lunedì 20 maggio 2013

"Timbrica", pt. 1: Loris Lombardo






Reduci dal successo al "Percfest" del 2012, il più importante festival delle percussioni in Italia che si tiene tutti gli anni a Laigueglia, Loris Lombardo e Danilo Raimondo hanno pubblicato in questi giorni il loro primo disco, dal titolo "Timbrica". L'album è un viaggio, spirituale e stimolante, nel mondo delle percussioni e della timbrica. Per farlo, Loris e Danilo hanno utilizzato strumenti provenienti da tutto il mondo ed altri realizzati appositamente per le esigenze dei vari brani. A questi hanno unito suoni campionati dalla natura come la pioggia e i tuoni registrati a Castelbianco, canti di uccelli e di balene, il ghiaccio che si rompe e tutto quello che crea un rumore in grado di evocare sensazioni ed emozioni. Ne è venuto fuori un album, composto da otto tracce (quattro scritte insieme, due di Lombardo e altre due di Raimondo), di sperimentazione che non è però fine a se stessa. "Timbrica" è un disco piacevole, da scoprire poco per volta, un album che resta, che non annoia e soprattutto che trasmette emozioni.
Abbiamo incontrato Loris in un caffè a Savona, davanti a un succo di frutta e un bicchiere di acqua e menta. Un'ora di piacevole conversazione che è riassunta in questa intervista di presentazione.



"Timbrica" sembra essere un viaggio attraverso i suoni del mondo. Sei d'accordo?

«Sì, abbiamo raccolto strumenti musicali di varie tradizioni e li abbiamo riuniti in un unico grande set. A questo è stato aggiunto uno strumento nuovo che è l'hang. Tutto ciò non è mai stato realizzato. Abbiamo fatto un lavoro di ricerca. La tradizione è bella ma volevamo unire più idee, più realtà, più sound. Ed è appunto quello che l'anno scorso ci ha permesso di vincere il Percfest a Laigueglia».

Il disco si apre con la canzone "Timbrica"…

«È appunto il brano che abbiamo presentato al Percfest e lo abbiamo dedicato a Naco, grande percussionista scomparso. Questa composizione ci ha distinti dagli altri concorrenti in gara che hanno puntato molto di più sull'elettronica. Noi invece abbiamo utilizzato l'hang come strumento principale e intorno ad esso abbiamo costruito il sound mischiando il suono di diversi strumenti».

I titoli delle canzoni sono affascinanti ed enigmatici. Spiegaci cosa significa "Kalimbalena"...

«Il titolo è una idea di Danilo e mette insieme, da una parte, la kalimba, strumento a percussione di tradizione africana che viene suonato nella canzone, e dall'altra il canto delle balene che abbiamo inserito nel brano stesso. Purtroppo non siamo riusciti ad andare in mare a campionare le balene però abbiamo raccolto dei veri canti di uccelli e li abbiamo aggiunti. Abbiamo così dato vita a una sonorità che in natura non si potrà mai sentire: balene con uccelli. Ci è piaciuto molto ricreare i suoni della natura: alcuni li abbiamo registrati direttamente nel bosco e altri li abbiamo ricreati con degli strumenti che ha inventato Danilo».

"Libido" è un titolo forte, da dove è nato?

«Danilo, dopo il primo ascolto, mi ha confessato che il brano gli trasmetteva sensazioni simili a quelle dell'incontro amoroso con una donna. Il titolo è venuto di conseguenza. Ospite nella canzone è il grande Claudio Bellato che ha dato quella raffinatezza che solo lui poteva dare».

Il titolo della canzone numero tre per è me incomprensibile, cosa significa?

«È scritto in cinese e vuol dire felicità. Abbiamo fatto questa scelta perché chi ha sentito la canzone in anteprima ha detto che era gioiosa e poi abbiamo usato uno strumento che si chiama kou xiang. È venuto naturale utilizzare la lingua cinese».

Siamo sempre in oriente con "Alinamsuq", canzone in cui si sentono rumori di mercato…

«Sono voci registrate in un mercato alle Filippine a cui abbiamo aggiunto il rumore del ghiaccio che abbiamo spaccato con il martello. Siamo degli sperimentatori, però è venuto fuori un disco godibile».

L'album si chiude con una tua esibizione dal vivo…

«Il grande Fulvio Marella ha registrato la performance fatta il 21 dicembre 2012 al Teatro Nuovo di Valleggia, è venuta molto bene e abbiamo deciso quindi di inserire questo brano nel disco. E poi un bel live di chiusura ci sta sempre bene».

Registrare un disco con strumenti inventati e costruiti per l'occasione è una scelta audace. Ci sono anche strumenti mai visti come lo zulivo...

«Lo zulivo è uno strumento inventato da Danilo. È fantastico ed è una evoluzione del berimbao. Lo zulivo è formato da due zucche poste all'estremità di un ramo di ulivo e da quattro corde che vengono percosse con una bacchetta. A creare gli armonici si usa una pietra».

Leggendo il libretto del disco vedo che hai suonato anche parti del tuo corpo nella canzone "Libido"...

«Amo la body percussion e in questa canzone ho suonato guance e pancia. Abbiamo anche notato che se mettiamo un microfono, di quelli a pick-up che si fissano sul mandolino, tanto per intenderci, e lo posizioniamo in bocca, tra lingua e denti, e poi suoniamo il nostro corpo si creano delle onde che danno vita a suoni molto particolari. Stiamo iniziando a sperimentare anche questo sound».

Non solo gli strumenti ma anche la copertina trasmette l'idea del viaggio...

«Tutto il lavoro di fotografia e grafica è stato curato da Luigi Cerati, bravissimo fotografo che ha lavorato anche con Emanuele Dabbono. La copertina con la valigia aperta piena di aerofoni fa pensare al viaggio, così come la foto interna in cui compaiono oggetti nascosti come valigie e una macchina fotografica antica».

Come è nata la tua collaborazione artistica con Danilo?

«A farci incontrare è stato Nicola Campanella, bravissimo vibrafonista di Cuneo che è ospite anche in un brano del disco. Ho chiesto a Danilo se era disposto a fare qualcosa insieme e lui mi ha proposto di partecipare al Percfest. Ci siamo iscritti, abbiamo partecipato quasi per gioco e inaspettatamente abbiamo vinto. Per me è stata una cosa pazzesca perché solo sette mesi prima avevo vinto il "World Drum Contest"».

Che cosa vi ha uniti?

«Ci ha unito l'hang e soprattutto l'idea che qualsiasi cosa possa creare musica. Danilo suona anche i barattoli dei pomodori. In un brano io suono una bottiglia di plastica tagliata che emette un suono che ricorda le foglie mosse dal vento. Abbiamo usato conchiglie, zucche, canne. Abbiamo voluto fare un disco senza utilizzare gli strumenti usuali».

Non credi che tutte queste novità possano allontanare il pubblico meno curioso?

«Abbiamo creato un sound abbastanza commerciale. Non è stata una scelta, è venuto dal cuore. La nostra idea è quella di divulgare l'utilizzo di questi strumenti particolari e presentarli a chi non li conosce. Penso che le persone siano incuriosite. La dimostrazione l'ho avuta recentemente a Prato, in occasione del festival internazionale dedicato all'hang, dove il pubblico è letteralmente impazzito. Il suono dell'hang è affascinate e ti cattura».

Loris, tu sei nato come batterista ma l'hang è entrato prepotente nella tua musica. Che futuro vedi?

«Batteria e hang possono coesistere. Nel mio spettacolo solista mischio questi due strumenti. La mia mano destra tiene due bacchette: una suona il piatto, l'altra il rullante. La mia mano sinistra suona l'hang, il mio piede destro la cassa e il mio piede sinistro si alterna tra charleston e tamburello a piede. Nadishana e Kuckhermann, i due più grandi suonatori di hang al mondo, mi hanno fatto i complimenti e mi hanno assicurato che nessuno ha mai fatto una cosa del genere. Questo anche perché l'hang è uno strumento nuovo, ancora tutto da scoprire».

Dove avete registrato l'album?

«Una parte nel mio studio, l'altra in quello di Danilo che è una specie di grotta dove si creano riverberi naturali molto particolari. Quando abbiamo registrato il terzo brano del disco ha cominciato a piovere e in un primo momento ci siamo dispiaciuti perché il rumore dava fastidio. Poi invece ci è venuta l'idea di sfruttare il rumore della pioggia e a questa abbiamo aggiunto anche un bel tuono registrato al momento. Un'altra volta siamo andati a un laghetto vicino a casa di Danilo e abbiamo suonato zucche immerse nell'acqua. Ognuna ha prodotto un suono diverso. Abbiamo registrato il tutto e poi abbiamo chiesto aiuto al grande Alessandro Mazzitelli che ha mixato il disco. Ci siamo divertiti tantissimo».

Sarà spettacolare vedervi all'opera con tutti questi strumenti. Porterete il concerto in tour?

«Probabilmente andremo a suonare a Batterika, festival internazionale di percussioni e batteria che si tiene a Roma a ottobre, e prima al Percfest a Laigueglia, questa volta come ospiti. Siamo curiosi di vedere i concorrenti del concorso, speriamo ci sia qualcuno che segua il nostro filone. C'è un mondo così ampio da esplorare». 

Qual è il tuo sogno nel cassetto?

«Vorrei un giorno trasformare Savona nella città delle percussioni. Creare un centro di alto perfezionamento aperto ad adulti e bambini. Insegno da 12 anni e vedo che gli allievi vengono da me una volta alla settimana e a casa non sempre studiano. Chi fa calcio va invece tre o quattro volte alla settimana ad allenamento, la domenica la sacrifica a giocare, stessa cosa per chi fa nuoto, pallavolo o basket. Vorrei che ci fosse la stessa assiduità anche quando si impara musica. In questo centro vorrei dare la possibilità agli allievi di sperimentare tutti gli strumenti a disposizione: dalla batteria all'hang, dalle congas alle tablas. Sarebbe ancora più bello insegnare anche ai ragazzi a costruire i loro strumenti musicali, e in questo caso l'aiuto di Danilo sarebbe indispensabile».


