Essere il leader di una band e nello stesso tempo esserne il contrabbassista non è compito agevole. Il contrabbassista occupa solitamente una posizione di secondo piano, più nascosta rispetto alla visuale del pubblico. Massimiliano Rolff, musicista di grande talento nato nel 1973 a Savona, ricopre invece alla perfezione questo doppio ruolo. Dopo essersi diplomato nel 1999 al Jazz Conservatory della città di Groningen nei Paesi Bassi in basso elettrico e didattica musicale, Rolff ha suonato in questi anni nei più prestigiosi club e festival negli Stati Uniti e nel Vecchio Continente. Gli Unit Five, attivi dal 2005, sono invece una delle band di riferimento del panorama jazz ligure. Nel 2006 il loro esordio discografico, con l'album "Unit Five", è stato salutato con ampi consensi da parte del pubblico e della critica. Sei anni dopo Massimiliano Rolff e Unit Five sono tornati in sala di registrazione per regalarci "More Music". Un album jazz di composizioni originali scritte dallo stesso Rolff.
Il pubblico savonese avrà l'occasione di ascoltare il disco nel concerto di presentazione che si terrà giovedì 16 febbraio al Filmstudio a Savona (inizio ore 21.30, ingresso 7 euro con tessera Arci). La serata, organizzata in collaborazione con il Circolo Raindogs, vedrà sul palco Rolff accompagnato dai suoi Unit Five: Luca Begonia (trombone), Stefano Riggi (sax tenore), Massimo Currò (chitarra), Paolo Franciscone (batteria).
Scopriamo come sarà il nuovo disco dalle parole di Massimiliano Rolff.
"More Music" è il terzo album a tuo nome se non si considera "Next Beat". Cosa dobbiamo attenderci dal disco?
«È un sincero disco di jazz. Senza trucchi e senza inganni:
ci sono cinque musicisti nella stessa stanza che registrano per due volte le otto
tracce presenti nel cd. Poi scelgono insieme le migliori. È bello sai, lavorare
così. Ho scritto i brani contenuti in "More Music" con l'intenzione
di regalare a chi lo ascolterà un'ora di musica brillante, scintillante...
qualcosa su cui puoi battere il piede o schioccare le dita. Ci sono brani
veloci su cui scivoliamo con assoli vertiginosi, dolci ballad su cui, a lume di
candela, si può danzare in un caldo abbraccio, ci sono temi usciti da
misteriosi film di spionaggio, songs che ci riportano a Broadway, tanto swing,
molta organizzazione e soprattutto tanta perizia ed improvvisazione».
Quale è stato il percorso che ti ha portato a registrare
questo nuovo disco?
«Se devo analizzare il risultato finale posso dire che la
musica di "More Music" è scritta in una lingua molto ben definita.
L'ispirazione al sound dell'epoca d'oro del jazz è chiara ed innegabile.
Continuo a trovare molto interessante e stimolante ricercare idee personali ed
un mio sound utilizzando un linguaggio così consolidato come quello del jazz
degli anni '50, questa è la mission dell'idea legata al gruppo "Unit
Five". La mia vocazione è quella di scrivere della musica che possa
raggiungere con semplicità anche il più distratto degli ascoltatori, ma allo
stesso tempo possa mettere a seria prova il musicista che la suona e soddisfare
anche tutti coloro che ricercano nella musica elementi di tecnicità e
complicatezze varie. Una specie di rompicapo al servizio della mia spontaneità
e immaginazione. Il primo album "Unit Five" del 2006 fu un buon
debutto. Oggi a sei anni di distanza e dopo decine di concerti insieme, questa
band è cresciuta moltissimo e l'apporto dei nuovi entrati, il trombonista Luca
Begonia e il batterista Paolo Franciscone, ha determinato un netto salto di
qualità. Le idee che ho proposto alla band sono state colte nella loro
interezza e nella loro naturale intenzione nel migliore dei modi»".
Da "Naked", registrato nel 2009 con Emanuele Cisi, Andrea Pozza ed Enzo Zirilli, a "More Music" sono passati poco più di due anni, cosa è cambiato?
«"Naked" e "Unit Five" sono i due progetti paralleli a cui ho
dato vita in questi ultimi anni. Trovo che sia molto importante dedicare
energie per dare continuità alle proprie idee. Essere giunti al secondo album
con "Unit Five" è un grande risultato, soprattutto se si considera che nel
mondo del jazz la tendenza a cambiare partners è praticamente la routine.
Personalmente gli ultimi due anni sono stati molto intensi dal punto di vista
concertistico, ho avuto la fortuna di suonare con molti musicisti americani che
hanno fatto una buona parte della storia del jazz, vicino a loro non si può
fare altro che imparare e crescere sia artisticamente che umanamente. Credo che
questo si possa cogliere in trasparenza ascoltando "More Music"».
Il tuo percorso musicale è costellato, appunto, di moltissime
collaborazioni con artisti anche di grande spessore internazionale. Quale esperienza ricordi
con più piacere e perché?
