mercoledì 25 aprile 2012

I blue-collar workers di Daniele Tenca






Con l'album "Blues for the working class" e il successivo "Live for the working class" Daniele Tenca ha conquistato il premio "Fuori dal Controllo 2012", riconoscimento ideato e ispirato da Marino Severini dei Gang. La motivazione dice molto sulla produzione del cantautore milanese. "Il riconoscimento è dovuto al percorso indipendente e coerente che ha portato Tenca a prestare la sua musica a un tema particolarmente attuale, quello del lavoro, della sua mancanza e della sua pericolosità, con uno dei dischi italiani più importanti degli ultimi anni". Un album quindi più che mai attuale. 
Tenca non è però un personaggio emergente della musica italiana come alcuni potrebbero pensare. Il quarantunenne artista lombardo ha intrapreso un percorso da solista dopo una decennale carriera come cantante dei Badlands, tribute band di Springsteen. Dopo l'album d'esordio "Guarda il sole" (2007), cantato in italiano, nel 2009 Tenca ha pubblicato "Blues for the working class", disco della svolta blues composto da dieci brani: otto inediti cantati in inglese e due cover, una è "Factory" di Bruce Springsteen e l'altra è "Eyes on the prize", realizzata con la collaborazione di Cesare Basile e Marino Severini. L'anno scorso il primo disco dal vivo, "Live for the working class", che ha ricevuto unanimi consensi da parte delle maggiori testate del settore. Un disco sanguigno che rende bene la forza e l'espressività delle composizioni di Tenca nonché la bravura della band che da un paio di anni lo accompagna in tour e in studio: Pablo Leoni alla batteria e alle percussioni, Luca Tonani al basso, Heggy Vezzano alla chitarra. Gli appassionati avranno l'occasione di ascoltare Daniele, accompagnato dal suo gruppo, a Spotorno in occasione della festività del Primo Maggio (ore 15, ingresso gratuito). 
A presentare l'evento è lo stesso Daniele in questa intervista. 


Ricordo di averti visto suonare un po' di anni fa al Ju-Bamboo a Savona con il tuo vecchio gruppo, i Badlands. Hai qualche ricordo di quella serata?

«Certo che me la ricordo! Credo fosse il 2002 o 2003 perché era appena uscito "The Rising" (album di Bruce Springsteen, ndr). Mi ricordo in particolare che appena sotto il palco c'erano due o tre ragazzini che avranno avuto quattordici anni massimo, che sapevano le canzoni a memoria e se la spassavano un sacco. Ci siamo divertiti molto anche noi».

L'esperienza con i Badlands è finita da un po' di anni. Quanto ha pesato per la tua carriera solista essere accostato a Springsteen?

«In realtà poco perché non lo vivo come un peso ma come un grande onore e una grande responsabilità. Il suo modo di fare musica rimane una guida per me. Certo, adesso facendo blues mi sembra strano ritrovare certi accostamenti, che magari rimangono più in primo piano nell'approccio o nelle tematiche più che nelle canzoni o nella musica, ma va benissimo così».

Sei in tour con una band formata da grandi musicisti che hanno accompagnano spesso Andy J Forest in Italia. Come è nata questa collaborazione?

«Il bello è che è la stessa band che ha inciso con me "Blues for the working class", quindi significa che abbiamo stabilito un legame importante se siamo ancora insieme sul palco dopo due anni circa, e non parlo solo di musica. Ci si conosceva già, io andavo a vederli quando suonavano con Andy. Heggy (Vezzano, ndr) aveva fatto con me il tour di "Guarda il sole". Ho fatto sentire loro il materiale e spiegato il progetto e hanno detto ok. Semplice, ma dietro ci sono tanta disponibilità e voglia di mettersi in gioco, e amore per la musica. Tra poco torneremo insieme in studio per il prossimo disco, e tutti non vediamo l'ora».

Dopo aver suonato per vent'anni rock hai cambiato direzione puntando sul blues. Lo hai fatto per tagliare definitivamente i ponti con il tuo passato artistico o perché è un genere che si adatta meglio alla tua musica e ai temi che affronti nelle tue canzoni?

«La seconda che hai detto. Anche se le contaminazioni con il rock e con il folk ci sono e si sentono, forse da lì arrivano anche i riferimenti di cui parlavamo prima. Il blues tiene comunque insieme il tutto. La scelta è di coerenza con le tematiche, e anche di un ritorno a un vecchio amore musicale».

Il problema del lavoro, le fabbriche che chiudono, le morti bianche. Sono temi sociali drammatici e molto attuali quelli su cui hai focalizzato la tua attenzione...

«Questa è e sarà la mia strada indipendentemente dalle logiche mainstream o dall'hype del momento. I tempi che stiamo vivendo hanno spinto anche altri artisti a puntare un po' più l'attenzione sui problemi sociali, anche se forse è gente che ha sempre parlato di certi temi. Mi vengono in mente i Gang o gli Afterhours, per esempio».

Cantare tutto questo in inglese non pensi che limiti la comprensione del tuo messaggio?

«Sicuramente, ma non sarei stato capace di essere credibile allo stesso modo scrivendo in italiano. È un mio limite o una mia caratteristica, a essere buoni, e ci faccio conto. Le traduzioni nel libretto del cd e le parole di introduzione a qualche canzone nei concerti cercano comunque di far capire di cosa si parla, sperando di far venire voglia a chi ci ascolta di approfondire».

Che significato ha per te suonare a Spotorno il Primo Maggio, festa dei lavoratori?

«Rendere omaggio a quelli che lavorano, a quelli che si fanno male o muoiono lavorando, e a quelli che vorrebbero lavorare e non trovano il posto dove farlo. È il motivo principale per cui abbiamo fatto questo disco, quindi non posso che essere onorato nel farlo. Però dico anche che, per noi, è Primo Maggio ogni volta che saliamo sul palco a cantare queste canzoni, dal 2010 e finché lo potremo fare, e sarebbe bello che lo fosse per tutti».

Nel 2011 hai rappresentato l'Italia all'International Blues Challenge di Memphis, un bel traguardo ma sicuramente anche un interessante punto di partenza. Cosa ti ha dato questo viaggio?

«Emozione, rispetto, adrenalina e anche un minimo di "strizza" di prendere qualche schiaffo dal punto di vista musicale dato che avremmo suonato dove tutto quello che suoniamo ha preso il via. Invece siamo tornati con un sacco di gratificazioni che ci hanno reso ancora più forti e consapevoli. Indimenticabile».

Quali sono i tuoi progetti futuri, hai già nuovo materiale pronto per il prossimo disco?

«Te lo anticipavo prima... credo che torneremo in studio dopo l'estate, siamo quasi pronti con i pezzi, e ne sentiamo davvero l'urgenza».

Da ex leader dei Badlands, la migliore tribute band di Springsteen, come giudichi "Wrecking Ball"?

«Intanto ti ringrazio di cuore anche a nome degli altri Badlands per i complimenti. "Wrecking Ball" mi sembra davvero un bel disco, nel quale Bruce per primo crede molto e lo si intuisce dalla quantità di brani che sta suonando nel tour. È soprattutto un tragico specchio dei tempi. A chi si lamenta di un certo "populismo" nei testi, dico che sarebbe anche ora che qualcun altro, magari con meno di 63 anni, si prendesse carico di parlare di certe tematiche, magari con la gioventù riesce a essere più incisivo...».

Vedrai qualche concerto di Springsteen quest'anno?

«Sì, ovviamente. Le date italiane e poi Oslo e Praga. Ti prego, non dire niente».

Allora non è detto che non ci si veda davanti al cancello di qualche stadio. A parte il disco di Bruce cosa stai ascoltando ultimamente?

«Ultimamente sto ascoltando molto soul».

 Hai qualche nome interessante da proporre?

«Per quanto riguarda le uscite recenti ti dico Black Keys, Wilco e Mark Lanegan, mentre Cooper, il fonico e amico con cui lavoriamo in studio, mi ha fatto scoprire The Dead Weather, uno dei side projects di Jack White, il cui primo disco contamina e sporca il blues in maniera interessante. In Italia, forse sono di parte ma vorrei segnalare "Ma-Moo Tones" di Francesco Piu, prodotto da Eric Bibb, disco al quale ho collaborato sui testi e, in parte, sulle musiche di sei brani».

Toglimi una curiosità, quale è stato il tuo ultimo concerto da spettatore?

«Paolo Bonfanti Band allo Spazio Teatro 89 a Milano, una settimana fa circa. Una garanzia. Non aggiungo altro perché non serve».



venerdì 20 aprile 2012

Pulin and the Little Mice e la macchina del tempo









È un viaggio a ritroso nel tempo quello che i Pulin and the Little Mice fanno vivere agli spettatori durante i loro concerti. Il gruppo savonese, sulle scene da alcuni anni, propone un itinerario musicale che va alla riscoperta delle radici della tradizione americana. Musica con pochi fronzoli, genuina, ruspante, a tratti ruvida ma capace di risvegliare ritmi assopiti e far battere mani e piedi. I Pulin and the Little Mice la portano in giro nei locali e nelle piazze di tutto il nord Italia dove riescono a conquistare il pubblico con la loro spontaneità e bravura. Brani come "Digging my potatoes", il traditional "Going down the road feelin' bad", la popolare "Iko Iko", "Fishin' Blues" "Willie the Weeper" sono più che mai apprezzati e si potranno ascoltare mercoledì 25 aprile al Priamar di Savona, in occasione della rassegna che vedrà sul palco anche I Venus, A Brigà, Cisco e il coro dialettale I Pertinace.
I Pulin and the Little Mice - nella foto da sinistra Giorgio "The Captain" Profetto (chitarra acustica, kazoo, marranzano, tin whistle e voce), Marco "Poldo" Poggio (washboard, cardboard box, spoons, mandolino, rullante, voce), Marco "Figeu" Crea (chitarra acustica, cajun accordeon e voce), Matteo "Pulin" Profetto (armonica, ukulele, kazoo, frattoir e voce) - in questa intervista ci parlano del gruppo e dei loro progetti futuri. 


Iniziamo dal nome del vostro gruppo. Da dove nasce "Pulin and the little Mice"?

