La cultura e la memoria della Sicilia risuonano forti in "Iettavuci", primo disco della cantautrice Francesca Incudine. La ventisettenne artista, originaria di Enna, manifesta in queste tredici canzoni, prodotte sotto la direzione artistica del fratello Mario Incudine, tutta l'urgenza di far sentire al mondo la propria voce. Brani che raccontano e descrivono con straordinaria freschezza e intensità il complesso mondo femminile segnato da delusioni, amori presenti e passati, sentimenti e scelte di vita. Quasi fosse un personalissimo diario scritto da Francesca utilizzando il dialetto siciliano, a conferma del marcato spirito di appartenenza alla terra e alla cultura della sua regione. Una scelta che esalta la musicalità delle parole e i colori dell'isola in un contesto musicale nuovo che trova però nella tradizione i caratteri fondanti. Gli arrangiamenti raffinati ed eleganti hanno la riconoscibile impronta della mano di Mario Incudine che ha potuto contare sulla collaborazione di Antonio Vasta (fisarmonica, organetto e pianoforte) e di Carmelo Colajanni (flauto, clarinetto e zampogna). Al disco partecipano anche Rita Botto (voce), Angelo Loia (chitarra e voce), Giorgio Rizzo (percussioni), Salvo Compagno (percussioni), Manfredi
Tumminello (chitarra), Pino Ricosta (basso e contrabbasso), Placido Salamone (chitarra), il Dammen
Quartet (Alexandra Butnaru, Elisabetta Ligresti, Maria Antonietta Pappalardo e Joanna Pawlik) diretto da Antonio Putzu e lo stesso Mario Incudine (cori, mandola, mandolino, chitarra battente, chitarra classica, armonica a bocca) in cinque canzoni.
Un disco che ha conquistato la critica e che ha ottenuto quattro riconoscimenti al Premio Parodi 2013, ha permesso a Francesca Incudine di vincere recentemente il concorso nazionale "L'artista che non c'era" ed è entrato nella top ten dei migliori dischi del 2013 scelti dalla giuria del prestigioso Premio nazionale Città di Loano per la musica tradizionale italiana.
In questa intervista abbiamo approfondito la conoscenza di Francesca e della sua musica.
Una ragazza giovane e bella che "grida ad alta voce"! Perché tutta questa urgenza espressiva dichiarata dal titolo?
«L'urgenza espressiva è una necessità dell'anima. "Iettavuci" letteralmente non si può tradurre, e si fa carico di questa impellenza nel farsi sentire, nel dire a voce alta a se stessi e al mondo ciò che si pensa; spesso non riusciamo a dire la nostra, o rinunciamo a farlo, perché prima non lo abbiamo detto a noi stessi. Quindi è un grido di verità, uno sfogo personale, ma anche una volontà forte di dire quello che non va, di denunciare, di essere voce per chi voce non ne ha. La musica mi è sempre stata alleata in questo, mi ha sempre sostenuta e mi ha dato la forza dell'espressione, e d'altronde penso che a questo serva. Per cui la musica al mio "servizio" e io al servizio della musica per dire a tutti "chista è la vuci mia", eccomi, eccomi al mondo».
Qual è il messaggio che vuoi che tutti capiscano?
«Il messaggio che canto vuole toccare la profondità di ognuno, vuole tentare di risvegliare la testa e il cuore, la coscienza, la propria capacità di stare al mondo e di dire ciò che si pensa senza paura, ma con forza e determinazione (non con la violenza), rimanendo fedeli a se stessi, ma nello stesso tempo aprendosi al confronto per riceverne arricchimento. Vorrei fosse un messaggio, il mio, non da comprendere, ma da "sentire" e vivere nella propria vita come meglio si crede, come meglio si può».
Per farlo hai usato il siciliano. Non pensi che possa essere un limite nella comprensione dei testi?
