Il cantautore genovese Emanuele Dabbono è stato uno dei protagonisti della prima edizione di X Factor, talent show televisivo andato in onda per la prima volta su Rai2 nel 2008. Il terzo posto finale, dietro a Giusy Ferreri e ai vincitori Aram Quartet, ha fatto conoscere Dabbono al grande pubblico ma nonostante il successo ha mantenuto una non comune coerenza artistica che non gli ha fatto imboccare facili scorciatoie. Emanuele, messa da parte l'esperienza televisiva, ha percorso la strada meno agevole rifiutando una proposta discografica della Sony per la registrazione di un album di cover. Ha pubblicato invece un EP con canzoni sue per l'etichetta Edel ed è tornato in strada per percorrere migliaia di chilometri e suonare nelle piazze e nei locali di tutta Italia. A fine 2011 sulla piattaforma iTunes e poi ad aprile del 2012 in formato fisico, Dabbono, insieme al gruppo dei Terrarossa (Alessandro Guasconi al basso, Giuseppe Galgani alle chitarre e Senio Firmati alla batteria e alle percussioni), ha pubblicato il primo disco dal titolo "Trecentoventi". Un album pieno di energia, di cavalcate elettriche fuse a testi che strizzano l'occhio alla tradizione cantautorale. È passato un anno dall'uscita di "Trecentoventi" e tanti sono i progetti che il trentaseienne musicista ligure ci spiega in questa intervista, in attesa del concerto in programma sabato 9 febbraio a Pozzo Garitta ad Albissola Marina.
Chi ti conosce solo per nome ti ricorda protagonista dell'edizione 2008 di "X Factor". In questi cinque anni cosa hai fatto?
«Mi sono dedicato anima e corpo a preservare l'autenticità di quello che ho sempre fatto, cioè scrivere, e questo anche prima del botto nazionale e delle classifiche, quando non ci vivevo e facevo altri lavori per arrivare a fine mese. Mio padre lavorava in una tipografia e tornava a casa con libri perfettamente rilegati, ma dalle pagine bianche. Riempirli è stato uno dei miei primi giochi da bambino. Non ho ancora smesso di divertirmi, né di perderci il sonno, anche ora che mi guadagno da vivere con le parole, siano pure esse lette o cantate».
Cosa ti ha lasciato il mondo patinato della televisione?
«La voglia di farne poca. Quando mi iscrissi al talent, io e tutta l'Italia eravamo ignari di cosa si trattasse. Si sapeva solo che c'era in palio un contratto con la Sony. Io all'epoca avevo già 700 canzoni nei cassetti. Senza troppo snobismo radical chic che circola in giro, mi dissi che poteva essere un'occasione come un'altra per far ascoltare la mia musica. E così è stato. Anche se non ti nascondo che ci rimasi male quando scoprii che solo se arrivavi in finale potevi eseguire un tuo brano. Invece arrivai in fondo e andò oltre ogni mia più rosea aspettativa: dall'essere scelto tra 50 mila persone all'amicizia con Morgan, dai duetti con Giorgia all'interesse su scala nazionale per la mia proposta, nel giro di quattro mesi».
Se avessi la possibilità di tornare indietro rifaresti tutte le scelte?
«Non ho rimpianti perché non sono sceso a compromessi. Un esempio su tutti: all'indomani del terzo posto a questa trasmissione mi fu offerto un contratto Sony per un EP di cover. Rifiutai perché volevo cantare le mie canzoni. E questo senza nemmeno sapere se qualche altra etichetta fosse stata interessata a pubblicarmi. Passò un mese e si fece avanti la Edel con la quale ci guadagnammo il secondo posto su iTunes con sei miei brani inediti dell'EP "Ci troveranno qui", disco con il quale ho girato l'Italia per due anni di concerti che sono la vera espressione di ogni musicista. Ad oggi rimango l'unico ad averlo fatto».
È passato quasi un anno dall'uscita di "Trecentoventi" il tuo primo cd. È tempo di bilanci…
«"Trecentoventi" è il primo vero long playin'. Ha avuto una storia bellissima. L'abbiamo autoprodotto e pubblicato nel novembre del 2011. Insperatamente conquistò subito il quarto posto in classifica e fui contattato dalla Halidon che mi propose un contratto per due album, il primo dei quali fu la ristampa fisica di "Trecentoventi" nell'aprile del 2012. Avere qualcuno che investe in quello che fai oggi, soprattutto in ambito culturale così fortemente in perdita, è come trovare una pepita d'oro nella buca delle lettere».
Grazie al grande lavoro della L.M. European Music di Luca Masperone hai sfondato anche sul
mercato della musica liquida con due dischi in inglese utilizzando lo pseudonimo di Clark Kent Phone Booth? Ci parli di questo progetto e della scelta di cantare in inglese?