Titolo: Timbrica
Artisti: Loris Lombardo & Danilo Raimondo
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(musiche di Loris Lombardo, eccetto dove diversamente indicato)


01. Timbrica  [Loris Lombardo e Danilo Raimondo]
02. Alinamsuq  [Loris Lombardo e Danilo Raimondo]
03. 福  [Loris Lombardo e Danilo Raimondo]
04. Junglejazz  [Danilo Raimondo]
05. Libido
06. Eiwrbalat  [Loris Lombardo e Danilo Raimondo]
07. Kalimbalena  [Danilo Raimondo]
08. Handpan solo live





mercoledì 15 maggio 2013

Trent'anni di blues con Joe Valeriano





Joe Valeriano è uno degli artisti più apprezzati della scena blues italiana. Pugliese di nascita e milanese d'adozione, Valeriano da oltre trent'anni porta avanti una carriera di musicista coerente e capace. Considerato dalla critica uno dei migliori interpreti della musica di Jimi Hendrix e Stevie Ray Vaughan, Valeriano è stato per otto anni a fianco del cantante inglese Kim Brown, prima di intraprendere la carriera solista che lo ha portato a calcare i palchi dei più importanti festival, come di club e teatri di periferia. Una decina sono gli album pubblicati a suo nome. Da "Elida", uscito nel 1991, ad "Acoustic Session" registrato insieme al chitarrista Joe Colombo e dato alle stampe nel 2012. Quello con il chitarrista slide ticinese è un sodalizio artistico che dura da parecchi anni e nel 2008 ha dato come frutto "Joe Valeriano & Joe Colombo", disco nel quale i due artisti hanno riproposto in acustico parte del loro repertorio fatto di classici rock/blues. Il nuovo capitolo discografico non ha fatto altro che confermare quanto di buono espresso in precedenza.
Valeriano, poche settimane fa, è stato ospite della Cantina dei Frati a Sassello dove si è esibito in un concerto molto apprezzato e seguito. Con Joe abbiamo parlato della sua musica, tra futuro e passato.



E' da poco uscito un tuo nuovo disco, ancora una volta insieme a Joe Colombo. Raccontaci questo fruttuoso incontro artistico.

"Dopo aver entrambi partecipato con le nostre rispettive band a varie edizioni del Vallemaggia Magic Blues in Ticino e del Festival Blues Rapperswil, nella Svizzera tedesca, gli organizzatori di Piazza Blues di Bellinzona ci hanno proposto di suonare insieme al loro Festival in duo acustico. Da qui è nata la nostra collaborazione artistica, sempre più richiesta da parte dei vari club in Svizzera e in Italia".

Qual è stata la molla che vi ha spinto a registrare "Acoustic session"?

"Prima di tutto perché abbiamo esaurito le 1000 copie del primo cd! Piuttosto che ristamparle abbiamo deciso di proporre ai nostri supporters un nuovo album, la cui realizzazione ci ha portato ad ottenere maggiori proposte in ambito dei festival blues".

Quali sono le differenze sostanziali dal precedente "Joe Valeriano & Joe Colombo"?

"Beh, nessuna. Il secondo è la naturale prosecuzione del primo, possiamo dire che è il "secondo tempo". Cambiano chiaramente la scelta dei brani, ma in sostanza si tratta di un unico progetto".

Pensi che abbia ancora un senso nel 2013 entrare in studio e registrare un disco?

"Assolutamente sì! Non solo per un’esigenza professionale ed artistica, ma anche per creare uno spazio di promozione e per ottenere maggiori chances di partecipare ai festival blues e alle varie esibizioni nei club".

Molti ti ricordano a fianco di Kim Brown. Quanto ha influito sulla tua carriera questo sodalizio?

"Kim Brown è l’artista che più di ogni altro ha influenzato le mie scelte artistiche-musicali, perché il suo modo di fare rock'n'roll, blues e country era unico e autentico. Kim era un vero rocker. Condividere con lui il palco è stato esaltante, ho imparato a vivere lo show nella maniera più adeguata, ho imparato come accattivarmi il pubblico, insomma, tutte le regole delle performances artistiche. Con Kim Brown ho anche registrato alcuni brani inediti, che purtroppo non sono stati pubblicati".

 In poche parole cosa è per te il blues?

"Il blues è un modo di vivere, di pensare. Il blues, come spesso si dice, o lo si ha dentro o è quasi impossibile crearlo. La mia generazione ha avuto la fortuna di vivere un’esperienza indiscutibilmente straordinaria e unica nel suo genere, perché ha potuto vivere in diretta sulla propria pelle la musica degli anni '70 che era quasi totalmente ispirata ai grandi del blues".

Come vedi l'approccio del pubblico italiano verso il blues?

"Il pubblico italiano è sempre più preparato e ci sono molti più appassionati rispetto a tanti anni fa".

Se non fosse esistito Jimi Hendrix che musica avremmo oggi?

"Non riesco a pensare alla musica, in particolare per quanto riguarda il rock e il blues, senza Jimi. È veramente una risposta difficile da dare!".

Molti musicisti denunciano che le possibilità di lavoro sono sempre meno, nei locali e nelle rassegne. Tu che impressione hai?

"Sì, è vero. Ci sono tante difficoltà per la musica live, sia nei piccoli club, sia nelle rassegne musicali di vario genere. Per fortuna riesco a suonare nei vari locali nei dintorni di Milano e attualmente, grazie alla collaborazione con Joe Colombo, suono spesso in Svizzera, dove la situazione live è migliore rispetto a quella italiana".

Se ti regalassero un biglietto per assistere a un concerto quale vorresti ricevere?

"Vorrei tanto assistere ad un concerto di Gregg  Allman e la sua band, ascoltare la sua mitica voce da vicino e il suono della sua grande band".

Cosa consiglieresti a un giovane chitarrista?

"Meno tecnica, più feeling. Ascoltare i grandi bluesmen di un tempo - Muddy Waters, Freddie King, Albert Collins, B.B. King, ecc. - e la musica degli anni '60-'70, dai Beatles ai Rolling Stones, dai Cream a Jimi Hendrix. Non si può essere un bravo chitarrista rock-blues senza aver studiato, ascoltato i brani di questi mitici personaggi. Ovviamente bisogna ascoltare con attenzione anche chitarristi moderni come Steve Vai, Joe Satriani, Andy Timmons, che io stimo tantissimo e che sono dei veri innovatori dello stile chitarristico nella musica moderna".

Si è celebrato da poco il concertone del Primo Maggio. Qual è il tuo commento?

"Beh, ogni anno è sempre peggio!".

Quale artista di oggi vedresti bene inserito nel panorama musicale degli anni '70?

"Derek Trucks e Doyle Bramhall".

Infine, anche per te le dieci domande secche:

- Lasagne o tortellini? Lasagne! Perché è un pasto completo, con i tortellini rimarrei affamato.
- Corvo o civetta? Civetta, perché i suoi occhi sono meravigliosi e suscitano un gran rispetto.
- Baita in montagna o attico in città? Attico in città. Mi piace vivere nella metropoli, non a caso sin da ragazzino ho vissuto prima a Londra, poi a Francoforte, e infine Firenze e Milano.
- Due o quattro ruote? Quattro ruote. Mi sento più sicuro. Anche se fino ai 35 anni ho guidato solo la Vespa.
- Dollaro o euro? Dollaro, mi piace un casino il film "Per un dollaro in più".
- Roma o Napoli? Napoli. Il mare!!!
- Salita o discesa? Discesa, meno faticosa.
- Albero o cespuglio? Albero, perché guarda verso il cielo. L’albero è vita, mi emoziono molto quando vedo gli alberi secolari della mia Puglia.
- "Foxy Lady" o "Texas Flood"? "Foxy Lady". Hendrix divino… Stevie umano…
- Rum o grappa? Rum!!! Esotico!





giovedì 9 maggio 2013

La bellezza ricercata di Neve Su Di Lei




Neve Su Di Lei, all'anagrafe Marcella Garuzzo, avrebbe potuto essere una delle interpreti della scena folk della west coast degli anni Sessanta. Invece la cantautrice ha sbagliato luogo e soprattutto anno di nascita. Nata a Genova, l'ultimo anno dei Settanta, Neve Su Di Lei ha potuto vivere solo indirettamente quell'epoca musicale che ha dato tanti frutti e che ancora adesso, a oltre quarant'anni di distanza, influenza schiere di cantautori. L'insegnamento dei songwriters americani ha lasciato però tracce evidenti nella scrittura e nella musica di Neve Su Di Lei, che ha pubblicato in queste settimane il suo primo album dal titolo "Cerco la bellezza", prodotto da Ruben per RPM Produzioni Musicali. 
Dodici canzoni in cui la chitarra e la voce di Marcella raccontano storie piene di speranza ma a tratti anche malinconiche e visionarie. Gli arrangiamenti sono in punta di piedi e arricchiscono le canzoni anche con l'utilizzo di archi, fiati, percussioni, wurlitzer e mellotron. Il tutto, senza togliere centralità ai due elementi portanti del disco: la voce e la chitarra di Neve Su Di Lei.
La carriera musicale di Marcella è iniziata dopo aver scoperto Joni Mitchell e l'uso delle accordature aperte. Accompagnandosi con una chitarra acustica e un autoharp ha iniziato ben presto a esibirsi nei locali, prima da sola, e poi in duo con Davide Elleestmorte. Dopo cinque anni per la strada, con oltre duecento concerti alle spalle e terminato il sodalizio artistico, Marcella ha inziato a lavorare da educatrice in una cooperativa sociale mettendo la musica in secondo piano. Musica che è tornata prepotente nella sua vita nel 2011 con l'offerta, del tutto inaspettata, di registrare un disco sotto la direzione del cantautore veronese Ruben.
Con Marcella, in questa intervista, abbiamo parlato del nuovo disco e della musica degli anni '60.



Marcella, chi è Neve Su Di Lei?

«Neve Su Di Lei fu la prima moglie di Toro Seduto, grande capo Sioux. Parliamo dell'America appena nata, seconda metà dell'800. Un giorno Toro Seduto volle prendere una seconda moglie, Neve Su Di Lei non era d'accordo e venne scacciata. Da lì se ne persero le tracce. Scomparve dalla storia, in cui entrò comunque in un ruolo assolutamente marginale, fu una toccata e fuga. Era Nativa, quindi sfortunata, e in più donna, quindi doppiamente sfortunata, all'epoca».

Perché hai deciso di usare questo soprannome?

«Ero alla caccia di un nome d'arte che mi descrivesse. Qualcosa di bello da pronunciare, ma che avesse anche un significato. Un giorno, leggendo la biografia di Toro Seduto, inciampai in quel nome: Neve Su Di Lei. Fu una folgorazione. Mi sembrò che in quel nome ci fosse tutto di me: la bellezza nel pronunciarlo, il richiamo ai Nativi Americani – io faccio folk, e mi sento vicina al loro modo di evocare qualcosa di impalpabile che ci circonda – il significato del nome, con questa neve soffice che cade dolcemente su qualcuno … Su Di Lei … e accarezza senza coprire».

Nella tua biografia dici che il tuo rapporto con la chitarra è da sempre tormentato. Eppure alla fine sei tornata allo strumento che avevi iniziato a suonare a 11 anni...

«Sì, una volta ho cercato di imparare a suonare il pianoforte, ma non c'è stato verso: ho le unghie troppo lunghe! Le unghie lunghe mi servono per suonare bene la chitarra, ovviamente! Sono tornata alla chitarra perché sono sempre stata testarda, quindi se non mi riusciva una cosa a cui tenevo non avrei certo mollato nonostante le difficoltà e le incomprensioni. La verità è che suonare la chitarra "accordata normale" non mi piaceva. Mi sentivo limitata, facevo una fatica enorme a stare dentro agli accordi normali, cercavo sempre di scappar via, ma ogni volta che scappavo fallivo nel cercare delle soluzioni che mi soddisfacessero. Era frustrante. Poi ho incontrato un bravo insegnante che mi disse: ‹Mi ricordi Joni Mitchell. Lei usava le accordature aperte›. Da lì ho incominciato, e mi si è aperto un mondo. Un mondo in cui mi sono ritrovata perfettamente. Ora non potrei suonare la chitarra in altro modo che in questo. È stata dura, mi ci sono voluti più di 10 anni, ma alla fine ho trovato la mia strada, e sono ben contenta di non aver lasciato perdere».

