lunedì 22 aprile 2013

Mirco Menna e le granite di mandorla







Mirco Menna è uno di quei personaggi borderline che si è affacciato non più giovanissimo sulla scena discografia. Nato come batterista e diventato poi compositore e autore, l'artista bolognese ha esordito nel 2002, a 39 anni, con l'album "Nebbia di idee". Quattro anni dopo è arrivato "Ecco" che vanta anche un prezioso incipit in versi firmato da Fernanda Pivano. Una produzione discografica rarefatta ma molto apprezzata dalla critica e dai colleghi. "Finalmente un disco saporito ed elegante", disse Paolo Conte riferendosi all'album d'esordio di Menna.
Successivamente, dopo aver curato e interpretato lo spettacolo "Arie d'anima marina", Menna ha iniziato a collaborare, in qualità di cantante, con il gruppo etno-rock Il Parto delle Nuvole Pesanti. Un connubio artistico duraturo che ha portato al dvd "Slum", nel 2008 al film "I colori dell'abbandono", vincitore del Festival Internazionale di Cinema, Ambiente e Paesaggio, e allo spettacolo di teatro canzone "Noi stessi". Nel 2010 l'atteso ritorno discografico con l'album "...e l'italiano ride", registrato insieme alla folta e giovane Banda di Avola. Un incontro artistico tra due realtà di estrazione geografica e culturale diversa che hanno saputo integrarsi e completarsi, trovando ispirazione reciproca e dando vita a un lavoro tra i più riusciti dell'anno. La partecipazione al Premio Tenco 2010 è stata una logica conseguenza.
Mirco Menna si esibirà venerdì 26 aprile alla Torre Antica a Borgio Verezzi e per l'occasione abbiamo fatto questa interessante chiacchierata.



Mirco, nel 2010 ti abbiamo visto al Premio Tenco insieme alla Banda di Avola. Come è stato questo incontro?

"Ci siamo incontrati ad Avola, una sera in cui suonavo lì. E ci siamo piaciuti in diretta".

Un incontro anche tra due realtà geografiche e culturali molto diverse: tu di Bologna e la Banda della Sicilia. Cosa vi ha uniti e quali sono state le difficoltà incontrate?

"Ci ha uniti la simpatia, artistica e umana. Le difficoltà? Esagerare con le granite di mandorla, forse".

Ci sarà un nuovo capitolo in questa collaborazione?

"L'intenzione c'è".

Oltre alla Banda d'Avola, hai collaborato assiduamente anche con il Parto delle Nuvole Pesanti, di cui, per un certo periodo, sei stato il cantante. Cosa ci puoi raccontare di questo incontro artistico?
 

"Abitavamo a Bologna e ci siamo trovati più volte sugli stessi palchi. Io feci un'ospitata nel loro disco e loro nel mio, poi un'estate sostituii il loro batterista in alcune date del loro tour. Quando Peppe Voltarelli (il cantante del Parto delle Nuvole Pesanti, ndr) uscì dal gruppo, io mi trovai amichevolmente lì. Diciamo che sono stato un loro ospite fisso per qualche anno, ho tappato volentieri il buco, finché Salvatore De Siena non ha cominciato a cantare".

Nella tua carriera, oltre alla musica, c'è spazio anche per teatro e cinema. Quale di queste arti senti più tua e quali sono invece gli aspetti che ti hanno spinto a cimentarti nelle altre?
 

"Parlando di teatro e cinema, mi ci son trovato per caso. Con il Parto delle Nuvole Pesanti, appunto, e l'attrice Milvia Marigliano, con cui producemmo "Slum", un lavoro teatrale dei Filodrammatici di Milano. E, sempre col Parto, il film "I colori dell'Abbandono", di Paolo Taddei (vincitore del Festival Internazionale di Cinema Ambiente e Paesaggio, ndr). Mi sono sentito a mio agio, sì. Per questo ho poi firmato e messo in scena un spettacolo di teatro-canzone dal titolo "Noi Stesi – Cantata dell'emergenza quotidiana"".

La tua carriera è iniziata come musicista al servizio di altri, poi nel 2002 il grande salto con la pubblicazione del tuo album d'esordio "Nebbia di idee". Cosa ti ha spinto a prendere questa strada?
 

"Il mio amico Paolo Nanni con cui collaboravo, non ha voluto più cantare. Allora canto io, ho detto. E abbiamo continuato a collaborare".