Matteo Profetto: «Bè, in realtà non so bene come sia uscito questo nome, è spuntato e basta in un giorno come un altro. Ci è piaciuto subito. Teniamo molto al fatto che nel nome siano accostate parole inglesi ad una parola in dialetto ligure: pulin. A proposito, pulin si legge con l'accento sulla 'i', te lo dico perché oramai lo hanno storpiato in tutti i modi possibili immaginabili. Tra l'altro nel nome, come diceva Jimmy Rabbitte dei Commitments, c'è l'articolo come per i migliori gruppi degli anni '60!». 

Siete insieme ormai da un po' di anni, perché avete deciso di farlo? Quando si sono unite le vostre strade?

Marco Poggio: «Allora, vediamo…. Era una notte buia e tempestosa…. ok, ok, citazioni snoopiane a parte possiamo dire che, visto le varie vicissitudini che hanno caratterizzato la vita del gruppo, è stato sicuramente il destino a metterci lo zampino. Da una comune passione musicale, che ha portato alla nascita del gruppo, è nata una profonda e bella amicizia; ed è anche per questo che ogni volta che ci esibiamo dal vivo siamo noi i primi a divertici come dei matti».

Il nome della vostra band appare sempre più spesso sui cartelloni dei festival di tutto il nord Italia. Vi state facendo conoscere da un pubblico molto ampio. Per voi cosa rappresenta tutto ciò? 

Marco Crea: «È la conferma che quello che facciamo, oltre che far divertire noi stessi, ha anche un qualche valore artistico ma soprattutto è uno stimolo a proporci sempre più lontani da casa, perché da buoni sportivi sappiamo che mettere chilometri nelle gambe fa sempre bene!».

Esibirsi ogni sera di fronte ad un pubblico differente, nuovo, con un diverso background culturale e musicale, cosa vi trasmette? 

Marco Crea: «Nella maggior parte delle occasioni ci troviamo davanti ad un pubblico che non ha mai ascoltato i generi musicali che proponiamo. La piacevole sorpresa sta nel fatto che le persone in ogni concerto ritrovino nella nostra musica uno stimolo per poi approfondirla, un qualcosa di perduto ma in fondo familiare o una semplice bella serata da ricordare. In ogni caso proporre qualcosa di particolare aiuta sempre l'artista a lasciare un piccolo segno nel background dello spettatore, in questo noi partiamo avvantaggiati».

Ci sono città o realtà che vi hanno accolto con più calore? 

Matteo Profetto: «Sai, non è che facciamo tour mondiali, spesso suoniamo in locali piccoli, a volte in situazioni davvero strane, e devo dire che a volte proprio dove non te lo aspetti, hai la sorpresa di un pubblico 'carico' che ti segue alla grande. Se proprio devo dirti un concerto che ultimamente ci ha davvero riempito di orgoglio, dico quello al Milestone di Piacenza, che è un noto locale jazz in cui hanno suonato un sacco di grandi e che ci ha accolti benissimo. Però, sul serio, abbiamo un sacco di bei ricordi in tante città dell'Emilia Romagna, del Piemonte e anche della nostra Liguria».

La vostra musica non potrà mai portarvi sul grande schermo, lo sapete vero? 

Giorgio Profetto: «Non ci avevamo mai pensato, ma suonando in giro abbiamo conosciuto tanti e tali personaggi che non è da escludere che incontriamo prima o poi un regista o un produttore tanto pazzo da farci una proposta, chissà?». 

Nel 2000 è uscito nelle sale cinematografiche il film "O Brother, Where Art Tou?" dei fratelli Coen con una colonna sonora fantastica che ha influenzato moltissime band e che ha fatto nascere un importante movimento musicale di recupero della tradizione. Fate parte anche voi di questa ondata?

Giorgio Profetto: «Ascoltavamo ed amavamo questa musica da molto prima del 2000, quindi abbiamo ritrovato con grande piacere nei suoni e nelle atmosfere del film una parte delle nostre radici musicali e culturali (senza contare che il soggetto è ispirato all'Odissea…più radici di così…)». 

Carolina Chocolate Drops, Old Crow Medicine Show, The Low Anthem, Hackensaw Boys. Sono solo alcuni dei gruppi che fanno parte di questo movimento di recupero della tradizione americana. In Italia si assiste ad un movimento culturale anche solo minimamente paragonabile?

Matteo Profetto: «Certo per loro il recupero della tradizione, oltre ad essere probabilmente più semplice e normale perché si tratta della loro storia musicale e sociale, è accolto in maniera davvero incredibile. Ogni tanto vedendo i video mi sembra impossibile che ai concerti di ragazzi che interpretano vecchie canzoni alla vecchia maniera ci siano folle oceaniche che cantano impazzite come ai concerti rock. Devo dirti, però, che noi incontriamo molto spesso persone che battono le mani, cantano, ballano. Credo che questo sia dovuto al fatto che i brani che eseguiamo in concerto facciano in qualche modo parte anche della nostra cultura musicale, d'altronde il rock che tanto ha influenzato la nostra musica non è altro che il pronipote della musica che noi proponiamo. Ci piace pensare che queste musiche siano dentro tutti noi e che ci siano arrivate senza che noi ce ne fossimo nemmeno accorti. Quindi la nostra ambizione, come Pulin and the Little Mice, è quella di tirarle fuori dai meandri della memoria e magari spiegare anche da dove arrivano. In realtà cerchiamo di inserire davvero tante cose all'interno dei concerti proprio perché la musica americana risente di un sacco di influenze diverse ed è cresciuta nel tempo dando origine a una serie, per utilizzare un termine che spesso si rivela opinabile, di generi e sottogeneri. Quindi è abbastanza usuale per noi inserire nelle scalette dei concerti brani irlandesi, blues, bluegrass, ragtime, zydeco e molto altro, proprio perché riteniamo che siano da vedere come genitori, nonni e zii di tanti figli e nipoti, più o meno somiglianti fra loro. Comunque con un po' di impegno non è poi così difficile trovare anche qui da noi gruppi eccellenti che fanno musica tradizionale americana molto ma molto bene. Il discorso si farebbe lungo, però credo di risponderti in maniera esauriente consigliandoti un disco dei Red Wine Serenaders di Veronica Sbergia e Max De Bernardi. Prova e mi dirai».

Li ho visti recentemente a Il Cancello del Cinabro a Genova e penso che siano veramente molto bravi. Il loro ultimo disco è notevole. Parlando invece della tradizione italiana, in questi mesi alcuni cantautori hanno dato alle stampe progetti legati in qualche modo alla tradizione. Vi faccio due esempi: Massimo Bubola con l'EP "Romagna Nostra" e Graziano Romani insieme a Lassociazione con il disco "Aforismi da Castagneto". Cosa ne pensate?

Marco Poggio: «La tradizione musicale italiana, forse perché non avvolta da un'aura mitologica caratterizzante invece quella americana, è troppo spesso materia di difficile fruizione da parte della maggior parte degli stessi italiani, ma non per questo di valore storico e musicale minore, tutt'altro. Se infatti gli Stati Uniti hanno potuto contare su un grande lavoro di ricerca etnomusicologica anche l'Italia non è stata sicuramente da meno, basta solamente guardare per esempio quanto fatto dall'immenso Diego Carpitella o da Roberto Leydi. Se a questo aggiungiamo che Alan Lomax, uno dei più grandi etnomusicologi mai esistiti, ha raccontato in uno stupendo libro fotografico i suoi viaggi di ricerca sonora in Italia, definendo quei giorni come tra i più belli ed entusiasmanti della sua vita, possiamo capire come anche il suolo italiano sia intriso di canti e melodie che vanno a comporre un vasto e prezioso patrimonio sonoro, il quale dovrebbe tuttavia essere ulteriormente e meglio valorizzato. Ben vengano quindi dischi come quelli di Romani e Bubola, in grado di far apprezzare alle nuove generazioni e ad un ampio pubblico canzoni che altrimenti sarebbero fruibili solo da appassionati incalliti o da pochi studiosi». 

In occasione della festa del 25 Aprile a Savona è in programma una bella giornata di musica. Al Priamar suonerete voi, I Venus, gli A Brigà e Cisco. Secondo voi la celebrazione del 25 Aprile è ancora attuale?

Giorgio Profetto: «Al di là della retorica e delle cerimonie, è attuale ricordare che ci furono dittature, guerre, milioni di esseri umani perseguitati e sterminati, e che tanti ragazzi - questo è quello che erano - contribuirono, spesso a costo della vita, a fermare queste cose. Forse molti di loro non si rendevano nemmeno conto dell'importanza che avrebbero avuto per noi, e forse non sarebbero sempre contenti dell'uso che facciamo della nostra libertà, ma proprio per questo non dobbiamo dimenticare».

Avete accumulato molte date live in questi anni, presumo anche idee. State pensando di incidere un disco?

Matteo Profetto: «Quella del disco è una cosa di cui abbiamo parlato un sacco di volte e che, devo dire con molto piacere, ci è stata suggerita spesso dal pubblico alla fine dei concerti. Abbiamo da poco preso il coraggio di buttarci nella registrazione di un disco, ma per noi è un'esperienza totalmente nuova, quindi temo che le cose andranno per le lunghe».

Per una band emergente quali sono i problemi che si devono affrontare per poter suonare dal vivo?

Marco Crea: «Purtroppo fare musica dal vivo diventa sempre più difficile. Per i locali rappresenta una vera e propria sfida a livello economico, a causa delle leggi che difficilmente nel nostro paese valorizzano l'arte musicale. Unito a ciò c'è l'incapacità di molti gestori che non sono in grado di proporre un programma stuzzicante per il pubblico e quindi economicamente valido per lo stesso locale. Questo deriva dall'ignoranza musicale dell'italiano medio. In ogni caso ci sono ancora diversi gestori coraggiosi che hanno scelto, come e più di noi musicisti, di rischiare per amore della musica stessa».

Quali dischi state ascoltando in questo periodo? 