Come e perché è nato "Cerco la bellezza"?

«"Cerco la bellezza" è nato perché  Ruben mi ha cercato. Questo è importante che si sappia: senza di lui questo disco non esisterebbe. Io nel 2010 feci l'ultimo concerto, al Caffè Basaglia di Torino: con le lacrime annunciai che per un bel po' non avrei più suonato perché non riuscivo a sopravviverci, e dovevo trovare un lavoro, e trovare un lavoro è stato effettivamente… un lavoro! A maggio del 2011, mentre quasi non ci pensavo più, arrivò la proposta di Ruben, un cantautore veneto con grande esperienza alle spalle, che mi propose di produrre il mio primo album. Non credevo alle mie orecchie. Ormai facevo l'educatrice, alla musica quasi non ci pensavo più. Lui mi disse che mi aveva seguito per un po' su myspace, gli piaceva la mia musica, ed ero pronta per fare il mio primo album. Da qui iniziarono le interminabili chiacchierate e lo scambio di email su cui poggiano, salde, le fondamenta di "Cerco la bellezza". Le canzoni c'erano già quasi tutte. Mancava solo Ruben».

Nella vita, come dicevi, fai l'educatrice, è per questo che hai voluto una copertina piena di simpatici e colorati disegni?


«In realtà volevo un disegno che mi rispecchiasse in pieno. Nel bene e nel male. Per questo ho voluto farlo io. Io in realtà non sono una disegnatrice, quindi mi sono ispirata a libri di favole per bambini che avevo a casa. Ho messo insieme i pezzi che mi piacevano di più, come un puzzle. Sono disegni che rimandano a un mondo fantastico, ma che trovano ispirazione nel mondo reale. L'immagine di me che suono li ricolloca nel presente, e infatti io sono l'unica figura "reale" del disegno. In questo senso sono stati preziosi i consigli di Valentina Amandolese, che ha lavorato alla grafica come Architwo Studio».

Dopo quattro anni in giro per l'Italia a suonare hai deciso di prenderti un pausa e, come abbiamo detto, hai iniziato a lavorare in un ambito diverso da quello musicale. Poi il ritorno prepotente alla musica. Cosa ti ha fatto nuovamente cambiare idea?

«In realtà la musica non mi ha mai abbandonato. Io e lei ci eravamo semplicemente prese una pausa. Ogni tanto fa bene, fare qualcos'altro, cambiare idea, farsi un giro in un altro ambito, anche solo per sapere come funzionano le vite degli altri, com'è la vita vissuta in un altro modo. Mi è servito molto, non fare musica per un po', e mi serve tutt'ora. Poi è arrivato Ruben, come facevo a dire di no a un produttore che mi proponeva di fare un disco? Era l'occasione che avevo cercato per anni, e che arrivava, alla fine. Ho semplicemente fatto un balzo nella vita che avevo fatto per tanto tempo. Non è stato difficile».

Quando hai scritto le canzoni del disco?

«Queste canzoni sono il frutto di esperienza di vita. Le più vecchie sono "Lady oltremare" e "Un viaggio, stanotte", entrambe del 2006, le più giovani "L'albero e il folletto" e "Nel mio campo giochi", che ho scritto nel 2011. È una specie di diario, questo disco, le canzoni abbracciano periodi diversi della mia vita, ma sono tutte unite dal filo dell'esplorazione: sono tutte canzoni nate dalla mia voglia di rispondere alle molte domande che mi faccio di solito, su di me e sulle persone. Di solito la risposta resta fuori dalla canzone, fuori dal foglio, e rimane il testo, come traccia di questa ricerca. A questo proposito c'è una canzone, che non è stata inserita nel disco, che si intitola "Impronte" che parla proprio di questo: di come nasce per me una canzone. A Ruben piaceva molto, ma io ne preferivo altre, così non è stata inserita nella scaletta dell'album. Magari la inserirò nel prossimo disco, se mai verrà…».

Come si sono svolte le sessioni di registrazioni?

«Purtroppo, a causa dei miei impegni di lavoro non ho potuto assistere a tutte le riprese, anche perché il disco è stato registrato a Verona, mentre io abito a Genova. Le mie sessioni si sono svolte sostanzialmente in tre giorni. Ruben e io ci siamo subito trovati d'accordo sul modo di incidere: avrei registrato tutto "live in studio", ovvero alla maniera dei "great '60", cantando e suonando insieme, come in concerto. Il povero Luca Tacconi – fonico e proprietario del "Sotto Il Mare Recording Studios" di Povegliano, dove abbiamo registrato – è diventato matto per posizionare i microfoni.  A me pareva di essere dal dentista! I primi due giorni ho registrato i pezzi dove non ci sono percussioni, ed è stato molto impegnativo: ero sola, in questa grande stanza, con la luce bassa. Sola con me stessa e la mia interiorità. È stato un po' come una seduta psicanalitica, ma me la sono cavata. Iniziavamo alle 10 del mattino e finivamo alle 19/19.30. Andavo a dormire stanca morta. Il terzo giorno è arrivato Carlo Poddighe, il percussionista/chitarrista/bassista/polistrumentista – suona qualsiasi cosa – e lì ci siamo divertiti da morire: lui nella sua stanzetta, io nella mia stanzona, abbiamo suonato un po' insieme per scaldarci e poi via. Suonare con un musicista bravo come lui è stato veramente bello e divertente. Mi sono fatta un sacco di risate. Insomma, prima la sofferenza e poi il divertimento. Giusto, no? Invece le altre parti, gli archi, l'Hammond, il wurlitzer, il mellotron, i cori, sono stati registrati in momenti successivi. Gli archi avrei voluto vederli, ma ero a casa con l'influenza, così ho seguito le sessioni via skype. I cori invece li ho fatti in un altro momento, alcuni li abbiamo inventati io e Ruben, altri invece me li sono preparati a casa. Tutto è stato molto scorrevole. Nessun intoppo, nessun nervosismo o ansia. Tutto è andato come doveva andare. Un lungo fiume caldo e tranquillo».

Quale è stato l'episodio che ti ha fatto capire che ce l'avresti fatta a produrre il disco?

«Diciamo che non è stato facile portare avanti l'idea che io e Ruben avevamo: fare un disco che si avvicinasse il più possibile alla mia essenza, ma con le idee di un avvocato di 45 anni, cantautore amante del rock e del blues, ovvero Ruben. Mi sono arrivate molte critiche, ancora prima di cominciare, molti commenti e consigli. C'era molta ostilità. Dico per certo che con quel clima, se la proposta mi fosse arrivata anche solo cinque anni prima mi sarei arresa, e il disco non l'avrei fatto. Invece mi sono semplicemente fatta dei gran pianti, ma poi ho alzato la testa e ho portato avanti la mia idea, mettendo da parte i commenti altrui. Ricordo che una volta, dopo l'ennesimo commento negativo ricevuto, sono andata a dormire proprio depressa, pensando che il giorno dopo avrei telefonato a Ruben e gli avrei detto che il disco non si faceva, che mi dispiaceva, ma che non mi sentivo pronta. Invece il giorno dopo sono andata a fare shopping, e mentre ero da H&M Ruben mi ha chiamata. Io mi sono seduta sulle scale davanti ai camerini di prove e gli ho raccontato l'ennesima critica ricevuta, e gli ho chiesto conforto, gli ho chiesto: ‹Come devo rispondere a chi mi dice questo e quest’altro?›. Ruben, con il suo solito fare flemmatico, mi disse: ‹Tu devi dirgli: di queste cose ne dovete parlare col produttore, io sono l'artista e faccio l'artista!›. Lì capii che in lui avrei sempre trovato un aiuto, che potevo fidarmi e che la strada era quella giusta. Difficile, fuori moda, ma giusta. Ed è indicativo che questa discussione telefonica, che verteva su come registrare un disco "live in studio" con un sound anni '60, sia avvenuta in un grande magazzini di abbigliamento modernissimo, fra l'altro Ruben questa cosa non la sa…Ora gliela dico».

La tua foto in bianconero che compare nel booklet ricorda appunto quelle delle cantanti degli anni '60. Ti senti vicina a quel periodo artistico?

«Assolutamente! Io mi sento fuori moda. Non per le cose che racconto, ma per come le racconto. Sono nata nell'epoca sbagliata. Oggi si vive meglio sotto molti aspetti, ma il fermento artistico e culturale che c'era negli anni '60 oggi è solo un lontano ricordo. Siamo in piena decadenza culturale, da anni purtroppo. È un processo che sta investendo tutto il Mondo Occidentale, e l'Italia mi pare particolarmente colpita da questo regresso. Basti pensare che ormai, se piaci, ti viene chiesto come mai non partecipi a "X Factor" o "Amici" o roba del genere. Quando a un tale domanda rispondo che mi sento lontana anni luce da quel modo di pensare, la maggior parte delle volte il mio interlocutore non capisce. Anche negli anni '60 si andava in tv a suonare, ma si suonava davvero, si dava realmente spazio al musicista che si esibiva. Oggi tutto è velocissimo, si guarda il look, e chi si presenta sul palco spesso non nulla da dire, perché nessuno gli ha insegnato che in effetti bisogna avere qualcosa da dire, prima di parlare».

Chi tra Joan Baez, Joni Mitchell, James Taylor, Jackson Browne e Van Morrison ha maggiormente influenzato la tua musica e il tuo modo di suonare?

«Senza dubbio Joni Mitchell. Chi mi conosce sa bene quanto questa grande cantautrice mi abbia colpito e quanto mi abbia insegnato. Un insegnamento che continua anche ora, e che esula dalla musica. Joni Mitchell è sempre stata estremamente coerente nelle sue scelte, ha sempre usato il cuore e la mente in eguale misura, e ha sempre intrapreso scelte coraggiose, attirandosi molte critiche. Ha fatto anche scelte nella vita che non condivido – abbandonò la figlia appena nata in orfanotrofio per seguire la sua carriera – ma la vita di nessuno si può dire limpida e priva di errori. Mi piace anche molto James Taylor, per il suo carattere calmo e tranquillo, per la sua modestia e per il suono meraviglioso del suo tocco. In generale, è tutto il panorama di quegli anni, in California, che mi ha influenzato e dove ancora oggi, spesso, ritorno, per scappare dall'ignoranza dei nostri tempi».

In "Torneranno alla terra" punti l'indice sull'arroganza dell'uomo che ‹costruisce senza badare a spese né a vite›. Qual è il tuo messaggio?

