di rivelare i suoi "diavoli" e la lotta che quotidianamente, questa volta tutti, siamo obbligati a fare per esorcizzarli o meglio per scansarli. Dieci capitoli in cui l'autore indaga le proprie paure, le illumina, le rende riconoscibili, le svela e le condivide con l'ascoltare rendendole meno terribili e più facili da affrontare. Temi che non avrebbero potuto essere espressi con produzioni complesse e articolate e Rosignoli, con l'aiuto del fido Ribamar Poletti, ha scelto l'unica via praticabile per mettere in primo piano le parole e i testi delle canzoni e per non perdere il centro di gravità. Lo ha fatto grazie ad una produzione minimalista, ridotta all'osso, in cui sono protagoniste voce e chitarra acustica. L'unica concessione, anche in questo caso però non prodotta artificialmente in studio, è stata la scelta di creare un suono molto "aperto", catturato con il sapiente lavoro di posizionamento dei microfoni in un ambiente caratteristico come un oratorio, in questo caso quello dell'Assunta di Sala Baganza. Il risultato è molto gradevole e per il musicista parmigiano è un nuovo punto di partenza.
Nell'intervista che segue Rosignoli ci parla della genesi del suo nuovo disco e degli avvenimenti che lo hanno ispirato.
"Scansadiavoli" è il tuo terzo progetto discografico in studio. Quali sono le esperienze o gli avvenimenti della tua vita che hanno ispirato questo disco?
«Le prime canzoni di questo disco le ho scritte poco dopo la pubblicazione di "Testuggini". Uscivo da un periodo un po' duro, e pur tra tante difficoltà, e in una situazione piuttosto precaria, sentivo molto chiaramente di rinascere. Ho lasciato la città di Milano, ho preso casa nella mia Parma, e ho potuto ricominciare a frequentare spesso il mio Appennino. Mi sono come ricollegato a me stesso, ho riscoperto le mie priorità, e per quanto possibile ho "scansato" i miei diavoli».
Da dove hai preso il titolo dell'album?
«L'ho trovato in autostrada, tipo un cagnolino. "Scansadiavoli" è il nome di un rio che passa sotto la A15 Parma-La Spezia, che a volte percorro per raggiungere la mia casa di montagna, anche se di solito faccio la statale, è molto più bella. Ho sempre trovato il nome di quel rio molto evocativo, e richiamava la genesi del mio album. Le foto di copertina e del libretto sono state scattate proprio su quel rio, dalla bravissima Martina Aki, la mia fotografa "ufficiale", che a questo giro ha anche curato ottimamente la grafica del prodotto. Nel disco c'è anche un brano che porta il titolo "Scansadiavoli": è tra gli ultimi nati, e l'ho composto a titolo già deciso. Non è il pezzo che dà il titolo al disco, bensì viceversa».
Quali sono i diavoli che hai voluto esorcizzare con questo nuovo lavoro?
«Sono tanti. Sono quelli che impediscono di vivere la vita nella sua pienezza. È quel pensiero improvviso che spezza un sorriso sul nascere, quell'ansia che dal nulla ci coglie e ci impedisce di star bene con noi, con gli altri. Sono diavoli che si annidano nelle nostre case, nelle nostre vite, e a cui non possiamo propriamente sfuggire: scansarli, forse, ci è concesso».
È l'amore l'ingrediente segreto per battere i diavoli?
«Non credo ci siano ingredienti segreti. L'amore ci può aiutare, ma può anche alimentarli. L'amore è vissuto dalle persone, e ogni persona ha i suoi diavoli. Può anche accadere che due persone che si amano tantissimo abbiano dei diavoli che si aizzano a vicenda. L'amore non è una cura universale, è qualcosa che si vive, qualcosa di provvisorio e fragile, che va tenuto insieme con grande sforzo e dedizione».
Musicalmente hai cambiato direzione. Dopo due dischi caratterizzati da ricchi arrangiamenti hai voluto ridurre tutto all'essenziale. Una scelta fatta per quale motivo?
«Da diversi anni sono tantissime le situazioni in cui mi esibisco voce e chitarra. Cerco di non limitarmi a strappare qualche accordo, ma così come mi impegno a inventare armonie e melodie che non siano scontate, cerco di lavorare sulla chitarra classica sfruttandone al massimo le sfumature, naturalmente entro i miei limiti di strumentista. Limiti che ogni giorno mi sforzo di valicare. Ho qualche dote, ma non sono uno di quelli a cui vien tutto naturale, le mie giornate sono fatte di molto studio ed esercizio. Le canzoni più recenti sono state pensate e proposte dal vivo nella mia veste di chitarrista-cantante. La canzone in sé è tanto più riuscita quanto più è efficace la fusione tra testo e musica, e in questo caso la fusione tra componente musicale e letteraria si è verificata, ripetuta, limata, adagiata sulle mie dita e sulle mie labbra. La comunione delle due componenti si è incarnata in questo mio atto molto fisico, molto terreno. In fase di pre-produzione, ho provato ad arrangiare le canzoni aggiungendo altri strumenti, ma ogni idea mi sembrava impoverire un'identità che le canzoni già possedevano. A quel punto l'idea dell'album voce e chitarra è sorta da sé».
