A volte ritornano ed è una bella notizia. Sul finire degli anni Novanta, nelle vesti di promettente band giovanile, hanno imperversato sulla scena ligure conquistando una discreta notorietà e un buon successo. Ora, dopo un periodo di oblio, complice le inevitabili responsabilità che la vita impone, i Qirsh sono tornati e lo hanno fatto in grande stile pubblicando il loro secondo disco. "Sola andata" è il titolo del cd che ha visto la luce nelle scorse settimane per la Lizard Records, importante e prestigiosa etichetta indie. Disco che è arrivato sedici anni dopo "Una città per noi", uscito in poche copie su cassetta e diventato quindi oggetto da collezione. Il nuovo album è composto da nove canzoni, nate tra il 2009 e il 2011, che spaziano dal rock alternativo al progressive e al pop. Il filo conduttore del disco, registrato artigianalmente ma con grande cura a partire dal 2012, è il viaggio come esperienza di vita. Che sia in un mercato algerino ("Mercato Ghardaia") o in Indonesia ("Malaria"), oppure in una folle corsa in ambulanza ("Rianimazione") o in agghiaccianti episodi di cronaca ("Figli del piccolo padre"). L'album è intrigante, per certi versi esotico, con richiami a suoni degli anni '70 ma difficilmente collocabile nelle anguste e riduttive cellette di classificazione di generi.
Il sestetto savonese è formato da Andrea Torello (basso e voce), Daniele Olia (chitarre, tastiere e voce), Leonardo Digilio (piano e tastiere), Marco Fazio (batteria e percussioni), Michele Torello (chitarre), Pasquale Aricò (synth e cori).
Nell'intervista che segue Andrea Torello ci parla dei Qirsh e del nuovo disco.
Siete insieme dal 1993 e dopo l'avventurosa registrazione di "Una città per noi" del 1997, è finalmente arrivato il momento di tornare in scena con l'album "Sola andata". Cosa è successo in questi anni?
«In sedici anni sono successe tantissime cose: lauree, lavori, viaggi, trasferimenti, matrimoni, figli, e anche problemi esistenziali molto seri. Ad uno di noi si è rotta la tastiera, che non deve essere visto solo come un problema prettamente tecnico. Il motivo per cui è passato così tanto tempo dal primo album è che per alcuni anni siamo stati attirati maggiormente dalle serate live e ci siamo concentrati sulle cover, per accontentare il pubblico e per avere più opportunità di suonare. Inoltre dai primi anni 2000, non appena laureati, quasi tutti contemporaneamente, alcuni di noi si sono trasferiti in altre città per esigenze lavorative, e ciò ha rallentato l'attività del gruppo. Ancora oggi metà band non vive a Savona».
Perché avete voluto riprovarci?
«Ad un tratto ci siamo resi conto che il tempo stava passando, ma avevamo ancora tante cose da dire, e che anzi, praticamente avevamo ancora tutto da dire. Quindi ci siamo rimessi a creare e abbiamo dato alla luce una serie di nuovi brani, che per fortuna sono piaciuti all'etichetta Lizard. Il passo successivo è stato la nascita di "Sola Andata", il nostro primo vero album».
Non siete tutti troppo grandi per giocare a fare i musicisti?
«Veramente ci sentiamo ancora una boy band e ricordiamo come se fosse ieri il nostro esordio sul palco della festa parrocchiale, era il 1993. Comunque promettiamo che tra 40 anni smetteremo di suonare e ci dedicheremo ad attività più serie».
Negli anni a cavallo tra il 1998 e il 2001 avete imperversato nei locali e sui palchi di mezza Liguria conquistando anche una discreta notorietà. Cosa ricordi di quel periodo?
«Ricordo tre utilitarie che viaggiano sull'Aurelia caricate di strumenti fino all’inverosimile, ricordo le fatiche per montare e smontare il palco, la cena col panino offerto dal padrone del locale (o a volte decurtato dal già scarso compenso), le interazioni col pubblico (che spesso invitavamo a suonare con noi... e che spesso risultava più bravo di noi), ricordo un'esibizione in playback su una TV locale (col cavo della chitarra collegato a un tappeto), il nome del gruppo storpiato sui manifesti all'entrata dei locali (Quirsh, Kirsh, Quiershh) ma ricordo anche le innovazioni. Siamo stati tra i primi gruppi giovanili savonesi ad avere un sito internet (1997), a tappezzare la città di volantini colorati plastificati, per la gioia del Comune, a suonare in posti originali: su una motonave in navigazione, all'entrata di una banca, su un camion, sul palco di una lap dance, in un maneggio e anche in un museo. Quest'ultimo in tempi più recenti: il museo storico dell'Alfa Romeo, ad Arese, nel 2010. Siamo stati anche i primi a suonare la versione integrale di "Shine on you crazy diamond" dei Pink Floyd alla festa dei licei, rischiando il linciaggio».
Qual è ora l'ostacolo più grande che vi tiene lontano dai palchi?
«Rispetto al passato la sensazione è che ci siano sempre meno opportunità per presentare la propria musica originale, e sempre meno locali interessati a fare live. E sicuramente c'è anche meno gente interessata a questo tipo di intrattenimento, molto anni '90. Ma se capitano occasioni non ce le faremo scappare. Nel caso peggiore ci ripresenteremo alle feste parrocchiali con buona pace di tutti».
Quali sono le vostre fonti di ispirazione?
