giovedì 10 gennaio 2013

"Non sono mai stato qui", parola di Geddo







Davide Geddo è tornato. Dopo il disco d'esordio "Fuori dal comune", uscito nel 2010, il cantautore ingauno ha pubblicato in questi giorni il suo secondo album intitolato "Non sono mai stato qui". Il disco, registrato all'Hilary Studio di Genova, contiene quindici canzoni che mettono in luce la capacità espressiva e compositiva di Geddo. Storie e affreschi che descrivono, a tratti anche con sagace ironia, il mutare delle situazioni, la fine di esperienze, a volte solo immaginate, sbagli e nuove speranze. Canzoni fruibili che invitano però ad un ascolto non superficiale per cogliere l'essenza di testi brillanti e mai banali. Per questo secondo disco, più maturo e strutturato dal punto di vista musicale rispetto al precedente, Geddo si è circondato di amici musicisti che hanno dato il loro decisivo contributo. Tra questi il violinista Fabio Biale, la cantautrice Chiara Ragnini, Sergio Pennavaria, il chitarrista Claudio Bellato e Michele Savino.
Il disco sarà presentato venerdì 18 gennaio nella Casa dei Circoli a Ceriale (via della Concordia, 8). La serata, organizzata dall'associazione Compagnia dei Curiosi, sarà condotta da Alfredo Sgarlato (inizio ore 21).
In anteprima, in questa intervista, Davide Geddo descrive il suo nuovo disco. 



E così il secondo capitolo è scritto. Sei soddisfatto?

«La realizzazione di un disco mi coinvolge totalmente; anche stavolta mi ha distrutto, succhiandomi ogni energia e forza, ma quando finalmente me lo sono trovato tra le mani mi sono sentito come rinato. È un disco pieno e vario che mi propone per ciò che io sento di essere. Essere alla seconda esperienza mi ha dato un pizzico di dimestichezza in più con il lavoro in studio e mi ha consentito di centrare con più sicurezza gli obiettivi che mi ero prefissato. Sono davvero soddisfatto anche se so di dover e poter migliorare ancora».

Nelle canzoni del disco la figura femminile ha un ruolo importante, c'è un filo conduttore che parte da "Venezia", prima canzone dell'album, e arriva a "Non sono mai stato qui" che chiude il cd…

«Non è un "concept" ma ci sono temi ricorrenti. Mentre in "Fuori dal comune", il mio primo disco, affrontavo il problema della comunicazione e del difficile rapporto con la realtà, in "Non sono mai stato qui" ho cercato di parlare di ciò che non sembra esserci, di ciò che avremmo voluto che accadesse, di ciò che è rimasto di esperienze, sbagli e speranze che ora sembrano non contare più. Il disco è dedicato alle situazioni che terminano, cambiano o non hanno avuto la forza di iniziare. Mi piace far riferimento al rapporto uomo-donna perché è il rapporto che influisce maggiormente sul quotidiano».

Il rapporto con l'altro sesso è però sofferto: canti di abbandoni, sogni infranti, delusioni, fughe… Per un cantautore è più facile cantare la sofferenza o la gioia?

«L'epoca dell'accesso ha enfatizzato l'individualismo; le vicende personali sono diventate esasperate  e ingombranti. Ho cercato di stimolare lucidità ed ironia nell'affrontare i rapporti e i linguaggi che vengono a formarsi in un tale contesto. La gioia è più difficile da descrivere con l'analisi ma in "Stare bene" ho cercato di dare una modesta ricetta per la pazienza e la felicità. Comunque la relazione gioia-tristezza nelle canzoni non mi appassiona. Trovo più interessanti altre dinamiche come realtà-illusione, forza-fragilità o uomo-donna. D'altra parte, in quanto espressioni di cultura popolare, le arti "moderne", come cinema e canzoni, sono sottoposte a valutazioni che le mettono in competizione con l'intrattenimento».

Quanto c'è di autobiografico in questo disco?

«Non apprezzo l'autobiografismo fine a se stesso. Ho una vita complicata e piena; però, anche se può capitare di apparire qua e là con qualche rimando personale o spuntare come attore non protagonista o non citato, resto una figura di contorno e raramente sono così esibizionista o sconsiderato da pormi come simbolo o riferimento. Mi piace, al limite, riconoscermi nell'osservare gli altri. Sono nei dettagli».

"Non sono mai stato qui" è un negare o una fuga da qualcuno o qualcosa?

«Il titolo del disco ha più di un riferimento. Mi sono interrogato sul valore dell'esperienza. Rimanda a luoghi e persone che assumono contorni diversi e in cui finisci per non riconoscerti più. Un'altra faccia del dado è rappresentata dall'aspetto, azzarderei quasi romanzesco o visionario di alcuni miei pezzi che ambiscono a raccontare con verosimiglianza ciò che non è stato. Pensa, ad esempio, a "Venezia". Tanto per chiarire è un luogo in cui personalmente sono stato solo una volta da bambino in vacanza con i genitori. È la storia di ciò che non è stato, di un posto dove i due protagonisti non sono mai stati insieme. Inoltre mi pareva che il titolo prendesse una certa distanza da un autobiografismo che quando è sfacciato ed egocentrico non interessa e, anzi, ritengo fuorviante ed invadente. Quindi, alla fine, non si tratta né di fuga né di negazione ma anzi di affermare, grazie all'unica macchina del tempo che so usare, il potere delle canzoni di portarti in luoghi che non ci sono più o in cui non sei mai stato. Questi sono i veri temi ricorrenti del disco e siccome erano evidenti soprattutto nel primo e nell'ultimo brano del cd e poiché il titolo mi pareva suggestivo ho deciso per questo titolo».

