Si chiama Sergio Arturo Calonego e il suo "Marinere" è un disco per viaggiare, magari in perfetta solitudine lungo la strada fotografata in copertina. Pubblicato dal musicista milanese dopo l'esperienza con gli Arturo Fiesta Circo, l'album d'esordio accompagna l'ascoltatore in un percorso sonoro verso un orizzonte lontano in cui le note della chitarra sono gli unici punti di riferimento del paesaggio. Canzoni in cui compaiono solo raramente la voce dello stesso Calonego e di Sara Maria Giolfo, quasi esclusivamente a colorare melodie e arpeggi chitarristici. Il resto sono note di chitarra, suonata da Calonego in maniera sopraffina utilizzando tecniche percussive miste, basslines e tapping.
"Marinere" non è un disco da sentire distrattamente ma da ascoltare con attenzione per cogliere l'essenza espressiva e interpretativa di questo artista che non è passato inosservato alla critica (Premio Targa Siae 2014) e agli addetti ai lavori. Tanto che in questi giorni è stato coinvolto nel progetto "Happy birthday Grace", disco che celebra il ventennale della pubblicazione di "Grace", il disco capolavoro di Jeff Buckley. L'album tributo, registrato, mixato e masterizzato da Roberto Rizzi e Daniele Cetrangolo
al QB Music Studio di Milano, è scaricabile gratuitamente da questo link http://goo.gl/N1FtI9
Abbiamo intervistato Sergio Arturo Calonego durante la registrazione della buckleyana "Lilac wine", un blues in cui la chitarra e la profonda voce folk del musicista milanese trovano massima espressività.
Sergio Arturo Calonego. Chitarrista o cantautore?
«Non credo siano cose tanto diverse. Personalmente quando scrivo, sia brani con testo che strumentali, cerco comunque di tradurre una storia o un'immagine. Non subisco più di tanto il fascino delle definizioni in sé. Personalmente mi trovo molto a mio agio nella definizione simpatica, spero nelle intenzioni, che mi è stata data di "acoustic sailor" (navigatore acustico, ndr) nella quale mi ritrovo molto perché credo definisca bene il mio approccio alla chitarra acustica».
La tua carriera è iniziata però con gli Arturo Fiesta Circo...
«In realtà ho iniziato molto prima, alla fine degli anni '80, sul finire della "Milano da bere". Ho suonato per molto tempo blues. Lo dico con un pizzico di orgoglio: sono uno di quelli che può dire di aver avuto il privilegio di aver suonato al Capolinea di Milano. Ho avuto la fortuna e l'onore di conoscere musicisti splendidi da cui ho imparato molto. Arturo Fiesta Circo è stata una cavalcata bellissima, di cui sono orgoglioso ancora oggi, iniziata nel 2007. Con il "Circo" ho approfondito il linguaggio dei cantautori. L'Arturo Fiesta Circo è stata un'esperienza preziosa che ha arricchito molto il mio bagaglio personale e quello di tutti i musicisti che hanno partecipato a questa avventura musicale che ci ha portato a suonare per tutta l'Italia».
Con l'album "Marinere", il primo a tuo nome, hai convinto la critica. La chiamata del Club Tenco e la Targa Siae cosa hanno cambiato nella tua carriera artistica?
«Con "Marinere" effettivamente è successo qualcosa che non ho capito bene neppure io. Ho registrato questo disco veramente a titolo personale e con una dichiarata intenzione d'archivio. E poi è successo che ho vinto una Targa Siae 2014, che mi è stata consegnata da Mogol in persona, e questa cosa mi ha dato una visibilità che non avevo mai avuto prima e che sicuramente ha anche sdoganato alcune occasioni e soprattutto alcuni giudizi molto lusinghieri nei miei confronti. Con il Club Tenco il discorso è un po' diverso perché sono persona conosciuta da tempo, ben prima della Targa Siae. Quello che mi ha sorpreso in Club Tenco non è stato l'invito ma l'accoglienza ricevuta; mi sono esibito da solo con questo formato che si posiziona fra quello del cantautore e quello del chitarrista acustico fingerstyle eppure l'accoglienza del pubblico del Tenco è stata davvero bella e mi ha sorpreso. Sono davvero riconoscente ad Antonio Silva ed Enrico de Angelis per avermi dato questa bellissima opportunità».
Sono arrivati anche i complimenti di Davide Van De Sfroos. Cosa ricordi e cosa ti ha lasciato a livello emotivo tutta questa notorietà?
