Le notti nei locali di Madrid e la tradizione folk siciliana. Un filo rosso che il cantautore Luca Burgio ha saputo annodare e tradurre in musica nel suo disco d'esordio "Vizi, peccati e debolezze", prodotto con il decisivo contributo della Maison Pigalle. Il cantautore agrigentino ha trascorso alcuni anni nella capitale iberica, lavorando e
vivendo la movida. A Madrid l'artista siciliano ha gettato il seme
della sua musica e una volta tornato in Sicilia la pianta è cresciuta vigorosa fino a dare ottimi frutti. L'esperienza di vita in Spagna si è tradotta in musica e le atmosfere gipsy jazz con chitarre manouche, fisarmoniche e fiati mariachi si sono fuse e intrecciate con il folk siciliano. Nove canzoni, dal ritmo incalzante, ambientate in locali aperti fino a tarda notte, dove i vapori dell'alcol e il fumo delle sigarette si mescolano a racconti di sognatori romantici, poeti che trovano conforto nella bottiglia, amanti in preda ai propri istinti. Atmosfere fumose e swingate si legano a testi espliciti, ironici e dissacranti che raccontano esperienze vissute in prima persona. Un disco suonato e arrangiato molto bene che mette in evidenza come Burgio e la Maison Pigalle abbiano metabolizzato alla perfezione le lezioni di Paolo Conte, De Andrè, Gaber, Fred Buscaglione, del Vinicio Capossela che racconta le notti milanesi. Niente di nuovo sotto il solo verrebbe da dire dopo un ascolto superficiale ma l'utilizzo di strumenti come il mandolino e la fisarmonica, in un contesto sonoro già ricco, regalano colori e sfumature tutte da scoprire e gustare.
La Maison Pigalle è composta da Andrea Scimè (contrabbasso), Armando Fiore (percussioni), Marco Macaluso (fisarmonica), Mauro Schembri (mandolino). Hanno partecipato Ettore Baiamonte (chitarra), Samuele Davì (tromba), Roberto Anelli (pianoforte).
Con Luca Burgio abbiamo parlato del suo disco che è stato inserito tra i 50 candidati al Premio Tenco 2016 nella categoria “Opera prima”.
Luca, vizi, peccati e debolezze sono ancora ammessi nella società di oggi?
«Certo! Chi dovrebbe vietarceli? Il nostro lato oscuro fa parte di noi da quando siamo nati. Fa parte del nostro essere. Non esiste nel genere umano una persona che non abbia mai familiarizzato con le proprie paure, le proprie voglie, il senso di colpa, tutto quello che ci rende così meravigliosamente umani! E oggi più che mai ci sentiamo ancora più liberi di vivere la nostra natura peccaminosa perché, ad esempio, la maggior parte di noi non ha più una fede religiosa tanto influente nella propria vita come lo era in passato, ma abbiamo accettato noi stessi per come siamo, non abbiamo più quella retorica moralista che per tanto tempo ci ha limitati nel fare e nel dire costringendo a castrare oppure nascondere le nostre più profonde pulsioni, non esiste più quell'immagine maschilista dell'uomo forte tutto d'un pezzo, io piango se sto male e bevo se ho un problema, urlo se mi incazzo, e divento un cretino se mi innamoro perché la mia debolezza mi fa sentire umano e io amo la mia natura volubile e vulnerabile».
Raccontandoli ci hai fatto un disco, il primo della tua carriera. Quanto hai lavorato a questo progetto?
«Tralasciamo il tempo impiegato a scrivere le canzoni perché le scrivevo senza alcun progetto e soprattutto senza l'idea di incidere un disco un giorno. Sono tornato dalla Spagna nell'ottobre del 2013 con un progetto che avrebbe impegnato i miei prossimi tre anni, il tempo di mettere su quello che sarebbe stato l'embrione della Maison Pigalle, ed insieme a Mauro Schembri e Marco Macaluso iniziammo la prima fase, l'arrangiamento delle canzoni e la registrazione di una demo di due brani che coinvolse anche il resto della band. Nel secondo anno ci avviammo alla seconda fase, la quale ci vide alle prese con i primi concerti e la registrazione del disco, attraverso il quale ci potemmo proporre alle diverse etichette discografiche. L'inizio della collaborazione con la New Model Label segna la fine della terza fase esattamente nel terzo anno di attività. Il progetto che mi sono portato dalla Spagna si è compiuto quest'anno e ora quello che resta da fare è portare la mia musica il più lontano possibile, mettergli le ali e passare lo stretto, tanto per cominciare».
Le canzoni del tuo disco hanno una ambientazione notturna. È questo il momento migliore per vivere?