Matteo Profetto: «Ultimamente sto ascoltando un sacco di musica irlandese, ma vado a periodi e credo che prossimamente mi impallerò con gli armonicisti prebellici. Per quanto riguarda le novità che vale la pena ascoltare chiedo a 'Poldo' e lui mi rifornisce».
Marco Crea: «Ultimamente molto John Doyle e Doc Watson, ma anche per me è solo un periodo. Una costante degli ultimi anni che suggerisco perchè non molto famosi sono i Subdudes». 
Giorgio Profetto: «"Sunny side up" di Paolo Nutini». 
Marco Poggio: «In questi giorni sto letteralmente consumando l'ultimo disco di Dr John, "Locked down"». 

Il vostro ultimo concerto da spettatori quale è stato? 

Matteo Profetto: «L'ultimissimo è stato quello dei Dirt Daubers a La Spezia». 
Marco Crea: «Guitar Ray and the Gamblers». 
Giorgio Profetto: «James Taylor al Teatro Carlo Felice di Genova». 
Marco Poggio: «I Wilco all'Alcatraz di Milano».







giovedì 12 aprile 2012

Geddo, un cantautore "Fuori dal comune"







Davide Geddo è una delle figure emergenti del panorama musicale ligure. Nel 2010 il cantautore di Albenga ha pubblicato "Fuori dal comune", il suo primo album a cui, a breve, farà seguito un nuovo cd di brani originali. Il disco d'esordio si inserisce nel solco tracciato dai cantautori italiani e in particolare da quella "scuola genovese" che negli ultimi quarant'anni è stata un punto di riferimento. Dodici brani intensi, caratterizzati da una grande varietà di forme e stili. Un sound fresco e bilanciato unito a testi ricercati per un disco che ha convinto critica e appassionati.
Davide, grande organizzatore tra l'altro della rassegna musicale "Su la Testa" che si tiene tutti gli anni ad Albenga, si è sottoposto con grande cortesia alle domande di questa intervista.  


Sei un cantautore, chi te lo fare?

«È il mio modo di confrontarmi con il mondo, la mia maniera di mettermi nei panni degli altri, il mio pertugio per intrufolarmi nelle storie. La musica mi ha insegnato ad ascoltare e ogni tanto mi pare giusto dare vita propria alle vicende che vivo e mi colpiscono. Lo faccio per creare e ricrearmi, osservarmi in mezzo al mondo. Se non mi cercassi non mi troverei e in questo perdermi mi ritrovo. Semplice, no?».

Il tuo primo album, "Fuori dal Comune", è uscito ormai da un po' di mesi e ha riscosso ottimi consensi da parte della critica. Ti senti soddisfatto, te lo aspettavi o è stata una piacevole sorpresa anche per te? 


«Sono pienamente soddisfatto. Le canzoni sono piacevoli e ho lavorato molto perché vivessero la dignità del riascolto. Grazie al lavoro in studio svolto con il prezioso aiuto di Rossano Villa degli Hilary Studio, ho imparato a "tagliare" il superfluo e ad andare dritto al nocciolo dell'emozione; spero di aver mantenuto l'intensità che è l'aspetto che più ho curato nei brani».

C'è qualcosa che a mesi di distanza ti piacerebbe cambiare o aggiungere al tuo lavoro?

«Nell'esecuzione, soprattutto in modalità acustica, cambio sempre i miei brani, dandogli colori, velocità e strutture diverse, ma non cambierei quasi nulla del disco. Anche perché sono convinto del suo valore più che altro documentale e che sia meglio un disco espressivo piuttosto che un prodotto perfetto».

"Genova" è una delle canzoni più belle del disco, come è nata?

«Lavoro con passione sui testi per dare più chiavi di lettura possibili ai miei brani. La musica è una macchina del tempo e in "Genova" sfrutto questo potere a piene mani saltando da una fase all'altra di una storia o, forse, più storie identificandone le varie fasi non in un tempo o in una persona ma su uno spazio urbano. Per gli amanti degli aneddoti la canzone dura esattamente il tempo che si impiega a percorrere il molo intitolato a De Andrè al Porto Antico fino alla fine e decidere di non buttarsi».

Cosa ci riserva il tuo futuro artistico? Sei tornato a scrivere?

«Scrivo sempre, e dopo il disco ancora di più. La canzone è un mezzo artistico semplice e redditizio che aiuta a vivere; inoltre ha indubbi poteri profetici, taumaturgici e vagamente ammaliatori. Presto uscirà un nuovo disco».

Ti senti più ispirato quando sei felice o quando attraversi momenti tristi? 

«Sono più ispirato quando sono lucido. Una lucida e disincantata analisi di ciò che senti e stai scrivendo è fondamentale per la realizzazione di qualcosa di degno. Può accadere sia nella tristezza che nella gioia; solo che la lucidità durante una crisi personale è un atto di spietatezza non indifferente. Don't try this at home se non siete professionisti...».

Quali sono i tuoi amori musicali e cosa non sopporti?

«Non sono di primo pelo e ho attraversato periodi diversi, spesso con atteggiamenti enciclopedici. Dapprima mi sono fatto una cultura generale molto approfondita di tutta la canzone d'autore nostrana, poi ho scoperto il rock, il blues e gli anni '70, poi ho preso la mia bella sbandata per Dylan e ho scoperto l'America. Ora ascolto molti colleghi più o meno sconosciuti e mi rendo conto che sono tempi pieni di musica fantastica e nascosta. Oggi la mia band preferita sono i Wilco. Non odio ma mi rende indifferente questo battage promozionale che da alcuni anni sta cercando di spacciare per musica dieci adolescenti che competono in diretta e ad eliminazione nel karaoke».

Oltre ad essere cantautore sei anche organizzatore con l'Associazione ZOO di una rassegna importante come "Su la Testa" che ogni anno ci regala qualche inaspettata sorpresa. Divulgare cultura musicale è un compito sempre più arduo, cosa ne pensi? 


«Non è altro che un aspetto complementare al mio essere musicista e scrittore. Ascoltare e aiutare ad ascoltare non può che essere l'impegno costante di chi per primo chiede ascolto agli altri. Lo faccio perché la società dell'immagine ha schiacciato il piacere e l'umiltà dell'ascolto privando tante persone dell'opportunità di conoscersi attraverso gli altri».

Per finire dieci domande secche:

- Vacanze al mare o in montagna? Mare. Ma negli ultimi anni la montagna sta rimontando.
- Cane o gatto? Gatto.
- Matrimonio o convivenza? Cambia poco. Di sicuro non passo le notti a sognare il giorno della cerimonia.
- Radio o televisione? La radio ha tradito. La tv non ti ha mai detto che sarebbe stata sincera. Scelgo la tv.
- Emilio Fede o Santoro? Comicità e giornalismo sono due aspetti troppo differenti per essere messi a confronto.
- Chitarra acustica o elettrica? Io suono la classica; dovendo scegliere prendo l'acustica perché mi piace poter suonare ovunque senza fili o effetti.
- Cappuccino e brioche o focaccia e vino bianco? Alla mattina non riesco a bere, a tutte le altre ore focaccia e vino!
- Tramontana o Libeccio? Libeccio. Soffro d'allergia e la Tramontana porta i pollini dall'entroterra.
- "Alien" o "Il Padrino"? "Il Padrino".

- The Band o i Pink Floyd? Pink Floyd.


Titolo: Fuori dal comune
Artista: Davide Geddo
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2010

Tracce
(testi e musiche di Davide Geddo)

01. Genova
02. Ti voglio
03. In ogni angolo della notte
04. Innocenza
05. Il limite
06. Marylin
07. Lo sguardo del cantautore
08. 1000 cose
09. So che non vale niente
10. Meg
11. Oltre
12. Cuore


 


mercoledì 21 marzo 2012

La magia della sei corde di Claudio Bellato







Cantante e chitarrista in gruppi rock, blues, orchestre da ballo e piano bar. Claudio Bellato, quarantenne musicista savonese, è sulle scene da diverso tempo. La sua professionalità (è diplomato in chitarra al C.P.M. di Milano dopo aver studiato con Franco Mussida e Pete La Pietra) e la sua grande capacità di tenere il palco in qualsiasi situazione lo hanno fatto diventare uno dei musicisti più apprezzati della scena savonese. Numerose sono state le collaborazioni inanellate da Bellato nel corso della sua carriera, senza dimenticare il riuscito e coinvolgente album "The evening songs", registrato all'AM Studio di Alessandro Mazzitelli a Loano e pubblicato nel 2011.
Alla vigilia del suo imminente concerto Claudio è stato disponibile a scambiare quattro chiacchiere.


Nei giorni scorsi hai suonato all'Expo di Savona in un concerto tributo a Lucio Battisti, mercoledì 21 marzo insieme a Loris Lombardo presenterai all’Agriturismo Valleponci (località Verzi a Finale, ore 21) 'The Acoustic Concert'. Sono spettacoli molto diversi, cosa ci puoi dire?


«Il tributo a Lucio Battisti, in cui suono e canto, è uno spettacolo che portiamo avanti da diversi anni, prevalentemente in feste di piazza e situazioni analoghe. Gli elementi sono Roberta Ratto alla voce, Maurizio Boiocchi alla batteria, Oreste Lo Giudice al basso e Alessio Briano alle tastiere. Che dirti? Ci divertiamo moltissimo. 'The Acoustic Concert' è invece uno spettacolo totalmente diverso. All'inizio proponevo un repertorio influenzato dai miei amori 'acustici', oggi, con la presenza di Loris, il concerto è cresciuto. Partiamo con un brano e questo può durare anche oltre dieci minuti. L'improvvisazione e la contaminazione di elementi musicali diversi sono un nostro punto fermo, anche perché entrambi non siamo molto inquadrati in un genere, amiamo invece suonare e ascoltare molteplici linguaggi musicali».

Nel 2010 è stato pubblicato "The evening songs", cd realizzato con Maria Grazia Scarzella, Rodolfo Cervetto e Dino Cerruti. Quali saranno le tue prossime mosse?

«"The evening songs" è un lavoro del quale siamo molto contenti ed è tuttora un work in progress. Stiamo sviluppando un discorso indirizzato verso la forma canzone ma non solo. Tutto questo è stato possibile grazie a Dino, Maria Grazia e Rodolfo. In questo periodo sto invece lavorando con Officina Acustica Quartet, il progetto che vede me ed Enzo Cioffi alle chitarre, Loris Lombardo alle percussioni e Andrea Bottaro al contrabbasso. Il repertorio è prevalentemente latin (jazz, flamenco, bossa, tango) e si tratta per la quasi totalità di materiale originale. Ti dirò di più, stiamo già lavorando al cd».