«Il fatto che qualcosa si possa "sentire" (e quindi poi comprendere, sicuramente) prescinde dalla lingua che si usa. Per me il siciliano è sicuramente lo strumento linguistico più affine a quello che ho da dire, in questo momento, ma è al pari di qualsiasi altra lingua. Facendo esperienza all'estero, ho avuto modo di constatare come di fatto, il siciliano, e ripeto qualsiasi altra lingua, se si fa veicolo di un "sentire vero", non costituisca limite alcuno. Certo, è chiaro che a volte mi trovo in contesti in cui non vengo compresa, ma perché non fare uno sforzo e fare appello anche alla propria curiosità e voglia di imparare? Io, per prima, adoro cantare e imparare una nuova lingua. E spesso, mi chiedo anche... quanta musica "altra" circuita nelle nostre radio che accogliamo anche senza capirla. La domanda diventa quindi (secondo me), quanta voglia abbiamo di misurarci con quello che non conosciamo? È solo quello il limite».
Con straordinaria intensità riesci a descrivere il complesso universo femminile. Quali sono state le esperienze che ti hanno fatto raggiungere questa maturità compositiva?
«Ti ringrazio di avermi attribuito questa maturità compositiva, ma sono felice di potere dire che sono ancora in crescita. Tanto vasto è l'universo femminile, e tradurlo in musica è stato il mio primo passo per tentare di comprenderlo, per tentare di comprendermi in un periodo di grandi cambiamenti, di grandi travolgimenti, di amori perduti, di amori ritrovati, di pensieri impauriti. Alcuni brani sono storie e sentimenti comuni, in cui ogni giovane donna, anche solo per un momento, si è ritrovata; altri sono sguardi delicati, sognanti, sospesi; altri ancora, come "Mi mettu o suli" sulla violenza sulle donne, sono reali, moniti per riconquistarsi e tornare a vivere».
L'attaccamento alla tua terra traspare evidente dai testi delle tue canzoni ma saresti disposta a trasferirti al nord per fare carriera?
«Proprio in questi giorni ho tanto pensato alle tante battaglie quotidiane che affronto nella mia terra; quanto è difficile amarla e sentirsi morire quando il pensiero di lasciarla ti sfiora, quando la stanchezza e la paura di non farcela prendono il sopravvento. Ma se andiamo via tutti, chi resta a curare le ferite che noi stessi siciliani le infliggiamo? Cantare è un modo di resistere, di amarla, anche se non sempre basta. Sì, sono molto attaccata alla mia terra e voglio provarci a farmi sentire da qui. Per me non esiste il nord e il sud, esiste solo la voglia di fare a qualsiasi latitudine».
Il disco è prodotto da tuo fratello Mario, di sei anni più grande di te. Che rapporto hai con lui e quanto ha inciso nella realizzazione di questo disco?
«Sono onorata di avere avuto accanto Mario in questo mio primo lavoro; come fa ogni fratello più grande, mi ha preso per mano e mi ha guidata, lasciandomi cadere, lasciandomi sbagliare, lasciandomi essere me stessa. È un fratello fantastico, e un artista eccellente, la mia stella polare, una fucina di idee, inesauribile, per cui collaborare con lui è una ricchezza, ma la cosa più bella è che ognuno lascia libero l'altro di scegliere cosa essere e cosa fare, perché i punti di vista sulle cose sono diverse, e questa è una grande risorsa per entrambi».
Ci racconti come è nata la cantautrice Francesca Incudine?
«La cantautrice Francesca Incudine è nata una notte di qualche anno fa, in preda a una disperata esigenza di scrivere e di affidare a un foglio le parole più nascoste e rimaste in gola; poi le parole hanno chiamato la musica e da quel momento il flusso è stato inarrestabile. Penso che succeda così per chi comincia a sentire di avere delle cose da dire. Ho iniziato a suonare e a cantare molto piccola, ma non avevo mai cantato qualcosa di mio, mi ero rifugiata nelle parole degli altri, fino a quando ho sentito di dovere mettere in musica me stessa, per cui ho iniziato a cantare di me, e poi della mia terra, e poi delle storie degli altri, di quelle che vado cercando ogni giorno negli occhi che incontro».
Un disco e hai già conquistato la critica. Dopo i riconoscimenti ottenuti al Premio Parodi 2013 è arrivato anche il successo nel concorso "L'artista che non c'era" e sei entrata nella top ten del Premio Città di Loano per la musica tradizionale italiana. Quale sarà il prossimo passo?
