Ci sono voluti sette anni ma alla fine gli Edgar sono tornati. "Anche se non sembra" è il nuovo album del gruppo ligure che arriva dopo il disco d'esordio, "Alcuni fattori marginali", prodotto e arrangiato da Piero Milesi e pubblicato nel 2008. Il gruppo vede la luce sul finire degli anni '90 come laboratorio di improvvisazione e nel 2003, con il nome di Edgar Cafè, rappresenta la Liguria e vince l'annuale edizione di Arezzo Wave. Cinque anni dopo arriva il primo disco di cui Milesi, scomparso nel 2011, è il vero deus ex machina. La sua morte interrompe i piani e l'attività degli Edgar e solo nel 2013 la band "rinasce" riannodando i fili spezzati e perdendo parte del nome. L'anno dopo gli Edgar si occupano delle musiche e suonano dal vivo nello spettacolo teatrale "The wedding singers" prodotto dal Teatro della Tosse di Genova con Angela Baraldi e la regia di Emanuele Conte. Poi finalmente il ritorno in studio per il nuovo disco, "Anche se non sembra", composto insieme a Daniela Bianchi e Antonio Melvavi, prodotto dalla
OrangeHome Records di Raffaele Abbate e registrato negli studi di Leivi.
Undici tracce che creano un vorticoso magma musicale, a volte ipnotico e certamente onirico in cui mancano volutamente i punti di riferimento rappresentati da facili ritornelli. Difficile anche voler prendere parte al sempre vivo gioco della catalogazione artistica, che troppo spesso porta a cieche classificazioni come se la musica fosse una collezione di insetti. Il nuovo disco degli Edgar è un tentativo coraggioso che dimostra la vitalità di pensiero e di espressione di questo gruppo ora formato da Stefano Bolchi, Daniele Ferrari, Osvaldo Loi e dal bolognese Federico Fantuz. La dimensione acustica va a braccetto con sonorità energiche di indie rock e con la poesia di testi ambiziosi e studiati che parlano di lavoro giovanile, di rapporti interpersonali, di quotidianità e il lento scorrere del tempo. Il disco si chiude con "Già", dovuto e commosso ricordo di Piero Milesi.
Con Stefano Bolchi abbiamo parlato del ritorno degli Edgar.Siete sulla scena dalla fine degli anni '90, quando ancora vi chiamavate Edgar Cafè, e in tutti questi anni avete pubblicato solo due dischi. Perché avete prodotto così poco?
«Quello che si trova nei due dischi è una parte del materiale sonoro e testuale prodotto in questo arco di tempo. Il tempo trascorso è relativo, e questo è un "credo". Tempo relativo rispetto alle istanze creative che ci hanno mosso, che ci hanno spinto a suonare, parlare e costruire rispettando i tempi di ciascuno di noi, valorizzandone l'autenticità non forzata, non veloce, non pubblicabile a tutti i costi».
Il vostro primo disco vide la luce nel 2008 e nacque dalla collaborazione con il produttore Piero Milesi. Poi sono passati sette anni, fino all'incontro con Raffaele Abbate che ha curato la produzione del vostro nuovo disco. Che differenze nel modo di lavorare avete riscontrato tra Milesi e Abbate?
«Il ruolo che hanno avuto Piero Milesi in "Alcuni fattori marginali" e Raffaele Abbate in "Anche se non sembra" è proprio diverso. Milesi si è occupato della direzione artistica del progetto. Piero ha composto delle parti, arrangiato insieme a noi i brani, suonato in alcune canzoni, supervisionato missaggio e mastering. Era un produttore d'altri tempi, di quelli che si innamoravano e davano anima e corpo per un progetto sconosciuto, facendo un vero e proprio investimento a rischio. Un ruolo di quel tipo si dice che oggigiorno sia estinto. In "Anche se non sembra" Raffaele non ha preso parte alla produzione artistica ma si è concentrato sulla costruzione del sound del disco in sinergia con il gruppo».
Quali sono gli stimoli che vi hanno portato nuovamente in sala di registrazione?
«Non ci sono stati stimoli esterni a portarci in sala di registrazione. Ci ha mosso il desiderio di far ascoltare queste canzoni tramite un disco pubblicato».
Il titolo del disco è "Anche se non sembra", spiegatemi allora qual è la verità…
«Pare che attualmente occorra apparire per esserci e di conseguenza se qualcosa o qualcuno non appare sembra non esistere. Per quanto riguarda la verità non so proprio che dire, anzi credo che con la verità l'uomo abbia un rapporto impossibile».
Considerate le undici canzoni del disco come se fossero parte di una storia o sono fotografie indipendenti?
«Le sonorità degli undici brani sono molto diverse tra di loro. Non è stato costruito un filo narrativo in sequenza ma sono evocati legami di senso. Ci piace lasciare all'ascoltatore la libertà di interpretare».
Leggendo i testi delle canzoni si capisce che è stata fatta molta ricerca. Usate soluzioni interessanti e non comuni tra cui rielaborazioni di modi di dire e paronomasie. Sembra che l'elaborazione dei testi rivesta un ruolo di primo piano nella vostra fase creativa…
«Anche se non sembra, i testi non rivestono questo ruolo principale. Certe trovate testuali sono nate non da un lavoro di ricerca linguistica ma da un approccio ludico, improvvisato, comunque elaborato poi criticamente insieme. Il lavoro sulla musica ha pari importanza. Si parte sempre da un inconsapevole improvvisazione».
