I Tamuna arrivano da Palermo, dal triangolo formato dai quartieri Kalsa, Zisa e Noce. Nella loro musica si scorgono i segni delle culture che per millenni hanno contaminato e contribuito a creare quello che è oggi la Sicilia, la sua arte, i suoi uomini. Le mille sfaccettature di uno dei paesaggi culturali più ricchi e affascinanti si possono trovare in "Wood Rock", secondo album del gruppo dopo "Sicily World Music" e l'Ep in edizione limitata "15
minutes with Tamuna” pubblicato in allegato al libro di Daniele
Billitteri "Homo Panormitanus". I ritmi della tradizione, quelli scanditi dalla tammorra, si mischiano e si fondono con influenze blues, reggae, rock e pop. Il "rock di legno" dei Tamuna ci mostra ancora una volta come la musica, così come la cultura popolare e l'arte, non siano entità statiche ma dinamiche che si evolvono e mutano attraverso continue contaminazione. In quest'ottica non ci si deve stupire se il tamburello va a braccetto con il cajón o se i testi delle canzoni dei Tamuna passano con disinvoltura dal siciliano all'italiano e all'inglese. Così come solo apparentemente può apparire strana la scelta del nome di questo quartetto. Il termine Tamuna è infatti di origine georgiana e significa portatori di pace ma è anche il nome della regina più importante della Georgia, "Tamar", detta anche "re dei re, regina delle regine", un personaggio leggendario di questa regione caucasica crocevia tra Europa e Asia.
Un mix di contaminazioni, quindi, che rendono questo disco, pubblicato sotto etichetta New Model Label, fresco, moderno, ricco di fascino e suggestioni.
La line-up del gruppo è Marco Raccuglia (voce), Giovanni Parrinello (tamburello e percussioni), Carlo Di Vita (chitarre), Riccardo Romano (basso). In qualità di ospiti hanno collaborato Fabio Rizzo e il trombettista Alberto "Anguss" Anguzza.
In questa intervista collettiva ai Tamuna parliamo del disco e della variopinta cultura siciliana.
Dal cuore di Palermo un album che sia apre all'esterno con canzoni che costruiscono ponti linguistici tra italiano, siciliano e inglese e di genere. Qual è il substrato culturale che ha fatto nascere questo interessante progetto?
«Nella nostra cultura sicula è insito più che mai il concetto di commistione, è più forte di noi, probabilmente è quasi un bisogno ancestrale quello di mettere insieme lingue e culture differenti. Basti pensare alle diverse matrici del nostro dialetto, condizionato da tante dominazioni (araba, greca, normanna, gallica, iberica). Siamo cresciuti ascoltando attorno a noi le mille sfaccettature del nostro dialetto, che cambia di quartiere in quartiere, penso che tutto questo ci abbia in qualche modo influenzato».
Prima dei Tamuna quali sono state le vostre esperienze in ambito musicale?
«Ognuno di noi viene da esperienze differenti, Giovanni con la compagnia del suo teatro ha portato la musica popolare siciliana in giro per il mondo, Marco ha lavorato dentro alcune importanti produzioni di musical, Charlie come chitarrista blues ha suonato il lungo e largo vivendo per un po' in Ungheria, e Riccardo ha alle spalle diversi anni di palco di ogni tipo».
Con "Wood Rock" il ritmo del tamburo si mischia a strumenti come il cajón che nulla hanno a che fare con la tradizione della musica del sud Italia. Qual è il messaggio che volete trasmettere con la vostra musica?
«Un messaggio di pace, intesa come unione anche tra cose differenti. La musica è una manifestazione assoluta di pace, perché mette insieme, in questo caso, uno strumento peruviano e uno appartenente alla cultura mediterranea senza creare alcun disagio».
"Gerlando" è ispirato al libro di Daniele Billitteri "Homo Panormitanus. Cronaca di un'estinzione impossibile". La musica contaminata, come appunto la vostra, potrebbe però portare, se non proprio ad una estinzione, ad un annacquamento delle caratteristiche peculiari della cultura siciliana, non credete?
«Assolutamente no. A nostro modo di vedere la tradizione deve sempre stare al servizio dell'innovazione. Siamo musicisti, non vorremo mai perdere lo spirito ingegneristico dell'inventore, perché altrimenti saremmo semplici custodi della nostra tradizione».
Proseguiamo a parlare della canzone "Gerlando" che si conclude con una citazione di "Hey Jude" dei Beatles. Un divertissement oppure la scelta voluta di contrapporre i Beatles e la cultura inglese a quella colorata e "rumorosa" siciliana?
«A dire il vero è solo un divertissement, una simpatica citazione che volevamo fare da sempre, ma anche l'ennesima dimostrazione che dentro la musica ci può stare veramente di tutto. Inoltre volevamo dare un'altra gioia a Gerlando».
In "Emanuele" affrontate il problema della condizione dei giovani laureati italiani costretti ad emigrare all'estero per trovare lavoro. Una piaga che colpisce non solo il sud Italia. Secondo voi quali sono le soluzioni migliori da adottare per la vostra terra?
«Purtroppo non abbiamo soluzioni immediate, siamo vittime di decenni di mala politica ed è da una "sana" politica che bisognerebbe ricominciare. Palermo ha uno dei centri storici più grandi d'Europa, colmo d'arte, e prima in classifica per non saperli sfruttare al meglio, bisognerebbe partire anche da questa consapevolezza e iniziare a cambiare lo stato delle cose».