«Il bello della musica suonata è che ogni volta che vai a
tenere un concerto ne risulta un evento indiscutibilmente unico, sia esso nel
jazz club sotto casa o sia nel grande teatro in una capitale europea. Con il
jazz poi è sempre diverso anche se suoni con gli stessi musicisti e questo è
uno dei motivi che mi ha allontanato dallo sfavillante mondo della musica pop.
Questo per dire, che ogni musicista, ogni palco e ogni audience può regalarti
momenti speciali anche se non te lo aspetti, e questa è una grande fortuna! Di
certo quando ti capita di condividere, palco, chilometri di viaggi in auto, soste
in aeroporti, cene e attese varie in tour con personaggi come Herb Geller,
Peter King o Phil Woods, che hanno abbondantemente superato i 50 anni di
professionismo musicale, ti resta nel cuore qualcosa di speciale; in qualche
modo hai la sensazione di far parte, magari anche solo per una piccola parte,
del grande ingranaggio della storia della musica. Ti senti al posto giusto. Comunque
una delle più belle esperienze musicali l'ho vissuta recentemente, lo scorso
gennaio, suonando sul prestigioso palco del Sunset Sunside Jazz Club di
Parigi con il sassofonista newyorkese Dave Schnitter. Ecco, lì hai la
netta sensazione di essere vero, e con Dave l'impagabile sentimento di libertà
musicale e fiducia. Bello no?».
Preferisci la vita da sideman o quella di fronte al tuo
pubblico? Quali sono le diverse sensazioni?
«Beh, come sideman ho la fortuna di calcare alcuni dei più
importanti palchi del mondo e di imparare sempre molto dai leaders dei vari
gruppi, che resta uno degli obiettivi importanti della vita di un musicista.
Leggo la loro musica, la imparo, mi calo nel loro sound e cerco sempre di portare
acqua al mulino, di far funzionare la band, di essere puntuale agli
appuntamenti e di non decidere troppe cose. È un atteggiamento più
spensierato, il tuo impegno è quello di suonare bene e di aggiungere la tua
anima all'idea di un altro. Talvolta, soprattutto all'inizio dei tour, ti
domandi se ne sarai capace, se il leader sarà soddisfatto, un po' d'ansia che
scompare presto. Come leader, è molto diverso. Intanto, bisogna prendere consapevolezza che
tutto ciò che accade sul palco e fuori dal palco dipende sempre in qualche modo
da te. Sei l'anima che ha dato il via a tutto quello che succede, a partire dal
viaggio per arrivare al teatro fino all'ultima nota del concerto. Sei persino
responsabile degli applausi a fine serata! Il tuo nome sui poster è il più
grande e hai la grande fortuna di poter dialogare, comunicare e portare una tua
precisa idea ad un ampio pubblico, che come contropartita è libero di
giudicarti. È un gioco molto più grande ed importante, che spesso ti scava
dentro alla ricerca della tua verità; è mettersi in gioco per davvero.
Soprattutto se sei un contrabbassista, essere un leader deve essere proprio una
scelta, o meglio, una necessità, in quanto di certo questo strumento non
ti porta ad essere davanti o più in vista degli altri. Vedi, io adoro scrivere
musica. Ne scrivo in continuazione, e quella precisa sensazione di:
scrivo-creo-organizzo-suono è per me un'emergenza necessaria e costante»".
Come vedi il futuro della musica in Liguria?
«La realtà italiana nell'ambito della cultura è a un punto
morto. In Liguria è forse ancora peggio.
La Liguria ha prodotto decine di musicisti straordinari, in ogni ambito musicale, e nessuno di loro è aiutato dignitosamente dalla comunità. L'industria musicale si è trasformata a totale svantaggio dei musicisti, e vabbè, diciamo che è un segno dei tempi, ma la musica dal vivo? Dove è finita la musica dal vivo? Tutti quei piccoli pub dell'entroterra ligure che facevano musica dal vivo, i palchi estivi sulle passeggiate a mare, i locali 'importanti' nei capoluoghi di provincia, le Pro Loco con le piccole rassegne, dove sono finiti? Perfino alle sagre non c'è quasi più musica dal vivo. Genova fa fatica ma Savona, Imperia e La Spezia sono trasparenti da questo punto di vista. Sai, per noi musicisti che siamo abituati a viaggiare, è un problema relativo perché andiamo a lavorare da un'altra parte, ma il problema resta per i liguri. La musica va vista e vissuta dal vivo, solo così potremo avere nuove generazioni di straordinari musicisti. Gli amministratori devono capire che sarà la cultura ad alimentare l'economia e non viceversa. Bisogna investire ed avere coraggio, la musica e la cultura non sono affatto aspetti secondari della nostra società. Il futuro musicale in Liguria non è sereno, ma potrà migliorare con lo sforzo di tutti. Il mio concerto al Filmstudio di Savona vuole essere un piccolo contributo a sostegno della musica nella nostra regione e nella città dove sono nato». |
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