lunedì 30 giugno 2014

Pulin and the little mice all'esordio discografico






Si intitola "Hard times come again no more" ed è il primo disco dei Pulin and the little mice, gruppo savonese di musica folk sulle scene ormai da diversi anni. In questo album Marco Crea, Marco Poggio, Giorgio Profetto e Matteo Profetto hanno dato una loro personale lettura a brani della tradizione americana e irlandese. Canzoni note a chi ha avuto il piacere di assistere ad un loro concerto, sicuramente tutte da scoprire per chi non è un esperto del genere. Undici episodi rivisitati con l'ausilio di una strumentazione rigorosamente acustica che fanno da filo conduttore a un viaggio che parte dalla Liguria e che fa tappa nella verde Irlanda, per ripartire alla volta della Guascogna e poi dell'America del 1800 con le sue vaste praterie e la Grande Depressione, e nel secolo successivo con Leadbelly e i padri della musica folk e con Woody Guthrie che suona la sua "this machine kills the fascists". È un viaggio piacevole, vissuto in prima classe e organizzato con cura minuziosa dai Pulin and the little mice ma anche un invito alla ricerca di tanta musica che merita solo di essere riscoperta e valorizzata.
Il disco prende il titolo dalla famosa canzone di Stephen Collins Foster del 1854 che in questi ultimi anni ha trovato una nuova giovinezza grazie alle interpretazioni di Bruce Springsteen in occasione del Wrecking Ball Tour, di Mavis Staples, di Iron & Wine, di Paolo Nutini insieme ai Chieftains e di tanti altri. La canzone di Foster chiude il disco e il testo tradotto in italiano trova spazio sul retro copertina.
"Hard times come again no more" è un prodotto che ha visto coinvolte alcune delle migliori realtà del savonese: la registrazione è stata curata a Loano da Alessandro Mazzitelli, vero punto di riferimento per i musicisti della provincia e non solo, mentre la grafica è di Alex Raso che ha lavorato con gusto a tutto il packaging.
Ecco di seguito l'intervista "collettiva" ai Pulin and the little mice.



Come è avvenuta la scelta delle canzoni che presentate nel disco?

«Abbiamo selezionato, fra i pezzi che proponiamo dal vivo, quelli che ci sembrava potessero "dire qualcosa", in cui magari gli arrangiamenti fossero diversi dalle versioni originali. Per tutti i brani è stato così, tranne per "Hard times come again no more", brano che chiude e che dà il titolo al disco, il cui arrangiamento, non a caso, è completamente diverso da tutti gli altri».

Curiosa ma azzeccata l'idea di legare brani diversi per creare piccoli medley a tema. Come vi è venuta questa idea?

«Credo che, insieme all'uso di più voci, sia la caratteristica più importante della band. Il tutto è dettato dal nostro cercare di "vedere" la musica (almeno quella di origine popolare) senza vincoli geografici né storici. D'altronde l'incontro musicale tra differenti culture ha prodotto, in passato come in tempi recenti, risultati a dir poco straordinari. Ed è questo il messaggio che, nel nostro piccolo, cerchiamo di trasmettere a chi ci ascolta».

C'è molta Irlanda in questo disco, forse più di quella che normalmente presentate dal vivo. Mi sbaglio?

«In realtà, per puro caso, i brani irlandesi sono a pari merito con quelli di origine americana, anche se c’è spazio per un rondò della Guascogna così come per un brano tradizionale ligure. Per quanto riguarda i concerti, dipende un po’ dalle situazioni, non teniamo mai una scaletta fissa, quindi a volte può capitare di dare più spazio a un certo tipo di sonorità piuttosto che ad un'altra. Comunque siamo indubbiamente debitori, nonché grandi ammiratori, della cultura musicale irlandese».

Tra tutte queste canzoni della cultura anglosassone c'è un accenno strumentale a un motivo tradizionale ligure: "Baccicin vattene a ca". Perché questa scelta?

«Il set che abbiamo chiamato "Sweet Durin" in cui è inserita "Baccicin vattene a ca" in realtà dal vivo è inserita all’interno di un set di canzoni francofone. Ci sembrava che questa melodia potesse sposarsi bene con "Sweet Marie" e che l’armonica sola potesse rendere efficacemente il brano. Ci piaceva l'idea di usarlo come ponte tra la prima e la seconda metà del disco, attraversando, inoltre, nel nostro viaggio musicale, anche la Liguria».

Ascoltando il disco mi pare di capire che avete lavorato molto sulle voci. E' così?