Oltre a essere un valente musicista sei anche insegnante di musica. Come è il tuo rapporto con le nuove generazioni e quali sono le loro aspirazioni?

«Non essendo diplomato al Conservatorio le mie esperienze didattiche sono relative alle scuole medie a indirizzo musicale, scuole private e strutture simili. I ragazzi che frequentano i corsi sono stimolati all'apprendimento di nuove discipline, inclusa la musica che abitualmente non ascoltano. Questo è un bene. La musica colma il vuoto delle loro giornate e li strappa da internet e dalla playstation. I ragazzi inoltre imparano il valore del gioco di squadra partecipando a corsi collettivi di musica. Questa è una cosa della quale si dovrebbero accorgere anche i nostri politici locali. Collaboro con lo YEPP di Loano che sta lavorando in questa direzione».

Claudio, spesso ti si incontra ai concerti. La maggioranza dei tuoi colleghi invece di rado si accomoda tra il pubblico. Tu perché lo fai, ti spinge la curiosità?

«In verità quando non lavoro mi piace starmene in famiglia ma se c'è qualcosa di interessante mi muovo volentieri. Recentemente ci siamo incontrati al concerto di Carlot-ta, una bravissima e giovanissima cantautrice e polistrumentista. Dispiace però non vedere chi si occupa di cultura ed informazione a questi piccoli-grandi eventi che ci dimostrano che cose belle, nuove e stimolanti esistono. Basta saper cercare».

Quali sono i musicisti che preferisci e a chi ti senti più vicino, come tecnica e ispirazione? 

«Se parlassi di tecnica e ispirazione sarei presuntuoso, diciamo che ho ascoltato di tutto, dal rock al jazz. Da James Taylor a Bob Dylan, tutta la West Coast fino a Miles Davis e alla musica della Ecm. Dai grandi chitarristi del rock fino a Ralph Towner, Bill Frisell e Pat Metheny».

Questa domanda la faccio spesso ai musicisti savonesi e vorrei rivolgerla anche a te. Qual è la salute della musica in provincia e in Liguria?

«Non buona. Gli spettacoli sono spesso proposti da organizzatori che da vent'anni propinano sempre gli stessi 'pacchetti', puntualmente avallati ciecamente dalle amministrazioni comunali. Nel frattempo le cose sono cambiate, ma molti artisti interessanti che non sono nelle grazie di questi organizzatori, che godono di corsie preferenziali nei rapporti con le amministrazioni, hanno vita difficile. Che le cose siano cambiate ce ne siamo accorti quando sono nate realtà come RainDogs, associazione che per la prima volta ha portato a esibirsi a Savona artisti diversissimi e sempre interessanti. Quale altro spazio espressivo avrebbero avuto sennò? Spesso si fatica a trovare consenso per i propri progetti per la miopia di alcuni politici che non sanno nulla di musica e che si affidano sempre ai soliti organizzatori. Questo accade sempre più spesso ma per fortuna non è la regola. Non sono rari, purtroppo, i casi in cui progetti presentati a un Comune, con tanto di cd, recensione, partita iva, agibilità, service e preventivo, finiscano nel dimenticatoio. E tutto ciò perché i giochi sono già fatti e non di certo per questioni estetico-musicali. La situazione della carta stampata a volte è addirittura inquietante. Capita di trovare nella pagina degli spettacoli foto gigantesche e articoli inerenti a feste di compleanno in discoteche della riviera con tristissimi quarantenni che ballano circondati da bionde poppute. Tutto questo nella pagina cultura e spettacoli».

E per finire dieci domande a bruciapelo:
- Bob Dylan o Bill Evans? Dylan! E aggiungerei: "Blood on the tracks", "Blonde on blonde" e "Highway 61 Revisited".

- "Amici" o "Happy Days"? Nessuno dei due.
- Woodstock o Isola di Wight? Woodstock.
- "Moby Dick" o "Orgoglio e Pregiudizio"? "Moby Dick" anche perché di Jane Austen non ho mai letto nulla.
- Fender Stratocaster o Gibson Les Paul? Fender! La Gibson è bella però...
- Fingerpicking o flatpicking? Tutte e due.
- Trofie al pesto o pasta al forno? Trofie!
- Nero d’Avola o Vermentino? Non bevo.
- Mp3 o LP? Mp3 anche se il rumore della puntina sul vinile… mi fa stare bene!
- Premio Tenco o Festival di Sanremo? Premio Tenco.



lunedì 5 marzo 2012

8 marzo: Armando Corsi fa gli auguri alle donne




Armando Corsi da cinquant'anni vive la musica e per la musica. Il sessantaquattrenne musicista genovese ha iniziato a suonare nelle vecchie osterie di Genova per poi intraprendere, come molti altri colleghi liguri, l'avventura a bordo delle navi da crociera. Viaggi che lo hanno portato in America Latina, terra di grandi musicisti come Piazzolla, Jobim e Gilberto Gil che hanno influenzato e lasciato segni tangibili nella musica di Corsi. Oltre alla carriera da solita, iniziata nel 1995 con l'album "Itinerari", Corsi ha collaborato con Ivano Fossati, con cui ha condiviso quattro anni di tournée (ha suonato negli album "Lindbergh", "Dal vivo, vol. 1", "Dal vivo, vol. 2"), Paco De Lucia, Anna Oxa, Eric Marienthal e tanti altri. Dopo "Itinerari" è arrivato nel 2002 l'album "Duende" in collaborazione con Beppe Quirici e Elio Rivagli. Quattro anni dopo Corsi ha pubblicato "Buena Suerte", disco dal marcato sapore latino che ha visto la partecipazione di Bruno Lauzi, Mario Arcari, Fabio Vernizzi e Marco Fadda. Nel 2008 è uscito il live "La via dell'amore", seguito due anni dopo da "Alma", una rivisitazione in chiave personale del fado.
Giovedì 8 marzo, festa della donna, Armando Corsi sarà protagonista a Spotorno (Sala Convegni Palace, ore 21. Ingresso gratuito) dello spettacolo "Volver: musica e parole… la parola è femmina". Poesie scritte dalle donne o per le donne saranno recitare dall'attore genovese Luca Poli con l'accompagnamento musicale di Armando Corsi.
Corsi, 'la chitarra che sorride' come è soprannominato dagli addetti ai lavori, ha risposto con la consueta gentilezza alle domande di questa intervista.



Armando, cosa puoi anticiparci dello spettacolo che esordirà a Spotorno in occasione dell'8 marzo?

«È la nostra prima. È uno spettacolo particolare ma veramente interessante e coinvolgente. È una specie di viaggio durante il quale tocchiamo diverse narrative e tutte hanno una tematica ben precisa. Presenteremo poesie di Garcia Lorca, Jorge Luis Borges, di una poetessa russa. E poi un brano di tango argentino di Carlos Gardel, un walzerino di mia composizione molto divertente, una canzone di Jacques Brel e tanto altro».

Insieme a te in scena ci saranno Luca Poli impegnato nel reading e altri due chitarristi...

«Ci saranno Marco Leveratto (chitarrista in "Duende", disco del 2002 di Corsi, ndr) e Marco Traversone (allievo di Corsi all'inizio degli anni 2000, ndr). Ci intercambieremo nell'accompagnamento di Luca Poli utilizzando anche chitarre elettriche. Ripeto, sarà una bella serata e posso anticipare che stiamo lavorando per presentare lo spettacolo in molte piazze la prossima estate».

Questo nuovo progetto entra di prepotenza in un calendario per te già molto ricco di impegni. Negli ultimi mesi sei passato dalla registrazione e promozione del bellissimo disco "TrE" di Giua, all'apparizione al Premio Tenco insieme a Roberta Alloisio, alla preziosa collaborazione prestata a Francesco Baccini per l'album "Baccini canta Tenco".

«Si deve pur vivere! La situazione attuale per i musicisti liguri, ma è ormai un problema diffuso in Italia, non è rosea. Mi ricordo quando ho iniziato a suonare a Genova, a 16 anni, c'erano una quarantina tra locali e osterie dove i musicisti potevamo esibirsi tutte le sere. La grande scuola genovese è nata in quei locali. Adesso non c'è più nulla, tutta quella cultura e quella scuola è andata perduta. Non ci sono più posti per suonare e in quei pochi che ancora resistono per potervi accedere non importa cosa proponi ma quante persone sei in grado di portarti dietro».

Svelaci quali sono i tuoi prossimi progetti musicali...

«Ho appena terminato di registrare le parti musicali per il prossimo disco di Rosa Martirano, una artista calabrese veramente molto brava. Abbiamo passato in studio due giorni molto intensi. Il disco, cantato tutto in dialetto calabrese, verrà mixato in questi giorni ed entro i primi di maggio dovrebbe vedere la luce. Te la segnalo, è veramente una cantante molto brava. Inoltre si era parlato di fare qualcosa insieme a Roberta Alloisio (vincitrice della Targa Tenco 2011 come miglior 'interprete di canzoni non proprie' per il suo secondo album "Janua", ndr), ci stiamo ancora ragionando. E poi entro l'anno vorrei pubblicare un disco tutto mio. Ci saranno due brani genovesi e delle trascrizioni dal brasiliano all'italiano che intendo musicare. Le idee non mancano ma a 64 anni ho imparato che ogni giorno va vissuto come fosse contemporaneamente il primo e l'ultimo».

Nei giorni scorsi ho avuto l'occasione di assistere al concerto di un tuo amico, Ivano Fossati. Una delle ultime esibizioni dal vivo del cantautore genovese che ha dichiarato di volersi ritirare dalle scene. Una decisione coraggiosa e rispettabile. Per come vivi tu la musica e il palcoscenico ti sentiresti di prendere una simile decisione e dire addio alla musica?