Disco che ti ha portato subito sotto i riflettori della critica. Sei arrivato terzo al Premio Tenco nella categoria miglior opera prima e hai ricevuto il premio come artista emergente dell'anno da parte della rivista "L'isola che non c'era". Meglio non poteva andare, non credi?

"È stato divertente. Lo fosse stato di meno avrei smesso: qualunque altro mestiere è più “lavoro” di questo, se mi spiego. Invece ho fatto il secondo e poi il terzo disco, per continuare divertentemente a non lavorare".

Cosa hai pensato quando Paolo Conte ha descritto il tuo lavoro con la frase: "Finalmente un disco saporito ed elegante"?

"Che ero contento di essere un fan di Paolo Conte".

Quest'anno cade il decennale della scomparsa di Giorgio Gaber. Tu hai reso omaggio al grande artista milanese partecipando, un po' di anni fa, al tributo edito da Il Mucchio Selvaggio. Cosa pensi del personaggio Gaber e della sua musica?

"In quel disco feci "Chiedo scusa se parlo di Maria", che è significativa di quel che penso di lui: fortemente politico, fortemente intimo".

Nella canzone "Evviva Evviva il Capo Minchiuto" sono tanti i riferimenti a una Italia che non piace. Secondo te la canzone può avere, anche ai giorni d'oggi, una funzione di denuncia o politica?

"Eh... quella canzone, "Evviva...", fu scritta quando nessuno poteva immaginare che Mubarak avesse una nipote falsa, che per il suggeritore Paniz e i suoi amici era vera (Maurizio Paniz, avvocato e politico italiano eletto nel 2001 nella lista di Forza Italia e rieletto nel 2006 e 2008, ndr). La canzone non ha denunciato un bel niente, anzi è stata stracciata dalla cronaca. Paniz però è un trombato alle ultime elezioni. Son soddisfazioni, anche per un cantante di canzoni innocue".

Quanto è importante per te, bolognese, la questione meridionale che tu tratti sovente nei tuoi testi?
 

"Sono meridionale di famiglia. Al di là di Salvemini e Gramsci, la questione meridionale per me era casa mia e dei miei parenti fin da piccolo. Era capire che quando si tornava "giù" al paese, c'era una felicità, una simpatia che era fatta di un'altra pasta... qualcosa di diverso, che si faticava a spiegare e si condivideva con un certo imbarazzo "su" con gli amici del nord".

Quali sono i tuoi maestri musicali?

"Gente che ho conosciuto direttamente, amici i cui nomi direbbero poco tranne a noi, fra noi. Se poi intendi a chi posso 'assomigliare' o a chi ci si può riferire ascoltando le mie canzoni, beh lo lascio dire. I nomi che ho sentito fare sono almeno una trentina, tutto il 'cantautoresimo italico' da Modugno a Capossela passando per Sergio Caputo e De André. Qualcuno ha detto anche i francesi. Quel che posso dire io, è che li ho ben ascoltati: qualche cosa mi avranno lasciato, chi più chi meno".

A quali progetti stai lavorando?

"Ai prossimi... e hanno tutti a che fare con la musica e le parole, sono un fissato".

Infine mi piacerebbe che rispondessi alle 10 domande secche...

- Albero o arbusto? Per la prima volta nella mia vita, l'estate scorsa ho fatto amicizia con un albero, un acero secolare. Con un arbusto non mi è ancora capitato (le piante di pomodori amorevolmente curate per interesse, magari... ma l'amicizia è un'altra cosa).
- Pizza o calzone? Dipende. La pizza è bella, è allegra, è sfacciata sotto il naso. Ma l'introverso calzone rimane caldo più a lungo, e favorisce la lentezza.
- Etna o Vesuvio? Etna, che quando ha da dire lo dice. Invece il Vesuvio si tiene tutto dentro e fa finta di niente... pericoloso.
- Pianura o montagna? Mi piace lo sguardo di pianura, che arriva fino laggiù in fondo, come al mare. O in cima alla montagna.
- Chitarra o tamburo? Basso, che ha l'anima di tutt'e due. Pensavo di fare il bassista infatti, la prossima volta.
- Nero d'Avola o Lambrusco? Il primo, a meno che non si mangi prosciutto.
- Capo di Buona Speranza o Capo Horn? Capo di Buona Speranza, per via del Vascello Fantasma che ogni tanto qualcuno vede.
- Cintura o bretelle? Mai portato bretelle, ma così, per conformismo.
- Torre o cupola? Torre cupolata. Se dobbiamo farla fallica, facciamola per bene.
- Cantautore o cantastorie? Cantiere...? A lavorare, altro che cazzate.





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