martedì 18 marzo 2014

Gianfilippo Boni e le canzoni venute da lontano






Produttore, arrangiatore, stimato musicista e cantautore. La carriera di Gianfilippo Boni da oltre vent'anni si divide equamente tra tutti questi impegni musicali. Ha prodotto l'esordio di Marina Giaccio e Giorgia Del Mese, ha collaborato con Lucio Dalla, Gianni Morandi e Samuele Bersani. E ha inciso dischi. Tre, per l'esattezza. Nel 1995 ha esordito con "Cinema" per la Fonit Cetra, seguito nel 2003 dall'album "Con le zanzare". E dieci anni dopo ecco il terzo capitolo del musicista fiorentino, intitolato semplicemente "Gianfilippo Boni". Un disco intimo, autobiografico, il cui stile si ispira a molta della miglior produzione del periodo d'oro del cantautorato italiano degli anni Settanta. Si possono rintracciare, qua e là, influenze di Dalla, echi del più ispirato De Gregori, spruzzate di Caputo. Il tutto racchiuso in dieci canzoni che hanno il dono di suonare moderne, al passo con i tempi. Si tratta di un piccolo gioiello musicale che si colloca lontano dai clamori e dalle mode e che, fortunatamente, non ha nulla da spartire con certe produzioni plastificate e prive di ispirazione che saturano il mercato discografico italiani.
Per il suo terzo album solista, Boni ha radunato intorno a sé alcuni dei migliori musicisti della scena fiorentina, tra cui Bernardo Baglioni alla chitarra e Fabrizio Morganti alla batteria. Senza dimenticare il tocco di classe che Stefano Bollani ha saputo dare a "Van Gogh", brano di rara bellezza che chiude un album ricco di suggestioni che cattura non solo per la musica ma a cominciare dalla splendida copertina realizzata da Francesco Chiacchio




Gianfilippo, in quasi vent'anni hai pubblicato solo tre dischi. Non si può certo dire che non siano progetti pensati a lungo… Come lo spieghi?

«In realtà la domanda ha una semplice spiegazione nel fatto che, arrangiando e producendo artisticamente anche lavori per altri cantautori, il tempo è sempre tiranno e di conseguenza anche le energie. La seconda motivazione sta nel fatto che preferisco far decantare le canzoni un po' di tempo, come il vino: sulla lunga distanza, resistono quelle più convincenti».

Qual è stato lo spunto che ti ha convinto a far nascere questo nuovo album?

«Un'urgenza interiore. Le canzoni erano estremamente sentite e rappresentavano un periodo importante della mia vita. Avevo la necessità di fissarle per poi andare oltre».

Quali sono state le difficoltà maggiori nel realizzarlo? Hai qualche aneddoto curioso da rivelarci?

«Realizzare un album è sempre molto dispendioso, in primis psicologicamente: è un modo per mettersi in gioco e confrontarsi con gli altri. Più si invecchia, più in qualche modo si cerca di evitare questo confronto. Per me la difficoltà maggiore è stata decidere di farlo. Poi, avviata la macchina, il disco ha preso forma grazie a Lorenzo Forti, che ha curato con me gli arrangiamenti e mi ha convinto a non mollare. Per quanto riguarda gli aneddoti: eravamo fermi su un brano, provavamo ad arrangiarlo con varie soluzioni ma non ci convinceva, alla fine ci eravamo arresi. Poi a Lorenzo è venuto un arpeggio di chitarra che mi ha emozionato. Nella notte ho scritto un nuovo pezzo, tutto di un fiato: "Senza disturbare"».

Il titolo "Gianfilippo Boni" fa pensare a un album profondamente autobiografico. Mi sbaglio?

«Sì. È interamente e profondamente autobiografico. Avrebbe dovuto ipoteticamente intitolarsi "Senza filtro", ma rimandava troppo all'idea di sigaretta. Alla fine il titolo migliore era il mio nome e cognome».

Come dicevi prima, oltre a essere cantautore sei anche uno stimato arrangiatore e produttore artistico e nel disco si sente. Hai messo grande cura negli arrangiamenti e nella ricerca di una qualità strumentale superiore alla media. Come si sono svolte le sedute di registrazione e quanto tempo hai dedicato a questo lavoro?

«Devo la cura degli arrangiamenti principalmente a Lorenzo Forti. Avevo realizzato negli anni dei provini abbastanza strutturati ma c'era bisogno di una visione dall'esterno. Ero troppo dentro al progetto e così è stato Lorenzo a modificare il mio materiale, integrandolo e cambiando ciò che non lo convinceva. A volte è stato difficile staccarsi dalle mie vecchie idee: per la cronaca, abbiamo escluso perlomeno dieci brani. È stato davvero un lavoro a quattro mani, senza prevaricazioni, dando spazio al dialogo e al confronto. Le sessioni si svolgevano, ahimè, ritagliando il tempo da altri lavori che stavo facendo: per questo ci è voluto più di un anno a chiudere il disco, dedicandocisi perlopiù nella notte. È un disco decisamente notturno. Si ascolta bene nel silenzio della notte».

"Potrei" mi ha ricordato certe sonorità di Lucio Dalla, con cui hai anche lavorato. È così?

«A "Potrei" sono particolarmente affezionato, perché è nata spontaneamente, anch'essa nella notte, ed è semplicemente un piccolo autoritratto. Il mio primo album, "Cinema", uscito per la "Fognit tetra" - lapsus, scusami - "Fonit Cetra" (in realtà l'avevo soprannominata così), era prodotto dal grande produttore ed arrangiatore Bruno Mariani, da anni produttore artistico di Lucio Dalla, Luca Carboni, Samuele Bersani e molti altri. L'amicizia con Bruno mi ha portato in seguito a una collaborazione su una trentina di puntate di una fiction RAI, "Sotto casa", con colonna sonora firmata da Lucio Dalla. Dalla è sicuramente un mio punto di riferimento: ti basti pensare che a otto anni i miei primi LP acquistati furono "Come è profondo il mare" di Dalla e "Via Paolo Fabbri 43" di Francesco Guccini». 

Ci racconti qualche aneddoto di quel periodo con Dalla?

«L'unica cosa che posso dire è che alcune persone nascono per fare musica: ogni sua frase melodica, sia con la voce, sia con il clarinetto, sia con il sax o il piano era incredibilmente musicale, riusciva sempre ad emozionarti. Questo talento non è comune a molti».

Per questo album hai radunato alcuni dei migliori musicisti della scena fiorentina. Cosa sta accadendo a Firenze e dintorni?

«Firenze è sempre stata una grande fucina di musicisti validissimi. Io ho l'onore di conoscerne tanti e spesso di lavorarci insieme; del resto è il mio modo di produrre musica, affiancarmi e dialogare con persone dotate di grande sensibilità musicale. Il problema è sempre lo stesso: la musica è sempre più bistrattata e coperta dal rumore di fondo. A volte si assiste a grandi concerti di jazz con la gente che urla o festeggia compleanni e i musicisti fanno sottofondo, o peggio ancora arredamento. Firenze, ahimè, è una città con una certa predisposizione all'apparenza e un po' meno alla sostanza... Quindi, tanti locali ma poco ascolto e sempre più voglia di generi musicali d'intrattenimento. Vivere di musica non è facile, ci si deve adattare a fare un po' di tutto».

Nel suo insieme il disco non ha cedimenti. C'è però qualche brano di cui sei particolarmente orgoglioso?

«Il brano di cui sono e sarò sempre orgoglioso è sicuramente "Van Gogh"; anche se non è recentissimo, continua ad emozionare le persone che lo ascoltano e questa per me è la vittoria più importante».

Qual è la tua dimensione ideale: in studio o dal vivo?

«Esattamente 50 e 50: lo studio mi appassiona, perché ciò che produci rimane nel tempo, ma senza il live non potrei farcela, tenderei ad un isolamento troppo forzato. Alla fine ho sempre suonato e cantato per la gente e andare in giro per l'Italia, anche ad accompagnare pianisticamente i cantautori che produco, mi permette di vivere come ho sempre sognato. Mi dà l'occasione di fare conoscenze e di sentirmi uno 'zingaro felice', tanto per citare un altro mio punto di riferimento, Claudio Lolli. Ma per quanto io sia un cantautore legato alla tradizione, si anima dentro di me una passione profonda per il rock, in particolar modo per quello di Lou Reed e di Federico Fiumani, mio concittadino e fonte di grande ispirazione».

L'album si chiude con "Van Gogh" a cui ha contribuito anche Stefano Bollani. Come è nata questa collaborazione?

«Stefano Bollani è il più grande musicista che ho conosciuto, dotato non solo di tecnica e conoscenza musicale... È istrionico: talento ed estro allo stato puro. Lo chiamammo per suonare la fisarmonica su "Van Gogh", lui ascoltò il brano e mi disse: ‹Posso suonarci anche il piano?›. In un battibaleno cancellai la mia traccia di pianoforte e lui alla prima la risuonò. Un verso della canzone recita ‹Francia fine ottocento›; mi ricordo che mi disse: ‹E se fosse stato New Orleans anni '50?› e suonò un piano in stile e così via, giocando con epoche e stili. Un grande che ama divertirsi con la musica. Poi mise la fisarmonica, sempre alla prima, e se ascolti bene si sente che canta il solo mentre lo esegue. Non finirò mai di ringraziarlo per la musica che mi ha regalato, nel vero senso della parola: non volle soldi... Ci tengo anche a ringraziare un caro amico comune a Stefano, Lorenzo Piscopo, chitarrista ed arrangiatore: è grazie a lui se ci siamo conosciuti».

In molti testi delle canzoni del disco è presente la figura femminile ("In ogni stanza", "Senza di te", "Finta di niente"), la stessa che abbracciata compare nella bella copertina del disco. È per te una fonte importante di ispirazione e perché?

«La figura femminile in questo disco è centrale, è un lavoro che è ispirato totalmente dalle donne importanti e significative della mia vita: da mia madre alle mie compagne, fino a mia figlia. L'ispirazione non può che nascere dal continuo confronto e approfondimento con l'altro sesso; un confronto antico, come l'illustrazione in copertina di Francesco Chiacchio, che fotografa esattamente lo stato d'animo a cui tenevo: un uomo e una donna stretti in un ballo antico, dolce e nostalgico, anche lievemente assente; del resto l'assenza è un altro tema centrale del lavoro».

Come ti confronti con la tecnologia?

«Devo dire che ho sempre avuto un ottimo rapporto con la tecnologia: da ragazzo ero un patito di videogiochi, crescendo ho perso questa passione, ma non del tutto... (ride)… Sono sempre rimasto affascinato dalla tecnologia, me la cavo abbastanza bene con le macchine; in studio di registrazione devi per forza aggiornarti continuamente e questo fa sì che mi tenga sempre in allenamento. Con l'età ho anche capito che la tecnologia ti può fregare e che ha i suoi limiti: alla fine è sempre meglio fare una bella passeggiata in mezzo alla natura, piuttosto che passare ore davanti ad uno schermo».