«Ho vissuto per tutta la vita a pane e chitarra rinunciando anche agli affetti e non riuscirei a prendere quella decisione. Mi mancherebbe troppo la musica, per come la vivo io non ce la farei. Siamo di due scuole di pensiero differenti. Ma se Ivano ha fatto questa scelta vuol dire che è venuto il momento. Farà ancora musica, scriverà canzoni per altri, come ha sempre fatto, ma gli mancheranno il palcoscenico, gli applausi, il pubblico… fanno parte della nostra vita. Ripensandoci ha fatto bene, sono cambiate tante cose: case discografiche non ce ne sono più, è cambiato lui e le sue aspettative, come è giusto che sia. Una volta ho letto una intervista in cui veniva chiesto a Paolo Conte perché fosse stato fermo due anni, la risposta fu ‹perché non avevo nulla da dire›. Finché avrò cose da dire ed emozioni da trasmettere la mia chitarra suonerà».

La Liguria è la regione del Premio Bindi, del Premio Tenco ma anche del Festival di Sanremo, balzato agli onori della cronaca anche quest'anno più per le polemiche che per la musica. La finale l'hanno conquistata tre donne, due delle quali, la vincitrice Emma e Noemi, 'create' da popolari format televisivi. Cosa ne pensi?

«Ho visto Sanremo ma ho sentito poca musica. Ho sempre l'impressione di assistere a esibizioni di 'prodotti' che durano l'arco di una stagione. Al prossimo giro sotto un altro. È ormai diventata la nostra cultura, quella dell'usa e getta. Tutti questi ragazzi che partecipano ai format televisivi non li capisco, la musica è un'altra cosa. Bisogna fare tanti compromessi se si vuole attingere da quella 'pentola'. Se oggi una persona ha la fortuna di essere se stessa è una persona privilegiata e ne deve fare tesoro».




giovedì 23 febbraio 2012

"Make me a picture of the sun", i sogni di Carlot-ta






Carlot-ta, all'anagrafe Carlotta Sillano, è uno dei volti nuovi della canzone italiana. La ventunenne cantautrice di Vercelli ha raccolto molti consensi da parte della critica e del pubblico con il suo album d'esordio dal titolo "Make me a picture of the sun" (pubblicato lo scorso anno da "Anna The Granny Records"). Un lavoro raffinato, a tratti fiabesco e carico di suggestioni. Una strumentazione assai ricca (pianoforte, flauti, fisarmoniche, archi, percussioni) fa da cornice alle parole cantate da Carlot-ta prevalentemente in inglese e in francese. Parole conosciute, non nuove, perché Carlot-ta ha trovato ispirazione nelle poesie di grandi poeti della storia della letteratura occidentale: William Shakespeare, Emily Dickinson, Charles Baudelaire, William Blake, Jacques Prèvert e Thomas Stearns Eliot. Poesie e pensieri che hanno trovato nuova vita nelle canzoni che compongono l'album.
In questi mesi la cantautrice vercellese è impegnata in un lungo tour che ha toccato club, festival e piazze di tutta Italia. Sabato 25 febbraio Carlot-ta farà tappa a Spotorno (Sala Convegni Palace, ore 21. Ingresso libero) dove inaugurerà "Immaginaria 2012 - Winter Edition", rassegna musicale organizzata dal Comune in collaborazione con l'Associazione Le Muse Novae.
Anticipazioni, suggestioni e pensieri in questa intervista che Carlot-ta ci ha concesso con grande disponibilità e gentilezza.



Un solo album all'attivo e hai già sbancato il banco. Hai conquistato la "Targa Giovani M.E.I. 2011", il "Premio Ciampi" come miglior album di debutto, e sei stata protagonista al "Premio Tenco 2010". Mesi per te memorabili. Cosa dobbiamo aspettarci dal 2012?

«Quello che è successo finora è stato per me un'assoluta sorpresa. Quando ho iniziato a scrivere le canzoni che compongono "Make me a picture of the sun" nemmeno ci pensavo al fatto che sarebbero finite in un disco d'esordio. Non c'è stata molta progettualità da parte mia. Ho accettato la proposta della mia attuale etichetta, "Anna The Granny", anch'essa esordiente, e abbiamo cercato di fare al meglio il nostro rispettivo lavoro. Il modo in cui è stato accolto il disco è stato molto soddisfacente e inaspettato per me e per loro. Anche per il futuro credo ci lasceremo un po' guidare dagli eventi e dagli istinti, per il momento stiamo realizzando un singolo che uscirà a fine primavera e che anticiperà un secondo disco in uscita spero nel 2013. Nel frattempo sto strutturando un live con archi e percussioni che vorrei portare in giro nel periodo estivo».

Il tuo disco è curioso, se mi permetti l'aggettivo, e sicuramente fuori dagli schemi. Non per le atmosfere che si respirano, sempre coinvolgenti e positivamente spiazzanti, quanto per il fatto che canti poesie di autori spesso molti famosi in lingua inglese e, in alcuni episodi, in francese. Perché questa scelta?

«Parrà un'assurdità, ma non mi interessa molto l'aspetto testuale delle canzoni. Ascolto prevalentemente musica straniera e mi piace lasciarmi guidare dalle suggestioni musicali più che dai significati dettati dal linguaggio verbale. La scelta di cantare in lingue diverse dall'italiano e di prendere in prestito versi di poeti noti sono espedienti che mi consentono di istigare l'ascoltatore ad avere questo tipo di approccio alle mie canzoni. La voce diventa uno strumento e i significati sono dettati dai suoni».

Perché non hai scelto di cantare in italiano? Non pensi che per molti spettatori che assistono ai tuoi concerti sia difficile comprendere il tuo messaggio? Non ti preoccupa tutto ciò?

«Senza dubbio il messaggio trasmesso in questo modo necessita di una attenzione maggiore da parte dell'ascoltatore, ma non per questo è meno diretto o meno universale. Il linguaggio musicale è di per sé significante, credo che, semplicemente, la mia musica potrà comunicare a chi sarà disposto all'ascolto e troverà una consonanza con le suggestioni trasmesse e le immagini evocate».

Seguirai questa strada o nel tuo prossimo lavoro scopriremo una Carlot-ta cantautrice?
 

«È probabile che in futuro sarò io l'autrice dei miei testi ma continuerò a seguire questa "poetica" musicale, le canzoni che sto scrivendo sono sempre in inglese e francese e danno maggior rilievo al suono della parola piuttosto che al suo significato».

Nelle tue esibizioni sei solitamente da sola sul palco, il disco invece è molto più strutturato musicalmente. Qual è la vera dimensione di Carlot-ta?

«Sono due dimensioni complementari forse; il tempo passato in studio è stato molto divertente e la possibilità di lavorare su arrangiamenti, scelte timbriche e sui suoni in generale mi interessa molto. Per questo disco ho avuto la fortuna di collaborare con un arrangiatore palermitano, Gianluca Cangemi, che mi ha aiutata molto a dare una giusta forma e veste timbrica ai miei brani. Dal vivo invece le canzoni sono chiaramente spogliate di tutto questo e la comunicazione è totalmente diversa; non mi piacciono molto i concerti in cui la band suona "uguale al disco", preferisco un tipo di approccio diverso, più diretto e intimo. Come già detto, però, per l'estate sto preparando un live in cui sarò accompagnata da archi e percussioni per avvicinarmi di più alle sonorità del disco e per avere uno spettacolo con un maggior impatto sonoro da proporre in ambienti magari più ampi e aperti che poco si prestano a un concerto in solo. Nei club invece continuerò a suonare così. Mi piacerebbe che gli ascoltatori del disco (perlomeno quelli che lo hanno apprezzato) partecipassero a un concerto (e viceversa) per conoscere entrambe queste dimensioni».

La critica ti accosta a Tori Amos e Joanna Newsom. Ti ritrovi in questo accostamento?

«Sono due autrici che amo molto. I dischi di Tori Amos sono stati tra i miei principali ascolti in passato e sono stati fondamentali per la scoperta di un modo diverso di utilizzare il pianoforte nel pop. Joanna Newsom è, tra le uscite recenti, la cantautrice che forse ho più apprezzato per la sua ricerca su armonie, melodie, strutture. La sua musica è complessa e al contempo fruibile. Razionale e ben suonata ma emozionante, bizzarra e divertente».

Sei attualmente impegnata in una lunga serie di concerti in giro per l'Italia. Cosa ti sta dando dal punto di vista umano e musicale questo peregrinare?

«Mi diverte molto, vedo luoghi che non ho mai visto, conosco molte persone, suono le mie canzoni. Detto così pare un po' "morettiano" ma non potrei sperare di meglio».

Hai poco più di vent'anni e fai parte di quella generazione che non è cresciuta con il disco fisico, cd o vinile che sia. Cosa ne pensi della musica liquida e di internet. Per i giovani artisti è un canale utile per farsi conoscere, forse l'unico rimasto.

«Gianmaria Ciabattari, il mio produttore, ha conosciuto me e la mia musica tramite Myspace (che ai tempi era all'apice del suo successo) e Facebook è la modalità principale per promuovere quello che faccio. La rete ha inglobato le arti e ne è il principale punto d'accesso e di diffusione».

Compri i dischi oppure scarichi da internet la musica che ti piace?

«Acquisto quasi sempre i dischi che mi interessano, se li scarico tendo a perderli di vista e a non ascoltarli».

Sul tuo iPod cosa troviamo in questo periodo?

«St. Vincent, Joanna Newsom, Marissa Nadler, Panda Bear, Alasdair Roberts, e…Battiato».

Hai seguito il Festival di Sanremo? Cosa ne pensi tu che a Sanremo sullo stesso palco, ma in una occasione differente, hai raccolto tantissimi riconoscimenti da parte di pubblico e critica?

«Mi diverte tantissimo seguire il Festival di Sanremo, al di là di qualsiasi giudizio o polemica, trovo sia anacronistico, surreale e bellissimo. Se ne facessero due all'anno sarei davvero felice, dico sul serio. Non ho mai provato a partecipare a Sanremo Giovani ma se ce ne fosse la possibilità e mi facessero cantare quello che voglio non direi di no; è comunque una grande vetrina promozionale, con molti contro e molti pro».

Cosa vorresti che succedesse nei prossimi cinque anni?

«Che non si avverassero le profezie Maya in primis e che questa possa diventare la mia professione. E  moltissime altre cose».