«Più che altro è una riflessione su quanto siano fatui e inutili i potenti che accumulano soldi e costruiscono imperi per essere immortali: comunque si muore, e loro non si sottrarranno a questo destino perché hanno costruito un grattacielo in più o invaso un paese nel giusto momento storico. Il loro ricordo durerà poco, perché siamo solo di passaggio. In realtà quel pezzo è nato durante una mia visita alla Diga del Vajont: è comparsa fra la nebbia, un mattino di febbraio di qualche anno fa. Erano così forti le urla di quei morti, nel silenzio, che non ho potuto fare a meno di ascoltarle. È nata così "Torneranno alla terra", che è insieme consolazione per la memoria di quelle persone e monito per coloro che hanno permesso quel massacro, e che ne permettono altri, tutti i giorni».

Tanti sono i personaggi che si incontrano nelle tue canzoni: Emiliano, Lady Oltremare, Nick. Sono tutti inventati o frutto di incontri ed esperienza personali?

«Un po' entrambe le cose. Sono personaggi che esistono nella realtà, ma che sono diventati fiaba per raccontare qualcosa di diverso. Io sono sempre partita dalla realtà per arrivare a raccontare il cielo. C'è chi lavora al contrario, ma io non potrei. La vita che mi circonda è fonte di ispirazione. Non ti dirò chi sono questi personaggi. Loro però lo sanno benissimo. L'unica eccezione è costituita da Nick: si tratta di Nick Drake, e dato che non l'ho di certo potuto incontrare, ho fatto in modo che venisse a trovarmi, sotto forma di fantasma, una notte d'estate».

Quanto c'è di autobiografico nella canzone "Cosa sono io"?

«Ah, tutto! L'ho scritta in treno, mentre tornavo a casa dopo aver fatto visita ad un'amica. Ricordo che erano uscite delle cose, in quell'incontro, che mi avevano fatto riflettere, mi avevano buttato giù. Così scrissi il testo in treno, tutto di fila. Poi però quando si trattò di metterci la musica, il primo accordo che uscì fu allegro, mi mise di buon umore, e decisi di andargli dietro. Così è quella canzone: canto cose tristi, ma col sorriso. E chi non si sente fragile, ‹che il vento mi fa tremare›, o solo in mezzo alla folla, sentendo ‹il disagio nello stare in mezzo agli altri›? È una sensazione che proviamo tutti. È una specie di seduta di psicanalisi, ma al contrario delle visite dallo psichiatra, questa è fatto ballando, o battendo il piede a ritmo. Mi diverto sempre molto a suonare questo pezzo».

I testi di tutte le canzoni ti vedono protagonista in prima persona. Queste dodici tracce possono essere lette come pagine di un tuo diario?

«Assolutamente. Sono a tutti gli effetti pagine di diario. Potrebbero essere il diario di chiunque, credo, perché i personaggi di cui parlo, le sensazioni che descrivo, sono patrimonio di tutti noi. Poi io scelgo di scriverci su qualcosa, un'altra persona magari no, magari fa altre scelte. Io penso che se ognuno di noi dedicasse un po' del suo tempo a fermare certe immagini con un racconto, una fotografia, un disegno, una canzone, staremmo tutti meglio. Ogni tanto fa bene, secondo me, creare qualcosa che proviene dalla vita reale. Poi torni al lavoro, alla famiglia, ai problemi, però intanto hai creato qualcosa di tuo, che rimane. Solo che la gente non hai mai tempo».

Cosa vorresti dalla musica?

«Pace. Non intendo la pace nel Mondo, quegli anni meravigliosi in cui si credeva che la musica potesse cambiare le cose sono passati e non ha senso rincorrere chimere. Intendo la pace per me, in cui racchiudo volentieri felicità, gioia, amore. Tutte parole bellissime, che sento profondamente quando suono, sia nella tranquillità della mia casa, sia sul palco. Quindi spero di continuare a provare queste cose, di riuscire a trasmetterle, sempre meglio e sempre di più, chi mi sta accanto e a chi incontro casualmente a un concerto, o per strada».


Titolo: Cerco la bellezza
Artista: Neve Su Di Lei
Etichetta: RPM Produzioni Musicali
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi de musiche di Neve Su Di Lei)

01. La mattina nel quartiere dei fiori
02. Morbido, dolce La minore
03. Cosa sono io?
04. Emiliano arriva un giorno di pioggia
05. Lady oltremare
06. Cerco la bellezza
07. Un viaggio, stanotte
08. L'albero e il folletto
09. Torneranno alla terra (Vajont)
10. Il segreto dell'oleandro
11. Nel mio campogiochi
12. Rural Indie Camp





lunedì 22 aprile 2013

Mirco Menna e le granite di mandorla







Mirco Menna è uno di quei personaggi borderline che si è affacciato non più giovanissimo sulla scena discografia. Nato come batterista e diventato poi compositore e autore, l'artista bolognese ha esordito nel 2002, a 39 anni, con l'album "Nebbia di idee". Quattro anni dopo è arrivato "Ecco" che vanta anche un prezioso incipit in versi firmato da Fernanda Pivano. Una produzione discografica rarefatta ma molto apprezzata dalla critica e dai colleghi. "Finalmente un disco saporito ed elegante", disse Paolo Conte riferendosi all'album d'esordio di Menna.
Successivamente, dopo aver curato e interpretato lo spettacolo "Arie d'anima marina", Menna ha iniziato a collaborare, in qualità di cantante, con il gruppo etno-rock Il Parto delle Nuvole Pesanti. Un connubio artistico duraturo che ha portato al dvd "Slum", nel 2008 al film "I colori dell'abbandono", vincitore del Festival Internazionale di Cinema, Ambiente e Paesaggio, e allo spettacolo di teatro canzone "Noi stessi". Nel 2010 l'atteso ritorno discografico con l'album "...e l'italiano ride", registrato insieme alla folta e giovane Banda di Avola. Un incontro artistico tra due realtà di estrazione geografica e culturale diversa che hanno saputo integrarsi e completarsi, trovando ispirazione reciproca e dando vita a un lavoro tra i più riusciti dell'anno. La partecipazione al Premio Tenco 2010 è stata una logica conseguenza.
Mirco Menna si esibirà venerdì 26 aprile alla Torre Antica a Borgio Verezzi e per l'occasione abbiamo fatto questa interessante chiacchierata.



Mirco, nel 2010 ti abbiamo visto al Premio Tenco insieme alla Banda di Avola. Come è stato questo incontro?

"Ci siamo incontrati ad Avola, una sera in cui suonavo lì. E ci siamo piaciuti in diretta".

Un incontro anche tra due realtà geografiche e culturali molto diverse: tu di Bologna e la Banda della Sicilia. Cosa vi ha uniti e quali sono state le difficoltà incontrate?

"Ci ha uniti la simpatia, artistica e umana. Le difficoltà? Esagerare con le granite di mandorla, forse".

Ci sarà un nuovo capitolo in questa collaborazione?

"L'intenzione c'è".

Oltre alla Banda d'Avola, hai collaborato assiduamente anche con il Parto delle Nuvole Pesanti, di cui, per un certo periodo, sei stato il cantante. Cosa ci puoi raccontare di questo incontro artistico?
 

"Abitavamo a Bologna e ci siamo trovati più volte sugli stessi palchi. Io feci un'ospitata nel loro disco e loro nel mio, poi un'estate sostituii il loro batterista in alcune date del loro tour. Quando Peppe Voltarelli (il cantante del Parto delle Nuvole Pesanti, ndr) uscì dal gruppo, io mi trovai amichevolmente lì. Diciamo che sono stato un loro ospite fisso per qualche anno, ho tappato volentieri il buco, finché Salvatore De Siena non ha cominciato a cantare".

Nella tua carriera, oltre alla musica, c'è spazio anche per teatro e cinema. Quale di queste arti senti più tua e quali sono invece gli aspetti che ti hanno spinto a cimentarti nelle altre?
 

"Parlando di teatro e cinema, mi ci son trovato per caso. Con il Parto delle Nuvole Pesanti, appunto, e l'attrice Milvia Marigliano, con cui producemmo "Slum", un lavoro teatrale dei Filodrammatici di Milano. E, sempre col Parto, il film "I colori dell'Abbandono", di Paolo Taddei (vincitore del Festival Internazionale di Cinema Ambiente e Paesaggio, ndr). Mi sono sentito a mio agio, sì. Per questo ho poi firmato e messo in scena un spettacolo di teatro-canzone dal titolo "Noi Stesi – Cantata dell'emergenza quotidiana"".

La tua carriera è iniziata come musicista al servizio di altri, poi nel 2002 il grande salto con la pubblicazione del tuo album d'esordio "Nebbia di idee". Cosa ti ha spinto a prendere questa strada?
 

"Il mio amico Paolo Nanni con cui collaboravo, non ha voluto più cantare. Allora canto io, ho detto. E abbiamo continuato a collaborare".

Disco che ti ha portato subito sotto i riflettori della critica. Sei arrivato terzo al Premio Tenco nella categoria miglior opera prima e hai ricevuto il premio come artista emergente dell'anno da parte della rivista "L'isola che non c'era". Meglio non poteva andare, non credi?

"È stato divertente. Lo fosse stato di meno avrei smesso: qualunque altro mestiere è più “lavoro” di questo, se mi spiego. Invece ho fatto il secondo e poi il terzo disco, per continuare divertentemente a non lavorare".

Cosa hai pensato quando Paolo Conte ha descritto il tuo lavoro con la frase: "Finalmente un disco saporito ed elegante"?

"Che ero contento di essere un fan di Paolo Conte".

Quest'anno cade il decennale della scomparsa di Giorgio Gaber. Tu hai reso omaggio al grande artista milanese partecipando, un po' di anni fa, al tributo edito da Il Mucchio Selvaggio. Cosa pensi del personaggio Gaber e della sua musica?

"In quel disco feci "Chiedo scusa se parlo di Maria", che è significativa di quel che penso di lui: fortemente politico, fortemente intimo".

Nella canzone "Evviva Evviva il Capo Minchiuto" sono tanti i riferimenti a una Italia che non piace. Secondo te la canzone può avere, anche ai giorni d'oggi, una funzione di denuncia o politica?

"Eh... quella canzone, "Evviva...", fu scritta quando nessuno poteva immaginare che Mubarak avesse una nipote falsa, che per il suggeritore Paniz e i suoi amici era vera (Maurizio Paniz, avvocato e politico italiano eletto nel 2001 nella lista di Forza Italia e rieletto nel 2006 e 2008, ndr). La canzone non ha denunciato un bel niente, anzi è stata stracciata dalla cronaca. Paniz però è un trombato alle ultime elezioni. Son soddisfazioni, anche per un cantante di canzoni innocue".

Quanto è importante per te, bolognese, la questione meridionale che tu tratti sovente nei tuoi testi?
 

"Sono meridionale di famiglia. Al di là di Salvemini e Gramsci, la questione meridionale per me era casa mia e dei miei parenti fin da piccolo. Era capire che quando si tornava "giù" al paese, c'era una felicità, una simpatia che era fatta di un'altra pasta... qualcosa di diverso, che si faticava a spiegare e si condivideva con un certo imbarazzo "su" con gli amici del nord".