«È stato un anno intenso, di tanti riconoscimenti e gratificazioni, che mi hanno fatto sentire di essere sulla strada giusta. Le speranze e i passi da compiere sono molteplici e le persone da raggiungere ancora di più. Un occhio al presente e uno al futuro, con un secondo disco da realizzare e tanti palchi ancora da calcare e dai quali farmi sentire».
Nel disco ci sono anche ospiti importanti tra cui Rita Botto, recentemente protagonista a Loano con la Banda di Avola. Come è nata questa collaborazione?
«Rita Botto è sempre stata un albero di canto per me. Quando abbiamo messo le mani sul brano "Sula", nel quale duettiamo insieme, sentivamo di avere bisogno di una voce che facesse da contraltare per timbrica e per intensità alla mia giovane e delicata voce, a raccontare i due volti di una stessa medaglia, i volti di una terra che è nello stesso tempo madre, donna, "isula" solitaria in mezzo al mare, in attesa che qualcosa di buono accada. E Rita era la voce giusta, è stata disponibile, gentile, splendida e per me è stato un sogno sentire la mia voce accanto la sua».
Nel disco rendi omaggio anche a Bianca d'Aponte cantando e adattando "Ninna nanna in re". Cosa ti ha colpito di questo brano?
«"Ninna nanna in re" mi è entrata nel cuore e non è andata più via. La dolcezza di questo brano mi ha rapita; cantarla rende viva la memoria di Bianca, tutti i suoi sogni. Me ne sono innamorata subito dopo averla ascoltata e ne ho tradotto una parte in siciliano. È la canzone delle possibilità, delle strade che non abbiamo mai percorso, delle chiavi che non abbiamo mai trovato per aprire le porte che avremmo voluto aprire, delle paure che si sciolgono nel canto. E la cosa più bella è stato leggere tutto questo negli occhi commossi di Gaetano, il padre di Bianca. La cosa più bella è leggere l'emozione negli occhi di chi ascolta questo brano».
Quale canzone ti rappresenta maggiormente?
«È sempre difficile rispondere a domande di questo tipo, perché sarebbe come scegliere tra dei figli. Sono legata a tutti i brani per un motivo o per un altro, ma se dovessi dire quale brano mi rappresenta maggiormente in questo preciso momento, sceglierei "Iettavuci", perché li racchiude tutti».
Siciliana di Enna, eppure in quattro episodi del disco è presente il mare. Cosa rappresenta per te?
«Sono siciliana. Il mare è dentro di me, nei miei pensieri, è l'infinità possibilità, lo spazio aperto, la profondità, perfetta metafora di uno stato d'animo».
Dopo l'ultimo brano, "Nta sta notti", il disco si chiude con un cantato "fantasma". Ci spieghi il significato?
«Ho sempre desiderato che il mio disco contenesse la "traccia fantasma"; questa, in particolare, è cantata da una mia zia; lei riporta un canto che uno spasimante di mia nonna le cantava alla finestra. Un piccolo ricordo che ho voluto inserire "picchì cu canta nun mori mai"».
Titolo: Iettavuci
Artista: Francesca Incudine
Etichetta: Finisterre
Anno di pubblicazione: 2013
Tracce
(testi e musiche di Francesca Incudine, eccetto dove diversamente indicato)
01. Curri
02. Disiu d'amuri [testo F. e M. Incudine, musica Mario Incudine, Antonio Vasta, Roberta Gulisano]
03. Iettavuci
04. Ninna nanna in re [Bianca d'Aponte, rielaborazione in siciliano Francesca Incudine]
05. Intermezzo [Mario Incudine]
06. Caminu sula
07. Mi mettu o suli [Mario Incudine]
08. Posidonia [testo Mario Incudine, musica Mario Incudine e Antonio Vasta]
09. Intermezzo II [Mario Incudine]
10. Luna [testo Francesca Incudine e Roberta Gulisano, musica Francesca Incudine]
11. Sula [testo Francesca e Mario Incudine, musica Francesca Incudine e Mario Di Dio]
12. Cori stunatu [testo Francesca Incudine, musica Mario Incudine]
13. Nta sta notti [testo Francesca Incudine, musica Francesca e Mario Incudine]
Come già detto in una breve nota al 'Ballo di San Vito' che si trova da qualche parte in italianlessonsmalta.wordpress.com, la musica meridionale e insulare italiana non sembra all'origine pensata nei termini di un'espressione artistica, ma di un'armonia, o anche disarmonia, intesa quale pratica terapeutica. Con la musica infatti, come si diceva in siciliano, 'si livava u scantu', ovvero si eliminava quello stato a metà tra possessione e annichilimento dell'anima, risvegliando quella forze vitali che permettono a uomini e donne di affrontare con serenità la propria quotidianità.