«Diciamo che è il momento migliore per scrivere, ognuno la vive come la sente ma la sera tutto prende un'altra forma, se la vivi fuori fra i locali, la musica, la gente che esce a fare festa, allora la notte ti seduce, ti coinvolge, distorce la giornata, le facciate dei palazzi e delle chiese tirano fuori le loro ombre e ogni vicolo o stradina diventa misteriosa, i basolati lucidi riflettono le luci gialle dei lampioni e i pub sembrano aspettare solo te, tu bevi qualcosa, stai con gli amici, magari conosci una niña che con un po' di fortuna ti porti a casa, allora metti in riproduzione casuale la discografia di Chet Baker, tiri fuori la tua bottiglia da 75 cl che conservi per queste occasioni, la bevete, a lei si socchiudono gli occhi, le si ammorbidisce la voce, e finite col passare la notte arrotolati alle lenzuola… poi l'indomani si alza e se ne va come se la lingua che aveva in bocca fino a qualche ora fa non era la tua… veloce, col trucco sbavato, e senza guardarti negli occhi si ripassa il rossetto e scappa a lavoro. E questo è più o meno l'effetto che mi fa il giorno! Poi la sera dopo magari resti a casa e scrivi quanto è successo e se sai prenderti alla leggera ti fai pure due risate».
Dove prendi ispirazione per scrivere canzoni?
«Vedi, il concetto di ispirazione a mio avviso è stato sempre frainteso, per come la vedo io, sono continuamente ispirato, l'ispirazione è quel valore aggiunto o condanna congenita in tutti i romantici. È appunto l'ispirazione che accende la tua immaginazione, che ti rende sensibile, ti dà la possibilità di vedere le cose oltre la forma e di apprezzarne l'essenza, è quella capacità che hai di organizzare le forme e i colori e scattare una bella foto, o mischiare insieme degli ingredienti e tirare fuori un piatto sorprendente, o, come nel mio caso, prendere tutta la gente che vedi e quello che succede a te e a loro e organizzarlo in versi in maniera elegante o brutale. L'ispirazione non va e viene ma è sempre dentro di noi, per me raggiunge picchi massimi nelle situazioni della vita e nelle interazioni della gente».
I brani che tu canti in questo album sono storie vissute?
«Per fortuna o purtroppo sì, in questo disco mi sono sputtanato, senza ritegno! Mi sono chiesto il perché qualcuno debba ascoltare le mie canzoni, e ho pensato che se avessi raccontato le situazioni quotidiane che vive chiunque o le avventure che più o meno il target a cui mi rivolgo ha vissuto, con i particolari ironici, tristi, stravaganti e calcando sempre la mano sul nostro "lato oscuro" su quei pensieri che tutti ci facciamo ma che mai portiamo alla luce, sulle nostre perversioni e insicurezze sarei potuto arrivare a quella semplicità che accomuna tutti. Insomma siamo tutti sporchi e quando ascolto qualcuno che mi propone delle storie mi piace pensare "cazzo quant'è vero!" e così, dal cuore pulsante della mia vergogna è venuto fuori "Vizi, peccati e debolezze"».
Quando sei entrato in studio avevi già le idee chiare riguardo al suono che il disco avrebbe dovuto avere?
«Più o meno sì, questa connotazione un po' noire, i suoni pesanti e cupi, l'esaltazione dei bassi, è il suono che meglio sposa il senso dei testi, è proprio il sound che cercavo e per questo mi sono affidato totalmente a Davide Terranova per il missaggio e alla Maison Pigalle e alla loro creatività per gli arrangiamenti. Ovviamente anch'io avevo le mie idee, ad esempio tutte le parti della tromba non le avevo mai sentite dal vivo ma le avevo in testa così per come sono nel disco, a parte l'assolo di "Buscavidas", lì Samuele Davì si è lasciato andare all'improvvisazione assoluta dando il dovuto carattere al brano, e la chitarra di Ettore Baiamonte che ha sostituito tutto quello che fino a quel momento erano soltanto semplici accordi, con accompagnamenti ben pensati e piazzati sapientemente all'interno del disco».
È un disco dalle sonorità molto ricche, come si sono svolte tecnicamente le sessions di registrazione?
«Ho cominciato io con una traccia guida di voce e chitarra sulla quale poi abbiamo dato il via alle registrazioni della chitarra, a cui sono seguite contrabbasso e percussioni, subito dopo abbiamo inserito nell'ordine fisarmonica e mandolino e infine tromba, pianoforte e voce. La parte più impegnativa è stata quella del missaggio in cui abbiamo passato ore e ore in silenzio sullo stesso pezzo. Davide è stato davvero formidabile e devo dire che dopo la fase finale del master quello che ne è venuto fuori nel complesso è stato parecchio soddisfacente».
