"Songs about Lou" è il quarto capitolo discografico de Les Trois Tetons, gruppo savonese che da più di vent'anni porta in scena il verbo del rock'n'roll fatto di grinta, sudore e fisicità. A tre anni da "Dangereyes", la band capitanata dal cantante Roberto "Zac" Giacchello è tornata a far parlare di sé con un album che conferma l'ormai matura capacità di viaggiare nei territori del rock, dai Clash agli Stones, del blues del Delta e di certa psichedelia.
Indossate le camicie e lasciate sui palchi di mezza Italia l'energia, la carica emotiva e una buona dose di follia, il gruppo si è chiuso negli studi del Punto d'Incontro Italo Calvino a Loano, sotto la direzione di Alessandro Mazzitelli, per registrare questo nuovo progetto discografico. Un lavoro di équipe, e lo si capisce anche leggendo i crediti - sei brani sono scritti da Alberto Bella, quattro da Giorgio "Barbon" Somà, altrettanti da Roberto "Zac" Giacchello e uno a quattro mani da Giacchello e Bella -, che aggiunge qualche elemento importante alle esperienze precedenti. Una crescita artistica che ha portato il gruppo a sperimentare e a creare una sorta di concept album, diviso in due atti e una ouverture, che racconta le gioie e i dolori del personaggio Mister Lou. A impreziosire il disco vi è la partecipazione del funambolico violinista Fabio Biale che mette a disposizione il suo strumento in tre brani.
Con Zac abbiamo parlato della genesi del disco e dell'enigmatico personaggio Mister Lou.
Quando abbiamo fatto la nostra ultima chiacchierata, ormai un anno e mezzo fa, avevate 4-5 canzoni e una serie di abbozzi. Adesso eccoci qui a parlare di "Songs about Lou"...
«È andato tutto abbastanza velocemente. Le registrazioni sono iniziate a novembre e si sono concluse a gennaio. Non ci sono stati intoppi e tutto è filato liscio ed eccoci con "Songs about Lou" che è uscito all'inizio di aprile».
Iniziamo dal titolo e dalla dedica a Lou Reed…
«C'era già l'idea di intitolare il disco Lou o qualcosa di simile, poi nel corso delle registrazioni è morto Lou Reed ed è venuto spontaneo dedicargli il nostro disco. Lou Reed è sempre stato fondamentale per la nostra musica, prima con i Velvet e poi da solo ha inciso molto sul nostro stile».
La traccia numero due del disco è appunto intitolata "Mister Lou"...
«È una canzone abbastanza lunga e articolata scritta da Burbon con una vena un po' autobiografica. Vi ha messo la sua visione del mondo, come pensa che le persone lo vedano. Una visione molto personale anche se un po' romanzata naturalmente. "Mister Lou" è stata una delle prime canzoni del nuovo album».
Mister Lou è anche il personaggio che ritroviamo in tutte le canzoni del disco...
«Quando abbiamo iniziato a scrivere queste canzoni non erano necessariamente collegate tra loro. Con "Mister Lou" è venuta l'idea di creare questo personaggio che poteva vivere delle avventure o disavventure nel corso di una storia. Quindi abbiamo provato a collegare le varie canzoni ed è per questo che nel disco ci sono anche brani brevissimi che non avrebbero senso estrapolati dal contesto».
Avete diviso il disco in due atti, quasi a voler richiamare la separazione in due facciate dei vecchi ma mai tramontati LP.
«Inizialmente c'era anche l'idea di pubblicare una versione in vinile ma per il momento l'abbiamo accantonata per questione di costi. La scelta di dividere l'album in due atti è dovuta anche al fatto che la storia si divide in due parti: nella prima viene presentato il personaggio, Mister Lou, con tutti i suoi problemi, i suoi travagli e il momento in cui decide di lasciare tutto e partire; la seconda parte descrive le avventure di questo personaggio».
C'è quindi volutamente anche una differenza di umore tra le canzoni del primo atto e quelle del secondo?
«In parte può essere vero visto che la prima parte racconta il disagio dell'esistenza che può essere in tutti noi. Il personaggio del disco vive questa situazione fino al punto di rottura e c'è appunto una canzone in cui dice 'basta, devo preparare tutto e andare via'».
C'è un lieto fine?
