Produttore, arrangiatore, stimato musicista e cantautore. La carriera di Gianfilippo Boni da oltre vent'anni si divide equamente tra tutti questi impegni musicali. Ha prodotto l'esordio di Marina Giaccio e Giorgia Del Mese, ha collaborato con Lucio Dalla, Gianni Morandi e Samuele Bersani. E ha inciso dischi. Tre, per l'esattezza. Nel 1995 ha esordito con "Cinema" per la Fonit Cetra, seguito nel 2003 dall'album "Con le zanzare". E dieci anni dopo ecco il terzo capitolo del musicista fiorentino, intitolato semplicemente "Gianfilippo Boni". Un disco intimo, autobiografico, il cui stile si ispira a molta della miglior produzione del periodo d'oro del cantautorato italiano degli anni Settanta. Si possono rintracciare, qua e là, influenze di Dalla, echi del più ispirato De Gregori, spruzzate di Caputo. Il tutto racchiuso in dieci canzoni che hanno il dono di suonare moderne, al passo con i tempi. Si tratta di un piccolo gioiello musicale che si colloca lontano dai clamori e dalle mode e che, fortunatamente, non ha nulla da spartire con certe produzioni plastificate e prive di ispirazione che saturano il mercato discografico italiani.
Per il suo terzo album solista, Boni ha radunato intorno a sé alcuni dei migliori musicisti della scena fiorentina, tra cui Bernardo Baglioni alla chitarra e Fabrizio Morganti alla batteria. Senza dimenticare il tocco di classe che Stefano Bollani
ha saputo dare a "Van Gogh", brano di rara bellezza che chiude un album ricco di suggestioni che cattura non solo per la musica ma a cominciare dalla splendida copertina realizzata da Francesco Chiacchio.
Gianfilippo, in quasi vent'anni hai pubblicato solo tre dischi. Non si può certo dire che non siano progetti pensati a lungo… Come lo spieghi?
«In realtà la domanda ha una semplice spiegazione nel fatto che, arrangiando e producendo artisticamente anche lavori per altri cantautori, il tempo è sempre tiranno e di conseguenza anche le energie. La seconda motivazione sta nel fatto che preferisco far decantare le canzoni un po' di tempo, come il vino: sulla lunga distanza, resistono quelle più convincenti».
Qual è stato lo spunto che ti ha convinto a far nascere questo nuovo album?
«Un'urgenza interiore. Le canzoni erano estremamente sentite e rappresentavano un periodo importante della mia vita. Avevo la necessità di fissarle per poi andare oltre».
Quali sono state le difficoltà maggiori nel realizzarlo? Hai qualche aneddoto curioso da rivelarci?
«Realizzare un album è sempre molto dispendioso, in primis psicologicamente: è un modo per mettersi in gioco e confrontarsi con gli altri. Più si invecchia, più in qualche modo si cerca di evitare questo confronto. Per me la difficoltà maggiore è stata decidere di farlo. Poi, avviata la macchina, il disco ha preso forma grazie a Lorenzo Forti, che ha curato con me gli arrangiamenti e mi ha convinto a non mollare. Per quanto riguarda gli aneddoti: eravamo fermi su un brano, provavamo ad arrangiarlo con varie soluzioni ma non ci convinceva, alla fine ci eravamo arresi. Poi a Lorenzo è venuto un arpeggio di chitarra che mi ha emozionato. Nella notte ho scritto un nuovo pezzo, tutto di un fiato: "Senza disturbare"».
Il titolo "Gianfilippo Boni" fa pensare a un album profondamente autobiografico. Mi sbaglio?
«Sì. È interamente e profondamente autobiografico. Avrebbe dovuto ipoteticamente intitolarsi "Senza filtro", ma rimandava troppo all'idea di sigaretta. Alla fine il titolo migliore era il mio nome e cognome».
Come dicevi prima, oltre a essere cantautore sei anche uno stimato arrangiatore e produttore artistico e nel disco si sente. Hai messo grande cura negli arrangiamenti e nella ricerca di una qualità strumentale superiore alla media. Come si sono svolte le sedute di registrazione e quanto tempo hai dedicato a questo lavoro?