Quali sono i tuoi maestri musicali?

"Gente che ho conosciuto direttamente, amici i cui nomi direbbero poco tranne a noi, fra noi. Se poi intendi a chi posso 'assomigliare' o a chi ci si può riferire ascoltando le mie canzoni, beh lo lascio dire. I nomi che ho sentito fare sono almeno una trentina, tutto il 'cantautoresimo italico' da Modugno a Capossela passando per Sergio Caputo e De André. Qualcuno ha detto anche i francesi. Quel che posso dire io, è che li ho ben ascoltati: qualche cosa mi avranno lasciato, chi più chi meno".

A quali progetti stai lavorando?

"Ai prossimi... e hanno tutti a che fare con la musica e le parole, sono un fissato".

Infine mi piacerebbe che rispondessi alle 10 domande secche...

- Albero o arbusto? Per la prima volta nella mia vita, l'estate scorsa ho fatto amicizia con un albero, un acero secolare. Con un arbusto non mi è ancora capitato (le piante di pomodori amorevolmente curate per interesse, magari... ma l'amicizia è un'altra cosa).
- Pizza o calzone? Dipende. La pizza è bella, è allegra, è sfacciata sotto il naso. Ma l'introverso calzone rimane caldo più a lungo, e favorisce la lentezza.
- Etna o Vesuvio? Etna, che quando ha da dire lo dice. Invece il Vesuvio si tiene tutto dentro e fa finta di niente... pericoloso.
- Pianura o montagna? Mi piace lo sguardo di pianura, che arriva fino laggiù in fondo, come al mare. O in cima alla montagna.
- Chitarra o tamburo? Basso, che ha l'anima di tutt'e due. Pensavo di fare il bassista infatti, la prossima volta.
- Nero d'Avola o Lambrusco? Il primo, a meno che non si mangi prosciutto.
- Capo di Buona Speranza o Capo Horn? Capo di Buona Speranza, per via del Vascello Fantasma che ogni tanto qualcuno vede.
- Cintura o bretelle? Mai portato bretelle, ma così, per conformismo.
- Torre o cupola? Torre cupolata. Se dobbiamo farla fallica, facciamola per bene.
- Cantautore o cantastorie? Cantiere...? A lavorare, altro che cazzate.





giovedì 11 aprile 2013

La Resistenza della Brigà(ta) partigiana







A Brigà celebra il 70° anniversario della nascita della Resistenza in Italia con un disco interamente dedicato ai canti partigiani. "Brigà(ta) partigiana. Continuiamo a giocare in attacco" è il titolo dell'album, il terzo della band savonese, che sarà presentato sabato 13 aprile al Teatro Nuovo di Valleggia (Savona). Il concerto prenderà il via alle ore 21.
Il gruppo, composto da Marta Giardina, Alex Raso, Elena Duce Virtù e Luca Pesenti, ha riletto alcune delle pagine musicali più significative di quegli anni: da "Bella ciao" a "Pietà l'è morta", da "Fischia il vento" a "Ribelli della montagna". Lo ha fatto togliendo dalle canzoni quella patina che si è depositata nel corso degli anni ma senza per questo stravolgere la tradizione. Un valido aiuto è stato dato da alcuni graditi ospiti quali Salvatore Coco, Loris Lombardo, Matteo Rebora, Fabio Biale e Fabio Pesenti. Il disco è arricchito inoltre da alcune registrazioni dell'epoca. Tra un brano e l'altro si possono così ascoltare il Proclama di Pietro Badoglio dell'8 settembre 1943, una registrazione della trasmissione radiofonica Radio Londra andata in onda sulla BBC, e per finire il messaggio rivolto ai giovani dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini il 31 dicembre 1983. Spaccati di storia che si collocano con naturalezza nella sequenza di canzoni proposte, tra cui un paio di brani originali firmati da Luca Pesenti. Ricco di informazioni anche il libretto che riporta genesi e storia di tutte le canzoni presenti nel disco. La grafica è curata anche questa volta da Alex Raso, chitarrista del gruppo, che in questi giorni espone le sue opere alla libreria Ubik a Savona.
Del nuovo album abbiamo parlato con la ventiquattrenne cantante savonese Marta Giardina.




Come è nata l'idea di registrare un disco di canti della Resistenza partigiana?

"Da tempo, all'interno dei nostri concerti, abbiamo inserito canti partigiani e da qualche anno, nel mese di aprile, facciamo spettacoli dedicati proprio alla Resistenza. L'idea di inserire alcuni brani partigiani all'interno dei nostri spettacoli è dovuta alla voglia di ricordare e far risuonare ancora questi canti che risultano attuali, oggi più che mai. Quest'anno si celebra il 70° anniversario della nascita della Resistenza in Italia e abbiamo pensato che fosse il momento giusto per far uscire un disco dedicato a questo repertorio. Inoltre viviamo in una città che è un vero e proprio caposaldo dell'antifascismo ed è per questo motivo che il tema lo sentiamo ancora più nostro".

Qual è lo scopo di questo album?

"Vogliamo ricordare che quell'ideale di libertà, che con il sangue e la vita è stato duramente perseguito, non deve andare dimenticata. Oggi, sempre più spesso, si sente aria di revisionismo che spaventa ed è pericolosa. Attraverso la musica e la parola vogliamo gridare a tutti che il fascismo non lo vogliamo, per provare a contribuire anche noi, nel nostro piccolissimo, alla difesa di ciò che è stato conquistato così faticosamente e in cui crediamo ancora così fermamente. Abbiamo cercato di fare nostri questi canti, li abbiamo attualizzati perché resistere significa anche diventare partigiani dell'oggi".

Alla base di questo disco sembra esserci un grande lavoro di ricerca. Chi ha contribuito a tutto ciò?

"La ricerca è stata fatta con il prezioso aiuto di Anpi Savona, Fiap Nicola Panevino Valbormida, Circolo Giustizia e Libertà Savona, Anpi sezione Lavagnola Fratelli Briano, Associazione Progetto Cine Indipendente, CreaTV. Molta della bibliografia utilizzata per la ricerca era in possesso di Alex Raso, il chitarrista del gruppo. Altri libri ci sono stati regalati da Giacomo Checcucci, ormai vecchio amico della Brigà".

Oltre alle canzoni avete inserito nel disco registrazioni storiche: Radio Londra, il Proclama di Badoglio, le dichiarazioni di Ugo Mazzucchelli nel finale della canzone "Dai monti di Sarzana" e soprattutto l'appello ai giovani di Sandro Pertini. Perché avete fatto questa scelta? 

"Radio Londra, il Proclama di Badoglio e le dichiarazioni di Ugo Mazzucchelli sono contributi storici legati ai brani. Il messaggio trasmesso da Radio Londra è un messaggio in codice del 1944. A partire dal 27 settembre del '38 Radio Londra fu un insieme di programmi radiofonici trasmessi dal Governo di Londra tramite l'emittente radio inglese BBC e indirizzati alle popolazioni europee continentali. Durante la guerra ebbe un ruolo fondamentale nel trasmettere "messaggi informativi cifrati" indirizzati alla Resistenza italiana e alle missioni inglesi che si trovavano in Italia, informandoli sul luogo dove sarebbero arrivati i rifornimenti di cibo e armi o fornendo informazioni di tipo tattico-belliche. La registrazione del proclama di Badoglio, che precede la canzone dedicata all'8 settembre, risale al 1943 ed è la risposta a un comunicato del generale Dwight D. Eisenhower che annunciava l'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile firmato il 3 settembre con gli anglo-americani. Ugo Mazzucchelli, che si sente sul finale del canto anarchico "Dai monti di Sarzana", era comandante del Battaglione Lucetti citato nel canto. Questo contributo ci è stato fornito da CreaTv ed è un estratto del documentario "Gli anarchici nella resistenza". Il messaggio di Pertini, allora presidente della Repubblica, sulle note del "Valzer d'aprile" composto da Luca Pesenti, è tratto da un suo discorso rivolto ai giovani del 31 dicembre del 1983. Oltre che storico ha anche un valore ovviamente un valore affettivo".

Quanto è ancora attuale la frase pronunciata da Pertini nel messaggio di fine anno del 1983: "Dico al mio avversario, io combatto la tua idea che è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi sin al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, la possa esprimere sempre liberamente…"

"Oggi è valida più che mai! Sembra sempre più difficile esprimere le proprie opinioni liberamente. Questa frase dovrebbe essere lo slogan di ogni generazione, dovrebbe essere sempre in voga, soprattutto tra i giovani".

La copertina cela un particolare che sicuramente sfuggirà ai più. Ci racconti come è nata l'idea? 

"La foto in copertina nasce da un manifesto esposto a Palazzo Ducale a Genova qualche anno fa per celebrare, con altri manifesti selezionati, la Liberazione. Le opere realizzate dall'Accademia di Belle Arti di Genova, attraverso un linguaggio fantasioso, toccavano i temi dell'antifascismo e della Liberazione. Questi stessi manifesti sono stati esposti a Savona sulla fortezza del Priamar l'anno scorso, proprio in occasione della manifestazione per il 25 Aprile. La nostra copertina è la foto di un calcio balilla, in cui si vedono i due schieramenti, rossi e neri, e in lontananza sullo sfondo un omino nero a testa in giù. Questo particolare vuole citare la morte di Mussolini, appeso a testa in giù a piazzale Loreto".

E' ancora attuale il messaggio della Resistenza?

"Penso che ogni cosa che riguardi la storia vada indagata ponendosi delle domande su qual è il significato che oggi assume per noi. In epoche diverse lo stesso episodio, lo stesso momento storico assume molteplici e diversi significati. Oggi la Resistenza non è più quella della lotta armata sulle montagne, si è trasformata, ha assunto una nuova forma, ma allo stesso modo è legata a quei principi di libertà, giustizia e speranza che guidavano i partigiani. Fare resistenza oggi per me significa ricordare tutto ciò che hanno fatto per noi i partigiani, ma anche partecipare perseguendo un ideale, continuare ad arrabbiarci e a non delegare".

Chi è oggi l'invasore?

"Penso che gli "invasori" di oggi siano tutti quelli che attentano alla Costituzione Italiana, tutti quelli che cercano di cancellare e infangare quella che è stata una delle pagine più eroiche della nostra storia".

Quanto sono popolari i canti partigiani tra giovani di oggi?

"Purtroppo non molto. La nostra speranza è proprio quella di riportarli alla luce, di diffonderli tra i giovani, anche perché, oltre a ricordarci un importantissimo e recente periodo storico, fanno parte della nostra cultura popolare, fanno parte della nostra storia e cantarli e conoscerli è un po' come esprimere una parte di noi".
 
Nel 2013 chi sono i partigiani?