Titolo: Make me a picture of the sun
Artista: Carlot-ta
Etichetta: Anna the granny Records
Anno di pubblicazione: 2011





martedì 14 febbraio 2012

"More music" per Massimiliano Rolff e Unit Five





Essere il leader di una band e nello stesso tempo esserne il contrabbassista non è compito agevole. Il contrabbassista occupa solitamente una posizione di secondo piano, più nascosta rispetto alla visuale del pubblico. Massimiliano Rolff, musicista di grande talento nato nel 1973 a Savona, ricopre invece alla perfezione questo doppio ruolo. Dopo essersi diplomato nel 1999 al Jazz Conservatory della città di Groningen nei Paesi Bassi in basso elettrico e didattica musicale, Rolff ha suonato in questi anni nei più prestigiosi club e festival negli Stati Uniti e nel Vecchio Continente. Gli Unit Five, attivi dal 2005, sono invece una delle band di riferimento del panorama jazz ligure. Nel 2006 il loro esordio discografico, con l'album "Unit Five", è stato salutato con ampi consensi da parte del pubblico e della critica. Sei anni dopo Massimiliano Rolff e Unit Five sono tornati in sala di registrazione per regalarci "More Music". Un album jazz di composizioni originali scritte dallo stesso Rolff.
Il pubblico savonese avrà l'occasione di ascoltare il disco nel concerto di presentazione che si terrà giovedì 16 febbraio al Filmstudio a Savona (inizio ore 21.30, ingresso 7 euro con tessera Arci). La serata, organizzata in collaborazione con il Circolo Raindogs, vedrà sul palco Rolff accompagnato dai suoi Unit Five: Luca Begonia (trombone), Stefano Riggi (sax tenore), Massimo Currò (chitarra), Paolo Franciscone (batteria).
Scopriamo come sarà il nuovo disco dalle parole di Massimiliano Rolff.

"More Music" è il terzo album a tuo nome se non si considera "Next Beat". Cosa dobbiamo attenderci dal disco?

«È un sincero disco di jazz. Senza trucchi e senza inganni: ci sono cinque musicisti nella stessa stanza che registrano per due volte le otto tracce presenti nel cd. Poi scelgono insieme le migliori. È bello sai, lavorare così. Ho scritto i brani contenuti in "More Music" con l'intenzione di regalare a chi lo ascolterà un'ora di musica brillante, scintillante... qualcosa su cui puoi battere il piede o schioccare le dita. Ci sono brani veloci su cui scivoliamo con assoli vertiginosi, dolci ballad su cui, a lume di candela, si può danzare in un caldo abbraccio, ci sono temi usciti da misteriosi film di spionaggio, songs che ci riportano a Broadway, tanto swing, molta organizzazione e soprattutto tanta perizia ed improvvisazione».

Quale è stato il percorso che ti ha portato a registrare questo nuovo disco?

«Se devo analizzare il risultato finale posso dire che la musica di "More Music" è scritta in una lingua molto ben definita. L'ispirazione al sound dell'epoca d'oro del jazz è chiara ed innegabile. Continuo a trovare molto interessante e stimolante ricercare idee personali ed un mio sound utilizzando un linguaggio così consolidato come quello del jazz degli anni '50, questa è la mission dell'idea legata al gruppo "Unit Five". La mia vocazione è quella di scrivere della musica che possa raggiungere con semplicità anche il più distratto degli ascoltatori, ma allo stesso tempo possa mettere a seria prova il musicista che la suona e soddisfare anche tutti coloro che ricercano nella musica elementi di tecnicità e complicatezze varie. Una specie di rompicapo al servizio della mia spontaneità e immaginazione. Il primo album "Unit Five" del 2006 fu un buon debutto. Oggi a sei anni di distanza e dopo decine di concerti insieme, questa band è cresciuta moltissimo e l'apporto dei nuovi entrati, il trombonista Luca Begonia e il batterista Paolo Franciscone, ha determinato un netto salto di qualità. Le idee che ho proposto alla band sono state colte nella loro interezza e nella loro naturale intenzione nel migliore dei modi»".

Da "Naked", registrato nel 2009 con Emanuele Cisi, Andrea Pozza ed Enzo Zirilli, a "More Music" sono passati poco più di due anni, cosa è cambiato?

«"Naked" e "Unit Five" sono i due progetti paralleli a cui ho dato vita in questi ultimi anni. Trovo che sia molto importante dedicare energie per dare continuità alle proprie idee. Essere giunti al secondo album con "Unit Five" è un grande risultato, soprattutto se si considera che nel mondo del jazz la tendenza a cambiare partners è praticamente la routine. Personalmente gli ultimi due anni sono stati molto intensi dal punto di vista concertistico, ho avuto la fortuna di suonare con molti musicisti americani che hanno fatto una buona parte della storia del jazz, vicino a loro non si può fare altro che imparare e crescere sia artisticamente che umanamente. Credo che questo si possa cogliere in trasparenza ascoltando "More Music"». 

Il tuo percorso musicale è costellato, appunto, di moltissime collaborazioni con artisti anche di grande spessore internazionale. Quale esperienza ricordi con più piacere e perché?

«Il bello della musica suonata è che ogni volta che vai a tenere un concerto ne risulta un evento indiscutibilmente unico, sia esso nel jazz club sotto casa o sia nel grande teatro in una capitale europea. Con il jazz poi è sempre diverso anche se suoni con gli stessi musicisti e questo è uno dei motivi che mi ha allontanato dallo sfavillante mondo della musica pop. Questo per dire, che ogni musicista, ogni palco e ogni audience può regalarti momenti speciali anche se non te lo aspetti, e questa è una grande fortuna! Di certo quando ti capita di condividere, palco, chilometri di viaggi in auto, soste in aeroporti, cene e attese varie in tour con personaggi come Herb Geller, Peter King o Phil Woods, che hanno abbondantemente superato i 50 anni di professionismo musicale, ti resta nel cuore qualcosa di speciale; in qualche modo hai la sensazione di far parte, magari anche solo per una piccola parte, del grande ingranaggio della storia della musica. Ti senti al posto giusto. Comunque una delle più belle esperienze musicali l'ho vissuta recentemente, lo scorso gennaio, suonando sul prestigioso palco del Sunset Sunside Jazz Club di Parigi con il sassofonista newyorkese Dave Schnitter. Ecco, lì hai la netta sensazione di essere vero, e con Dave l'impagabile sentimento di libertà musicale e fiducia. Bello no?».

Preferisci la vita da sideman o quella di fronte al tuo pubblico? Quali sono le diverse sensazioni?

«Beh, come sideman ho la fortuna di calcare alcuni dei più importanti palchi del mondo e di imparare sempre molto dai leaders dei vari gruppi, che resta uno degli obiettivi importanti della vita di un musicista. Leggo la loro musica, la imparo, mi calo nel loro sound e cerco sempre di portare acqua al mulino, di far funzionare la band, di essere puntuale agli appuntamenti e di non decidere troppe cose. È un atteggiamento più spensierato, il tuo impegno è quello di suonare bene e di aggiungere la tua anima all'idea di un altro. Talvolta, soprattutto all'inizio dei tour, ti domandi se ne sarai capace, se il leader sarà soddisfatto, un po' d'ansia che scompare presto. Come leader, è molto diverso. Intanto, bisogna prendere consapevolezza che tutto ciò che accade sul palco e fuori dal palco dipende sempre in qualche modo da te. Sei l'anima che ha dato il via a tutto quello che succede, a partire dal viaggio per arrivare al teatro fino all'ultima nota del concerto. Sei persino responsabile degli applausi a fine serata! Il tuo nome sui poster è il più grande e hai la grande fortuna di poter dialogare, comunicare e portare una tua precisa idea ad un ampio pubblico, che come contropartita è libero di giudicarti. È un gioco molto più grande ed importante, che spesso ti scava dentro alla ricerca della tua verità; è mettersi in gioco per davvero. Soprattutto se sei un contrabbassista, essere un leader deve essere proprio una scelta, o meglio, una necessità, in quanto di certo questo strumento non ti porta ad essere davanti o più in vista degli altri. Vedi, io adoro scrivere musica. Ne scrivo in continuazione, e quella precisa sensazione di: scrivo-creo-organizzo-suono è per me un'emergenza necessaria e costante»".

Come vedi il futuro della musica in Liguria?

«La realtà italiana nell'ambito della cultura è a un punto morto. In Liguria è forse ancora peggio.
La Liguria ha prodotto decine di musicisti straordinari, in ogni ambito musicale, e nessuno di loro è aiutato dignitosamente dalla comunità. L'industria musicale si è trasformata a totale svantaggio dei musicisti, e vabbè, diciamo che è un segno dei tempi, ma la musica dal vivo? Dove è finita la musica dal vivo? Tutti quei piccoli pub dell'entroterra ligure che facevano musica dal vivo, i palchi estivi sulle passeggiate a mare, i locali 'importanti' nei capoluoghi di provincia, le Pro Loco con le piccole rassegne, dove sono finiti? Perfino alle sagre non c'è quasi più musica dal vivo. Genova fa fatica ma Savona, Imperia e La Spezia sono trasparenti da questo punto di vista. Sai, per noi musicisti che siamo abituati a viaggiare, è un problema relativo perché andiamo a lavorare da un'altra parte, ma il problema resta per i liguri. La musica va vista e vissuta dal vivo, solo così potremo avere nuove generazioni di straordinari musicisti. Gli amministratori devono capire che sarà la cultura ad alimentare l'economia e non viceversa. Bisogna investire ed avere coraggio, la musica e la cultura non sono affatto aspetti secondari della nostra società. Il futuro musicale in Liguria non è sereno, ma potrà migliorare con lo sforzo di tutti. Il mio concerto al Filmstudio di Savona vuole essere un piccolo contributo a sostegno della musica nella nostra regione e nella città dove sono nato».



venerdì 10 febbraio 2012

I monologhi del cantautore varazzino Zibba



Debutta mercoledì 15 febbraio al Teatro Don Bosco a Varazze il nuovo spettacolo di Zibba dal titolo "Il rumore dei sogni - Corpo, Anima e Frattaglie" (ore 21). Il cantautore varazzino, vincitore del Premio Bindi 2011 e del concorso "L'artista che non c'era", tornerà così ad esibirsi nella sua città natale in uno spettacolo inedito che non lo vedrà al fianco dei suoi Almalibre, bensì dell'attore Alberto Onofrietti. I due artisti non sono nuovi a collaborazioni teatrali. Zibba e Onofrietti sono stati, infatti, fianco a fianco sul palco nel musical "All'ombra dell'ultimo sole".
Il nuovo spettacolo nasce dalla passione comune per la contaminazione tra le arti e dalla loro amicizia, consolidatasi fuori dal palco. In questa nuova avventura artistica Onofrietti reciterà monologhi, poesie e racconti scritti da Zibba. Una finestra sulla vita del cantautore varazzino, all'anagrafe Sergio Vallarino, fatta non solo di note e canzoni ma anche di esperienze e quotidianità.
È lo stesso Zibba in questa breve intervista a raccontarci il nuovo spettacolo e i progetti futuri.