Dovremo aspettare altri sette-otto anni per vedere il tuo quarto disco solista oppure hai già qualcosa in cantiere?

«Questo lo devi chiedere a Lorenzo Forti e dipende da quanto sarà capace di stimolarmi ed infondermi la voglia di pensare ad un nuovo lavoro. In realtà avevamo appena finito questo e già mi stava proponendo un nuovo progetto, completamente diverso da quello che avevamo  realizzato. Probabilmente stavolta passeranno quattro anni. Se ci prende bene, faremo un disco con influenze swing. Sarà sempre un po' malinconico, ma ci sarà perlomeno un bel 'battere e levare' per dirla alla De Gregori».


Titolo: Gianfilippo Boni
Artista: Gianfilippo Boni
Etichetta: Tumtumpa Records
Anno di pubblicazione: 2014


Tracce
(testi e musiche di Gianfilippo Boni, eccetto dove indicato)

01. Passano
02. Potrei
03. In ogni stanza  [testo Massimo Chiacchio, musica Gianfilippo Boni]
04. Senza di te
05. Ti offro
06. Con la crisi che c'è
07. Senza disturbare  [testo Gianfilippo Boni, musica Lorenzo Forti e Gianfilippo Boni]
08. Finta di niente
09. Completamente senza
10. Van Gogh




giovedì 13 marzo 2014

I Qirsh hanno ripreso il viaggio di "Sola andata"





A volte ritornano ed è una bella notizia. Sul finire degli anni Novanta, nelle vesti di promettente band giovanile, hanno imperversato sulla scena ligure conquistando una discreta notorietà e un buon successo. Ora, dopo un periodo di oblio, complice le inevitabili responsabilità che la vita impone, i Qirsh sono tornati e lo hanno fatto in grande stile pubblicando il loro secondo disco. "Sola andata" è il titolo del cd che ha visto la luce nelle scorse settimane per la Lizard Records, importante e prestigiosa etichetta indie. Disco che è arrivato sedici anni dopo "Una città per noi", uscito in poche copie su cassetta e diventato quindi oggetto da collezione. Il nuovo album è composto da nove canzoni, nate tra il 2009 e il 2011, che spaziano dal rock alternativo al progressive e al pop. Il filo conduttore del disco, registrato artigianalmente ma con grande cura a partire dal 2012, è il viaggio come esperienza di vita. Che sia in un mercato algerino ("Mercato Ghardaia") o in Indonesia ("Malaria"), oppure in una folle corsa in ambulanza ("Rianimazione") o in agghiaccianti episodi di cronaca ("Figli del piccolo padre"). L'album è intrigante, per certi versi esotico, con richiami a suoni degli anni '70 ma difficilmente collocabile nelle anguste e riduttive cellette di classificazione di generi.
Il sestetto savonese è formato da Andrea Torello (basso e voce), Daniele Olia (chitarre, tastiere e voce), Leonardo Digilio (piano e tastiere), Marco Fazio (batteria e percussioni), Michele Torello (chitarre), Pasquale Aricò (synth e cori).
Nell'intervista che segue Andrea Torello ci parla dei Qirsh e del nuovo disco.



Siete insieme dal 1993 e dopo l'avventurosa registrazione di "Una città per noi" del 1997, è finalmente arrivato il momento di tornare in scena con l'album "Sola andata". Cosa è successo in questi anni?

«In sedici anni sono successe tantissime cose: lauree, lavori, viaggi, trasferimenti, matrimoni, figli, e anche problemi esistenziali molto seri. Ad uno di noi si è rotta la tastiera, che non deve essere visto solo come un problema prettamente tecnico. Il motivo per cui è passato così tanto tempo dal primo album è che per alcuni anni siamo stati attirati maggiormente dalle serate live e ci siamo concentrati sulle cover, per accontentare il pubblico e per avere più opportunità di suonare. Inoltre dai primi anni 2000, non appena laureati, quasi tutti contemporaneamente, alcuni di noi si sono trasferiti in altre città per esigenze lavorative, e ciò ha rallentato l'attività del gruppo. Ancora oggi metà band non vive a Savona». 

Perché avete voluto riprovarci?

«Ad un tratto ci siamo resi conto che il tempo stava passando, ma avevamo ancora tante cose da dire, e che anzi, praticamente avevamo ancora tutto da dire. Quindi ci siamo rimessi a creare e abbiamo dato alla luce una serie di nuovi brani, che per fortuna sono piaciuti all'etichetta Lizard. Il passo successivo è stato la nascita di "Sola Andata", il nostro primo vero album». 

Non siete tutti troppo grandi per giocare a fare i musicisti?

«Veramente ci sentiamo ancora una boy band e ricordiamo come se fosse ieri il nostro esordio sul palco della festa parrocchiale, era il 1993. Comunque promettiamo che tra 40 anni smetteremo di suonare e ci dedicheremo ad attività più serie». 

Negli anni a cavallo tra il 1998 e il 2001 avete imperversato nei locali e sui palchi di mezza Liguria conquistando anche una discreta notorietà. Cosa ricordi di quel periodo?

«Ricordo tre utilitarie che viaggiano sull'Aurelia caricate di strumenti fino all’inverosimile,  ricordo le fatiche per montare e smontare il palco, la cena col panino offerto dal padrone del locale (o a volte decurtato dal già scarso compenso), le interazioni col pubblico (che spesso invitavamo a suonare con noi... e che spesso risultava più bravo di noi), ricordo un'esibizione in playback su una TV locale (col cavo della chitarra collegato a un tappeto), il nome del gruppo storpiato sui manifesti all'entrata dei locali (Quirsh, Kirsh, Quiershh) ma ricordo anche le innovazioni. Siamo stati tra i primi gruppi giovanili savonesi ad avere un sito internet (1997), a tappezzare la città di volantini colorati plastificati, per la gioia del Comune, a suonare in posti originali: su una motonave in navigazione, all'entrata di una banca, su un camion, sul palco di una lap dance, in un maneggio e anche in un museo. Quest'ultimo in tempi più recenti: il museo storico  dell'Alfa Romeo, ad Arese, nel 2010. Siamo stati anche i primi a suonare la versione integrale di "Shine on you crazy diamond" dei Pink Floyd alla festa dei licei, rischiando il linciaggio».

Qual è ora l'ostacolo più grande che vi tiene lontano dai palchi?

«Rispetto al passato la sensazione è che ci siano sempre meno opportunità per presentare la propria musica originale, e sempre meno locali interessati a fare live. E sicuramente c'è anche meno gente interessata a questo tipo di intrattenimento, molto anni '90. Ma se capitano occasioni non ce le faremo scappare. Nel caso peggiore ci ripresenteremo alle feste parrocchiali con buona pace di tutti». 

Quali sono le vostre fonti di ispirazione?

«Se parliamo di gruppi o artisti che ci hanno influenzato, la lista è lunga (anche perché siamo in sei e ognuno di noi ha le sue preferenze specifiche), ma basti ricordare che la nostra scaletta storica comprendeva cover di Pink Floyd, Queen, U2, CSI, Pooh, Elio, REM, Doors, a cui aggiungiamo Genesis, Battiato, rock progressive anni '70, new wave anni '80… e infatti alla fine il nostro genere è stato definito un mix di pop-rock-progressive. Ma le definizioni sono sempre limitanti, non ci piace inquadrarci».

E le canzoni del nuovo album?

«Il tema dell'album è il viaggio. Siamo molto legati all'idea del viaggio, sia come gruppo che singolarmente. Ognuno di noi viaggia molto, a volte prendendo l'aereo per destinazioni remote, a volte rimanendo nella sua stanza con un paio di cuffie nelle orecchie. Alcune canzoni sono nate sedendosi davanti a una tastiera e cominciando a farsi trasportare dai suoni o dalle sequenze di accordi; altre canzoni invece si sono materializzate nella nostra mente durante qualche viaggio, guardando persone e ambienti che scorrevano fuori dal finestrino». 

Nell'immagine di copertina, seppur nella sua bellezza, vedo un gruppo di sopravvissuti che si sta radunando sul finire di una spiaggia dopo una esplosione nucleare. Ho sicuramente una visione distorta ma cosa te ne pare?

«In realtà quella foto rappresenta solo un gruppo di persone su una spiaggia australiana in una normale giornata infrasettimanale. C'è chi fa due passi per rilassarsi, chi fa volare aquiloni, chi con una tavola da surf sottobraccio pensa a come affrontare le onde nel modo migliore. Tutti viaggi, anche piccoli e di routine, nel quotidiano di ciascuno di noi. Alla strage nucleare in effetti non avevamo pensato». 

Le tragedie, i morti, le malattie, gli abbandoni e i viaggi sono al centro delle vostre canzoni. Qual è la vostra visione del mondo?

«Non è così catastrofica, anzi l'album vuole trasmettere un messaggio positivo: viaggiate, esplorate, aprite la vostra mente. Purtroppo le esperienze tragiche possono lasciare il segno più di quelle positive e riflettersi quindi nelle canzoni in modo più evidente ma bisogna essere capaci di andare avanti... non a caso l'album si intitola "Sola andata"». 

In "Figli del piccolo padre" parlate di Andrei Chikatilo, il mostro di Rostov che ha ucciso 53 persone, e del figlio Yuri che viene aiutato dallo Stato a cancellare il passato e a rifarsi una vita. Cosa vi ha spinto a cantare questa storia?

«Questo brano è uno dei più controversi dell'album. È nata per prima la parte strumentale, che ci ha spinto verso la narrazione di una storia forte; e così il viaggio in questo caso è diventato un viaggio nella cronaca e nella psicologia, che ha toccato alcuni dei risvolti più oscuri della storia russa del secolo scorso». 

"Rianimazione" ha qualcosa di claustrofobico ma allo stesso tempo lo trovo rassicurante. Cosa vi ha ispirato a scrivere questo brano?

«In realtà tutte le persone che hanno ascoltato il brano ci hanno detto che trasmette ansia! D'altra parte è la rappresentazione di una folle corsa in ambulanza... anche quello è un tipo di viaggio... che poi sia un viaggio realmente accaduto o no non è dato sapere».

Come vedi la musica ha tante letture differenti. Passiamo a "Malaria". Qual è il messaggio del testo ‹Devo aspettare, solo aspettare, restare sveglio è fondamentale. Non riesco a parlare›?

«"Malaria" è il classico pezzo che rappresenta una situazione di difficoltà, fisica o psicologica, in cui ciascuno di noi si può trovare e deve far ricorso a tutte le proprie energie per affrontare il viaggio del superamento dell'ostacolo, di qualsiasi natura esso sia. Il testo è parte di questo discorso». 