«Se parliamo di gruppi o artisti che ci hanno influenzato, la lista è lunga (anche perché siamo in sei e ognuno di noi ha le sue preferenze specifiche), ma basti ricordare che la nostra scaletta storica comprendeva cover di Pink Floyd, Queen, U2, CSI, Pooh, Elio, REM, Doors, a cui aggiungiamo Genesis, Battiato, rock progressive anni '70, new wave anni '80… e infatti alla fine il nostro genere è stato definito un mix di pop-rock-progressive. Ma le definizioni sono sempre limitanti, non ci piace inquadrarci».
E le canzoni del nuovo album?
«Il tema dell'album è il viaggio. Siamo molto legati all'idea del viaggio, sia come gruppo che singolarmente. Ognuno di noi viaggia molto, a volte prendendo l'aereo per destinazioni remote, a volte rimanendo nella sua stanza con un paio di cuffie nelle orecchie. Alcune canzoni sono nate sedendosi davanti a una tastiera e cominciando a farsi trasportare dai suoni o dalle sequenze di accordi; altre canzoni invece si sono materializzate nella nostra mente durante qualche viaggio, guardando persone e ambienti che scorrevano fuori dal finestrino».
Nell'immagine di copertina, seppur nella sua bellezza, vedo un gruppo di sopravvissuti che si sta radunando sul finire di una spiaggia dopo una esplosione nucleare. Ho sicuramente una visione distorta ma cosa te ne pare?
«In realtà quella foto rappresenta solo un gruppo di persone su una spiaggia australiana in una normale giornata infrasettimanale. C'è chi fa due passi per rilassarsi, chi fa volare aquiloni, chi con una tavola da surf sottobraccio pensa a come affrontare le onde nel modo migliore. Tutti viaggi, anche piccoli e di routine, nel quotidiano di ciascuno di noi. Alla strage nucleare in effetti non avevamo pensato».
Le tragedie, i morti, le malattie, gli abbandoni e i viaggi sono al centro delle vostre canzoni. Qual è la vostra visione del mondo?
«Non è così catastrofica, anzi l'album vuole trasmettere un messaggio positivo: viaggiate, esplorate, aprite la vostra mente. Purtroppo le esperienze tragiche possono lasciare il segno più di quelle positive e riflettersi quindi nelle canzoni in modo più evidente ma bisogna essere capaci di andare avanti... non a caso l'album si intitola "Sola andata"».
In "Figli del piccolo padre" parlate di Andrei Chikatilo, il mostro di Rostov che ha ucciso 53 persone, e del figlio Yuri che viene aiutato dallo Stato a cancellare il passato e a rifarsi una vita. Cosa vi ha spinto a cantare questa storia?
«Questo brano è uno dei più controversi dell'album. È nata per prima la parte strumentale, che ci ha spinto verso la narrazione di una storia forte; e così il viaggio in questo caso è diventato un viaggio nella cronaca e nella psicologia, che ha toccato alcuni dei risvolti più oscuri della storia russa del secolo scorso».
"Rianimazione" ha qualcosa di claustrofobico ma allo stesso tempo lo trovo rassicurante. Cosa vi ha ispirato a scrivere questo brano?
«In realtà tutte le persone che hanno ascoltato il brano ci hanno detto che trasmette ansia! D'altra parte è la rappresentazione di una folle corsa in ambulanza... anche quello è un tipo di viaggio... che poi sia un viaggio realmente accaduto o no non è dato sapere».
Come vedi la musica ha tante letture differenti. Passiamo a "Malaria". Qual è il messaggio del testo ‹Devo aspettare, solo aspettare, restare sveglio è fondamentale. Non riesco a parlare›?
«"Malaria" è il classico pezzo che rappresenta una situazione di difficoltà, fisica o psicologica, in cui ciascuno di noi si può trovare e deve far ricorso a tutte le proprie energie per affrontare il viaggio del superamento dell'ostacolo, di qualsiasi natura esso sia. Il testo è parte di questo discorso».
"Artico" è dedicata a Umberto Nobile e alla tragica avventura al Polo Nord con il dirigibile Italia. Cosa può rappresentare oggi questa storia?
«Quello fu un importantissimo viaggio di esplorazione scientifica, la prima volta al Polo Nord, una conquista tutta italiana. Un esempio che merita di essere ricordato. La missione ebbe un finale tragico ma vide anche l'epica resistenza dei sopravvissuti della "tenda rossa". Questa canzone vuole cogliere proprio lo spirito dell'esplorazione, il desiderio ancestrale dell'uomo di scoprire e spingersi sempre un po' più in là».
Il disco si chiude con "La nebbia", il racconto di un abbandono…
«Una lunga attesa in aeroporto, e poi la nebbia, forse più metaforica che reale. Una situazione in cui tutti ci siamo trovati almeno una volta nella vita, non solo quelli che partono dall'aeroporto di Malpensa».
Quando vi rivedremo dal vivo?
«Sabato 15 marzo suoneremo alla Pentola Magica di via Stalingrado a Savona, poi il 5 aprile saremo ospiti in diretta su radio Base Popolare Mestre».
Titolo: Sola andata
Gruppo: Qirsh
Etichetta: Lizard Records
Anno di pubblicazione: 2013
Tracce
(testi e musiche di Daniele Olia, eccetto dove diversamente indicato)
01. Artico
02. Mercato Ghardaia
03. Myflower [Leonardo Digilio]
04. Figli del piccolo padre
05. 5a, finestrino
06. Rianimazione
07. Malaria [Michele Torello]
08. Vento delle isole
09. La nebbia
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