"Il rumore dei sogni - Corpo, Anima e Frattaglie" insieme all'attore Alberto Onofrietti è un nuovo capitolo nella tua carriera. Cosa ci dobbiamo aspettare?

«Un paio d'ore di buoni motivi per venire a teatro mercoledì, ad esempio. Uno spettacolo nuovo, diverso da tutti i miei precedenti perché me ne sto sul palco e ascolto una voce forte e sicura recitare cose che ho scritto principalmente per me, come sfogo, e che ora lette in pubblico diventano per tutti. Conoscere Alberto mi ha regalato la voglia di mettermi in gioco con questa nuova cosa, e sono certo che chi conosce la mia musica troverà che sono sempre io, anche quando scrivo "non canzoni"».

Sei sempre sulla strada, on the road come direbbero dall'altra parte dell'oceano. La tua palestra di vita sono i locali, le piazze, i teatri e i palchi di tutta Italia. Un percorso in controtendenza rispetto a chi tenta di spiccare il volo partecipando a concorsi televisivi. Cosa ne pensi?

«Penso che ognuno debba decidere per sé che strada percorrere, e non giudico negativamente chi fa un percorso diverso dal mio. Credo solo che serva molto, a tutti, fare la gavetta. Servono i palchi piccoli, le sale vuote, la gente che non ti caga all'inizio. Serve misurarsi e mettersi in discussione ogni giorno. Serve a crescere ed esser pronti a tutto. La mia strada la adoro, e non la cambierei con null'altro. Conosco solo questo modo di fare musica, e credo sia sano nonostante tutto».

Hai suonato brani di Bob Marley in trio con Bunna degli Africa Unite e Raphael degli Eazy Skankers, sei stato in sala di registrazione con Tonino Carotone e recentemente con Tiromancino. Ti adatti alla perfezione a tutte le situazioni, però mi sembra che alla base di tutto ci sia il tuo personale divertimento, la voglia di suonare e regalare emozioni...

«Non è un vero e proprio adattarsi, piuttosto la chiamerei voglia di fare sempre cose nuove. Mi piace collaborare, mettermi alla prova e conoscere nuove persone con cui percorrere pezzi di strada. Con Raphael dura da molto tempo, con Bunna si è creata una bellissima amicizia e con tutti gli altri sempre e comunque collaborazioni che hanno dietro una buona dose di stima reciproca e rispetto. Il mio personale divertimento è alla base, hai ragione. Non posso farne a meno. Come cercare di portare in giro il mio piccolo messaggio, e vale qualunque mezzo».

Nonostante tutti gli impegni live so che stai registrando materiale per il tuo prossimo disco. Quando uscirà e cosa ci puoi dire su questo nuovo progetto?

«Uscirà a maggio e posso dirmi molto soddisfatto del lavoro che stiamo facendo. La band ha assunto nuovi elementi e abbiamo un sound, a mio avviso, molto completo. Sicuramente posso dire che non sarà un disco uguale al precedente, ci sono novità. Nuovi suoni. Nuove idee, per fortuna. Non vedo l'ora che venga pubblicato. È bello quando si fa un disco nuovo, per noi e per chi ci segue. C'è sempre attesa, anche se poi non cambia nulla in modo radicale, e quando ti arriva in mano la prima copia è davvero una grande soddisfazione».

Dopo aver partecipato al Premio Tenco, vinto il Premio Bindi 2011 e il concorso "L'artista che non c'era", aver convinto pubblico e critica con l'album "Una cura per il freddo", cosa ti aspetti dal 2012?

«Non mi aspetto nulla ma spero sia fortunato come gli anni appena trascorsi. Il disco del 2010 ci ha regalato tutte le soddisfazioni che volevamo, e anche qualcosa in più. Merito di uno staff vincente e di canzoni che sono entrate subito nel cuore delle persone e della critica. Mi auguro ci sia spazio per fare ancora tanto, anche se l'Italia sta attraversando un periodo tragico. Mi auguro che la gente abbia sempre voglia di musica, e da parte mia poter regalare a chi mi ascolta qualcosa di speciale con questo nuovo lavoro. Perché l'unica cosa importante è quando sai, perché te lo dicono e te lo fanno notare, che la tua musica scalda l'animo di qualcuno, ogni tanto. Questo è quello che conta».



venerdì 20 gennaio 2012

Pino Masi e la "ballata" del cantastorie





Da oltre quarant'anni Pino Masi scrive e canta la storia vista con gli occhi delle classi più povere e in difficoltà. Dove ci sono operai o studenti in sciopero e semplici cittadini alle prese con i problemi di tutti i giorni, Pino Masi c'è. È li per raccontare, per incoraggiare. Ed è così dalla metà degli anni Sessanta, da quando fondò il Canzoniere Pisano insieme ad Alfredo Bandelli, Riccardo Bozzi, Piero e Lydia Nissim, Charlotte Lantery e Giovanna Silvestri. Il cantastorie, nativo di Marinella di Selinunte ma pisano di adozione, è stato una delle voci della protesta studentesca del '68, ha abbracciato Lotta Continua divenendone la voce musicale ufficiale. Ma soprattutto ha composto alcuni dei canti di lotta più famosi e importanti di quegli anni. Tra questi si possono ricordare "La ballata del Pinelli", "Il soldato Bruna", "L'ora del fucile", "Prendiamoci la città". Ha lavorato con Pier Paolo Pasolini fino al 1973 e due anni dopo ha organizzato a Pisa il primo concerto di Fabrizio De André.
Pino Masi, amico e collaboratore anche di Dario Fo, Franco Basaglia, Demetrio Stratos e Giorgio Gaslini, si esibirà sabato 21 gennaio alla Società Operaia Pace & Lavoro nella Valle di Vado. Il concerto è organizzato dalla Fiap "Nicola Panevino" Valbormida e dal Circolo Giustizia e Libertà "Cristoforo Astengo" (cena e concerto 18 euro; ore 20.30).
Masi, contattato telefonicamente, è stato disponibile a rispondere ad alcune domande. 



Sono passati quarant'anni ma una buona parte delle tue canzoni sono più che mai attuali. I problemi economici e di lavoro stanno pesando sulla società; come ai tempi di Giuseppe Pinelli si muore in carcere, come è successo recentemente a Stefano Cucchi tanto per citare un nome; si assiste a scioperi e tentativi di rivolta, non ultimo quello che sta bloccando la Sicilia. 

«Purtroppo devo dire che mio malgrado sono ancora attuali, vorrei tanto che non lo fossero. Penso che la gente ne abbia però abbastanza di questo modo di governare. Non si può continuare in questo assurdo modo di 'spremere i limoni'. Parlano di salvare le banche e lo fanno come? Sacrificando il popolo, facendo pagare il conto ai cittadini. Guarda cosa sta accadendo con il prezzo della benzina, ormai arrivato a livelli insostenibili a causa delle tasse. Si fa fatica a sopravvivere e sono anni che dico che bisogna ribellarsi».

Quarant'anni fa però le condizioni sociali erano diverse. C'era forse anche più consapevolezza di quello che stava accadendo e i componenti del Canzoniere Pisano sono stati un po' il megafono musicale del movimento di protesta.

«Il fare creativo dei componenti del Canzoniere Pisano ha seguito passo passo dall'interno gli eventi sociali del periodo. Pisa è stata l'innesco di un processo culturale, le facoltà universitarie erano già occupate nel '67. Nel resto dell'Italia si assistette all'occupazione delle università solo l'anno successivo, quando a Pisa era già salda l'unione tra studenti e operai. Poi nel '69 l'intelligenza strategica della borghesia decise al suo interno di mettere un freno a questa inarrestabile avanzata e iniziarono le stragi».

Gli anni '70 sono quelli delle stragi di Stato, dei regolamenti di conti, ma soprattutto di grandi misteri.

«Il vero problema è proprio questo. Dopo cinquant'anni non sappiamo ancora chi sono i responsabili dei drammatici fatti di quegli anni. O meglio, lo intuiamo ma i segreti sono rimasti tali e parlo delle stragi di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia a Brescia, del Rapido 904. La mano può essere stata rossa o nera ma la mente che ha preso quelle decisione è sempre stata la stessa. La massoneria è il vero partito della borghesia, quello che ha preso e continua a prende le decisioni che poi il popolo deve subire. E nella massoneria, nelle logge coperte, c'è di tutto. Vi fanno parte politici di destra, di sinistra, magistrati, poliziotti, giudici, mafiosi e via dicendo. Solo a Pisa ci sono quattro logge coperte. In Italia non c'è la pena di morte, e di questo si vantano, ma c'è una morte continuata e attuata senza processi: dalle stragi alle esecuzioni di giudici, sindacalisti, giornalisti. Il potere è al di là delle forme che assume».

Quali sono allora le differenza tra la situazione attuale e quella del '68?

«Allora avevamo un avversario ben definito: la borghesia, il padrone della fabbrica. Ora, invece, la classe egemone non è più legata al capitalismo. Ci sono ancora i padroni, i Marchionne che sono da combattere, ma quando si parla di padroni si deve citare apertamente la massoneria e le logge coperte».

La P2 di Licio Gelli a cui erano iscritti tanti politici e personaggi famosi, poi le ultime inchieste sulla P3 e P4. L'Italia da quarant'anni sembra essere guidata o quanto meno condizionata da questi gruppi.