«Il finale è aperto a varie soluzioni, non c'è necessariamente una conclusione certa. L'ultima canzone descrive il ricordo di un amore che può dar vita al rimpianto oppure alla decisione di tornare indietro, non si sa. A me piace che sia l'ascoltatore a scegliere il finale preferito. È più bello non credi?».
Quale esperienza ha condizionato la lavorazione del disco?
«Non c'è stato un evento particolare ma una serie di situazioni che ci hanno portato a decidere di fare un disco diverso dai precedenti. Alberto ha avuto l'idea di pubblicare un concept album e per tutti noi è stata una situazione nuova. Penso che l'operazione sia pienamente riuscita».
Trovo che musicalmente sia più compatto e omogeneo rispetto al vostro precedente disco...
«Ci tenevo molto a fare un disco che fosse incentrato sul suono di due chitarre elettriche, un basso e una batteria. Credo che l'omogeneità e la compattezza del suono siano date dal fatto che tutti i pezzi sono suonati con la stessa strumentazione. C'è qualche intervento di violino ma non c'è una chitarra acustica e anche le seconde voci le abbiamo ridotte al minimo indispensabile. Ho voluto che fosse un disco abbastanza grezzo e diretto. Anche in occasione delle esibizioni dal vivo questa scelta ha i suoi vantaggi non essendo costretti a cambiare strumenti quando si passa da una canzone all'altra».
Non credi che usando sempre la stessa strumentazione possa esserci il rischio che i brani suoni un po' troppo simili tra loro?
«Devo dire che forse è più facile fare canzoni un po' tutte uguali e poi diversificarle con l'arrangiamento e la strumentazione. Invece noi partendo dalla voglia di mantenere costante gli strumenti utilizzati abbiamo dovuto cercare di variare molto dal punto di vista musicale. Le canzoni del disco sono molto varie come struttura, un po' diverse da quelle che abbiamo suonato in precedenza. È un disco molto live, le parti di basso, chitarra e batteria sono state registrate in presa diretta. Abbiamo sovrainciso solo la voce, qualche assolo, il violino e le armoniche».
Rock'n'roll è e rimane ma questa volta c'è questo filo conduttore che lega le canzoni. "Songs about Lou" è il vostro primo concept album…
«Il concept è un format molto utilizzato dal progressive però anche il rock'n'roll ha partorito dischi che ruotano attorno a un unico tema o sviluppano una storia, penso allo "Ziggy Stardust" di David Bowie o lo stesso "New York" di Lou Reed. Decidere di provare a realizzare un concept è stato un ulteriore stimolo per dare un corso diverso a un album che altrimenti avrebbe finito per essere un raccoglitore di canzoni scritte in un determinato periodo e scelte perché suonano bene insieme».
Quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato nella realizzazione del disco?
«Sicuramente nel cercare di legare le varie canzoni in modo che fluissero e che le atmosfere fossero simili. Siamo stati obbligati a pensare non solo alla canzone del momento ma anche a quella che precedeva e a quella che veniva dopo. Più complicato sicuramente».
Altro aspetto interessante è rappresentato dall'overture che apre il disco...
«Mentre registravamo mi è venuto in mente che c'era un disco bellissimo dei Blood, Sweat & Tears intitolato "Child is father to the man", suonato molto bene, intenso, articolato che spazia dal jazz alla bossa nova, con arrangiamenti dei fiati pazzeschi. In quel disco c'è proprio l'overture in cui vengono esposti i temi delle varie canzoni e noi abbiamo provato a fare una cosa simile anche se non ci siamo completamente riusciti perché di temi ne abbiamo messi solo tre e non dodici come invece avremmo dovuto. Però mi sembra che renda bene come inizio, è una bella botta e anche dal vivo è interessante iniziare con uno strumentale. Non lo avevamo mai fatto».
In tre canzoni del disco suona anche il violinista Fabio Biale. Come è nata questa collaborazione?
«Sono quei casi fortunati della vita. Non vedevo Fabio da molto tempo e sono andato a trovarlo nel suo negozio. Abbiamo parlato del disco e mi ha detto che gli avrebbe fatto piacere suonare un paio di pezzi con noi. Gli ho mandato dei brani da ascoltare e lui, con la sua maestria e il suo gusto, ha dato un bel contributo. È bravo sia come musicista da studio che sul palco, è una presenza che ti dà una marcia in più. Abbiamo avuto anche la fortuna di averlo con noi in occasione del concerto di presentazione del disco che si è tenuto al Raindogs a Savona. Speriamo di averlo nuovamente con noi in qualche altra occasione».