RispondiEliminaCome si vede, tanto la tarantella quanto la pizzica e la taranta non dovevano essere un tempo cose molto dissimili da una pratica sciamanica e, ovviamente, come tutte le pratiche di questo tipo non offrivano certo alcuna certificazione scientifica, ma supponevano anche una certa dose di rischio.
Il brano cantato da Francesca e Mario Incudine può certamente essere letto e inteso anche in questo senso, difatti si chiude con un intento dichiaratamente curativo:
omenzu di lu mari scinni
cori lu cori omenzu a l'unni
l'acqua di nfunnu si fa ogghiu
si codda l'umra d'ogni sbagghiu.
'Il cuore scende tra le onde del mare e dopo che l'acqua del fondo si è tramutata in olio inghiotte le ombre di ogni sbaglio'. Sono proprio queste ombre - spettri, demoni, psicosi, paranoie, ossessioni, 'scantu'... - che il brano intende curare...
Certo, 'Iettavuci' non è solo questo. Fin dall'inizio, il brano attira l'ascoltatore verso una dimensione estatica dove tutto si dissolve e viene descritto in una più elementare consistenza: Venti di ventu semu fatti... sciuscia cchiu forti e abbruscia l'occhi... Vento di vento siamo fatti, soffia più forte e brucia gli occhi.
In realtà, quello che inizialmente il brano sembra descrivere è uno stato edenico e privo di turbamenti, ma man mano che segue vediamo come nel rincorrersi della voce maschile e femminile emerga un certo tormento: se inizialmente 'Cadi lu cielu e nunnu si scanta' e ancora 'mori cu mori ca poi si ci pensa', verso la fine le cose cambiano e sentiamo cantare anche 'mi sentu sula comu 'na vecchia'. Ecco individuata la radice de 'lu scantu' che la canzone intende curare: l'annichilimento portato dalla solitudine e le incertezze che esso reca.
C'è un ultimo elemento che voglio fare notare e che riguarda la presenza dei volatili in una delle strofe centrali. Volatili reali, mitologici e spirituali: calandrella, usignolo, sirena e Serafini. I primi due rimandano all'amore naturale, quasi campestre potremmo dire, per il creato. Questo amore si eleva poi a quello rappresentato dalle Sirene, le donne-uccello che volevano attirare Ulisse verso l'assoluta conoscenza o, forse, verso il mondo dei morti, e poi ancora quello più rarefatto ed elevato delle gerarchie angeliche, rappresentato nel brano dai Serafini.
Su linguaggio dei volatili ...i famosi auspici, da 'avis', uccello, e 'specio', guardo, osservo... dal Medioevo in poi si è detto, scritto e cantato molto. E anche le leggende tramandano molto in questo senso, compresa quella relativa a San Francesco. I volatili sarebbero, secondo questa suggestione, in grado di riferire messaggi angelici. Certo, si tratta di un linguaggio sfuggente di cui mai verrà scritto un dizionario... ma è interessante rinvenirne le tracce. E lo si può fare in diversi modi, anche ascoltando il meraviglioso Cant dels Ocells, brano catalano, magari nell'altrettanto meravigliosa versione della compianta Montserrat Figueras e Jordi Savall.
Si tratta ovviamente di una ricerca che porta lontano e che qui ci sembrava solo il caso di accennare.