"Chiunque partecipi, esprima le proprie idee, collabori a migliorare ciò che è di tutti, si informi, sia critico e interessato, chiunque voglia essere libero e vuole che anche gli altri lo siano, chiunque creda che la Costituzione Italiana sia il fondamento del nostro essere cittadini e uomini. Ne sono un esempio significativo per Savona i giovani che, da qualche anno, stanno lavorando all'interno dell'Anpi Sezione Centro e organizzano eventi, incontri che possano attirare e avvicinare i giovani alla Resistenza. Due grandi iniziative come quella per il 25 Aprile sul Priamar, che anche quest'anno verrà replicata dopo il successo dell'anno scorso, e il Campeggio "I ribelli della  montagna" durante l'estate alle Tagliate, alle quali come gruppo siamo sempre stati presenti, sono esempi dell'impegno e della voglia che c'è nei giovani di partecipare".

Per ascoltare e apprezzare questo disco occorre avere un orientamento politico di sinistra?

"Credo proprio che non occorra un orientamento preciso. Inoltre gli orientamenti politici dei partigiani erano molteplici e talvolta opposti (comunisti, cattolici, anarchici, autonomi…). Ed è proprio questa mescolanza che poi ha fatto nascere la nostra Costituzione".

Qual è la canzone che senti più tua?

"La canzone che amo maggiormente di questo disco è "Pietà l'è morta". Un po' perché è nata da un concorso, bandito nel '44 dal comando del II settore Giustizia e Libertà, per la composizione di un canto partigiano, che venne vinto dalla IV banda del Vallone dell'Arma. Un po' per la malinconia e la tristezza di cui è permeata, un po' per le parole del grande Nuto Revelli". 



Titolo: Brigà(ta) partigiana. Continuiamo a giocare in attacco
Gruppo: A Brigà
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce

01. Bella ciao  [trad.; arr. Luca Pesenti e A Brigà]
02. Tarantella resistente  [L. Pesenti, arr. A Brigà]
03. Proclama Badoglio dell'8 settembre
04. Canzone dell'8 settembre  [trad. arr. Alex Raso e A Brigà]
05. Radio Londra
06. Il bersagliere ha 100 penne  [anonimo; arr. L. Pesenti e Elena Duce Virtù]
07. Ohi partigian, non pianger più  [trad.; testo Giocondo Giacosa; arr. A Brigà]
08. Dai monti di Sarzana  [anonimo, arr. A. Raso e A Brigà]
09. Ribelli della montagna  [Angelo Rossi, Emilio Casalini, Carlo Pastorino; arr. A. Raso, A Brigà]
10. Pietà l'è morta  [anonimo; testo Nuto Revelli; arr. A Brigà]
11. Fischia il vento  [M. Blanter, Felice Cascione; arr. Fabio Pesenti e A Brigà]
12. Festa d'aprile + Valzer d'aprile  [Sergio Liberovici/Franco Antonicelli; arr. A Brigà + L. Pesenti; arr. L. Pesenti, A. Raso, E. Duce Virtù]
13. Valzer d'aprile e appello ai giovani di Sandro Pertini  [L. Pesenti; arr. L. Pesenti, E. Duce Virtù]



giovedì 4 aprile 2013

Ferdinando Molteni tra O'Carolan e Tenco







Musicista, giornalista professionista, scrittore di spettacoli teatrali e libri, ex assessore alla cultura del Comune di Savona. Ferdinando Molteni, cinquantunenne nativo di Finale Ligure, ha legato tutta la sua vita all'arte e alla comunicazione, in tutte le sue forme. Le ultime creature dell'ex "assessore rock", così soprannominato per aver contribuito in maniera decisiva a portare a Savona nomi di primo piano del panorama musicale internazionale, sono il disco strumentale registrato con l'Arethusa Consortium e il giallo scritto in coppia con Elena Buttiero, musicista molto apprezzata anche al di fuori dei confini nazionale e che per una volta ha lasciato da parte il pentagramma per dedicarsi al racconto e alla finzione.
Tra le opere più apprezzate di Molteni si possono ricordare il saggio dedicato a Fabrizio De André dal titolo "Controsole. Fabrizio De André e Creûza de mä" (edito da Arcana), il testo "La strana morte di un cantautore" per la trasmissione televisiva "Delitti rock" di Massimo Ghini andata in onda su Rai Due e lo spettacolo teatrale "Luigi Tenco. L'ultima notte" che ha debuttato a gennaio all'auditorium di Santa Caterina a Finalborgo.  
Di tutto questo abbiamo parlato con Molteni in questa intervista.    




Ferdinando, per te è un periodo ricco di impegni. Un disco, un libro, uno spettacolo su Tenco, tanti concerti e la direzione artistica di Pozzo Garitta, storico locale di Albissola…

"In effetti è così. E' un periodo intenso che forse porta a maturazione il lavoro fatto negli scorsi anni".

A fine 2012 è uscito il disco dell'Arethusa Consortium che ti vede impegnato insieme a Elena Buttiero e Stefano Tomasini. Come è nata l'idea di questo disco?

"E' nata dopo un bellissimo concerto fatto all'alba sulla spiaggia di Cesenatico davanti a più di cinquecento persone. Molti, alla fine del concerto, ci hanno chiesto se avevamo un disco da vendere. Non c'era. E così abbiamo deciso di pubblicarlo".

Perché avete deciso di interpretate brani di O'Carolan, il più grande compositore irlandese?

"O'Carolan è un vero ponte culturale, tra musica colta e popolare, tra Irlanda e Italia (era molto influenzato da Vivaldi, Corelli e Geminiani). Per alcuni anni abbiamo portato in giro uno spettacolo tutto incentrato sul compositore irlandese ed è stato naturale inserire qualche brano nel disco".

Cosa può trasmettere la musica irlandese al pubblico italiano?

"La consapevolezza che i confini tra musica colta e popolare sono davvero labili. E che facilmente si possono superare".

Nel disco compare anche una tua canzone, "Mandocello Lullaby", come è nata?

"Per caso, giocando con un mandoloncello costruito per me da Valerio Gorla. Pensavo ai miei bambini ed è nata una ninna nanna".

Nel disco suoni mandoloncello, mandola e chitarre. Quale di questi strumenti ti affascina maggiormente?

"Sicuramente il mandoloncello. E' uno strumento meraviglioso che proprio in questi anni sta vivendo la sua vera prima giovinezza. In passato era confinato nelle orchestre a plettro, oggi è uno strumento maturo e indipendente, grazie anche al lavoro di musicisti come Mike Marshall".

Tutti a Savona ti ricordano in prima fila nel corso di una indimenticabile stagione musicale che ha visto esibirsi in città Patti Smith, Sheryl Crow, Dee Dee Bridgewater, John Mayall, Rickie Lee Jones, Johnny Winter, Mercedes Sosa e tanti altri. Cosa è rimasto di quella stagione?

"La consapevolezza di aver fatto qualcosa di grande per la città e gli appassionati di musica. Ma sono ottimista. Quei tempi torneranno".

"Luigi Tenco. L'ultima notte" è invece il titolo dello spettacolo teatral-musicale che hai scritto e che ha fatto sempre il tutto esaurito in questi mesi. Ce ne parli?

"E' nato da una richiesta dell'attore Roberto Tesconi, che voleva a tutti i costi diventare Tenco sulla scena. Mi occupo di questo cantautore da molti anni - avevo scritto, qualche anno fa, un testo per Massimo Ghini utilizzato nella trasmissione "Delitti rock" proprio dedicata a Tenco - e così è stato naturale per Tesconi coinvolgermi. E' stato un lavoro entusiasmante e, almeno in fase di scrittura, anche doloroso. Ho immaginato l'ultima ora di vita di Tenco, chiuso nella stanza 219 del'Hotel Savoy di Sanremo. In quell'ora Tenco ripercorre alcuni episodi della sua vita e lo fa, spesso, con le sue parole autentiche, ricavate da interviste e lettere".



Infine, in ordine di tempo, è arrivato in libreria "Il trillo del Diavolo", scritto con Elena Buttiero. Dalla musica al giallo, un passo che potrebbe sembrare azzardato ma che è pienamente riuscito. Quando è nata l'idea di scrivere questo libro?

"E' nata durante una vacanza in Grecia con Elena. Siamo appassionati di gialli e di musica. Così abbiamo immaginato una storia che mettesse insieme questi due aspetti. C'è molta musica dentro: classica (Tartini e Vivaldi), jazz (Miles Davis), pop rock (Robert Wyatt), canzone d'autore (De Gregori) e c'è un ritratto della nostra città, Savona, che spero piacerà ai savonesi. Ecco, il libro è soprattutto un tributo alla nostra città".

Hai qualche altro sogno nel cassetto da realizzare?

"Nei prossimi mesi vorrei mettere mano a un disco di mie canzoni. Scrivo da molti anni ed ho i cassetti pieni di testi e musiche. Ne sceglierò nove, questo l'ho già deciso, e le registrerò. Vorrei fare un disco acustico e low-fi. Per me soprattutto. Per fare punto e a capo di un percorso di scrittura molto intimo e personale".

Vorrei, infine, che rispondessi alle dieci domande secche.

- Vicoli o piazze? Vicoli. Amo il silenzio.
- Elefante o giraffa? Elefante. Più lento e rassicurante.
- Metallo o legno? Legno. Non riuscirei a suonare uno strumento di metallo. A parte, forse, il dobro.
- Dialetto o italiano? Italiano. Lingua meravigliosa, che unisce e che può dire tutto.
- Bob Dylan o Abba? Questo è un colpo basso. Dovrei dire Dylan per fare bella figura. Comunque a Stoccolma ho costretto Elena a un pellegrinaggio sui luoghi degli Abba. E si è pure divertita. Diciamo Dylan per il giorno e Abba per la notte.
- Parola scritta o parola raccontata? Parola scritta. Sento ancora il piacere fisico della lettura.
- Vino o birra? Birra. Possibilmente d'abbazia.
- Muscle Shoals Sound Studio o Abbey Road Studios? Abbey Road. E non dico altro.
- Treno o pullman? Pullman. Si vede meglio il paesaggio.
- Panissa o farinata? E' la domanda più difficile. Tenderei a dire panissa.




martedì 26 marzo 2013

L'Avanspettacolo dei Fetish Calaveras





È tempo di ritornare a far festa. E con chi, se non con i Fetish Calaveras che assicurano sempre la giusta dose di divertimento e allegria. Il gruppo savonese, nato nel 2002 dall'idea del cantante Gabriele Resmini (MrCorto) e del chitarrista Michele Olmo (Kike Calavera), torna a farsi sentire con un disco nuovo di zecca dal titolo "Avanspettacolo". Un album di swing'a'billy, nuovo genere musicale ideato per l'occasione, che contiene dodici storie che hanno un unico filo conduttore: una giornata qualsiasi di una impiegato qualunque, Manrico Calavassa. Una esistenza tranquilla che viene però vivacizzata da dodici personaggi che irrompono nella vita del simpatico Manny. Il tutto in un susseguirsi di canzoni e intermezzi recitati dagli attori del Teatro di Sassello. La musica è un mix accattivante di rock'n'roll anni '50, swing, surf e rockabilly.
La band, completata da Mirco "Mirkus" Gazzera al basso, Alberto "Pittiful" Piturru al sax, Andrea "Dead Meat Mariuoli" Mangialardo alle tastiere e Stefano "Steve Ray Fruit" Raggi alla batteria, presenterà il disco sabato 30 marzo a La Claque a Genova (ore 22). Alla serata parteciperanno alcuni degli ospiti presenti su disco: Andy Macfarlane dei Rock'n'Roll Kamikazes alla chitarra, Enrico Allavena dei Bluebeaters al trombone, Stefano "Piri" Colosimo degli Africa Unite alla tromba e Dan Cazzullo alla fisarmonica. Nel corso della serata, saranno proiettati anche i video dei singoli "Bigga Mouldah" e "Mr Unbelievable". Inoltre si potrà visitare la mostra fotografica di Giorgia Matarese intitolata "Fetish Calaveras al Kit Kat".
Con Gabriele Resmini abbiamo parlato del nuovo disco e dei progetti futuri.