Penso che sia una scelta che possa facilitare anche l'esperienza live, non credi?
«Sicuramente. Per chi, come me, cerca di fare della musica l'attività principale, è oggi una scelta obbligata ridurre all'osso la formazione. Oggi locali, associazioni, comuni, hanno disponibilità economiche sempre più esigue, e per suonare in giro senza rimetterci è necessario adattarsi. Il gioco è vincente se riesci a farlo senza impoverire il risultato, elevando quello che chiamano "valore aggiunto" alla sua massima potenza. Un traguardo a cui è obbligatorio puntare, ma che non è scontato raggiungere».
In questo caso il "togliere" ha dato maggiore profondità al lavoro e ha messo in primo piano i testi. Come ti è venuta l'idea?
«Non è stata un'idea solo mia. L'ho maturata confrontandomi con Alice, la mia compagna, e con Ribamar Poletti (www.uditofino.it), co-produttore di questo disco, ma mio alleato da sempre. Proprio sua è stata l'idea di scegliere un ambiente dal suono caratteristico e ben definito, che oltre a dare rilievo ai testi enfatizza sia la voce che la chitarra».
Curiosa la scelta di registrare il disco in presa diretta all'interno dell'Oratorio dell'Assunta di Sala Baganza. Per cacciare i diavoli bisogna cospargersi con l'acqua santa?
«Io sono un ateo molto convinto. Ti dirò che credevo che quell'oratorio fosse sconsacrato. Solo durante le riprese mi hanno detto che, anche se appartiene al Comune, è un edificio ancora sacro. Per me è stato molto emozionante incidere lì, perché è dove nell'ormai lontano 2007 ho per la prima volta lavorato come musicista professionista, per un progetto non mio. La prima volta che percepivo un compenso per fare musica! Devo ringraziare per questo Cristina Merusi, il sindaco di Sala Baganza, sempre disponibile e premurosa nei miei confronti, e Nicola Maestri, amico scrittore, che è stato un tramite prezioso».
Ambientazione che ha permesso di ricreare un suono molto particolare, aperto, e trovo che il riverbero naturale che si ascolta durante l'esecuzione regali atmosfere molto belle…
«Sì, Ribamar ha usato sei microfoni, piazzati sapientemente. Nessun trucco, quello che si sente nel disco è esattamente quello che è stato suonato, così come è stato suonato».
‹…i miei diavoli vengono in pace ogni giorno per stringere mani e caffè›. Trovo che sia un spaccato forte della società attuale…
«Mi fai un grande complimento, grazie. La frase in realtà nasce in maniera molto intima, in mattine oscure in cui non sai spiegarti quello che senti, non sai metterlo a fuoco. E a volte, dove non arriva la ragione, il pensiero ci arriva appoggiandosi al linguaggio e alle immagini. Queste immagini si costruiscono con gli elementi dell'esperienza, che è un patrimonio individuale che si intreccia con uno comune, di esperienze di tutti. Ho dato un volto al mio malessere. È molto bello quando un sentimento misteriosamente profondo arriva a essere avvertito come collettivo».
La pioggia, la neve, il gelo fanno capolino in quasi tutte le canzoni del tuo disco. È un disco "crepuscolare" che trova la sua luce calda nell'ultima strofa della canzone che dà il titolo al disco:‹Forse domani, scansati tutti i diavoli, saremo soli lungo il rio che scende, io, te e la gatta, lei che ci difende, e tu, che l'accarezzi sotto il tavolo›...
«Parte del disco nasce durante il 2014, anno molto piovoso, molto umido, che ho passato in gran parte in montagna, con un'estate senza sole, e in una Parma surreale, sconvolta da un'alluvione drammatica, che da più di un secolo non la colpiva. È tutto entrato nelle canzoni così, di prepotenza e quasi senza che me ne accorgessi. Ti confesso poi che quella del "crepuscolo" è una mia ossessione antica. Il crepuscolo è quel momento di luce incerta, in cui il sole non è in cielo ma lo illumina di là dall'orizzonte. E può preludere all'alba o seguire il tramonto. E davvero, oggi non so se la notte stia finendo o debba ancora iniziare. Magari la gatta potrebbe dirmelo, i felini la san lunga. Peccato non possano parlare».