Personalmente mi piace molto "Dall'amore", brano dal ritmo incalzante impreziosito dall'intervento del cantante Sergio Pennavaria. Un incontro tra due voci molto diverse ma allo stesso modo emozionanti. Come è nata questa collaborazione?

«Le voci sono sicuramente diverse ma mi sento molto affine allo spirito di Sergio. Lui ha il dono di un timbro pieno di forza ed inquietudine, in grado di smuovere i muri. Io adoro collaborare con gli artisti che ascolto. Con Sergio è nata una bella amicizia basata su una reciproca stima. Spero e credo che faremo presto altre cose insieme, magari un live. Lo stesso vale per Chiara Ragnini, ottima artista e bella persona, che ti assicuro darà molto e molto presto».

Per questo tuo nuovo lavoro ti sei circondato di validi musicisti e il risultato è un disco molto più strutturato rispetto al precedente "Fuori dal comune". Perché questa scelta?

«Con il mio precedente lavoro ho guadagnato il rispetto di tanti ottimi musicisti e ne ho approfittato. A me piace molto collaborare e credo sempre che farlo faccia bene ai dischi e alle idee. Allo zoccolo duro composto da Paolo Magnani alla chitarra, Dario La Forgia al basso e Maurizio De Palo alla batteria, che erano già anima di "Fuori dal comune", si sono aggiunti Claudio Bellato, Fabrizio Cosmi, Mauro Vero, Saverio Malaspina, Fabio Biale, Chiara Siriana Micheli, Tony Meneses. A tutti loro sono profondamente grato per la voglia e il gusto che hanno saputo dare all'album».

Gli arrangiamenti sono molto curati, quanto avete lavorato a questo progetto?

«Io non sono mai stato un animale da studio ma grazie a "Fuori dal comune" ho imparato molto e ci tenevo ad applicarmi in maniera più completa. Molto devo anche al talento di Michele Savino, che mi ha aiutato ad arrangiare quattro brani del disco, e all'esperienza di Rossano Villa».

Quindici canzoni e tanta urgenza di dire. Mi sbaglio?

«Tanta voglia. Tanta fede nel valore del dire. Sacra urgenza di non proporre canzoni vuote. Forse oggi esprimersi è contrario al mercato. Pare che le parole debbano filare piatte su una musica che sia di contorno all'immagine. Ma la vera urgenza è dare testi al cervello e musica allo stomaco. Non mi interessa la musica da ascensore, quella di sottofondo, la colonna sonora. Voglio invitare all'ascolto quando canto, non a fare altro. Cerco però di infondere diversi tipi di respiro nei pezzi perché siano comunque fruibili».

Come sono nate queste canzoni e quanto tempo è occorso a scriverle?

«Le canzoni nascono dalla sete e dalla fame, sono bisogni. Una volta che scopri questo modo di guardare la realtà non riesci a farne a meno. Sono un linguaggio magico, potenziato, in grado di definire e indefinire. Generalmente non ho un metodo ma occorre un forte spirito di osservazione e una feroce autocritica. Per qualche incomprensibile ragione, le canzoni più elaborate sono più brevi da scrivere mentre quelle più semplici sono le più lunghe. Una volta finita la bozza amo lavorarci nel tempo per definire ogni minimo dettaglio e per verificare che mantengano un loro effetto; perché non nascano e muoiano con il loro riferimento temporale. Anche per questo, per quanto si riferiscano ad episodi anche databili, non è coerente dare alle mie canzoni un'epoca predefinita. Tra l'altro questo mi permette di cantarle senza stufarmene».

Come si sono svolte le session di registrazione di "Non sono mai stato qui"?

«Le session sono state faticose; il mio modo di scrivere non ricalca uno schema musicale predefinito e le canzoni sono spesso diverse tra loro. Il mio non-stile, non legandosi ad un genere di rimando che le possa rappresentare, chiede ai musicisti di essere completi e aperti. Spesso mi sono sentito perso prima di riuscire a dare un filo al tutto. Il risultato sembrava non definirsi mai. All'Hilary Studio di Genova però ho trovato il giusto equilibrio tra umanità e competenza; la professionalità di Rox Villa ha creato l'ambiente adatto ed è bastato insistere per ottenere proprio quello che volevo».


Titolo: Non sono mai stato qui
Artista: Geddo
Etichetta: Tomato/CNI
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Davide Geddo, eccetto dove diversamente indicato)

01. Venezia
02. Dicono che io
03. Angela e il cinema
04. Tristano
05. Stare bene
06. Il post amore
07. Equilibrio
08. Dall'amore (interventi di modifica alla viabilità interiore)
09. La campionessa mondiale di sollevamento pesi
10. Piccolina
11. Sole rotto
12. Un pugno in un muro
13. Nancy
14. L'astronave di provincia
15. Non sono mai stato qui  [Davide Geddo; Dario La Forgia e Simone Besutti]





2 commenti:

  1. "La vera urgenza è dare testi al cervello e musica allo stomaco". Questa frase mi ha colpito. semplice e bella nella sua verità...la musica e le canzoni le sentirò presto ma so già che saranno belle. (Cappuccetto rosso)

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