Nel disco raccontate dodici storie, momenti della giornata di un impiegato. Ventiquattro ore che iniziano con la sveglia che suona...

"E' la storia di Manrico Calavassa e di dodici personaggio che entrano nella sua vita. Ho scritto un breve testo insieme al nostro sassofonista e poi gli attori del Teatro di Sassello l'hanno fatto diventare una storia. Ci siamo divertiti a collaborare e loro hanno lavorato egregiamente portando anche molte idee".

Come è nata l'idea di costruire questa storia?

"Nel momento in cui abbiamo deciso che il disco fosse "Avanspettacolo", ci siamo divertirti a strutturarlo come uno spettacolo teatrale. Il concept si basa su dodici piccole storie legate a momenti della vita di tutti i giorni. Chi acquisterà materialmente il cd potrà godersi anche il booklet che è composto da dodici manifesti teatrali, ognuno dei quali rappresenta una canzone del disco".

Il sound è allegro ma le canzoni puntano l'indice accusatorio verso i vizi della società di oggi...

"Il sound è allegro e puntiamo sul divertimento, basta già il telegiornale a intristirci non c'è bisogno di abbatterci ancora di più andando a vedere un concerto. Invece ci sono tanti che ci "sballano". Non voglio entrare nelle critiche sui generi musicali che vanno di moda adesso, ma ci sono tanti che si divertono a raccontare le tristezze dell'essere, del mondo di oggi, mettendo insieme bellissime parole ricercate che probabilmente non arrivano al pubblico medio. Noi preferiamo divertirci e fare divertire il pubblico senza perdere di vista quella che è la società di oggi, quindi all'interno del testo, se uno ha voglia di scavare, di andare a cercare, può leggere quella che è la nostra critica. Io non sono abituato a essere molto esplicito, preferisco che la gente si diverta a entrare nel testo, nella storia, e a leggerla come vuole".

Tante sono le collaborazioni presenti nel disco: da Andy Macfarlane ad Enrico Allavena…

"Ci abbiamo messo parecchio tempo a concludere il disco ma ne siamo orgogliosi. Siamo un gruppo che vive con lentezza ma ne è valsa la pena. Ci sono delle belle collaborazioni: Enrico Allavena trombonista di Bluebeaters, Piri trombettista degli Africa Unite, Andy Macfarlane chitarrista dei Rock'n'roll Kamikazes, Roberto Dellepiane pianista di Renato Zero e molti altri personaggioni. E non poteva mancare un contributo savonese. In un brano suona il contrabbasso il grande Botta degli Eazy Skankers".

Perché avete scelto il titolo "Avanspettacolo"?

"Perché lo spettacolo è quando suoniamo dal vivo, ma lasciamo da parte gli scherzi. L'avanspettacolo è qualcosa di rètro che vorremmo tornasse di moda, è qualcosa di molto italiano. Avremmo potuto chiamarlo cabaret o utilizzare un altro termine straniero ma ci è piaciuto avanspettacolo. Era un bel modo di fare spettacolo, divertente e allo stesso tempo di critica sociale, satirico ma sempre educato. Purtroppo ora non c'è più e la televisione passa solo cose americane noiosissime o spettacoli e format triti e ritriti. Dall'avanspettacolo sono usciti grandissimi attori e presentatori, gente che sapeva veramente fare il proprio lavoro".

Se Fred Buscaglione non avesse fatto il musicista, i Fetish Calaveras che genere musicale avrebbero suonato?

"Non lo so, forse avremmo fatto ska. Probabilmente non saremmo stati così educati, avrei dovuto studiare molto meno il modo di dire le cose, avremmo sudato molto di più di quello che sudiamo adesso. Negli anni '90 quando andavano di moda i Persiana Jones, di cui eravamo grandi fans e amici, ci hanno detto che lo ska stava morendo. Non è stato così, a noi piace tuttora molto e molte volte nei nostri spettacoli potete trovare qualche battuta in levare. Credo che probabilmente ci saremmo avvicinati comunque a qualcosa di anni '50, rock'n'roll meglio che jazz".

Non avete però dimenticato gli insegnamenti di Louis Prima e Brian Setzer…

"Brian Setzer è la nostra anima rockabilly. Luois Prima o ancora di più Ray Gelato sono il nostro animo swing. Speriamo di riuscire un giorno ad aprire un concerto di Gelato".

Perché  definite il vostro genere musicale "swing'a'billy"?

"In questi dieci anni abbiamo avuto tanti cambi di formazione, però quello che ci ha sempre uniti è stato l'amore per il rock'n'roll e lo swing. Ammodernandoci con il rock'n'roll siamo arrivati al rockabilly e di seguito, unendo swing e rockabilly, abbiamo dato vita allo swing'a'billy. Ci siamo divertiti a prendere in giro quelli che si inventano i generi musicali e un po' a trovare il nostro. Almeno possiamo dire di essere i primi ad averlo fatto".

Dopo numerosi cambi di componenti sembra che abbiate raggiunto una certa stabilità. Nella band siete in sei, come fate a mettervi d'accordo sulle scelte da fare?

"Solitamente ci prendiamo a botte una parola sì e una no. Funziona perché ti sfoghi e poi la volta dopo si è più tranquilli. Lasciando da parte le battute, posso dire che ci siamo organizzati come una piccola ditta: ognuno di noi ha delle responsabilità e una fascia di lavoro da eseguire e tutti ci fidiamo ciecamente degli altri. C'è chi segue le parti web, chi cura gli arrangiamenti. Le canzoni solitamente le scrivo io insieme al chitarrista, che si occupa della parte musicale, e al sassofonista, che cura gli arrangiamenti".

Per "Avanspettacolo" avete fatto il percorso inverso di quello che si fa normalmente. Avete cioè presentato l'Avanspettacolo pre-tour e poi siete andati in studio. Come è andata questa esperienza e perché?

"Non abbiamo portato in giro lo spettacolo ufficiale, erano più che altro dei test. Ci piace molto giocare con il pubblico, essere interattivi, e abbiamo voluto testare dal vivo alcune canzoni. Testando lo spettacolo ci è sembrato che andasse bene e l'estate scorsa abbiamo fatto uscire un singolo, "Bigga Mouldah", che ha avuto buoni riscontri. Nel momento che abbiamo deciso di buttarci in studio, molte cose sono state riarrangiate, aggiunte, abbiamo buttato via dei pezzi ai quali eravamo affezionati e probabilmente compariranno come lato B di qualche singolo, abbiamo lavorato tanto, ci siamo stancati molto, e non vediamo l'ora di uscire dal vivo per divertirci ancora di più".

Quanto tempo avete lavorato a questo disco?

"Alcuni pezzi sono nati parecchio tempo fa e li abbiamo già eseguiti dal vivo, ma sono stati affinati, rivisti e riarrangiati, altri pezzi ci sono stati chiesti dal nostro collaboratore artistico Jan Maio, ex MGZ. Abbiamo avuto la fortuna di poter contare su validi collaboratori. Il lavoro per il disco è durato sei mesi circa, anche perché abbiamo voluto selezionare gli studi di registrazione in base agli strumenti: chitarra e batteria sono stati registrati al West Link di Pisa, i fiati al Loud Music a Genova, la voce dal grandissimo Marco Canepa al Drum Code Studio. Poi tutto il materiale è stato portato a Cesena e confezionato. Nel frattempo abbiamo registrato il video, abbiamo studiato la promozione, abbiamo avuto la fortuna di essere presi, tra virgolette, da Lunatik, che è un grande ufficio stampa. Speriamo che sia un disco che mostri il percorso che abbiamo fatto in questi dieci anni, e soprattutto che piaccia".

Cosa è per te l'avanspettacolo, genere che è sparito da decenni dei teatri italiani?

"Ho lavorato nove anni in teatro come scenografo e ho sempre avuto una passione spudorata per tutto quello che va dagli anni '10 ai '60, sia a livello storico che artistico. Nel corso degli anni ho acquistato centinaia di dvd di Carosello, spezzoni di avanspettacolo, Petrolini meglio che altri personaggi del genere e mi sono costruito il mio teatrino mentale: un cubo nero con le lucine intorno, il sipario di velluto, il vociare del pubblico, quell'aria intrisa di fumo di sigarette e aliti di vino. Probabilmente non tanti capiranno quello che intendo, io ci ho lavorato. E poi alla fine della giornata, quando il teatro è un po' polveroso e ci sono 4-5 proiettori accesi che danno quella luce giallina, perché non sono mai tirati al massimo, il direttore di scena o l'attrezzista che spazzano il palco, passano la calamita per i chiodi e c'è una sorta di aria confidenziale, intima... E' il mio avanspettacolo".

In queste settimane, sul canale XL di Repubblica è stato presentato in anteprima il video della canzone "Mr Unbelievable"...

"E' un soggetto che abbiamo scritto io e Marcello Massardo insieme ai due registi. E' un omaggio al cabaret di Bob Fosse rivisto con l'occhio di Tarantino. Lo abbiamo girato al teatro di Sassello in quattro giorni di riprese devastanti".

Il 30 marzo a La Claque a Genova presenterete il disco. Cosa ci puoi svelare?

"Lo spettacolo sarà in due atti come quelli teatrali. Avremo il piacere di avere come presentatore Penelope Please (Marco Casu, ndr), grandissima drag queen e ottimo attore teatrale che ha recitato anche in "Mr Unbelievable". Ci saranno delle ballerine che si esibiranno mentre suoniamo, ci sarà un comico che salirà sul palco a fare un pio di interventi, avremo la presenza di altri attori che hanno lavorato con noi in "Avanspettacolo". Potrete sedervi ai tavolini, bere un bicchiere di vino o un pastis che fa molto figo, avrete in mano il programma della serata. Si potrà visitare anche una piccola mostra fotografica, come si usa fare nel teatro di lirica o meglio in un teatro più rètro. Sarà uno spettacolo unico, diverso da quello che porteremo in tour".

Avete già previsto un tour promozionale?