Mandolino e fisarmonica sono due strumenti non facili da trovare nei dischi dei cantautori. Perché li hai voluti nel tuo album?
«Quando ho cominciato questa avventura c'era una sola persona che ero sicuro di poter chiamare per iniziare un progetto così importante da farmi mollare tutto per ritornare in Italia, e quella era Mauro Schembri. Mauro nasce come chitarrista e poi polistrumentista, sapevo che qualcosa di interessante sarebbe potuto uscire anche da qualche altro strumento. Al mio arrivo mi sono reso conto che suonava il mandolino in maniera così tosta che solo anni di heavy metal avrebbero potuto formare, una specie di mitragliatrice di note che si univa perfettamente all'intenzione dei miei testi, così arrangiammo tutto con il mandolino che è comunque il suo strumento principale. Ma serviva qualcosa che ammorbidisse il tutto, che ci unisse e completasse il trio che avevo intenzione di mettere su per cominciare, che desse quel sound folk e bohemien che cercavo, e così trovammo le nostre risposte in Marco Macaluso e la sua fisarmonica. Con la completezza del suo strumento il trio era pronto a partire, destinato in seguito ad unirsi agli altri».
Quali sono i tuoi vizi e le tue debolezze?
«Vuoi che ti faccia un elenco? Ovviamente sto scherzando, sono un tipo abbastanza calmo, il mio è solo un personaggio creato per accompagnare il nome del disco mica viceversa! In realtà riesco a controllare al meglio le mie emozioni e spesso fra i miei amici passo per quello freddo e calcolatore, ma non è colpa mia, è che seguo la ragione sopra ogni cosa, ritengo sia l'unica cosa concreta e in quanto tale l'unica che abbia un senso. Sono il classico ragazzo da una donna sola, e sono anche abbastanza fedele, non ho mai tradito in vita mia e soprattutto non mi piace e non mi è mai piaciuto bere. Non mi masturbo e non ho alcuna perversione in testa che superi aggiungere il miele nel latte già zuccherato, anzi, proprio tutto quello che la gente chiama feticismo è la cosa che più aborro nella meravigliosa unione fra due persone che si amano e che vede la sua completezza nella sua stessa semplicità. Potrei anche quasi essere fiero di me se non fosse che molto spesso sono uno sfacciato bugiardo».
In questo disco quanto c'è della tua esperienza di vita a Madrid?
«Tanto per cominciare Madrid è il posto dove ho cominciato ad arrangiarmi e anche se il brano ha visto la luce al mio ritorno in Italia, diciamo che "Buscavidas" è stato concepito a Madrid. L'album porta i rumori della città, i bar con le tapas schierate e le cameriere tatuate. Ogni volta che cambiavo casa facevo un giro nel circondario cercando il bar con la cameriera più bella da guardare, se posso prendere una birra perché non farlo davanti a un bel panorama! Ma non solo questo anche il punto di vista del bancone era ricco di esperienze, i vecchi che venivano a bere birra alle dieci del mattino mentre altri prendevano il loro caffè latte e la notte tutti quelli che passavano, ognuno a fare festa e mentre io e i miei colleghi sfornavamo pizze per gente che non la masticava neanche, oppure quelli con camicia cravatta e valigetta, li guardavo consumare mentre parlavano al telefono e li invidiavo, non sapevo che lavoro facessero ma volevo farlo anche io. Un anno dopo vendevo pannelli fotovoltaici, contratti luce e altra roba ecosostenibile con tanto di camicia valigetta e tante cazzate da dire al telefono. Madrid più che testi veri e propri mi ha regalato stati d'animo così al lavoro come a casa, pensa che proprio li ho vissuto l'ebbrezza della convivenza di coppia con tutte le cose belle e brutte che ci girano attorno, quindi quanto d'amore e d'odio riesci e decifrare fra i testi più o meno sono anche il frutto di questa, parecchie storie comprese».
Il tuo disco d'esordio è stato inserito nel lotto dei cinquanta finalisti del Premio Tenco nella categoria "Opera prima". Cosa ti ha fatto capire questo riconoscimento?