«A livello umano mi è rimasto tanto. Davide Van De Sfroos è un musicista molto colto e, soprattutto, uomo cordiale ed elegante. La sua presentazione del mio set acustico a Monza in una Piazza Trento gremita di gente mi ha lusingato non poco e ti assicuro che non era assolutamente preparata né scontata. Detto questo però io devo dirti che vivo una condizione un po' diversa da quella dei musicisti pop. Vivo profondamente ed intimamente la necessità di migliorarmi come musicista e di approfondire ed espandere le potenzialità della "chitarra acustica contemporanea" - cito l’amico chitarrista Davide Sgorlon -; sento il dovere di scrivere musica di qualità e di pretendere da me stesso il massimo a livello di composizione ma del resto non mi cruccio più di tanto. Sono tutto tranne che un presenzialista, non credo di essere un personaggio molto mediatico e sono cordialmente disinteressato a cose tipo la notorietà fine a se stessa. Non fosse così avrei fatto scelte diverse e sono perfettamente consapevole che "Marinere" non è esattamente un disco per tutti».
Davide Van De Sfroos ha detto che il tuo modo di suonare la chitarra è come avere un laser e allo stesso tempo una fiamma ossidrica. Spiegaci questa tua tecnica.
«Davide è un cantautore che scrive testi di rara profondità per i giorni d'oggi ma è pure un chitarrista ritmico assolutamente credibile e convincente. Non è un virtuoso ma Davide la chitarra la suona bene. Detto questo il primo a essere sorpreso della presentazione che mi ha fatto sono stato io perché con Davide ci ho passato il pomeriggio ma non avevamo davvero preparato nulla. Per cui sentirgli citare nomi quali Michael Hedges o Tuck Andress mi ha lusingato e sorpreso allo stesso tempo perché in realtà abbiamo parlato più dei nostri figli che di chitarre. Credo volesse dire che sono preciso ed ho una buona tecnica di base. Innanzitutto io non utilizzo effettistica, loop o raddoppiatori di note per cui tutto quello che senti è veramente una chitarra acustica con l'aggiunta di un po' di riverbero. Chi si accorge subito di queste cose, solitamente, sono i fonici al check sound. Restando sulla tecnica della chitarra sgombero subito qualsiasi dubbio: tutti i chitarristi che sperimentano la percussività sulla chitarra acustica sono debitori con gente come Michael Hedges, Preston Reed, Don Rossed, io non faccio eccezione. Devo però riconoscere che il mio riferimento, chitarristicamente parlando, è Pierre Bensusan, un compositore e chitarrista franco-algerino a cui devo tanto in termini di ispirazione e consapevolezza. Paradossalmente la mia scelta di accordare la chitarra in DADGAD nasce lontano dai dischi di Bensusan, che è indiscutibilmente il maestro di questa accordatura, e più precisamente nella bottega di Paolo Zanni, mio amico e liutaio di fiducia. È lui in realtà che mi ha introdotto alla chitarra acustica e che mi ha fatto conoscere la musica di maestri quali John Renbourn. Per il resto devo dirti che, al di là della tecnica individuale, quello che conta nella musica sono le immagini o le storie che si ha intenzione di evocare. Viceversa un concerto di chitarra acustica, come qualsiasi tipo di concerto, rischia di risultare sterile e noioso».
Il tuo disco, "Marinere", ha avuto una genesi molto particolare. Ce la vuoi raccontare?
«"Marinere" in realtà doveva essere una demo "di classe". La verità è che è diventato un disco strada facendo. L'ho registrato in tre giorni con l'aiuto di Dario Ravelli (SuonoVivo / Bergamo) che è stato fonico e costruttore del suono dei concerti italiani di musicisti fantastici quali Gianluigi Trovesi, Jack DeJohnette, Robben Ford, Enrico Rava, Stefano Bollani, Jim Hall, Archie Shepp, Dave Holland e Pierre Bensusan. Abbiamo registrato la chitarra in una sala molto ampia, tutta in legno, adatta alla registrazione delle orchestre, per questo motivo il suono è così caldo e profondo. Insomma, alla fine il suono era bellissimo, l'esecuzione pulita e l'intenzione narrativa convincente: era un disco. A quel punto ho dovuto rincorrere le cose e fare, ex post, tutto quello che solitamente si deve fare per un disco: copertine, ufficio stampa, comunicati, fotografie, presentazioni... E da allora non mi sono ancora fermato. Colgo l'occasione per ricordare che "Marinere" è disponibile in versione digitale su tutte le principali piattaforme web mentre chi, romanticamente, desiderasse il supporto fisico potrà acquistarlo direttamente dal mio sito: www.calonego.it».
A chi sono dedicate queste canzoni?
«Le canzoni a nessuno. Il disco sì. "Marinere" è dedicato alle donne che "hanno saputo, sanno e sapranno aspettare". Il termine "Marinere" in realtà non esiste, è un'invenzione letteraria. Vuole essere un richiamo alle donne di mare, donne antiche, pazienti ma mai stupide. Donne che sanno essere forti, pazienti ma determinate. Donne che sanno cosa vogliono essere e che vogliono solo essere quel che sono. Donne mitiche, invincibili e dolci allo stesso tempo. Queste sono le immagini evocate in questo disco».
"Non ti crucciar" è forse il brano che più si differenzia dal resto del disco...