"Artico" è dedicata a Umberto Nobile e alla tragica avventura al Polo Nord con il dirigibile Italia. Cosa può rappresentare oggi questa storia?

«Quello fu un importantissimo viaggio di esplorazione scientifica, la prima volta al Polo Nord, una conquista tutta italiana. Un esempio che merita di essere ricordato. La missione ebbe un finale tragico ma vide anche l'epica resistenza dei sopravvissuti della "tenda rossa". Questa canzone vuole cogliere proprio lo spirito dell'esplorazione, il desiderio ancestrale dell'uomo di scoprire e spingersi sempre un po' più in là». 

Il disco si chiude con "La nebbia", il racconto di un abbandono…

«Una lunga attesa in aeroporto, e poi la nebbia, forse più metaforica che reale. Una situazione in cui tutti ci siamo trovati almeno una volta nella vita, non solo quelli che partono dall'aeroporto di Malpensa». 

Quando vi rivedremo dal vivo?

«Sabato 15 marzo suoneremo alla Pentola Magica di via Stalingrado a Savona, poi il 5 aprile saremo ospiti in diretta su radio Base Popolare Mestre».


Titolo: Sola andata
Gruppo: Qirsh
Etichetta: Lizard Records
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Daniele Olia, eccetto dove diversamente indicato)

01. Artico
02. Mercato Ghardaia
03. Myflower  [Leonardo Digilio]
04. Figli del piccolo padre
05. 5a, finestrino
06. Rianimazione
07. Malaria  [Michele Torello]
08. Vento delle isole
09. La nebbia





mercoledì 26 febbraio 2014

Valentina Amandolese, le note rosa di Genova






Il cantautorato femminile, poco rappresentato nel periodo di massimo splendore della scuola genovese, ha trovato negli ultimi anni interpreti molto interessanti. Una di queste è Valentina Amandolese, cantautrice genovese che si è presentata al grande pubblico vincendo nel 1998 il concorso "Generation Globe" e partecipando al festival francese "Le printemps de Bourges". Dopo un paio di Ep autoprodotti, la Amandolese ha pubblicato, nel 2011, il suo disco d'esordio intitolato "Nella stanza degli specchi". Un album accolto molto bene dalla critica che ha apprezzato la capacità di scrittura e la voce potente e allo stesso tempo melodiosa dell'artista genovese. A tre anni di distanza la Amandolese è al lavoro per dare un seguito a questo disco dalle belle sonorità rock-indie. Oltre a essere una valida musicista, la Amandolese è anche una delle fondatrici dell'associazione culturale Lilith che si occupa di promuovere e dare spazio alle nuove cantautrici e che ogni anno organizza a Genova il "Lilith - Festival della musica d'autrice".
Con Valentina abbiamo parlato della sua musica, dei progetti futuri e naturalmente di Lilith.




Sono passati più di dieci anni dalla vittoria al concorso "Generation Globe". Cosa è cambiato nel tuo modo di intendere la musica?

«Ricordo con estrema tenerezza i miei 17 anni e quella partecipazione, diciamo che in qualche modo ha segnato uno step importante nella mia vita di musicista: da poco avevo iniziato a scrivere canzoni e quello è stato il primo riconoscimento di una certa importanza, mi ha incoraggiata a proseguire. L'entusiasmo è sempre lo stesso, sicuramente è cambiato l'approccio. Dopo tanti anni di esperienza mi sento un pochino più "corazzata" e consapevole rispetto a quella ragazzina che partiva per la Francia con negli occhi sogni ancora da scoprire». 

Dopo un paio di Ep, nel 2011 hai pubblicato il tuo primo disco, "Nella stanza degli specchi". A tre anni distanza lo rifaresti?

«Il primo disco è sempre un passo importante, tante volte lo progetti, lo pianifichi, lo immagini. Poi a un certo punto ti senti pronta, focalizzi le idee su quello che vuoi che sia il tuo biglietto da visita. Ho lavorato tanto per quel disco, registrato a Catania con Daniele Grasso al The Cave Studio, e riascoltandolo oggi credo che non cambierei molto. Sono ancora orgogliosa del lavoro svolto sia in fase di scrittura che poi in fase di arrangiamento e realizzazione. E non è poco, spesso riascoltando cose fatte in passato ci si ritrova a non esserne più tanto convinti, ma a me non è successo». 

Tu genovese sei andata a Catania per realizzarlo. Non potevi restare nella città di Tenco, Paoli, Lauzi, De André e Bindi?

«Eh eh, in tanti mi hanno fatto questa domanda. La risposta è piuttosto semplice: la mia città è molto legata al cantautorato classico, io invece mi sono sempre sentita una "cantautrice atipica", molto più influenzata dalle sonorità inglesi e americane, molto attenta alla componente strumentale delle canzoni. Il rischio è quello, in Italia, di risultare né carne né pesce, né cantautrice né musicista rock. In altri paesi questo problema non si è mai posto, e forse piano piano anche qui, almeno in un certo panorama che sento affine, quello indie, le cose stanno cambiando. Insomma, per seguire questo intento - un cantato in italiano che si fonde con sonorità più internazionali e alternative - Catania e quello studio in particolare mi sono sembrati i luoghi giusti». 

Come hai anticipato, trovo che il tuo disco abbia un suono molto internazionale. A influenzarti sono stati i tuoi ascolti in età giovanile?

«Assolutamente sì - vedi che tutto torna, per fortuna il mio lavoro viene percepito così come volevo che arrivasse al pubblico -. Sono sempre stata molto curiosa, ho sempre ascoltato con attenzione la musica non italiana, in modo direi tecnico, scoprendo che le sfumature sonore da noi sono poco personalizzate... e questa cosa non mi è mai piaciuta. La mia sfida è quella di plasmare piano piano la mia identità sonora che, unita alla mia voce e alla mia scrittura, possa rappresentarmi. Un po' come è stato per alcuni dei miei ascolti preferiti di sempre: PJ Harvey, Radiohead, Low, etc.». 

Che rapporti hai con gli specchi?

«Gli specchi... sono stati il fil rouge del mio primo disco. Specchio inteso come riflettente e generatore di mille punti di vista su me stessa e sulla realtà. Mi piace pensare che, come appunto in una stanza degli specchi, ognuno di noi sia visto dall'esterno in mille modi diversi... come all'interno di un caleidoscopio, la realtà diventa molto più soggettiva e interpretabile». 

A volte possono deformare la realtà, i tuoi testi invece sono molto reali…

«I miei testi nascono quasi sempre con un taglio autobiografico, sia che parlino di storie che mi vedono protagonista, sia che riguardino altri soggetti. Tutto filtra attraverso la mia esperienza, per questo poi si percepisce la realtà del racconto. Del resto, per quanto atipica, sono pur sempre cantautrice e mi piace la veste di narratrice di storie». 

Dopo un ottimo esordio ci vuole una conferma. A che punto sei con il tuo nuovo disco?

«Ho da poco preso decisioni piuttosto importanti in merito. Non voglio ancora svelare troppo. Per ora posso solo dirti che ho trovato il produttore giusto, con cui faremo un lavoro a quattro mani, e che sarà un disco strano, soprattutto per come è stato concepito e verrà realizzato…». 

Resterai fedele alla linea di "Nella stanza degli specchi" oppure punterai a soluzioni diverse?

«Ci saranno soluzioni decisamente diverse, soprattutto negli arrangiamenti: il primo disco è stato suonato, sia in studio che poi nei live, in trio. Quello nuovo mi vedrà finalmente impersonare al cento per cento la mia attitudine di one-girl band. Resterà invece molto forte, rafforzandolo, il rapporto stretto tra il cantato in italiano e le sonorità più anglofone». 

La scena musicale femminile genovese sta vivendo un periodo di grande fermento. Secondo te cosa spinge molte ragazze a cantare?

«Credo che finalmente le donne nella musica si siano prese il loro spazio. Non sono più soltanto le cantanti in band prettamente maschili, ma sono diventate autrici, musiciste e produttrici. Si sporcano le mani insomma, forse stupendo gli ascoltatori abituati a vederle più relegate in vesti meno attive. Io mi sento totalmente partecipe di questa "rivoluzione" iniziata ormai da diverso tempo, e ne sono orgogliosa». 

Sei stata tra le fondatrici dell'associazione Lilith che tutti gli anni organizza un festival tutto al femminile a Genova. Quali sono i progetti futuri e quale artista ti piacerebbe che partecipasse alla prossima edizione?

«Proprio per i motivi descritti prima è nata qualche anno fa l'associazione culturale Lilith, fondata insieme a due colleghe genovesi, Sabrina Napoleone (presidente dell'associazione) e Cristina Nicoletta. Oltre a essere musiciste ci siamo sentite in dovere di diventare organizzatrici di eventi, che creassero il giusto spazio per la canzone d'autrice (ma non solo). Oltre al Lilith Festival, che giunge quest'anno alla quarta edizione e che l'anno scorso ha offerto alla città di Genova una tre giorni completamente gratuita che ha visto sul palco in piazza De Ferrari cantautrici emergenti e le tre madrine d'eccezione Cristina Donà, Marina Rei e Paola Turci, quest'anno abbiamo creato alla Claque una rassegna cui teniamo molto, Lilith Nest, sempre con la preziosa collaborazione di Douce Pâtisserie Café, partner ormai storico del Lilith Festival. Volevamo creare un nido presso la Claque, per ospitare tutte le voci a nostro avviso più rappresentative della scena nazionale attuale, abbiamo già ospitato Levante e Iacampo e nei prossimi mesi ci saranno tante altre sorprese. Insomma, non ci fermiamo mai. Stiamo anche chiudendo la lista delle partecipanti del Lilith 2014. Il sogno, per le prossime edizioni è quello di avere una delle mie artiste preferite, PJ Harvey... magari non sarà quest'estate ma non smetto di sognarlo».