In "L'astronave" c'è una strofa che mi ha fatto pensare: «È quando non resta più niente che l'orizzonte comincia a cambiare». Io adatterei questa frase all'esistenza umana: solo toccando il fondo si può dar vita a un cambiamento radicale. Cosa ne pensate?
«Che è un interpretazione possibile, anche se non siamo dell'idea che esista un fondo, piuttosto siamo dell'idea che partire dal vuoto faccia ben sperare. È grazie al vuoto che si muovono le cose se no ci sarebbe l'immobilità. Ho scritto quella frase partendo da un immagine visiva: la linea dell'orizzonte, priva di qualsiasi riferimento attorno, che inizia a prendere forma, un po' come il fenomeno del miraggio. Ho riportato questa visione letteralmente».
Se non sbaglio avete una visione critica della società attuale. In "Luogo comune" cantate «…la nostra mente è presa da tutto non sa fermarsi davanti a niente». Neanche la musica riesce a fermare questa corsa generata dal bombardamento continuo di stimoli e notizie, vere o false che siano?
«È una visione decisamente critica della società in cui ci sentiamo immersi, e siamo in crisi pure noi. Sì, siamo bombardati, e il rischio è di essere fagocitati. Si consumano stimoli vuoti che a loro volta consumano. La musica non c'entra niente e non può fermare nessun bombardamento. È soltanto uno strumento, di chi la produce e di chi la ascolta. È sicuramente difficile fermarsi rispetto a questo tritatutto, ma sta al soggetto scegliere di farlo».
In "Vivo" l'uomo subisce la superiorità dell'universo: «bipede astuto inventi le ore ma il tempo passa come gli pare»… È il nostro destino?
«L'uomo è descritto come fragile di fronte alla mancanza, alla vita, sebbene abbia fatto di tutto per controllarla, persino il tempo. Ma in "Vivo" l'uomo non è inerme, anzi: la vitalità è una scelta di resistenza, scelta indelegabile».
E i sentimenti e l'amore? Sono solo «un bicchiere vuoto sul banco del bar»?
«Sì, se non si riempiono di un buono e genuino vino».
Nel disco, quasi fosse la chiusura di un cerchio, avete dedicato la canzone "Già" proprio a Piero Milesi, scomparso alcuni anni dopo aver prodotto il vostro primo disco "Alcuni fattori marginali"…
«Piero si è dedicato al progetto profondamente e intensamente, si è molto coinvolto affettivamente, era il primo lavoro professionale in cui ci imbattevamo, eravamo tutti molto emozionati. Il ricordo che ho impresso è quello di una forte intensità. Dopo l'uscita del disco ci fu un periodo di giusta distanza, ma l'amicizia nata ci riportò a condividere serate e discorsi insieme. Si parlava anche di un secondo disco. Il brano "Già" era abbozzato in un provino che a Piero piacque particolarmente. Ci è venuto spontaneo dedicargli il brano in "Anche se non sembra"».
"Anche se non sembra" ha un suono molto particolare, tutto sembra racchiuso in un vortice privo di un centro di gravità. Quali sono i musicisti che vi hanno maggiormente ispirato?
«La musicalità del subcomandante Marcos».
In un periodo in cui la musica si ascolta su Youtube o simili un album come il vostro, difficile se non impossibile da etichettare, non temete che possa perdersi?
«In realtà crediamo nella distinzione. Partiamo prima di tutto da quello che noi vorremmo trovare intorno: differenza, diversità. Il non rientrare in pieno in un genere ci sembra inevitabile quando si è aderenti a se stessi. Trovo preoccupante pensare che sia necessario etichettare qualcosa per riconoscere che esista. Certo è che c'è un sacco di musica in giro ed il web è un territorio caotico dove si combatte con le armi dell'autopromozione e dell'autoaffermazione. È già perso in questo mare. È un prodotto come tantissimi altri che fanno fatica ad essere diffusi».
Toglietemi una curiosità, perché vi chiamate Edgar?
«Non c'è un senso preciso o un riferimento a qualcosa. La storia precedente a Edgar era Edgar Cafè. Abbiamo tolto il caffè: ce l'ha detto il cardiologo».
Titolo: Anche se non sembra
Gruppo: Edgar
Etichetta: OrangeHome Records
Data di pubblicazione: 2015
Tracce
(testi e musiche di Stefano Bolchi, eccetto dove diversamente indicato)
01. Vivo [Antonio Melvavi, Stefano Bolchi]
02. L'astronave
03. Sembra semplice [Antonio Melvavi, Stefano Bolchi]
04. Gli asini
05. D'istinti saluti [Stefano Bolchi, Federico Fantuz]
06. Lettera [Antonio Melvavi, Stefano Bolchi]
07. (esse barrato) [Antonio Melvavi, Stefano Bolchi]
08. Luogo comune
09. Tappetino part-time [Antonio Melvavi, Stefano Bolchi]
10. La penultima pagina
11 Già
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