«"Non ti crucciar" è stato come inciampare la domenica mattina in una colazione che per le strade è già primavera. Una colazione all'aperto che ben ti dispone al sorriso. In realtà quando sei uscito di casa pensavi si trattasse di un giorno qualunque. Ma ti accorgi che non è così. È un giorno speciale e dicidi di viverlo così, senza farti troppe domande. Spiegar canzoni non è mai stato il mio forte».
Un disco intimo, per certi versi non immediato ma talmente ricco di suggestioni e spunti che invita a protrarre l'ascolto nel tempo. Ti aspettavi di raggiungere questo risultato?
«Rischiando di essere considerato un po' presuntuoso la risposta è sì. Perché questa intenzione è stata fortemente immaginata, perseguita e, mi permetto, cercata nel posto giusto che è il suono; perché al di là di quelli che possono essere i gusti personali, che non discuto, una chitarra acustica suona così oggi, suonerà così domani e suonava così anche ieri. Ho fortemente corteggiato questi colori perché desideravo un disco che non sfiorisse nel tempo. "Marinere" è così lontano dalle mode e dalla modernità che fra cinquant'anni suonerà nello stesso modo, e questo era esattamente quello che volevo che fosse».
Ci sono aspetti che ora vorresti cambiare nel tuo album?
«No!».
Artisticamente il tuo viaggio come proseguirà?
«Mi piace che mi parli di viaggio e non di progetti. Credo di più ai viaggi che ai progetti. Mi piace e ti ringrazio per la domanda perché mi permette di chiarire un paio di cose che mi stanno davvero a cuore. Prima di tutto mi piace risponderti che mi sento di dover proseguire con lo studio e l'approfondimento del mio strumento, la chitarra acustica. Intuisco un ampliamento della sua capacità espressiva in questo formato "one man orchestra" che ormai mi è stato cucito addosso. Artisticamente parlando il mio viaggio va in questa direzione. Dal punto di vista "rituale" invece devo dirti che mi sento lontano dalle liturgie consolidate dell'ambiente musicale mainstream, pop, indie. La visibilità che ho avuto in questi mesi mi ha molto gratificato e mi ha sicuramente aiutato a sdoganare alcune situazioni, questo non lo nego, ma non mi ci sono affezionato. Prevedo quindi mesi piuttosto silenziosi e di ricerca. Devo ammettere che con tre bimbi piccoli la sonorità che ci culla quotidianamente in casa rimanda più a un mercato di Marrakech che ai silenzi di una notte Himalayana ma io ho una grande capacità di astrazione e, soprattutto, dimestichezza con radici e luoghi dell'anima che sono sospesi fra la Val Cavallina e la Val Camonica. La maggior parte del mio materiale nasce lì. Sento il richiamo di queste valli e del loro silenzio autentico. Queste sono le coordinate, il viaggio poi si vedrà. Ho imparato a viaggiare senza troppe aspettative o programmi; quindi qualche concerto laddove richiesto e poi tanto studio».
Raccontaci qualcosa di "Baby", la tua chitarra acustica…
«"Baby"… Los Angeles è una città strana. Non si può dire che sia una bella città, eppure ha una luce tutta sua. Ricordo perfettamente questo cielo azzurro che sorride strano. "Baby" l'ho incontrata lì, a Los Angeles un po' per caso ed è stato amore a prima vista, come con quella città. Si tratta di una Martin HD28 una chitarra tradizionalmente votata al bluegrass ma io mi ci trovo bene anche se suono un altro tipo di musica. Ci sono chitarre molto più adatte al fingerstyle, lo riconosco, eppure nel tempo i suoi difetti sono diventati dei pregi. Ho imparato a dosare la sua voce potente e a utilizzare la potenza quando serve; ho imparato a usare bene la mano destra che è determinante nella gestione delle frequenze perché le nostre dita sono il miglior equalizzatore disponibile sul mercato. Le dreadnought sono considerate chitarre abbastanza scomode da suonare, e un fondo di verità in questa fama c'è, ma io ho trovato questa postura a metà fra il chitarrista flamenco ed il messicano che fa la siesta che forse è un po' irrituale ma alla fine risulta molto efficace perché mi permette di avere a portata di mano tutto lo strumento. Questo aspetto è molto importante se, come nel mio caso, utilizzi la chitarra acustica anche in funzione percussiva. E poi "Baby" ha un sorriso bellissimo. È una donna matura, gentile ma determinata. Sa benissimo quello che vuole e soprattutto quello che non è e che non vuole essere. Risultato finale è che quando la accarezzi lei sussurra ma se le chiedi di più, te lo sa dare».
Titolo: Marinere
Artista: Sergio Arturo Calonego
Etichetta: Via Audio Records
Anno di pubblicazione: 2013
Tracce
(Testi e musiche di Sergio Arturo Calonego)
01. Solisud
02. Suite R.
03. Marinere
04. Selina
05. Non ti crucciar
06. Saint Malo
07. Sotto la pioggia
08. Donegal
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