Titolo: Nella stanza degli specchi
Artista: Valentina Amandolese
Etichetta: Dcave Records
Anno di pubblicazione: 2011

Tracce
(testi e musiche di Valentina Amandolese, eccetto dove diversamente indicato)

01. Cosmico blu
02. Stringi i denti Valentina
03. Imago
04. Osmosi
05. Bold as love  [Jimi Hendrix]
06. Nessun biglietto per il mare
07. In terza persona
08. Lo stesso viaggio



venerdì 14 febbraio 2014

Le "Piccole partenze" del cantautore Vitrone







Tra l'infinita produzione discografica che ha invaso in questi ultimi anni piattaforme digitali e stores, è sempre più facile che possano sfuggire all'attenzione generale lavori degni di nota. Come è appunto l'album "Piccole partenze" del cantautore casertano Vitrone. Un lavoro raffinato di un artista arrivato alla maturità dopo esperienze come voce di una band metal, i T.R.B., leader del gruppo folk-rock Nafta e come fondatore del duo Vitronemaltempo. Assai apprezzato da Fausto Mesolella che lo ha invitato al Premio Bianca D'Aponte, Vitrone, all'anagrafe Gennaro Vitrone, è tornato sulla scena musicale in veste di solista come già gli era accaduto all'inizio della sua carriera. Il musicista casertano aveva infatti dato alle stampe due album nel classico stile cantautorale prodotti da Ferdinando Ghidelli ("Dapprincipio" del 2001 e "Stravagando" del 2003).
Quindici mesi di lavorazione in casa e in studio sotto la direzione del produttore Mimmo Cappuccio (James Senese, Enzo Avitabile), hanno dato vita a un disco a forte impronta intimista che percorre strade già conosciute senza cadere però in ripetizioni scontate. Effetti, campionamenti, un pizzico di elettronica rendono il disco molto interessante, attuale e per nulla scontato. A impreziosire l'album ci sono collaborazioni illustri come quelle con Vittorio Remino, già bassista degli Avion Travel, Marta Argenio e Maurizio Stellato fondatori dei The Actions, la tromba di Almerigo Pota, il pianista Fabio Tommasone, il cui apporto è fondamentale in quasi tutte le canzoni del disco. E poi con lo scrittore Ivan Montanaro e l'attore-autore teatrale Roberto Solofria.




Gennaro, sei tornato al tuo progetto solista dopo una parentesi di cinque anni in cui sei stato impegnato con Vitronemaltempo. Cosa è cambiato nel tuo approccio alla musica?

«Già nell'album "Ancora quadri alle pareti" del 2008 di Vitronemaltempo c'era la consapevolezza di voler proporre una canzone d'autore che vivesse il contesto, attualizzata, dove era importante sottrarre piuttosto che aggiungere. Lo stesso concetto l'ho reso ancora più estremo in "Piccole partenze". I testi sono essenziali, minimali. Stesso discorso per gli arrangiamenti. La forma canzone c'è in alcuni brani, ma non c'è in altri, al ritornello ho preferito un tema. Credo sia un lavoro istintivo ma anche elaborato».

Di cosa parla il tuo nuovo disco?

«Il disco parla di piccole e grandi storie, spesso sotto forma di metafora. In "Torno al giardino", per esempio, il pretesto di una storia d'amore diventa marginale quando parlo di tornare alle radici. Una frase a cui sono molto legato è ‹guardo i fiori toccati dal vento, colorati coriandoli nel cielo e i frutti cadere dagli alberi, marcire›».

È un disco introspettivo, crepuscolare, dipinto a tinte pastello. Quanto c'è di autobiografico nelle canzoni che lo compongono?

«Era esattamente quello che volevo realizzare, un lavoro introspettivo ma allo stesso tempo fruibile. Qualche brano è autobiografico come, per esempio, "Inverno". In altri sono partito da una attenta osservazione per poi andare a descrivere i personaggi, come la ragazza di "Piccole partenze", che ho conosciuto veramente. Era esattamente così, impaurita ma decisa a lasciare il suo paese, il suo guscio. Ora è una donna realizzata, credo viva a Milano».

Sotto il profilo prettamente musicale hai usato molti effetti e riverberi, specialmente in ambito vocale e chitarristico. Perché?

«In effetti è così: loop, voci filtrate e campionamenti rappresentano un elemento importante nel mio sound. È così è anche per il mio chitarrista Gianpiero Cunto, era così nel progetto Vitronemaltempo ed è così con Vitrone. In "Vitronemaltempo" l'uso dell'elettronica era ancora più presente, il produttore di quell'album aveva lavorato tra gli altri con Massive Attack e Almamegretta. La sua impronta si sente, sono molto fiero di quel disco, ci aprì le porte dei più grandi concorsi nazionali. Di quell'album ho ripreso la canzone "Arcobaleni" che ho completamente riarrangiato per il disco "Piccole partenze"».

Vi ho trovato un pizzico del Riccardo Sinigallia del periodo dei Tiromancino, qualche spruzzata di Niccolò Fabi e Pacifico, una buona iniezione di Battiato, specialmente nella canzone "Inverno". Cosa ho sbagliato e di chi mi sono dimenticato?

«Tutti gli artisti che hai nominato sono per me un punto di riferimento, Battiato su tutti. Aggiungerei anche Virginiana Miller, Verdena e Avion Travel, tra le band straniere Beatles, ancora Beatles e sempre Beatles. John Lennon su tutti, gigantesco, ma anche Radiohead e Depeche Mode».

Perché hai scelto di far recitare a Roberto Solofria un prologo alla title track?

«Roberto è un autore e attore teatrale che come me è di Caserta e vive a Caserta, città di grande fermento culturale. La sua voce impostata si prestava benissimo al testo regalatomi dallo scrittore Ivan Montanaro».

Mi commenti la frase che si trova al centro del libretto ‹… partenza il rumore della cerniera della valigia che chiude…›.

«Questa frase rappresenta la voglia di mettersi in gioco, rappresenta il movimento, il viaggio, la ricerca. Piccole grandi partenze».

Da dove parti e cosa ti lasci indietro?

«Sicuramente il mio è stato un percorso artistico particolare. Ho fatto parte di una rock metal band, T.R.B., da metà degli anni '80 fino al 1992, realizzando una compilation in Inghilterra e un album "Love on the rocks" distribuito allora dall'etichetta fiorentina Contempo Records. Ho tanti ricordi bellissimi. Poi è stata la volta della folk-rock band Nafta, con cui ho suonato in centinaia di concerti, fino ad approdare nel 2001 ai primi progetti solisti».

Qual è il messaggio del brano "Odio"? A me ha dato l'idea di essere una denuncia del problema dello smaltimento dei rifiuti che assilla da tempo tutta la Campania. Sbaglio?

«Il problema in Campania è gravissimo, la realtà supera l'immaginazione. Magari si trattasse solo di spazzatura, qui ci sono rifiuti tossici e tantissimi morti di tumore. Quando ho scritto il testo di "Odio" il problema non era ancora emerso in tutta la sua gravità. In realtà nel testo parlo di un fatto realmente accaduto. Mi trovavo in macchina, in tangenziale nella zona di Napoli e oltre al cemento, alle macchine e alle case a ridosso dell'autostrada, si vedeva in lontananza uno spicchio di verde, riflettevo e pensavo quanto l'ambiente, in quel caso claustrofobico e degradato, possa cambiare una persona, abbruttirla fino a generare odio».

Qual è la tua donna vestita di nero (dal brano "Sentinelle")?

«Nell'immaginario mi sono ispirato a un personaggio di Camilleri, quelle donne siciliane scolpite nella pietra. Nella realtà la nonna di mia moglie era così, viveva in un paesino della Lucania, dove tra l'altro hanno girato il film "Basilicata coast to coast". Una persona incredibile, forte e saggia, le ho voluto molto bene».

Come suonerà questo disco dal vivo?

«Sarà un sound elettro-acustico. La formazione sarà ridotta all'osso, anche per motivi di budget visto che i locali pagano sempre meno. Ci saranno due chitarristi: mio cugino Gianpiero Cunto che è con me da quasi dieci anni, e Dario Crocetta, entrato da pochissimo nel progetto e che nei live assicura una spinta fondamentale. Fiore all'occhiello sarà Mimì Ciaramella, batterista storico degli Avion Travel».

Sul libretto, nel consueto angolo dei ringraziamenti, spendi parole di affetto per Fausto Mesolella. Qual è il tuo rapporto con lui e quali consigli preziosi ti ha dato?

«Con Fausto ci conosciamo da quasi trent'anni. Nel 1991 produsse e suonò alcune chitarre nell'album di rock duro "Love on the rocks" dei T.R.B., eravamo dei ragazzini. È una persona a cui voglio veramente bene, un grande professionista, instancabile, uno dei più grandi chitarristi italiani di sempre. Ho avuto l'onore di dividere il palco con lui. Ci sono due brani prodotti da lui nel 2011 ancora nel cassetto. I consigli che mi ha dato sono di natura tecnica, preziosi. Mi ha fatto anche capire che oggi l'ultimo avamposto dei sentimenti sono le donne, sono loro che sono ancora capaci di slanci, non ne avevo dubbi».

Chiudo con una domanda cattiva: ha ancora senso fare dischi in un momento in cui se ne vendono sempre meno?

«Secondo me sì. Un disco è la fotografia di quello che sei nel momento in cui lo realizzi. È un fine insomma, la quadratura. La crisi delle vendite è allo stesso tempo un bene e un male. È un bene perché i personaggi di plastica se ne vanno a quel paese e poi perché, visto che non c'è più nulla da perdere, si osa di più. È un male perchè vent'anni di berlusconismo ci hanno portati alla cultura del karaoke e quindi al non approfondimento. Sicuramente il problema è planetario ma in Italia si è sentito di più proprio per i motivi che ho spiegato prima. Per promuovere un album oggi c'è un solo modo: suonare dal vivo e vendere il disco...».


Titolo: Piccole partenze
Artista: Vitrone
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Gennaro Vitrone)

01. Inverno
02. Arcobaleni
03. Ti ritroverò
04. Piccole partenze (prologo)
05. Piccole partenze
06. Ventiparole
07. Torno al giardino
08. Odio
09. Dellestate
10. Sentinelle



lunedì 3 febbraio 2014

Guitar Ray & The Gamblers scattano "Photograph"






La Liguria non è solo terra di grandi cantautori ma anche di ottimi bluesmen. La conferma arriva da Guitar Ray & The Gamblers che hanno pubblicato a metà gennaio il loro nuovo disco intitolato "Photograph". L'album è prodotto dal cantautore canadese Paul Reddick e contiene dieci inediti che uniscono il blues della tradizione a sonorità moderne. Brani in cui Ray Scona esalta il suo tocco chitarristico elegante, preciso e capace di improvvise e coinvolgenti accelerazioni. Un album riuscito, gradevole in ogni suo capitolo e capace di incuriosire anche chi non è appassionato di blues. Le canzoni, molte delle quali scritte da Paul Reddick, spaziano dal blues morbido al R&B, dal rock con incursioni funky, fino al territorio delle ballate.
In questa nuova avventura Ray Scona (voce e chitarra) si è fatto accompagnare dai fidi Gamblers: il bassista Gabriele "Gab D" Dellepiane, il tastierista Henry Carpaneto e il batterista Marco Fuliano. "Photograph" è arricchito inoltre dall'armonica di Fabio Treves, uno dei bluesmen italiani più celebrati, dagli archi dei genovesi Gnu Quartet che vantano collaborazioni con Niccolò Fabi, Federico Sirianni e Simone Cristicchi.
Guitar Ray & The Gamblers vantano un curriculum di tutto rispetto avendo collaborato tra gli altri con mostri sacri di fama internazionale come Big Pete Pearson, con il quale hanno inciso anche un disco, Otis Grand, Jerry Portnoy, armonicista di Muddy Waters ed Eric Clapton.
Con Ray Scona abbiamo parlato di "Photograph", il quinto album della carriera.