«È stata una sorta di liberazione, un viaggio interiore per far venire alla luce il caleidoscopio di influenze che posseggo e spostare la linea del mio limite un po' più lontano, oltre a far conoscere lati nascosti del mio modo di rispettare il raro fiore chiamato musica. Così in due settimane, nel mio studio casalingo ho scritto, suonato e prodotto tutto, racchiudendo l'amore per la letteratura americana, le chitarre slide, il cinema d'autore, la poesia del Novecento, la filosofia del viaggio, in due dischi, uno elettrico e uno acustico».
Si parla di un tuo nuovo disco registrato insieme ai Terrarossa in uscita tra poche settimane. Cosa ci puoi anticipare?
«Uscirà nel 2013 ma non ho ancora una data da offrirti. Dovrebbe chiamarsi "La velocità del buio". Ci stiamo lavorando e segna un passo avanti nel sound del quale sono molto soddisfatto. Diciamo che il passo è verso ovest. È registrato a Siena, ma la Toscana non è mai stata così vicina a Nashville».
Non pago dei successi musicali ti sei dato anche alla scrittura. "Genova di spalle" è il titolo del tuo primo romanzo, hai intenzione di continuare a coltivare questa passione?
«Sì, ed è notizia freschissima che mi pubblicheranno un volume di poesie, con una impaginazione creativa e un corredo del tutto speciale. Lo distribuirà Feltrinelli entro la fine del 2013, ti terrò aggiornato».
Come si concilia la vita di musicista con quella di scrittore?
«Sono un cantautore e le due cose sono inscindibili. Piuttosto, una volta che chi ti sta a fianco comprende che c'è assoluta corrispondenza tra l'uomo con cui vive e l'artista che sale sul palco, ti vengono perdonate stranezze tipo abbandonare il letto di notte per cercare un angolo di casa dove una piccola luce non dia fastidio e ti permetta di scrivere».
Quali sono i tuoi prossimi progetti artistici e di vita?
«Beh, direi che con un libro e un disco in uscita potevo considerarmi soddisfatto. Invece stiamo anche lavorando con agenzie estere per portare live il progetto Clark Kent Phone Booth in Nord America e Regno Unito. Ci sono buoni ritorni! Per quanto riguarda la mia persona, credo che la cosa più sbalorditiva e arricchente che mi sia mai capitata sia il prodigio di assistere ieri, oggi, domani alla crescita di mia figlia Claudia. Una improvvisatrice continua, non fa che stupirmi e mischiare i miei schemi. È una "blues girl"».
Il tour di "Trecentoventi" è ormai agli sgoccioli e nei giorni scorsi sei salito sul palco con il tuo amico Loris Lombardo e con il maestro Carlo Aonzo. Come è nata questa collaborazione?
«Ho molto materiale da parte che necessita di una sterzata acustica particolare. Il motto è salire sul palco senza provare. I due straordinari professionisti che hai citato, uniti al talento purissimo di Marco Cravero, hanno accettato la mia timida proposta con slancio e il risultato mi sta dando molta gioia. Mi considero un privilegiato».
A cinque anni di distanza da "X Factor" come è cambiato il tuo pubblico?
«Cambia in continuazione. Non faccio che spiazzarli, odio le etichette. Un giorno mi vedono a "Quelli che il calcio", l'altro al Premio Bindi, l'altro ancora al Salone del Libro di Torino. Per me contano le idee, non gli stereotipi. Chi viene a vedermi dal vivo sa di cosa sto parlando».
Il 9 febbraio suonerai a Pozzo Garitta di Albissola, locale storico dove sono passati molti dei più grandi cantautori italiani. Ti senti di far parte di questa categoria?
«Sento di farne parte. Amo più di tutti la raffinata traiettoria di Fossati, il mediterraneo grave di De André, l'ermetismo di De Gregori, ma confesso di pagare pegno più di tutti nei confronti di Springsteen, Dylan, Jackson Browne, Crosby, Stills, Nash & Young. Tutti artisti che stimo e rispetto».
Per concludere le dieci domande secche
- Musica degli anni '80 o 2000? C'è dell'ottima musica in entrambe le decadi. Essendo i '70 fuori concorso, ti direi il 2000 del new acoustic, in cui riconosco corde in assonanza, di Damien Rice, Ryan Adams, Jeff Tweedy, Foy Vance, Mumford & Sons per non parlare del fenomenale rock sinfonico dei Sigur Ros.
- Asparagi o radicchio? Risotto con gli asparagi.
- Sapone liquido o solido? Per comodità liquido.
- Città o campagna? Città come San Francisco e campagna in Provenza e Camargue.
- Hawaii o Bahamas? Sono stato a Maui, mai alle Bahamas. Mi piacerebbe tornare alle Hawaii per vedere l'alba dal vulcano Haleakala.
- Coccodrillo o lepre? Sugo di lepre.
- Saggi o romanzi? Romanzi, raccolte di poesie.
- Grappa o rum? Rum se invecchiato.
- Vacanze in solitaria o con gruppo di amici? Con chiunque sappia condividere ogni tanto un breve, ma pulito silenzio di fronte alla natura.
- Stivali o scarpe da ginnastica? Stivali sul palco, All Star in viaggio.
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