Nel disco ci sono anche due storie d'amore come "Fimmina" e "Oro e rame". Ce ne volete parlare?
«L'amore da due prospettive molto differenti. Quello di "Fimmina" è un amore nostalgico, è quello dei nostri genitori che vivono insieme da una vita e non riescono a immaginarsi l'uno senza l'altro. Ma è anche una visione storica, nel senso che testimonia come la tecnologia, l'innovazione, e tutto ciò che abbia a che fare con l'artificio umano, in qualche modo ci condizioni nelle dimensioni più intime del nostro quotidiano. Quando "il telefono non stava in mano ma nel corridoio", alcune cose erano veramente impensabili. "Oro e rame" invece ci riporta nel nostro tempo, ciò che in "Fimmina" è nostalgico qui è effimero. La canzone gioca sull'idea che l'amore altro non è che una grande, bellissima, illusione, e dunque illuso è colui che confonde il rame per oro».
"Rosalia" è dedicata alla Santa di Palermo. Una bella donna che si è opposta alla volontà del padre e ha scelto di donarsi a Dio. Un vero atto di ribellione…
«Esattamente! Quello che ci piaceva far venir fuori da questa storia è proprio la dimensione profana. Volevamo dedicare una canzone al tema della violenza sulle donne, e abbiamo preso come riferimento una donna con le radici ben salde nella nostra cultura. Rosalia, bella come il sole, costretta a subire la violenza psicologica del padre che l'aveva promessa in sposa ad un ricco uomo che lei non amava, e per questo si rifugiò a Monte Pellegrino, dove morì, per sposarsi a Dio. A Palermo la gente è molto devota alla "santa" pur non avendo idea di chi fosse la "donna"».
Tutte le vostre canzoni si chiudono con un messaggio positivo. È una speranza o una visione della vita che condividete con la vostra generazione?
«È solo il nostro approccio, sentiamo la necessità di canalizzare tutto dentro un messaggio positivo, che poi diventi una speranza o semplicemente la possibilità di estraniarsi da tutto il resto per qualche minuto. Ma non è un dogma o una cosa che ci siamo prestabiliti, è andata così, magari nel prossimo disco sarà tutto diverso».
Partite dalle sonorità tipiche della tradizione siciliana per contaminarle e ampliare l'orizzonte sonoro. Qual è il vostro pubblico più affezionato?
«Vantiamo un pubblico variopinto, fatto di grandi e piccini ed è una cosa che ci rende orgogliosi. Vedere ai nostri concerti adulti "costretti" lì dai loro figli è una sensazione meravigliosa».
In Sicilia l'uso del dialetto in musica non è un evento raro. Mi sembra che ci sia molta voglia di conservare e divulgare la cultura siciliana, forse molta più di altre realtà regionali. Cosa ne pensate?
«Non ci abbiamo mai riflettuto abbastanza in effetti. Però siamo isolani, prima ancora di qualsiasi altra cosa. La nostra identità culturale è molto condizionata da questo fattore».
Il disco si chiude, a sorpresa, con una undicesima traccia che è una reprise di "Rosalia". Perché questa scelta?
«In realtà è esattamente il contrario di come sembra. La prima versione del brano è quella tammorra e voce che chiude l’album, successivamente abbiamo deciso di farne una versione in cui a suonarla eravamo tutti, ma abbiamo poi deciso di tenerle entrambe nel disco».
Con "Wood Rock" avete conquistato il premio della critica e il premio come miglior interpretazione al Premio Parodi. Un bel riconoscimento per un gruppo che è attivo solo da due anni. Che ricordi avete di questa recente esperienza?
«È stata un'esperienza magnifica. Siamo arrivati lì senza grandi aspettative, essendo un festival dedicato alla world music, ci aspettavamo di essere un po' snobbati. Invece abbiamo vinto il premio che proprio non pensavamo di vincere, quello della critica (oltre a quello per la migliore interpretazione) che è sempre quello un po' più ambito da noi musicisti».
È curioso come nel libretto abbiate deciso di non specificare gli strumenti che ognuno di voi suona. La vostra idea è di considerare i Tamuna una entità indivisibile o vi è passato di mente?
«È stata una scelta ponderata, ci piace l'idea di considerare Tamuna come un'entità indivisibile che si avvale di noi quattro ma senza gerarchie di sorta».
Quali sono i vostri prossimi progetti?
«Nei prossimi mesi porteremo la nostra musica fuori dall'Italia, esattamente a Londra. Abbiamo già diverse date e stiamo lavorando per incrementarle. E poi si vedrà».
Titolo: Wood Rock
Gruppo: Tamuna
Etichetta: New Model Label
Anno di pubblicazione: 2014
Tracce
(musiche e testi di Riccardo Romano, Carlo Di Vita, Marco Raccuglia, Giovanni Parrinello, eccetto dove diversamente indicato)
01. Penso
02. Fimmina
03. Ciuscia [Raccuglia, Parrinello, Di Vita]
04. Gerlando [Raccuglia, Parrinello, Di Vita]
05. Emanuele
06. Oro e rame
07. Rosalia
08. Seguimi
09. Never
10. Lasciala libera
11. Rosalia (reprise)
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