Ray, spiegaci come è nato l'album "Photograph"?

«Da un desiderio di rinnovamento e dalla voglia di trovare un suono riconoscibile per Guitar Ray & The Gamblers. Questo era l'obiettivo. Abbiamo quindi lavorato su brani originali e arrangiamenti che potessero essere la "fotografia" mia e di questa band».

"I'm goin, I'm goin" parla di partenze, di viaggio; "I heard that train go by" di un treno che divide due persone. Sono il viaggio, gli addii, le separazioni il filo conduttore di questo disco?

«Sì, ma non solo. Se vuoi una bella foto, devi saper mettere a fuoco quello che davvero ti interessa. Ho scelto di raccontare storie che conosco bene per essere in grado di mettere a fuoco quello che mi sta a cuore. Nello specifico "I'm goin, I'm goin" racconta il viaggio che contempla un ritorno. Mentre il suono del treno di "I heard that train go by" porta con sé un biglietto di sola andata».

In "Everybody wants to win" avete usato i fiati e il groove ricorda l'Albert King degli anni '70. Sei d'accordo?

«Assolutamente sì. Avevo già fatto un tributo ad Albert King nel mio album "Poorman Blues" con il brano "A.K. Stomp". Qui invece il riferimento è forte, ma come in tutto l'album siamo partiti da lì cercando di trovare un modo che ci fosse congeniale per suonare oggi un brano con quell'impronta. E comunque il suo periodo Stax è il mio preferito».

Trovo che sia molto riuscito il brano "You're the one". I Gnu Quartet hanno dato un tocco unico alla canzone. Come vi è venuta l'idea di avvalervi della loro collaborazione?

«Cercavamo qualcosa che desse un colore particolare a questo brano e così abbiamo deciso di sperimentare. Sin dall'introduzione è stata messa cura sulla scelta dei suoni da utilizzare, un lavoro che Simone Carbone ha fatto con grande gusto. Ma il brano necessitava di qualcosa che fosse davvero speciale, e così abbiamo pensato all'inserimento degli archi. L'arrangiamento scritto da Stefano Cabrera dei Gnu Quartet, si è rivelato come un bellissimo vestito da sera, indossato da una bella donna, ai miei occhi una meraviglia».

Il video di "He thinks of you", che trovo molto bello, si chiude con l'inquadratura di un foglio su cui c'è scritta la data 24-11-1984. Che significato ha?

«Sempre per restare fedele a quanto dicevamo prima, il brano che fa da colonna sonora a queste bellissime immagini, è stato rivisitato con sonorità più attuali rispetto alla sua versione originale, quella contenuta nel cd per intenderci. Ci serviva una data sulla fotografia per riuscire a far comprendere la storia che viene raccontata nel video di "He thinks of you", e avevamo una scelta obbligata sulla decade. Io ho scelto mese e giorno».

Il disco si chiude con "Bella bambina", un brano acustico cantato da Paul Reddick in italiano. Come è nata l'idea di questa canzone dall'atmosfera notturna?

«"Bella Bambina" è stato un regalo inaspettato. Il brano è nato in inglese con l'eccezione delle parole "Bella Bambina", ed è stato divertente sentirlo cantare in italiano. Io e Paul, quasi per scherzo, avevamo già provato a suonarlo, ma non era comunque in programma di registrarlo. Era uno degli ultimi giorni in studio e per quel giorno avevamo finito di registrare. Era molto tardi e dopo una cena abbastanza impegnativa, Paul mi ha chiesto di provare a fare un take con la band. Hanno collegato un paio di panoramici e quello che è successo lo abbiamo messo sul disco».

Paul Reddick, oltre ad essere produttore del disco, ha scritto anche alcuni testi della canzoni. Come si è sviluppata questa collaborazione e quanto ha inciso sull'uscita del disco?

«Ho conosciuto Paul nell'aprile del 2010, quando la band lo ha accompagnato nel suo tour europeo. Ci siamo divertiti un mondo. Mi piace moltissimo il suo modo di scrivere ed il suo approccio alla musica. Quando ho pensato a questo progetto mi è venuto immediatamente in mente il suo nome. Abbiamo parlato e Paul si è subito entusiasmato all'idea. Ha scritto praticamente tutti i testi, a parte "Everybody wants to win" che è stato scritto da Pete Pearson».

Oltre a Gnu Quartet, tra gli ospiti c'è anche Fabio Treves. Cosa mi puoi dire di questo incontro?

«Io lo conoscevo da sempre, lui mi ha conosciuto 25 anni fa. Fabio era ospite di una rassegna organizzata nella riviera ligure, dove abbiamo suonato insieme per la prima volta. Ho militato poi nella Treves Blues Band dal 1991 al 1993, ed è nata una bellissima amicizia. Casa Treves mi ha sempre sostenuto durante tutti questi anni di carriera, e oggi, insieme a Gab D, ho l'onore di essere stato invitato a prendere parte al suo tour teatrale che celebra i 40 anni di carriera della Treves Blues Band. Un incontro come ne capitano pochi».

Qual è il brano a cui sei più legato e perché?

«Questo è un album molto importante per me, e i brani hanno tutti un forte significato perché raccontano di me, del mio vissuto. Ma un sapore speciale è quello di "He think of you". Credo sia la fotografia più riuscita di questo album. Quando relazionarsi in questo mondo per qualcuno diventa più difficile che per altri, il bisogno di avere un legame che possa renderti felice, a volte non riesce ad essere soddisfatto. Si può però pensare a qualcuno che forse un giorno potrai conoscere, e che potrà scoprire come sei, ed amarti».

Quando sono state scritte queste canzoni?

«Ho cominciato a lavorare all'album agli inizi del 2012 e siamo entrati in studio nel febbraio del 2013. Non proprio una passeggiata».

Perché la scelta di una copertina in bianco e nero quando le canzoni hanno, al contrario, "colori" a volte unici e sfumature che personalmente mi piacciono molto?

«Ad aprile del 2013 avevamo in programma un tour europeo con Big Pete Pearson, a cui ha preso parte anche Michele Bonivento, che poi ha dato un contributo molto importante all'album, e noi eravamo in piena produzione. È stato un tour speciale perché in programma avevamo anche una data al Baltic Blues Festival di Eutin in Germania, dove eravamo headliners con Pete, ma in cartellone anche come Guitar Ray & The Gamblers. Quindi abbiamo avuto la possibilità di suonare live per la prima volta i brani del disco. Un momento importante per vedere la reazione del pubblico al nuovo spettacolo. Lo show è stato molto emozionante e di grande impatto. Ho avuto la copertina del magazine che si è occupato della rassegna. La foto sulla cover del cd, è uno scatto della fotografa tedesca Beate Grams di quello show, ed era uno scatto in bianco e nero, carico di significato. Mi è piaciuta l'idea che i colori fossero una cosa da scoprire».

Quali sono stati i tre incontri fondamentali della vostra carriera?

«Davvero difficile rispondere. Ognuno degli artisti che abbiamo accompagnato, o con cui abbiamo collaborato, hanno lasciato un segno. Ho imparato a suonare la lap-steel dal grande Sonny Rhodes nel lontano 2001. Accompagnare in tour Jerry Pornoy, che ha suonato nella Muddy Waters Band, nei dischi e nei tour di Eric Clapton, è stata una scuola incredibile. Collaborare con ognuno di loro è stata una bellissima esperienza, ma se devo scegliere tre nomi allora ti dico Fabio Treves, per il rapporto di amicizia che ci lega, Otis Grand, che ha prodotto i miei primi due cd, e Paul Reddick a cui ho affidato la produzione artistica di "Photograph"».


Titolo: Photograph
Artista: Guitar Ray & The Gamblers
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2014





venerdì 24 gennaio 2014

Il "Big Bang" interpretato da Andrea Di Cesare







Un violinista eccentrico, un batterista con vent'anni di carriera alle spalle e un album che unisce echi classici a trame pop-rock condite con una buona dose di elettronica. Il titolo "Big Bang" è quanto mai azzeccato visto che il disco è una esplosione di suoni, contaminazioni, effetti e tecnologia che il violinista e compositore Andrea Di Cesare fonde in queste nove tracce originali. Dopo aver collezionato tante collaborazioni con alcuni dei più importanti nomi della musica italiana (tra questi Carmen Consoli, Paola Turci, Niccolò Fabi, Max Gazzè, Simone Cristicchi, Ron, Renato Zero, Daniele Silvestri e Mariella Nava), l'artista romano si presenta con questo progetto originale che vede il violino giocare con suoni effettati, tappeti elettronici e basi ritmiche. Un esordio discografico ricco di idee, costruito su una architettura melodica complessa che mischia la modernità dei suoni alla tradizione classica del violino, senza cadere in inutili virtuosismi. Si tratta di un linguaggio musicale nuovo, moderno e fuori dagli schemi.
Per riuscire nel suo intento Di Cesare ha chiamato a sé, in questa inedita formazione "duo2", il batterista siciliano Puccio Panettieri, già collaboratore di moltissimi artisti italiani e stranieri. La fatica discografica è impreziosita dalla partecipazione, in veste di cantante, di Niccolò Fabi nel brano "Solo un uomo" e di Paola Turci nella sua "Stai qui". Il disco, disponibile in digital download e su tutte le piattaforme streaming, è mixato da Mirko Cascio.
Abbiamo chiesto ad Andrea Di Cesare di raccontarci la genesi di questo album.


Andrea, cosa ti ha spinto a intraprendere la carriera solista?

«Soprattutto la mia necessità di espressione, privata e intima. Quelle parole musicali che prestavo ad altri artisti ma non dedicavo a me, linee melodiche efficaci per altri ma mai una per me. Mi sentivo bene, da un certo punto di vista, perché regalavo una parte di me agli artisti con cui collaboravo, ma da un altro punto di vista sentivo che non stavo facendo tutto quello che era nelle mie potenzialità di espressione, quindi ecco qui il risultato, il mio primo disco, "Big Bang", una scintilla, un inizio di un dialogo musicale, un linguaggio mio, personale ed intimo, che regalo alle persone che hanno la voglia di scoprire una nuova lingua per farsi coccolare dai suoni del mio violino».

Quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato in questa nuova veste?

«Le difficoltà maggiori sono nel farsi capire e conoscere, svestito dei propri panni, mettendomi a nudo, perché prima ero un co-protagonista efficace ma silenzioso, adesso sono il protagonista con un linguaggio nuovo e personale. Spero, piano piano, di ritagliarmi il mio spazio culturale».