«Nessuno chiede l'anarchia o il comunismo, quello che chiedo come cittadino è la verità. Che non ci sia doppiezza nelle istituzioni. Chi giura fedeltà alla Repubblica non può appartenere a logge massoniche che perseguono i loro interessi. E chi è iscritto a logge coperte deve andare in galera perché tradisce il giuramento fatto alla Repubblica. Non desidero rivoluzioni ma voglio che la Repubblica venga rispettata. La gente onesta, tutta, deve chiederlo e il compito del cantastorie è portare avanti questo messaggio».

Chi frequenta ora i concerti di Pino Masi?

«Ci vengono soprattutto i giovani. Le sale e i locali dove mi esibisco sono sempre gremite di giovani che vogliono capire e hanno il diritto che qualcosa finalmente cambi».

Alla Società Operaia Pace & Lavoro a Vado Ligure che spettacolo metterai in scena?

«Il titolo del concerto è "Valorizzare e difendere il bene comune e dare, ad ognuno, le stesse possibilità di realizzarsi". Parlerò pochissimo durante lo spettacolo che presenterò, quello eventualmente lo faremo al termine della serata. Farò invece una specie di carrellata sulla storia d'Italia attraverso alcune canzoncine inedite, poi presenterò quelle più impegnate scritte ai tempi del Canzoniere Pisano e infine quelle di oggi. Sarà un viaggio dal '66 ad oggi».

Suonerà a Vado Ligure dove da quarant'anni in pieno centro città, tra le case degli abitanti, c'è una centrale elettrica a carbone. Nei prossimi anni verrà raddoppiata contro il volere di buona parte della popolazione. Cosa ne pensi?

«È ora di finirla. Basta sacrificare il popolo agli interessi di pochi. Ci stanno ammorbando…e ammazzando».


Titolo: S'av'a scialàri
Autore: Pino Masi & the Tribal Karma Art Ensemble
Etichetta: Culture Promoter/Edizioni Il Campano
Anno di pubblicazione: 2010

Tracce

01. A che sarà servita
02. Il veliero
03. Primavera
04. Mapperdindirindina!
05. Viva l'America
06. L'affascinante
07. Dimmi dove vai
08. Per Mauro Rostagno
09. Ci consenta!
10. Massoneria
11. S'av'a scialàri!
12. Viva Maria


sabato 14 gennaio 2012

Gian Piero Alloisio rende omaggio al maestro Bindi







Un nuovo spettacolo di teatro-canzone, "L'eco di Umberto… la musica infinita del Maestro Bindi", e un nuovo disco in uscita martedì 17 gennaio nei negozi e sulla piattaforma iTunes (+ un bonus, la strepitosa e divertentissima "Silvio"), "Ogni vita è grande" (A.T.I.D./Universal Music 2012). Gian Piero Alloisio, per anni collaboratore di Giorgio Gaber, Francesco Guccini, Emanuele Luzzati, nonché autore di canzoni e commedie di successo, torna così prepotentemente sulle scene musicali italiane con un sentito omaggio a Umberto Bindi che, insieme a Bruno Lauzi, Gino Paolo, Fabrizio De André e Luigi Tenco, fece parte di quella scuola di cantautori genovesi che rinnovarono profondamente la musica italiana.
Dopo il successo riscosso giovedì sera al Teatro Comunale di Ventimiglia (300 spettatori presenti), lo spettacolo "L'eco di Umberto…" arriva sabato 14 gennaio a Finalborgo, nell'auditorium di Santa Caterina (ore 21). In un avvincente percorso musicale e teatrale Gian Piero Alloisio (voce, chitarre, armonica, kazoo) e Dino Stellini (piano, tastiere) raccontano la vita del primo cantautore italiano.
Raggiunto telefonicamente all'indomani della prima dello spettacolo, Gian Piero Alloisio ha risposto con la sua consueta gentilezza alle nostre domande.


Gian Piero, parliamo subito dello spettacolo che tanto successo ha riscosso a Ventimiglia...

«È uno spettacolo che non si regge sull'entusiasmo da concerto ma su questa incredibile vicenda: la vita di Bindi. Racconto il periodo quando Bindi scomparve dalle scene, quando la Rai lo emarginò per la sua dichiarata omosessualità. Nel corso della serata proporrò canzoni inedite, brani famosi come "Il mio mondo", "Il nostro concerto", "La musica è finita", "Arrivederci" e molto altro».

Martedì uscirà nei negozi di dischi l'album "Ogni vita è grande", un ritorno in grande stile...

«Il mio ultimo lavoro discografico fatto con una major, che non sia una colonna sonora, risale al 1981 (titolo dell'album "Dovevo fare del cinema"). Ho fatto un mucchio di altre cose in questi anni (è stato autore di commedie, sceneggiatore di film, varietà televisivi e radiofonici, commissario artistico del Carnevale di Viareggio, fondatore e direttore artistico dell'Associazione Teatro Italiano del Disagio, ndr). L'approccio a questo disco è però completamente diverso rispetto ai miei lavori precedenti. Questo disco fa un po' il punto della mia carriera».

L'album contiene quattro interessanti inediti di Bindi...

«Ma non solo. Ho ricantato "Venezia", nella versione precedente a quella rivisitata da Guccini che ne ha cambiato qualche parolina. C'è poi una versione aggiornata e concordata con la figlia di Gaber di "La strana famiglia", scritta con Giorgio. E molto altro. Tutto questo accompagnato da musicisti straordinari come Claudio De Mattei e Enrico Spigno, membri della band che ha seguito Gaber, Mario Arcari che ha collaborato con De André. A questi ho aggiunto un duo classico. È insomma un album dove posso finalmente dire ‹sì, queste canzoni le ho scritte io›».

Sembra quindi un album di bilancio, un punto fermo da cui ripartire.

«Ho cercato di condensare in questo album tutta la mia vita, le mie esperienze, i miei pensieri. È un disco comunque attuale formato da canzoni che parlano anche dei problemi e dell'Italia di oggi. Dopo 38 anni di carriera ho voluto mettere un punto. Possiamo dire che è una sorta di bilancio, di assunzione di responsabilità verso chi mi ha seguito in tutti questi anni. Ho scritto tantissimo come autore ma c'è stato un momento in cui mi sono detto ‹devo fare quello che sono›, cioè testimoniare al mondo quello che ho fatto».

Torniamo alle quattro canzoni di Bindi...

«Sono quattro canzoni, di cui una che fu provinata, del vasto repertorio che ci ha lasciato Bindi. Ci sono una quantità sterminata di musiche ma quasi tutte senza testi. Lui era un compositore più che un vero cantautore. Io ho aggiunto i testi».

Sei stato molto legato a Bindi. Fosti anche uno dei protagonisti del concerto-omaggio che si tenne a Genova nel 2007 per ricordare, a cinque anni dalla scomparsa, il cantautore genovese... 

«Bindi nel 1990 aveva avuto l'idea di tornare a vivere nella sua Genova. Mi contattò tramite Gian Paolo Morabito e il Club Tenco. Lavorai ad alcune sue canzoni ma non immaginavo che conservasse nel cassetto così tante composizioni. Ma la collaborazione si interruppe perché Bindi restò a Roma e non tornò a vivere Genova. Fece male perché i genovesi lo hanno sempre amato. Lo dimostra il fatto che furono quattromila gli spettatori che assistettero al Teatro Stabile allo spettacolo su Bindi».

In questi ultimi anni assistiamo ad una vera ondata di omaggi a musicisti scomparsi. Da quelli a De André che ormai si sprecano e non fanno più notizia, a Baccini che si è cimentato con le canzoni di Tenco, fino al grande lavoro di Enrico De Angelis che ha curato il cd incentrato sulla figura di Piero Ciampi...

«Ci sono delle differenze sostanziali. Tenco e Ciampi hanno un approccio interessantissimo dal punto di vista del testo, Bindi invece può dare molto di più alla musica di oggi, è sempre stato un cantante pop ed è più che mai attuale. Le canzoni di Bindi sono ancora oggi molto più interessanti di certa produzione pop italiana e anglosassone, anche perché conservano la straordinaria capacità di comunicare con tutti. Basta ascoltare le sue canzoni. Le composizioni di Bindi sono presenti in 135 album di artisti stranieri ed è uno dei tre autori italiani più eseguiti al mondo. Anche i Beatles interpretarono una canzone di Bindi. Tenco non potrà mai diventare famoso nel mondo come lo è stato Bindi». 

La produzione di Umberto Bindi è sterminata. Si parla di almeno 500 canzoni. Tantissimi brani inediti sono stati salvati grazie ad un meticoloso lavoro di digitalizzazione che tu stesso hai eseguito dopo aver ricevuto i nastri da Massimo Artesi, erede di Bindi. Una operazione volta a conservare questo immenso patrimonio che all'epoca l’industria discografica non capì e non volle pubblicare...

«Bindi ha lasciato tantissimi nastri registrati su un mangianastri a pile della Sony. Canzoni composte su un pianoforte sempre più scordato perché non aveva neppure i soldi per farlo accordare. Da questi preziosi nastri ho estratto quasi trecento inediti. Spero che dal mio lavoro i vari Renato Zero, Morandi o anche artisti emergenti come Emma Marrone possano trovare ispirazione. Ci sono canzoni inedite di Bindi che farebbero la fortuna di chiunque. Ecco, il mio auspicio è proprio questo: spero che qualcuno vada a pescare da questi altri 290 brani inediti e che riporti Bindi in vetta alle classifiche».


Titolo: Ogni vita è grande
Artista: Gian Piero Alloisio
Etichetta: A.T.I.D./Universal
Anno di pubblicazione: 2012

Tracce
(testi e musiche di Gian Piero Alloisio, eccetto dove diversamente indicato)

01. Ogni vita è grande
02. Il paese delle cose che non sono  [Alloisio; Umberto Bindi]
03. Italia ti vorrei salvare
04. Non c'è lavoro
05. La luce in un canto  [Carlo Mucari; Umberto Bindi]
06. Passa  [Alloisio; Umberto Bindi]
07. Venezia  [Alloisio e Francesco Guccini; Alloisio]
08. La strana famiglia  [versione aggiornata da Alloisio dall'originale Alloisio, Colli, Gaber]
09. La parte migliore  [Alloisio e Maurizio Maggiani; Umberto Bindi]
10. L'eco di Umberto
11. King
12. Senza
13. Baxeicò  [Claudio Gatto; Alloisio]
14. Canzone per Carlo