Alessandro Mazzitelli, oltre ad aver svolto egregiamente il lavoro di fonico, ha suonato il tanpura nella canzone "Wide mouth". Perché questa scelta?
«Questo pezzo si dilata un po' nella parte centrale, è una improvvisazione, una canzone più libera, un po' alla Grateful Dead per intenderci. L'abbiamo incisa tre-quattro volte e poi abbiamo scelto la seconda take, se non ricordo male. Risentendo la traccia, a Mazzitelli è venuta l'idea di aggiungere il suono di un tanpura, uno strumento indiano che devo ammettere non conoscevo, e il risultato è interessante. Contribuisce a creare una particolare atmosfera».
Torniamo alla canzone "Wide Mouth". Nelle note del disco si legge che è ispirata al racconto scritto da Luca Oddera e intitolato "Bocca larga". Ci puoi dire qualcosa in proposito?
«Oltre a essere un amico e il proprietario del Beer Room di Pontinvrea, uno dei locali più belli della zona, Luca ha la passione per l'Africa, dove ogni anno trascorre parecchi mesi. Ma per chi non lo sapesse è anche un bravo scrittore. I suoi libri sono memoriali di viaggio. Attualmente ne ha uno in cantiere che ho avuto la fortuna di leggere. È molto più romanzato, ci sono racconti a volte più concreti altre volte più onirici. Tra tutti i racconti c'è questo "Bocca larga" in cui ci sono una serie di immagini particolari che mi hanno molto colpito. Ne ho estrapolate alcune e ne ho scritto un testo in inglese. Essendo il racconto molto onirico lo abbiamo messo su un giro di basso di Alberto sul quale poi abbiamo continuato a jammare facendo improvvisazioni anche di 10-15 minuti. Alla fine gli abbiamo dato una forma canzone con due parti cantate intervallate da una parte strumentale. È stata una operazione un po' rischiosa perché non sapevamo dove saremmo andati a parare, poteva anche essere un 'polpettone' e invece ho visto che la canzone piace e dal vivo ha un impatto interessante».
Vedo che hai dato seguito all'esperimento di cantare anche in tedesco inserendo una strofa in "Asphaltnacht". Anche se devo confessarti che dopo "Berlin 1987" mi aspettavo più coraggio da parte tua...
«Un testo intero in tedesco non mi oso ancora cantarlo. Però questa è di nuovo una bella storia. A ispirarmi è stato un film del 1980, "Asphaltnacht", che in Germania è un cult. Un amico tedesco mi ha dato il dvd di questo film che penso non sia mai uscito sottotitolato. L'ho visto tre-quattro volte di seguito e mi ha entusiasmato. Ho preso spunto da queste avventure e qualche frase in tedesco ci stava bene».
Sbaglio o questo è il primo disco con Davide Incorvaia alla batteria?
«Sì, esatto. Davide è con noi da due anni e ha preso il posto di Guido che per dodici anni è stato il batterista del gruppo e aveva dato una impronta precisa al nostro suono. Davide devo dire che si è inserito benissimo e ha dato un bel contributo. Era molto motivato anche perché era il primo disco che faceva con noi. È stato bravissimo, preparato anche in fase di pre-produzione e poi si è rivelato essere un ottimo grafico, siamo stati fortunati».
Infatti, anche la copertina e la grafica del disco è opera di Davide...
«Ed è la prima volta che abbiamo una copertina disegnata e non una fotografia che ci ritrae. Anche questa è una bella novità. Il disco è pieno di belle novità».
Titolo: Songs about Lou
Gruppo: Les Trois Tetons
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2014
Tracce
01. Overture [Bella]
02. Mister Lou [Somà]
03. Hey Girl [Somà]
04. Green is the dream [Somà]
05. Midnight crisis [Bella]
06. Breaking point [Somà]
07. Weeping willow [Bella]
08. Leaving [Bella]
09. I won't be back for Christmas [Giacchello]
10. Asphaltnacht [Giacchello]
11. Wide mouth [Giacchello/Bella]
12. Throne made of bones [Giacchello]
13. After the laughter [Bella]
14. Peculiar [Bella]
15. Long fingered hands [Giacchello]
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