In "Big Bang", oltre al suono del tuo violino, ti sei fatto accompagnare dal batterista Puccio Panettieri e da un'ipotetica band. Come l'hai creata e come hai studiato gli arrangiamenti?

«L'ho creata partendo da una unica fonte, il violino, da lì l'ho svestito e rivestito con altri suoni, utilizzando varie tecnologie di trasformazione. Gli arrangiamenti li ho creati pensando a come avrei poi potuto rifarli dal vivo, l'unica cosa era pensarli alla Bach, con contrappunti, melodie in orizzontale e non in verticale».

Se consideriamo le opportunità che dà l'elettronica al giorno d'oggi viene da chiedersi che disco avresti potuto registrare con le tecnologie di quarant'anni fa. Ci hai mai pensato e soprattutto come lo avresti prodotto?

«Non ci ho mai pensato perché vivo oggi, ma visto che mi ci fai pensare, l'avrei pensato sempre nella maniera di Bach, cioè con i contrappunti, portandomi dietro vari registratori a bobina e facendoli suonare assieme a me, e le note emesse sarebbero state storpiate. Avrei fatto sicuramente musica sperimentale».

Come si sono svolte le registrazioni?

«Nel mio studio, dentro le mie idee ed i miei pezzi di storia».

Pensi che ci siano ancora ambiti da esplorare nella musica contemporanea?

«Assolutamente sì, se non ci fossero sarebbe finita l'arte contemporanea in generale. Credo che, nel mio piccolo, il disco "Big Bang" abbia questa caratteristica, di essere un ambito nuovo da esplorare, anche per altri violinisti».

Nella tua carriera di musicista hai suonato con alcuni dei più importanti nomi della musica italiana. Quali sono gli episodi che ricordi con più piacere?

«Un tour, se non ricordo male era il 2008, con Paola Turci. In macchina eravamo io, Pierpaolo Ranieri, Marco Rovinelli e Paola. Viaggi, risate, allegria, gioia… in quella macchina ridevamo per piccole cose, si stava bene insieme ed è un legame che ancora oggi prosegue felicemente».

Cosa ti ha insegnato la tua carriera da turnista?

«Mi ha insegnato a suonare il giusto e per gli altri, sottolineando le parole dei cantanti con melodie adatte, senza strafare, essere co-protagonista al loro fianco».

Nel disco ci sono anche due ospiti illustri: Niccolò Fabi e Paola Turci. Come sono nate queste collaborazioni?

«Sono nate perché, prima di tutto, sono amici. Mi è venuto naturale invitarli nel mio disco, per una sinergia e una sensibilità molto simile, e li ringrazio nuovamente per avermi regalato una interpretazione unica, speciale e coinvolgente per il mio disco d’esordio. Niccolò e Paola sono stati felici quando li ho invitati a partecipare al disco come ospiti d'onore e anche per la scelta delle canzoni».

A parte questi due episodi, le altre nove canzoni che compongono il disco sono strumentali. Qual è il messaggio che vuoi trasmettere?

«Un messaggio pulito, di nuova sonorità, un messaggio sereno, tranquillo, ma nello stesso tempo di movimento per risorgere. Un'idea musicale che ti accompagna durante la giornata, un sorriso in musica ed un dirti, con il violino, che non siamo soli, che la scintilla c'è e si sente».

Chi dovrebbe ascoltare il tuo disco?

«Chiunque, bambini e adulti, donne in gravidanza a famiglie. Musicisti e non, tutti insomma».

Cosa farai nei prossimi mesi?

«Porterò la mia musica oltre oceano, in Sud America e nel Nord America, tornerò in Spagna e presto andrò a Londra e a Parigi, suonerò in Italia e ho tanti progetti da seguire. Il disco sarà ristampato con l'aggiunta di altre collaborazioni illustri e farò altri video… comunque tutto questo sarà aggiornato nella mia pagina Facebook».


Titolo: Big bang
Artista: Andrea Di Cesare
Etichetta: autoprodotto
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(musiche di Andrea Di Cesare, eccetto dove diversamente indicato)

01. Claudia
02. Run
03. Londra
04. Stai qui  [Paola Turci; arrang. e adatt. Andrea Di Cesare]
05. My memories
06. The sound
07. The sun
08. Two voices
09. Solo un uomo  [Niccolò Fabi; arrang. e adatt. Andrea Di Cesare]
10. Bit
11. Christopher



mercoledì 15 gennaio 2014

"Christmas in jazz", il Natale di Danila Satragno








Raffinata, dallo sguardo vivace e intenso, con la battuta pronta ma anche spirito inquieto trascinato nel divenire dalla sua musica e dalla passione per l'insegnamento. Danila Satragno è senza ombra di dubbio una delle figure più apprezzate della scena jazz femminile italiana e soprattutto punto di riferimento per chi, professionisti e non, ha necessità di imparare a usare la voce. Cairese di nascita, Danila Satragno, dopo un paio di dischi che l'hanno fatta conoscere agli addetti ai lavori, è stata corista di Fabrizio De André sul finire degli anni Novanta, in occasione del tour "Anime salve". Incontro di straordinaria importanza per Danila, sia dal punto di vista artistico che umano.
La Satragno non è però solo cantante e interprete elegante ma anche insegnante. Con l'aiuto del medico foniatra Franco Fussi, l'artista savonese ha inventato un metodo scientifico, il vocal care, per insegnare a cantare. Sono stati pubblicati libri, dvd e addirittura una app per divulgare questo metodo che ha avuto grande successo anche tra i professionisti del microfono. Danila è infatti vocal coach di Ornella Vanoni, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, Giusy Ferreri, Bernardo Lanzetti, Roby Facchinetti e Red Canzian dei Pooh e tanti altri. 
Sul fronte discografico il 2013 è stato ricco di novità. Dopo "Sanremo in jazz", uscito all'inizio dell'anno, Danila è tornata in sala di registrazione per "Christmas in jazz", disco benefico che vanta la partecipazione di Ornella Vanoni, Gino Paoli, Paolo Fresu, e che contiene alcuni tra i più noti classici di Natale riadattati in chiave jazz e alcuni inediti. All'album hanno collaborato anche Luca Mannutza, Rosario Bonaccorso e Nicola Angelucci.
Quello che segue è un estratto della piacevole chiacchierata fatta con Danila a Savona.



Danila, anche tu hai voluto rendere omaggio alla festività più sentita dell'anno...

“Era un desiderio che avevo da tantissimo tempo, già da quando, ancora bambina, vedevo in televisione grandi stelle come Judy Garland e Bing Crosby impegnati in programmi natalizi bellissimi. Questo disco è praticamente la realizzazione di un desiderio adolescenziale. Il processo è stato naturale anche perché questi brani si sposano benissimo con la musica jazz".

So però che questo disco ha anche uno scopo nobile...

"Sì, a questo desiderio si è aggiunta la voglia di fare del bene. Natale ha in sé questo senso di condivisione e ho voluto unire la magia di questi giorni a qualcosa di concreto. Il ricavato del disco andrà in beneficenza all'ospedale pediatrico Gaslini di Genova, ma lo potremo dire ufficialmente solo quando avremo raccolto la somma da consegnare. Lavoro molto volentieri per i bambini come per gli animali".

Non sono mancate le collaborazioni di prestigio...

"Ornella Vanoni ha avuto una esperienza triste ma finita benissimo con il Gaslini e ha voluto partecipare gratuitamente al progetto. Gino Paoli mi ha detto <sono di Genova e voglio esserci assolutamente>. Paolo Fresu non era purtroppo dalle nostre parti ma ha registrato il suo intervento a Catania e grazie alla tecnologia anche lui ha dato il suo apporto. Poi i liguri Giampaolo Casati, Fabio Rinaudo e tanti altri. Ed è venuta fuori questa cosa straordinariamente bella, a detta dei critici".

Canzoni di Natale che hanno incuriosito anche l'emiro del Dubai. Raccontaci questa inaspettata trasferta araba...

"E' stata una bellissima sorpresa, nata da un incontro inaspettato da amici. Ho conosciuto queste personalità del mondo arabo che ammirano molto i Pooh e Ornella Vanoni, di cui sono vocal coach, e glieli ho fatti incontrare. Così mi hanno invitata a Dubai a portare un po' della mia musica. In quei giorni si stava disputando il campionato mondiale di offshore, che a Dubai è una cosa meravigliosa".

Musica di Natale in un paese arabo, anche questo è stato un piccolo miracolo, non credi?

"Effettivamente le canzoni di Natale c'entravano poco anche perché non è la loro religione ma devo dire che l'emiro è stato molto carino. E' venuto al concerto, ha ascoltato le musiche e ci ha fatto complimenti bellissimi. Ho cantato anche un brano a voce nuda che è piaciuto tantissimo".

Realtà molto diversa da quella che siamo abituati. Come ti sei inserita?

"Ero un po' timorosa e ho guardato sempre gli ospiti italiani per capire come stava andando. Indubbiamente hanno una visione molto diversa dalla nostra ed è molto difficile capire i loro riti. Sono stata seguita da un maestro di cerimonie che mi ha insegnato a muovermi. Ho fatto qualche errore, stavo per andare a baciare l'emiro in segno di ringraziamento ma per fortuna il mio maestro mi ha tirato una occhiataccia e mi sono fermata. Poi, se c’è voglia di comunicare con un po' di buona volonta le difficoltà si superano. Ci ammirano molto per la musica, la creatività, la moda e persino per il modo di costruire le case. Sono molto curiosi e ho nota che si stanno allineando molto al nostro paese".

Esibirsi in un paese così diverso, in una situazione così particolare, non è roba da tutti i giorni. Cosa ti ricordi di questo viaggio?

"Ho avuto la possibilità di entrare nella loro moschea e ho pregato con le donne arabe. Sono state emozioni forti. Mi sono esibita su un meraviglioso panfilo offerto dall'emiro e tra gli invitati c'erano i personaggi più inaspettati: da Maradona alla principessa dell’Afghanistan, di cui sono diventata molto amica e con cui ho intessuto rapporti importanti. La musica ha fatto da collante tra emiri, Maradona, principesse, politici italiani".

Nel corso del 2013, oltre a "Christmas in jazz", hai pubblicato anche "Sanremo in Jazz". Due dischi in un anno, cosa ha provocato questa accelerata? Ricordo che l'album precedente, "Un lupo in darsena", è stato pubblicato ben sette anni fa...