"Per ora abbiamo una quindicina di date fissate. Quest'estate molto probabilmente faremo di nuovo il nord Europa, poi in inverno ci vedremo nei club. Speriamo anche a Savona, sempre che in città si decidano a muovere il sedere e a ballare un po'. Ricordo che Savona è un grande polo per la musica. L'anno scorso quattro gruppi savonesi hanno vinto i più grandi festival d'Italia: gli Eazy Skankers il Rototom, iVenus l'Heineken Jammin' Festival, i Fetish Calaveras l'Italia Wave e il Pop Me Up, Zibba & Almalibre hanno vinto il Premio Tenco, abbiamo visto gruppi di Savona suonare al Mei. Non mi sembra giusto che Savona non abbia spazi per la musica cittadina che, al di fuori della Liguria, riscontra grandissimo successo".


Titolo: Avanspettacolo
Gruppo: Fetish Calaveras
Etichetta: Atomic Studio
Anno di produzione: 2013



venerdì 22 marzo 2013

"Rough Brass": il ritorno di 3fingersguitar





Chitarre, loop station e rullante. Sono questi gli attrezzi del mestiere utilizzati da Simone Perna, in arte 3fingersguitar, per registrare il suo secondo EP dal titolo "Rough Brass". L'ex batterista dei Viclarsen, dopo l'ottimo esordio con "#1" registrato insieme ad Alessandro Battistini, prosegue nelle sue personali esplorazioni sonore in ambiente psichedelico e punk rock, senza tralasciare però gli insegnamenti cantautorali. Questa volta lo fa senza compagni di viaggio.
Sono cinque i brani anglofoni, registrati in economia, dal suono grezzo, che segnano questo secondo capitolo discografico. Canzoni che danno una sferzata di energia e che coincidono con la fine di un periodo artistico. Simone Perna ha infatti già nuovo materiale nel cassetto, questa volta cantato in italiano, che dovrebbe trovare posto in un disco completo di prossima uscita. Il progetto 3fingersguitar negli ultimi mesi, inoltre, si è arricchito dalla presenza di Simone Brunzu, già batterista dei Washing Machine, che nelle esibizioni live ha dimostrato grande predisposizione. Due novità, non ancora presenti nell'EP, che apriranno all'esplorazione nuovi spazi sonori.
Per ascoltare dal vivo i brani del nuovo EP sarà sufficiente partecipare alla serata musicale in programma sabato 23 marzo al Rude Club a Savona (ore 22).
In questa intervista si approfondiscono invece gli aspetti creativi, le influenze musicali e le visioni che hanno portato alla nascita di queste canzoni.



Simone, la tua carriera è iniziata dietro la batteria dei Viclarsen per poi passare alla chitarra. Perché questa scelta?

«Fondamentalmente perché, a un certo punto, ho sentito l'esigenza di suonare canzoni mie, da solo, e con una batteria non era possibile. Ho iniziato a suonare con chitarra acustica e voce già quando ero nei Viclarsen; qualche volta ho anche aperto i concerti del gruppo, seppur in maniera informale. Alla lunga, grazie anche a qualche riscontro positivo, questa necessità espressiva è diventata predominante».

In questi giorni è uscito il tuo nuovo EP dal titolo "Rough Brass". Ce ne parli?

«È un disco che unisce e mescola psichedelia, post punk e cantautorato. Il disco è nato utilizzando  pochi mezzi ed è stato registrato dall'amico Massimo Bressan, cantante dei Viclarsen, in una situazione casalinga. Poi Alessandro Battistini ci ha messo una bella "patina" intorno e così abbiamo deciso di pubblicarlo».

Dopo il tuo primo EP cosa è cambiato?

«Nel primo EP eravamo in due: io e Alessandro Battistini, una gloria del punk savonese. Alessandro ha suonato con un molti gruppi, è una persona mentalmente molto aperta e abbiamo sempre condiviso un sacco di gusti. Cosa è cambiato? Fondamentalmente che sono da solo e a livello tecnico che suono anche la loop station. Questo EP è il primo passo per una ulteriore evoluzione».

Alessandro Battistini compare però tra i crediti del nuovo disco...

«Sì, suona nell'ultima canzone, il live "Lying down in your perfection", e ha curato la masterizzazione».

Quali sono gli aspetti positivi quando si suona da solo?

«Il fatto di suonare da solo è bello perché puoi fare quello che vuoi, però è anche più impegnativo perché devi pensare a tutto. Io sono molto concentrato sulla musica mentre su altri aspetti, come la promozione, il booking, la gestione delle nuove tecnologie, sono un po' indietro anche perché lavorando non ho tutto questo tempo a disposizione».

Hai mai pensato di puntare tutto sulla musica?

«Fare solo il musicista? Beh, puoi provarci poi però devi anche essere in grado di pagarne le conseguenze. Devi avere fegato e un po' di spregiudicatezza. Conosco persone, fuori da Savona, che ci stanno provando, tra mille sacrifici. E parlando con loro ti rendi conto quanto sia difficile».

Cosa è ora il progetto 3fingersguitar?

«È un progetto che sta diventando sempre più preciso, con basi solide. C'è una idea che sto portando avanti in maniera più decisa ma allo stesso tempo sono pronto a cambiare nuovamente. La riconoscibilità credo sia importante ma appassionandomi a un sacco di generi musicali resta sempre l'attitudine a far entrare cose nuove nel progetto».

Perché hai scelto di pubblicare un EP e non un disco?

«Perché avevo quei pezzi ed era il formato più adatto per presentarli. È un po' un antipasto di quello che a breve potrebbe essere, ho già altro materiale pronto. Mi riconosco ancora in queste cinque canzoni e mi sembrava giusto condividerle. Ha il suo valore, sono contento di averlo fatto, è una bella fotografia di un periodo».

Hai registrato da solo tutte le canzoni dell'EP?

«Come dicevo, Alessandro Battistini ha suonato la chitarra nel brano live, tutto il resto l'ho suonato io: la loop station, due chitarre e il rullante. E tutto in presa diretta senza sovraincisioni e il suono è volutamente sporco. Il titolo invece è un gioco di parole: rough vuol dire grezzo, brass è il soprannome di Massimo Bressan che ha registrato il disco e curato la grafica».

Hai annunciato che le canzoni del prossimo disco saranno cantate in italiano. Perché questa scelta?

«Perché l'inglese non è la mia lingua e alla lunga ti accorgi di avere dei limiti, rischi di dire cose in cui non credi o credi a metà e di conseguenza l'espressione di quello che esce non è convinta. Ti rendi conto che non è la qualità che vorresti ottenere. Poi naturalmente i testi in italiano vengono capiti da tutti e questo aiuta».

Cambierà anche la tua musica?

«Il cambio non sarà brusco, il genere rimarrà questo. Ora suono stabilmente con Simone Brunzu, il batterista dei Washing Machine. È nata una bella collaborazione perché è una persona appassionata al suo strumento, alla musica, e poi ha tanta voglia. È la persona giusta per suonare la mia musica».

C'è un messaggio in questo disco?

«Il soggetto ricorrente è la notte, i pensieri che vengono nel buio: dalle cose più violente come possono essere gli incubi alle domande che ti poni».

Sei un animale notturno?

«Sì, per tanti motivi. Anche perché lavoro di sera e gli orari sono inevitabilmente diversi. Di notte poi ho la fortuna di non rompere le scatole a nessuno e poter suonare le mie canzoni».

Nel disco c'è anche una cover: "Sister midnight" di Iggy Pop...

«La canzone fa parte di un disco per me fondamentale: "The Idiot". Il primo album di Iggy Pop prodotto da David Bowie, dove ci trovi un certo tipo di rock scuro, tagliente. Il tutto registrato a Berlino, allora patria del krautrock, dove imperversavano i Kraftwerk e i Can, uno dei miei gruppo preferiti. Ho cercato di prendere un po' di quella eredità e metterla nel disco».

Quali altri gruppi ti hanno influenzato?

«C'è tutto un substrato di psichedelia e post punk anni '70. Ascolto moltissima musica, si parte dai Velvet Underground e ancora più indietro. Nel disco c'è anche un tributo a un cantautore di culto come Robyn Hitchcock. Il secondo pezzo del disco, "Polka dot shirt" nasce dal fatto che alcune mie cose ricordavano le sue canzoni e la mia voce ha una certa somiglianza con la sua. Mi ricordo che una volta, in macchina, la mia ragazza mi ha chiesto se ero io a cantare un brano trasmesso dalla radio. Era di Hitchcock e in quel momento ho capito perché mi piaceva tanto».

L'anno scorso a Spotorno hai aperto il concerto di Hugo Race. Come è stata la serata?

«Molto bella, Hugo Race mi piace molto. È una persona con cui condivido un sacco di cose, non a caso ha suonato con Nick Cave, un altro dei miei artisti preferiti».

Robyn Hitchcock e Hugo Race, hanno suonato entrambi a Spotorno. Un anno fortunato per te?

«Entrambi i concerti sono stati organizzati da Marco Traverso del Raindogs, locale che ho frequentato e dove ho suonato spesso. Sono molto amico di Marco, abbiamo molti gusti in comune. Ha il merito di avermi fatto conoscere un certo blues, genere che ho sempre considerato poco ma grazie a lui ho scoperto cose meravigliose. Howlin' Wolf è ora uno dei miei preferiti. "Spice", il primo brano dell'EP, si sviluppa su un solo giro di accordi, come moltissimi pezzi di Howlin' Wolf e sono cantati con quel piglio rauco, un po' aggressivo, inquietante».

Quando sono nate le canzoni dell'EP?

«Sono pezzi del 2011. Ho avuto un momento di stand-by, di scoraggiamento e sono rimasti nel cassetto. Ora siamo qua a parlarne, quindi mi fa piacere».

Perché hai scelto di mettere in free download "Rough Brass"?

«Anche il primo EP si poteva scaricare gratuitamente da internet. È l'unica possibilità per avere un  po' di visibilità, nella speranza di ottenere, successivamente, qualcosa di più strutturato. In questo momento è un passo obbligato se non hai una etichetta che ti promuove. E in Italia ne abbiamo pochine interessate a questi generi musicali che non vanno per la maggiore e non si ascoltano alla radio».

Come vedi questo momento di grande fermento musicale della scena savonese?

«C'è un forte spirito di collaborazione tra i musicisti e i gruppi della scena. Mai come adesso, grazie anche a Francesco Cerisola di Dreamingorilla, c'è voglia di fare e non può che far piacere».

Hai stilato il calendario di concerti per promuovere il nuovo EP?

«Se ne sta parlando. Fare booking è un altro lavoro da seguire e se sei da solo è quasi impossibile. Ho colto l'interessamento al mio progetto e qualcosa si sta muovendo. Chissà, magari con date anche nel resto d'Italia».



Titolo: Rough Brass
Autore: 3fingersguitar
Etichetta: Dreamingorilla e Marsiglia Records
Anno di produzione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Simone Perna, eccetto dove diversamente indicato)

01. Spies
02. Polka dot shirt
03. Waiting for / Sister midnight  [Iggy Pop]
04. Mirror of stars
05. Lying down in your perfection (live)