«Devo la cura degli arrangiamenti principalmente a Lorenzo Forti. Avevo realizzato negli anni dei provini abbastanza strutturati ma c'era bisogno di una visione dall'esterno. Ero troppo dentro al progetto e così è stato Lorenzo a modificare il mio materiale, integrandolo e cambiando ciò che non lo convinceva. A volte è stato difficile staccarsi dalle mie vecchie idee: per la cronaca, abbiamo escluso perlomeno dieci brani. È stato davvero un lavoro a quattro mani, senza prevaricazioni, dando spazio al dialogo e al confronto. Le sessioni si svolgevano, ahimè, ritagliando il tempo da altri lavori che stavo facendo: per questo ci è voluto più di un anno a chiudere il disco, dedicandocisi perlopiù nella notte. È un disco decisamente notturno. Si ascolta bene nel silenzio della notte».
"Potrei" mi ha ricordato certe sonorità di Lucio Dalla, con cui hai anche lavorato. È così?
«A "Potrei" sono particolarmente affezionato, perché è nata spontaneamente, anch'essa nella notte, ed è semplicemente un piccolo autoritratto. Il mio primo album, "Cinema", uscito per la "Fognit tetra" - lapsus, scusami - "Fonit Cetra" (in realtà l'avevo soprannominata così), era prodotto dal grande produttore ed arrangiatore Bruno Mariani, da anni produttore artistico di Lucio Dalla, Luca Carboni, Samuele Bersani e molti altri. L'amicizia con Bruno mi ha portato in seguito a una collaborazione su una trentina di puntate di una fiction RAI, "Sotto casa", con colonna sonora firmata da Lucio Dalla. Dalla è sicuramente un mio punto di riferimento: ti basti pensare che a otto anni i miei primi LP acquistati furono "Come è profondo il mare" di Dalla e "Via Paolo Fabbri 43" di Francesco Guccini».
Ci racconti qualche aneddoto di quel periodo con Dalla?
«L'unica cosa che posso dire è che alcune persone nascono per fare musica: ogni sua frase melodica, sia con la voce, sia con il clarinetto, sia con il sax o il piano era incredibilmente musicale, riusciva sempre ad emozionarti. Questo talento non è comune a molti».
Per questo album hai radunato alcuni dei migliori musicisti della scena fiorentina. Cosa sta accadendo a Firenze e dintorni?
«Firenze è sempre stata una grande fucina di musicisti validissimi. Io ho l'onore di conoscerne tanti e spesso di lavorarci insieme; del resto è il mio modo di produrre musica, affiancarmi e dialogare con persone dotate di grande sensibilità musicale. Il problema è sempre lo stesso: la musica è sempre più bistrattata e coperta dal rumore di fondo. A volte si assiste a grandi concerti di jazz con la gente che urla o festeggia compleanni e i musicisti fanno sottofondo, o peggio ancora arredamento. Firenze, ahimè, è una città con una certa predisposizione all'apparenza e un po' meno alla sostanza... Quindi, tanti locali ma poco ascolto e sempre più voglia di generi musicali d'intrattenimento. Vivere di musica non è facile, ci si deve adattare a fare un po' di tutto».
Nel suo insieme il disco non ha cedimenti. C'è però qualche brano di cui sei particolarmente orgoglioso?
«Il brano di cui sono e sarò sempre orgoglioso è sicuramente "Van Gogh"; anche se non è recentissimo, continua ad emozionare le persone che lo ascoltano e questa per me è la vittoria più importante».
Qual è la tua dimensione ideale: in studio o dal vivo?
«Esattamente 50 e 50: lo studio mi appassiona, perché ciò che produci rimane nel tempo, ma senza il live non potrei farcela, tenderei ad un isolamento troppo forzato. Alla fine ho sempre suonato e cantato per la gente e andare in giro per l'Italia, anche ad accompagnare pianisticamente i cantautori che produco, mi permette di vivere come ho sempre sognato. Mi dà l'occasione di fare conoscenze e di sentirmi uno 'zingaro felice', tanto per citare un altro mio punto di riferimento, Claudio Lolli. Ma per quanto io sia un cantautore legato alla tradizione, si anima dentro di me una passione profonda per il rock, in particolar modo per quello di Lou Reed e di Federico Fiumani, mio concittadino e fonte di grande ispirazione».