"E’ stata una presa di coscienza. Sono sempre stata molto lenta nel consapevolizzare le cose e ho pensato a questo strano mestiere di cantante e vocal coach come a un percorso ed è poi quello che dico sempre ai miei ragazzi: non pensate di bruciare le tappe ma gettate le basi per una carriera lunga. Probabilmente è meno altisonante, hai meno picchi, ma vivi di musica e quindi hai bisogno di costruire le cose lentamente. Io forse sono fin troppo lenta, probabilmente perché non ho mai voluto lasciare la mia vita completamente in mano all’arte, perché non volevo piegarmi a troppi compromessi. Per me la musica è sempre stata molto importante e se fosse diventata il mio lavoro sarei stata obbligata a cedere agli inevitabili compromessi. Sono invece convinta che l'arte debba essere lasciata libera. Motivo per cui i grandi artisti sono sempre stati squattrinati: le due cose non vanno molto d’accordo".

E così oltre a fare la cantante hai deciso di dedicarti anche all'insegnamento…

"Avere un lavoro stabile mi ha permesso di lasciare la mia musica immune da compromessi e mi ha aiutato perché ora sono un essere libero e riesco a vivere, a cantare con chi voglio e fare le cose che desidero. Certo, vuol dire aver due lavori, avere 48 ore al giorno a disposizione. E' molto più faticoso, però guardandomi indietro adesso sono molto più contenta. Anche contenta di non aver accettato per due volte di partecipare al Festival di Sanremo perché non era in linea con le mie idee musicali. Ci ho messo molto per maturare, adesso però mi sento una artista più sicura, ho voglia di fare più cose perché sono più consapevole. Ancora quando lavoravo con De André non sapevo bene come collocarmi musicalmente, avevo tanti desideri. Ecco Fabrizio è stato uno di quelli che mi ha dato una illuminazione: nel 1998 mi ha detto canta in italiano perché vedrai che troverai delle sfumature che in inglese non ci sono. Aveva ragione. E "Sanremo in jazz" è figlio di quella frase di Fabrizio".

Con la maturità è arrivata quella serenità da sempre cercata?

"Certamente. Non sento più di dover fare i dischi per dimostrare qualcosa. Il disco è solo una testimonianza di quello che si è in quel momento. Prima mi agitavo e avevo paura della critica, del giudizio, ora, da quando ho smesso questo atteggiamento arrivano anche molti più complimenti".

Quando ti sei accorta di questo tuo nuovo atteggiamento?

"Nel 2011 sono cambiate delle cose e ho voluto fermare le esperienze fatte per poterle lasciare agli altri. Ornella Vanoni dice che sono una missionaria perché ho regalato tutto al mio lavoro. Probabilmente è vero, ho proprio voglia di vivere così, non solo per me stessa ma anche un po’ per gli altri. E’ per questo che non ho avuto una famiglia, e adesso capisco un po’ di cose mie perché evidentemente mi sentivo di dover dare, di condividere queste esperienze che ho avuto la fortuna di fare pur abitando a Cairo. Ho incontrato personaggi straordinari, musicisti icredibili. Fortuna o merito non lo so. Partivo con la mia Panda da Cairo e andavo a Milano a fare i mie incontri a sentire i concerti e da lì sono nate tante cose e mi ritengo fortunata di averle vissute".

Ho sentito che il tuo prossimo disco potrebbe essere un omaggio a De Andrè: un cerchio che si chiude?

 "Sono rimasta molto amica della famiglia, con Luvi e Dori, anche con Cristiano ma soprattutto con le signore. Abbiamo fatto uno spettacolo carino ad Albenga da Antonio Ricci, in occasione di questo premio simpatico "La fionda di legno", e c'erano anche Gino Paoli e Dori. Ho cantato un brano di Fabrizio con enorme commozione, tanto che Dori è salita sul palco ad aiutarmi. Dori mi ha poi detto <Fabrizio non ti ha mai detto di cantare la sua musica?>. Le ho risposto <in realtà sì> ma poi non ho mai avuto il coraggio di partecipare a questa corsa ad interpretare De André, solo perché portava buono. Non volevo mettermi nella lista e ho rinunciato".

Ora qualcosa è cambiato?

"Dori ha insistito dicendomi che devo farlo anche perché le canzoni di Fabrizio cantate da una donna si possono ascoltare da una prospettiva diversa. Da quel giorno ad Albenga è passato un sacco di tempo, poi all'Epifania ho chiamato Dori e le ho detto che ero pronta anche per questo. E lei entusiasta mi ha detto <Bè, allora io ti aiuto>. Mi piacerebbe fare qualcosa in cui la Fondazione De André si riconosca, magari anche cantando brani inediti. Mi interesserebbe coinvolgere anche la Fondazione Don Gallo, inserire nel disco qualche voce recitante. Lo so, è completamente anticommerciale però va bene, voglio fare qualcosa di culturale".

Parliamo ora della tua carriera di insegnate di cui ci hai già anticipato qualcosa...

"E' stato forse il mio primo mestiere, ho cominciato facendo la maestrina di pianoforte. Poi questo mestiere si è evoluto, la voce mi ha catturata e ho dedicato la mia vita a studiarla in tutte le sue sfaccettature. Ho fatto un bell'allenamento con i miei allievi che poi sono diventati chi la corista della Nannini, chi di Vecchioni, poi c'è stata Annalisa e si continua con i bambini che vanno ai talent, e alla fine, lavorando con Franco Fussi, che è un grande foniatra, abbiamo inventato questo metodo, il vocal care, pensato proprio per la vocalità moderna. Abbiamo approntato un metodo scientifico molto rapido e veloce perché tu sai bene che i big hanno poco tempo per studiare, e ha avuto molto successo. Lo abbiamo testato sulle voci dei grandi da Giusy Ferreri a Giuliano Sangiorgi. Mi ha dato una credibilità enorme nell'ambiente e adesso quando c'è bisogno di curare una voce mi chiamano e devo dire la verità che mi piace molto".

Professionisti, bambini e alunni della tua scuola. Tanti sono i tuoi allievi...

"Ho lavorato anche su Mario Biondi, adesso è arrivato Manuel Agnelli degli Afterhours che non sta male per niente ma vuole fare nuove esperienze musicali, addirittura penso che voglia sondare un po' il jazz, quindi stiamo lavorando per questo. La cosa più appassionante però è sempre lavorare su un giovane che da zero arriva a dieci. Hai sempre da imparare perché ognuno di loro mi chiede cose diverse, hanno esigenze particolari. In questo modo rimango al passo con i tempi e continuo a migliorarmi. Adesso sto seguendo Zoe Nochi, la bimba protagonista del musical "Alice nel paese delle meraviglie" che tra un po' di giorni sarà premiata da Limiti".

Ripeti spesso che gli stonati non esistono, eppure...

"Pensa che gli stonati veri sono il 3% della popolazione mondiale, quindi è ben raro trovarne uno doc. In genere è una cattiva sintonia tra orecchio e voce, una volta rimesso a posto il collegamento è risolto il problema. Non ho ancora incontrato uno stonato irrecuperabile".

Il saper utilizzare la voce è molto importante anche nei rapporti personali. Hai mai pensato di portare le tue conoscenze anche in ambiti diversi da quelli artistici?

"L'ho già fatto, ho lavorato anche con politici. Mi sto appassionando alla comunicazione, a come insegnare alle persone a comunicare, parlare in modo efficace, siano essi politici, oratori, insegnanti ma anche nei rapporti di famiglia. Saper parlare è molto importante e aumenta il successo nella vita".

Secondo te quali sono i cantanti emergenti da tenere d'occhio?

"Teniamo d'occhio questa giovane cantante albenganese, Miriam Masala, che ho mandato recentemente da Maria De Filippi. E' veramente un personaggio interessante. Poi dico Annalisa che sta costruendo una carriera propria. La cosa bella è che non si è mai piegata troppo alla commerciabilità anche quando ha partecipato a un talent. E' sempre stata se stessa e lo trovo molto coraggioso per una giovane. Significa andare contro corrente e non è mai semplice. Malika sta facendo cose interessanti. Poi trovare un personaggio come Ornella Vanoni che a 80 anni ha voglia, passione, entusiasmo, è una cosa magnifica che porto sempre ad esempio ai miei ragazzi".

Vanoni che è al suo ultimo tour…

"Il suo ultimo tour? Non credo proprio. Ho sempre detto a Ornella che non ci credo. Ornella tra l'altro è molto affezionata a Bergeggi, le piace molto".

Negli anni passati sei stata ospite di format televisivi. Cosa pensi di questo mondo?

"Hanno dato grande rilevanza al canto e alla musica, hanno messo in evidenza l'importanza che può avere la musica per un giovane, come ti può cambiare la vita. Certo è che la rapidità con cui devono svolgersi commercialmente questi format ha interrotto il graduale processo di crescita dell'artista. Non permettono di fare quelle esperienze che preparano musicalmente e umanamente alla vita del cantante, che non è solo successo ma è un continuo progredire. Si creano meteore e conosco molti ragazzi che sono rimasti al palo. Sono ferite molto dolorose, psicologicamente bisogna essere preparati".

Consiglieresti a un giovane di partecipare a un talent show?

"Lo consiglierei solo a un giovane con le idee chiare. L'ho consigliato ad Annalisa perché ha un carattere di ferro, un grande talento, una bella famiglia alle spalle. Lo dico da insegnante, non da mamma perché non ho figli anche se è come se ne avessi tanti, una persona non preparata va incontro a molte lacrime e delusioni. Ho visto molte vite bloccate da queste esperienze negative".

Ci sono soluzioni per evitare tutto questo?

"Sarebbe bello che all'interno di questi format venissero trasmessi principi e segnali importanti e non ingannevoli. Si potrebbero arricchire i programmi con i cinque minuti della verità durante i quali trasmettere informazioni neutre per preparare i ragazzi al gioco. Sarebbe molto interessante anche per vedere la loro reazione".

Nel corso della tua carriera hai collaborato con un elenco sterminato di musicisti e cantanti. Avrai però sicuramente ancora qualche sogno nel cassetto...

"Si chiama Sting! Ho avuto l'opportunità di conoscerlo a un pranzo ed è stato veramente bellissimo. Vorrei lavorare con lui perché mi piace molto e poi perché vorrei dargli due-tre consigli sulla voce che gli sarebbero utili. Trovo che sia un angelo caduto sulla terra. La sua voce ha qualcosa di sovrannaturale. Lo dico spesso anche a Giuliano Sangiorgi: Dio ti ha dato qualcosa di speciale quindi usala bene".

Neil Young nella sua biografia, "Il sogno di un hippie", ha scritto <Non c'è nulla di peggio che avere una grande idea ma perderla perché non puoi controllarne il processo>. Cosa ne pensi?