«Dal vivo cerchiamo di usare con più impegno possibile le armonie vocali (senza esagerare che non siamo CSN&Y) e dal momento che il disco è composto da brani che proponiamo anche nei concerti, la scelta è stata per così dire obbligata».

"Hard times come again no more" è l'ultima canzone ed è anche il titolo dell'album. Un riferimento anche ai tempi amari che devono vivere i musicisti emergenti?

«Il titolo del disco può essere visto da ognuno secondo le proprie sensazioni; per questo motivo il testo del brano omonimo è l’unico di cui si può trovare la traduzione in italiano, nel retro copertina. Certo non è un momento facile per l’Italia e per le persone, ma di sicuro, in scala più piccola, ognuno di noi ha vissuto e vive dei momenti difficili, in cui l’unica motivazione che ti spinge a superarli è il pensiero e l’impegno nel non volerli rivivere mai più».

Quanto sono durate le sessions di registrazione?

«Ecco, questa è forse l’unica vera pecca della registrazione del disco. Ci abbiamo messo più di due anni, un’infinità. Probabilmente abbiamo un po’ pagato la nostra assoluta inesperienza in studio di registrazione, che malgrado possa sembrare un ambiente "più protetto" rispetto a un palco, è al contempo disorientante se non lo conosci. Inoltre abbiamo registrato il disco nel tempo libero, cercando di essere sempre tutti presenti. A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che siamo quattro ragazzi a cui piace vivere le cose senza fretta, non è nella nostra indole forzare i tempi».

Quando avete capito che eravate sulla strada giusta?

«E chi lo sa se sia stata la strada giusta? A parte gli scherzi, per tre di noi è stata la prima esperienza in studio, non siamo partiti con un'idea precisa del risultato finale».

E' il vostro primo disco, quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato?

«Mah, come dicevamo prima, è stato tutto molto bello, a posteriori, ma essendo stata un'esperienza inedita per noi, ci siamo scontrati con un mondo completamente sconosciuto, dalla registrazione (a volte non in diretta), al mixaggio, ai tempi lunghissimi, alla burocrazia, alla scelta della copertina».

Molto simpatica e riuscita la copertina…

«Grazie! Abbiamo valutato diverse ipotesi e alla fine abbiamo scelto quella. Ci siamo anche dati un'interpretazione che lega il titolo alla copertina, ma entriamo in discorsi difficili…».

A chi consigliate questo disco?

«Ovviamente a tutti! Uomini, donne, bambini, nonni, coppie, cani e animali di ogni genere. A parte gli scherzi, abbiamo cercato con questo disco, e ancor di più durante i concerti, di mettere del nostro nella musica che suoniamo, evitando di essere solo degli esecutori, infondendo nei brani un briciolo della personalità d'ognuno di noi, nell'umile tentativo di incuriosire chi ci ascolta e avvicinarlo alla musica che amiamo così tanto».

Cosa cambia per i Pulin and the little mice adesso che avete un disco pubblicato?

«Sicuramente la consapevolezza di poter condividere la nostra passione con il pubblico non solo attraverso i concerti».

Dopo un album di cover quale sarà il vostro prossimo passo?

«Come forse si è capito da quanto detto in precedenza, il discorso cover per noi non ha una grossa importanza, visto anche che quasi tutti i brani che suoniamo in concerto sono, ai più, praticamente sconosciuti. Tutto sommato il nostro obiettivo in questo senso è sempre stato quello, come accennavamo prima, di metterci del nostro dal punto di vista dell’arrangiamento, degli accostamenti, delle esecuzioni, poi che il brano sia d’autore, tradizionale o composto da noi importa abbastanza poco. Il prossimo passo? E chi lo sa!»

Qual è il vostro disco preferito di sempre?

«Questa è una bella domanda, a cui è veramente complicato rispondere, essendo quattro teste diverse, ma d’altronde, per contratto, siamo costretti a rispondere "Hard times come again no more" dei Pulin and the little mice».



Titolo: Hard times come again no more
Gruppo: Pulin and the little mice
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2014

Tracce

01. Ain't no grave gonna hold my body down / The old maid of Galway
02. Patrick was a gentleman / Dennis Murphy's polka / The wistful lover
03. The auld triangle
04. Hard travelin' / Seneca square dance
05. St. James infirmary blues
06. Sweet Durin (Sweet Marie + Baccicin vàttene a cà)
07. Goodnight Irene / I always knew you were the one
08. Deep Ellum blues
09. You don't knock
10. Star of the County Down / La passade
11. Hard times come again no more





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