"Il corpo di Pamela" è la canzone più irriverente del disco che riporta alla tua giovinezza. Da dove l'hai ripescata?
«L'amico Alessio Lega ha scritto una canzone molto bella, intitolata "Risaie", che a un certo punto parla del corpo di Silvana Mangano. Mi ha emozionato la capacità evocativa di questa icona di bellezza, la forza poetica del suo nome cantato, il suo essere il riferimento erotico di un'intera generazione. Ho pensato all'immaginario erotico della mia generazioni, e il corpo che lo incarna con prepotenza sfacciata è per tanti quello di Pamela Anderson. Questa canzone parla di lei, di me che ragazzetto la guardavo lubrico, della voglia d'amore che abbiamo tutti, della paura di non trovarlo mai e di invecchiare aspettandolo nonostante i trucchi per non darla vinta al tempo che la bella Pamela ha tentato di sfruttare ben più di me».
Faccio un passo indietro. Prima di questo disco hai pubblicato "La bella che guarda il mare", un live per la sezione di Sala Baganza dell'ANPI. Ce ne parli?
«Nell'agosto del 2013 ho avuto la possibilità di fare un mio concerto nella cornice della festa ANPI di Sala Baganza. Ho voluto portare un programma dedicato all'occasione, inserendo canti di resistenza, ma anche canzoni che parlassero del periodo, oltre ad alcuni brani del mio disco "Testuggini", allora in promozione. La sezione ANPI diede a me l'incarico di trovare un service per la serata, e io naturalmente chiamai Ribamar. Oltre a gestire il banco suoni, lui decise di registrare la serata, e in seguito la mixò, ne distillò le parti migliori e me ne fece dono. Siccome era un dono, decisi di donarla a mia volta: quel live è in free download sul mio sito, www.roccorosignoli.com. È anche il mattoncino che umilmente metto per tenere viva la memoria, che proprio per il suo valore inestimabile non può avere un prezzo».
In queste settimane si è parlato tanto del processo allo scrittore Erri De Luca, colpevole, secondo l'accusa, di istigazione al sabotaggio della linea ferroviaria TAV in Val di Susa. De Luca è stato assolto ma cosa ne pensi del fatto che in Italia si rischia il processo se si esprimono le proprie idee?
«Il 18 ottobre, ho preso parte attiva in un reading a sostegno di De Luca. Mi sento dalla sua parte. Credo che il TAV sia un'opera che fa gli interessi di pochi ai danni di molti, giustificata tramite una fede neoliberista che dà per certo un riverbero positivo della crescita delle attività commerciali sul benessere delle popolazioni. Un pensiero che si è ripetutamente dimostrato falso, e che ciononostante è tornato prepotentemente in auge negli ultimi anni, anche se i danni che ha prodotto sono sotto gli occhi di tutti. Io mi rifiuto di ragionare in questo modo, per pura razionalità prima che per fede politica. Buona parte dei media sembra dipingere un quadro in cui un paese è fermato nella sua necessaria corsa verso il progresso da duecento paesani che lo tengono in ostaggio; ma io rifiuto l'idea stessa di progresso, che è ottocentesca, teleologica. E, cosa ancor più importante, la vita del paese non dipende dal TAV; la vita di chi vive in Val di Susa forse sì, se è vero come pare che i lavori di escavazione porterebbero alla luce materiali gravemente tossici. A me De Luca come scrittore nemmeno piace, ma in questo caso ha prestato la sua notorietà a una causa a cui manca una voce che in tanti siano disposti ad ascoltare. Credo che abbia fatto una cosa giusta, che un giudice ha anche sentenziato essere legale. Ma (e qui mi ricollego al tema della Resistenza), come ci ha insegnato chi è caduto per opporsi alla dittatura, la legalità e la giustizia non sempre coincidono. A volte è giusto opporsi a leggi inique. De Luca si è esposto, e si è assunto tutte le responsabilità che ne derivavano. E questo è un esempio virtuoso, e oggi ne mancano».
Titolo: Scansadiavoli
Artista: Rocco Rosignoli
Anno di pubblicazione: 2015
Etichetta: autoproduzione
Tracce
(musiche e testi di Rocco Rosignoli, eccetto dove diversamente indicato)
01. Fisterra
02. La grandinata
03. Dicembre
04. I diavoli
05. Autunno
06. Tunguska
07. Il corpo di Pamela
08. Barricate - I. Jamie Foyers [Ewan McColl]
II. A las barricadas [anonimo]
III. In morte di Picelli [Rosignoli - Ewan McColl]
09. Giordano Bruno
10. Scansadiavoli
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