L'album si chiude con "Van Gogh" a cui ha contribuito anche Stefano Bollani. Come è nata questa collaborazione?
«Stefano Bollani è il più grande musicista che ho conosciuto, dotato non solo di tecnica e conoscenza musicale... È istrionico: talento ed estro allo stato puro. Lo chiamammo per suonare la fisarmonica su "Van Gogh", lui ascoltò il brano e mi disse: ‹Posso suonarci anche il piano?›. In un battibaleno cancellai la mia traccia di pianoforte e lui alla prima la risuonò. Un verso della canzone recita ‹Francia fine ottocento›; mi ricordo che mi disse: ‹E se fosse stato New Orleans anni '50?› e suonò un piano in stile e così via, giocando con epoche e stili. Un grande che ama divertirsi con la musica. Poi mise la fisarmonica, sempre alla prima, e se ascolti bene si sente che canta il solo mentre lo esegue. Non finirò mai di ringraziarlo per la musica che mi ha regalato, nel vero senso della parola: non volle soldi... Ci tengo anche a ringraziare un caro amico comune a Stefano, Lorenzo Piscopo, chitarrista ed arrangiatore: è grazie a lui se ci siamo conosciuti».
In molti testi delle canzoni del disco è presente la figura femminile ("In ogni stanza", "Senza di te", "Finta di niente"), la stessa che abbracciata compare nella bella copertina del disco. È per te una fonte importante di ispirazione e perché?
«La figura femminile in questo disco è centrale, è un lavoro che è ispirato totalmente dalle donne importanti e significative della mia vita: da mia madre alle mie compagne, fino a mia figlia. L'ispirazione non può che nascere dal continuo confronto e approfondimento con l'altro sesso; un confronto antico, come l'illustrazione in copertina di Francesco Chiacchio, che fotografa esattamente lo stato d'animo a cui tenevo: un uomo e una donna stretti in un ballo antico, dolce e nostalgico, anche lievemente assente; del resto l'assenza è un altro tema centrale del lavoro».
Come ti confronti con la tecnologia?
«Devo dire che ho sempre avuto un ottimo rapporto con la tecnologia: da ragazzo ero un patito di videogiochi, crescendo ho perso questa passione, ma non del tutto... (ride)… Sono sempre rimasto affascinato dalla tecnologia, me la cavo abbastanza bene con le macchine; in studio di registrazione devi per forza aggiornarti continuamente e questo fa sì che mi tenga sempre in allenamento. Con l'età ho anche capito che la tecnologia ti può fregare e che ha i suoi limiti: alla fine è sempre meglio fare una bella passeggiata in mezzo alla natura, piuttosto che passare ore davanti ad uno schermo».
Dovremo aspettare altri sette-otto anni per vedere il tuo quarto disco solista oppure hai già qualcosa in cantiere?
«Questo lo devi chiedere a Lorenzo Forti e dipende da quanto sarà capace di stimolarmi ed infondermi la voglia di pensare ad un nuovo lavoro. In realtà avevamo appena finito questo e già mi stava proponendo un nuovo progetto, completamente diverso da quello che avevamo realizzato. Probabilmente stavolta passeranno quattro anni. Se ci prende bene, faremo un disco con influenze swing. Sarà sempre un po' malinconico, ma ci sarà perlomeno un bel 'battere e levare' per dirla alla De Gregori».
Titolo: Gianfilippo Boni
Artista: Gianfilippo Boni
Etichetta: Tumtumpa Records
Anno di pubblicazione: 2014
Tracce
(testi e musiche di Gianfilippo Boni, eccetto dove indicato)
01. Passano
02. Potrei
03. In ogni stanza [testo Massimo Chiacchio, musica Gianfilippo Boni]
04. Senza di te
05. Ti offro
06. Con la crisi che c'è
07. Senza disturbare [testo Gianfilippo Boni, musica Lorenzo Forti e Gianfilippo Boni]
08. Finta di niente
09. Completamente senza
10. Van Gogh