«Sai quando sono tornato dalla Spagna, come ti dicevo avevo lasciato tutto, il lavoro, una ragazza che amavo, la casa che avevamo scelto insieme, incluso una città che adoravo, non avevo più niente alle spalle e non avevo ancora niente davanti a me, quello che avevo erano gli sguardi incerti della mia famiglia che mi stava vedendo fare solo un'enorme cazzata. Puoi immaginarti come mi sentivo, nel bel mezzo del nulla. Ovvio che i dubbi assalivano anche me, in tutto questo la relazione che si andava esaurendo non aiutava, e i risparmi che avevo guadagnato a Madrid andavano finendo. Insomma i primi sei mesi qui a Palermo sono stati terribili, ma non sarei mai potuto tornare indietro e non lo volevo nemmeno. Quando le cose hanno cominciato a prendere forma e si sono visti i primi risultati mi sono guardato alle spalle e ho visto che il progetto che avevo stabilito stava proseguendo tappa dopo tappa, ho continuato a spingere fino ad adesso, ogni volta che prendo una mazzata capita sempre qualcos'altro che mi aiuta a rialzarmi e quella si chiama vita, perché "non c'è vento favorevole per chi non sa dove andare", si vede che questa è la rotta giusta. Come mi sento adesso? Orgoglioso come sempre, sono fiero del lavoro che abbiamo fatto almeno fino ad ora con Andrea, Mauro, Marco, Armando ed Ettore ed ora ci aspetta il "Tenco ascolta", altra splendida opportunità firmata club Tenco. Per il resto, ad maiora semper!».
Come capisci che una canzone è buona abbastanza per essere incisa?
«Non lo capisco, ne discuto con la band e se effettivamente è coerente con il concetto dell'album e gli arrangiamenti li riconosciamo soddisfacenti allora si può pensare di inserirla nell'album, ma l'ultima parola resta sempre quella del pubblico. Di solito mi fisso sulla reazione che ha la gente alle nostre canzoni e quello è un ottimo metro di giudizio».
Ti ricordi come hai iniziato a suonare?
«Certo! Ho cominciato facendo punk in un gruppo di provincia, all'epoca cantavo solamente o meglio gridavo come un dannato, ma almeno gridavo canzoni mie, poi mio fratello mi mise in mano una chitarra acustica e praticamente non l'ho più mollata, non ho mai familiarizzato con l'elettrica. Dopo presi a fare country riarrangiando in chiave acustica gli stessi pezzi punk. Cominciai a divertirmi con i versi nell'ultimo progetto "I Bardi" dove i brani venivano da un libro di poesie che avevo scritto e che musicammo con una band di ben nove elementi in chiave prog rock. Poi sono partito ed è cominciato il progetto da solista».
Ti consideri un cantautore?
«Beh! Mi sono sempre considerato prima di tutto un estimatore della vita e i suoi piaceri, quello che vedo e sento lo metto in versi perché sento mia questa forma di espressione. Canto e scrivo le mie canzoni, ho scelto di fare questa vita con le delusioni e le soddisfazioni, con le difficoltà che comporta avere questo come obiettivo. Oggi come oggi è dura essere presi sul serio, specie se sei all'inizio. Ma che ti aspetti? È giusto che sia così! Se vuoi essere preso sul serio devi lavorare seriamente, non fermarti mai, anche quando il mondo ti crolla addosso, sono in tanti quelli che aspettano soltanto di vederti abbassare la guardia, ma tu devi avere solo una cosa in mente e deve essere vedere dove ti porta quello che hai cominciato, come va a finire la tua storia, ma con la dignità di voler vedere sempre la faccia che vuoi allo specchio, e difendere con amore quello che ti senti di essere! Ebbene io sono Luca Burgio e sì, sono un cantautore».
Un po' di De André, un pizzico di Gaber, qualche riflesso di Capossela e Paolo Conte, e poi?
«Guarda hai centrato in pieno e me li hai nominati proprio tutti! Aggiungerei soltanto Mannarino e l'immancabile Tom Waits, ho preso a piene mani da tutti loro! Ma più in particolare questo disco parte da sonorità manouche, che ho sempre amato, e si arricchisce principalmente delle influenze classiche e folk della Maison Pigalle che ha saputo trovare il giusto equilibrio tra quanto distingue questi artisti e la loro unicità di gusto che ha reso "Vizi, peccati e debolezze" un album al momento abbastanza apprezzato».
Titolo: Vizi, peccati e debolezze
Artisti: Luca Burgio e Maison Pigalle
Etichetta: New Model Label
Anno di pubblicazione: 2016
Tracce
(testi e musiche di Luca Burgio)
01. 75 cl di brindisi
02. Satan's speech
03. La rondine e l'inverno
04. Il sordo
05. La sindrome di Dorian Gray
06. La cicala e la formica
07. Un bicchiere fra di noi
08. Un fegato in più
09. Buscavidas
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