"Penso che molti artisti ne abbiano sofferto, non solo cantanti, musicisti ma anche scultori, pittori, scrittori. Questo perché la comunione tra spirito libero e arte fa tanta fatica ad andare di pari passo con la contemporaneità e la commerciabilità. Sono due realtà molto diverse e spesso succede che una grande idea messa in un contesto non possa più essere controllata. Pochi forse lo capiscono ma è un fatto che ha danneggiato tante forme d'arte e di pensiero. Nella mia lentezza ho cercato sempre di protegge la mia arte, senza metterla molto in risalto. Un giornalista recentemente mi ha chiesto <ma cantavi così anche vent'anni fa, perché adesso Blue Note e prima ti esibivi ad Albissola?>. Ecco, probabilmente per questa voglia di proteggere e rimanere me stessa. Adesso sono contenta, ho trovato un equilibrio perfetto. Poi il fatto che si faccia fatica questo dipende molto dal coraggio".

E dopo l'esibizione al Blue Note di Milano cosa farai?

"Ci sarà lo Sporting a Montecarlo, poi ritornerò a fare un giro nei club degli Stati Uniti però stavolta con un gruppo interamente americano, forse rimarrà Dado Moroni ma non sono ancora sicura. Canterò jazz in italiano perché credo che nelle contaminazioni nascano le cose più belle. E poi mi farà piacere ritornare a casa".


Titolo: Christmas in jazz
Artista: Danila Satragno
Etichetta: autoproduzione/Artist First
Anno di pubblicazione: 2013


Tracce

01. Silent night (feat. Paolo Fresu)
02. Let it snow! Let it snow! Let it snow!
03. The Christmas song
04. Jesus, oh what a wonderful child
05. White Christmas
06. Amazing Grace
07. Ave Maria
08. All I want for Christmas is You
09. Jingle bells
10. A child is born
11. Babbo Natale e Maria (feat. Gino Paoli)
12. Silent night (feat. Ornella Vanoni e Paolo Fresu)




venerdì 3 gennaio 2014

"Qualcosa che vale", il Battisti di Patrizia Cirulli








C'è voluto molto coraggio e un pizzico di sana follia per decidere di cantare le canzoni di "E già", l'album meno conosciuto, spiazzante e a suo tempo criticato di Lucio Battisti. Patrizia Cirulli, con l'appoggio del giornalista Francesco Paracchini ("L'isola che non c'era") nelle vesti di coordinatore del progetto, riavvolge il nastro e a trent'anni di distanza dall'uscita di quel disco che ha segnato uno spartiacque nella carriera di Battisti, pubblica "Qualcosa che vale". La cantautrice milanese rilegge il disco dell'artista di Poggio Bustone dando alle canzoni nuova vita e slancio, e dimostrando, al tempo stesso, una ormai raggiunta maturità da interprete che le evita di cadere in facili autocelebrazioni. Non si tratta quindi di un mero tributo ma di una esperienza musicale di stile, capace di mettere in luce aspetti nuovi di canzoni troppo presto dimenticate. "E già", uscito nel 1982, fu infatti l'album di transizione tra le due importanti fasi della carriera di Battisti. È un disco che segna il passaggio tra la produzione precedente firmata con Mogol e quella successiva affidata al paroliere Panella. Le canzoni di "E già" sono brani brevi, senza orpelli, scritti a quattro mani con la moglie Grazia Letizia Veronese ma rinforzati da una base elettronica, una novità che in Italia anticiperà in qualche modo l'evoluzione musicale degli anni Ottanta. 
La Cirulli ne dà una lettura differente. Lascia da parte i suoni elettronici e punta a una più essenziale chiave di lettura acustica per voce e chitarra. Soluzione che esalta il testo e le "verità nascoste" di queste dodici tracce. Per farlo la Cirulli vuole al suo suo fianco alcuni dei più bravi chitarristi italiani. Uno, o al massimo due, per ogni brano. Quattordici maestri della sei corde che impreziosiscono e personalizzano le canzoni pescando nelle più diverse sensibilità musicali: Pacifico per "Scrivi il tuo nome", Luigi Schiavone per "Mistero", Massimo Germini e Andrea Zuppini per "Windsurf windsurf", Giorgio Mastrocola per "Rilassati ed ascolta", Fausto Mesolella per "Non sei più solo", Walter Lupi per "Straniero", Giuseppe Scarpato per "Registrazione", Fabrizio Consoli per "La tua felicità", Paolo Bonfanti per "Hi-Fi", Carlo De Bei per "Slow motion", Carlo Marrale e Simone Chivilò per "Una montagna", Mario Venuti per "E già".
Abbiamo parlato con Patrizia Cirulli della genesi di questo album che le ha regalato il quarto posto al Premio Tenco 2013 nella categoria "Interpreti". Il tutto nell'intervista che segue.



Cantare Battisti, una bella sfida non credi?

"In realtà  non ho pensato a questo quando ho deciso di avvicinarmi a questi suoi brani. Battisti non ha certo bisogno di qualcuno che canti le sue canzoni, le sue realizzazioni sono dei capolavori. Tuttavia mi sono avvicinata con rispetto e curiosità a questo repertorio cercando di sentire nel profondo queste composizioni".

Perché proprio Battisti?

"Di Battisti si é soliti ricordare il periodo in cui i testi erano affidati a Mogol. Si tratta del periodo di maggior successo e visibilità, le canzoni che tutti conosciamo e che ancora oggi ci accompagnano. Poi esiste il periodo dei cinque album bianchi, dove i testi sono di Panella. E poi esiste un album che unisce i due periodi, quello del 1982 "E già", dove i testi sono scritti da Grazia Letizia Veronese (moglie di Battisti). Il secondo Battisti (da quest'ultimo album in poi) é quello meno conosciuto. Ed é un peccato perché ci sono delle cose molto belle che vale la pena recuperare. Questo Battisti era quello che mi interessava scoprire e interpretare".

In "Qualcosa che vale" canti le canzoni di "E già", un disco originale e allo stesso tempo spiazzante, che si poggia su moltissima elettronica e che è forse il meno conosciuto della produzione di Battisti. Anche questa scelta poteva essere un azzardo, non credi?

"Certamente. Ma credo sia proprio una delle cose interessanti. É un disco poco conosciuto, ed é un peccato. Non ci si può fermare ad un primo ascolto. Si tratta di canzoni particolari che meritano attenzione. Ci sono cose che si scoprono e apprezzano nel lungo periodo, non necessariamente nell'immediato. Il veloce consumo musicale di oggi e la superficialità non mi interessano".

Come e quando è nata l'idea di interpretare questi brani?

"L'idea é nata cinque anni fa (entrando nel 2014 quasi sei!) parlando con Franco Zanetti. Ho sentito qualcosa di molto bello in quel disco di Battisti. Ho preso la chitarra e ho iniziato a cantare i primi tre brani che mi avevano colpito inizialmente. "Scrivi il tuo nome", "Mistero" e "Rilassati ed ascolta". Per me tre capolavori. Poi sono andata avanti con gli altri. É successo qualcosa di magico, un incontro straordinario. Concetti di grande profondità, una ricerca interiore e allo stesso tempo un senso di leggerezza. Ho quindi deciso di realizzare un disco con questi brani. Ho contattato Francesco Paracchini, direttore della rivista di musica "L'isola che non c'era" e gli ho parlato di questa mia idea. Francesco ha apprezzato molto il lavoro di pre-produzione da me svolto e ha voluto unirsi a me nella realizzazione del progetto".

Non paga delle inevitabili insidie che si incontrano quando si interpretano brani di mostri sacri, come è appunto Battisti, hai voluto stravolgere il tutto rinunciando completamente all'elettronica. Hai scelto di farlo puntando solo su voce e chitarra. Una scelta che, rispetto all'originale, dà molta più importanza ai testi o sbaglio?

"É proprio così. La realizzazione in acustico, lascia molto più spazio al valore dei testi. Come ti dicevo, vengono trattati temi importanti, profondi. A volte, invece, si sente anche un senso di leggerezza. In ogni caso, la particolarità e la bellezza va ricercata anche nella comunicazione di questi testi".

Ad accompagnarti però hai voluto ben quattordici chitarristi: da Fausto Mesolella a Pacifico, da Marrale a Mario Venuti, solo per citarne alcuni. Ciò ha richiesto sicuramente un grande impegno organizzativo…

"Certo, anche perché mettere insieme quattordici grandi musicisti, ognuno impegnato con le proprie attività, non é stato semplice. É stato semplice avere la loro adesione nel senso che hanno accettato tutti subito con entusiasmo. Poi, a livello organizzativo, c'è voluto un po' di tempo. E c'é voluto un po' di tempo inizialmente anche per scegliere i musicisti".

In base a quale criterio sono stati scelti i chitarristi?

"Siamo partiti dalle canzoni. Abbiamo pensato: <chi potrebbe realizzare questo brano, con questo stile, con queste caratteristiche?> E da lì abbiamo iniziato a pensare ad alcuni nomi. É iniziato tutto così".

Quanto tempo hai dedicato a questo progetto?

"L'idea é nata nel 2007. La realizzazione del disco é iniziata, invece, nel 2010".

Quale canzone del disco senti più tua?

"Più di una, in realtà tante. Te ne dico due: "Rilassati ed ascolta" e "Non sei più solo". Ma non posso non dirti anche "Scrivi il tuo nome"".

"Qualcosa che vale" è il titolo del disco ma per te cosa è che vale?

"Nel brano "Scrivi il tuo nome" c'è una frase magistrale: <…scrivi il tuo nome su qualcosa che vale>.
Ecco. Appunto. Scrivere il proprio nome, la propria storia, la propria giornata, la propria vita su qualcosa che vale. Dare valore alle cose. Riconoscere il valore delle cose, delle persone, delle emozioni, di quello che accade. Riconoscere il proprio valore. E anche quello degli altri. Autenticità. Questo vale".

Con "Qualcosa che vale" sei approdata alla finale del Premio Tenco 2013 nella categoria "Interpreti". Come hai accolto il quarto posto e cosa pensi della rassegna sanremese?


"É stata una bellissima sorpresa e mi ha fatto molto piacere. Mi piace poter ringraziare i giornalisti che hanno votato il disco e tutti i chitarristi che hanno partecipato con la loro straordinaria creatività e sapienza artistica".

Dopo due singoli e un disco da interprete non pensi che sia arrivata l'ora di pubblicare un disco di canzoni tue?

"Le mie canzoni esistono al di là della pubblicazione dei dischi. E questo da anni. Arriverà anche quel momento probabilmente. In ogni caso, il prossimo disco sarà un disco di poesie da me musicate. Testi di grandi poeti, tipo Quasimodo, D'Annunzio e altri, in forma canzone. Ho avuto modo di vincere il Premio Lunezia nel 2010 e anche nel 2013, proprio per aver musicato questi due poeti. Ecco un altro incontro magico, straordinario. E io mi appassiono. Come con le canzoni di Battisti. Ed eccoci di nuovo... a qualcosa, che per me, vale".



Titolo: Qualcosa che vale
Artista: Patrizia Cirulli
Etichetta: FPPC
Anno di pubblicazione: 2012