martedì 18 marzo 2014

Gianfilippo Boni e le canzoni venute da lontano






Produttore, arrangiatore, stimato musicista e cantautore. La carriera di Gianfilippo Boni da oltre vent'anni si divide equamente tra tutti questi impegni musicali. Ha prodotto l'esordio di Marina Giaccio e Giorgia Del Mese, ha collaborato con Lucio Dalla, Gianni Morandi e Samuele Bersani. E ha inciso dischi. Tre, per l'esattezza. Nel 1995 ha esordito con "Cinema" per la Fonit Cetra, seguito nel 2003 dall'album "Con le zanzare". E dieci anni dopo ecco il terzo capitolo del musicista fiorentino, intitolato semplicemente "Gianfilippo Boni". Un disco intimo, autobiografico, il cui stile si ispira a molta della miglior produzione del periodo d'oro del cantautorato italiano degli anni Settanta. Si possono rintracciare, qua e là, influenze di Dalla, echi del più ispirato De Gregori, spruzzate di Caputo. Il tutto racchiuso in dieci canzoni che hanno il dono di suonare moderne, al passo con i tempi. Si tratta di un piccolo gioiello musicale che si colloca lontano dai clamori e dalle mode e che, fortunatamente, non ha nulla da spartire con certe produzioni plastificate e prive di ispirazione che saturano il mercato discografico italiani.
Per il suo terzo album solista, Boni ha radunato intorno a sé alcuni dei migliori musicisti della scena fiorentina, tra cui Bernardo Baglioni alla chitarra e Fabrizio Morganti alla batteria. Senza dimenticare il tocco di classe che Stefano Bollani ha saputo dare a "Van Gogh", brano di rara bellezza che chiude un album ricco di suggestioni che cattura non solo per la musica ma a cominciare dalla splendida copertina realizzata da Francesco Chiacchio




Gianfilippo, in quasi vent'anni hai pubblicato solo tre dischi. Non si può certo dire che non siano progetti pensati a lungo… Come lo spieghi?

«In realtà la domanda ha una semplice spiegazione nel fatto che, arrangiando e producendo artisticamente anche lavori per altri cantautori, il tempo è sempre tiranno e di conseguenza anche le energie. La seconda motivazione sta nel fatto che preferisco far decantare le canzoni un po' di tempo, come il vino: sulla lunga distanza, resistono quelle più convincenti».

Qual è stato lo spunto che ti ha convinto a far nascere questo nuovo album?

«Un'urgenza interiore. Le canzoni erano estremamente sentite e rappresentavano un periodo importante della mia vita. Avevo la necessità di fissarle per poi andare oltre».

Quali sono state le difficoltà maggiori nel realizzarlo? Hai qualche aneddoto curioso da rivelarci?

«Realizzare un album è sempre molto dispendioso, in primis psicologicamente: è un modo per mettersi in gioco e confrontarsi con gli altri. Più si invecchia, più in qualche modo si cerca di evitare questo confronto. Per me la difficoltà maggiore è stata decidere di farlo. Poi, avviata la macchina, il disco ha preso forma grazie a Lorenzo Forti, che ha curato con me gli arrangiamenti e mi ha convinto a non mollare. Per quanto riguarda gli aneddoti: eravamo fermi su un brano, provavamo ad arrangiarlo con varie soluzioni ma non ci convinceva, alla fine ci eravamo arresi. Poi a Lorenzo è venuto un arpeggio di chitarra che mi ha emozionato. Nella notte ho scritto un nuovo pezzo, tutto di un fiato: "Senza disturbare"».

Il titolo "Gianfilippo Boni" fa pensare a un album profondamente autobiografico. Mi sbaglio?

«Sì. È interamente e profondamente autobiografico. Avrebbe dovuto ipoteticamente intitolarsi "Senza filtro", ma rimandava troppo all'idea di sigaretta. Alla fine il titolo migliore era il mio nome e cognome».

Come dicevi prima, oltre a essere cantautore sei anche uno stimato arrangiatore e produttore artistico e nel disco si sente. Hai messo grande cura negli arrangiamenti e nella ricerca di una qualità strumentale superiore alla media. Come si sono svolte le sedute di registrazione e quanto tempo hai dedicato a questo lavoro?

«Devo la cura degli arrangiamenti principalmente a Lorenzo Forti. Avevo realizzato negli anni dei provini abbastanza strutturati ma c'era bisogno di una visione dall'esterno. Ero troppo dentro al progetto e così è stato Lorenzo a modificare il mio materiale, integrandolo e cambiando ciò che non lo convinceva. A volte è stato difficile staccarsi dalle mie vecchie idee: per la cronaca, abbiamo escluso perlomeno dieci brani. È stato davvero un lavoro a quattro mani, senza prevaricazioni, dando spazio al dialogo e al confronto. Le sessioni si svolgevano, ahimè, ritagliando il tempo da altri lavori che stavo facendo: per questo ci è voluto più di un anno a chiudere il disco, dedicandocisi perlopiù nella notte. È un disco decisamente notturno. Si ascolta bene nel silenzio della notte».

"Potrei" mi ha ricordato certe sonorità di Lucio Dalla, con cui hai anche lavorato. È così?

«A "Potrei" sono particolarmente affezionato, perché è nata spontaneamente, anch'essa nella notte, ed è semplicemente un piccolo autoritratto. Il mio primo album, "Cinema", uscito per la "Fognit tetra" - lapsus, scusami - "Fonit Cetra" (in realtà l'avevo soprannominata così), era prodotto dal grande produttore ed arrangiatore Bruno Mariani, da anni produttore artistico di Lucio Dalla, Luca Carboni, Samuele Bersani e molti altri. L'amicizia con Bruno mi ha portato in seguito a una collaborazione su una trentina di puntate di una fiction RAI, "Sotto casa", con colonna sonora firmata da Lucio Dalla. Dalla è sicuramente un mio punto di riferimento: ti basti pensare che a otto anni i miei primi LP acquistati furono "Come è profondo il mare" di Dalla e "Via Paolo Fabbri 43" di Francesco Guccini». 

Ci racconti qualche aneddoto di quel periodo con Dalla?

«L'unica cosa che posso dire è che alcune persone nascono per fare musica: ogni sua frase melodica, sia con la voce, sia con il clarinetto, sia con il sax o il piano era incredibilmente musicale, riusciva sempre ad emozionarti. Questo talento non è comune a molti».

Per questo album hai radunato alcuni dei migliori musicisti della scena fiorentina. Cosa sta accadendo a Firenze e dintorni?

«Firenze è sempre stata una grande fucina di musicisti validissimi. Io ho l'onore di conoscerne tanti e spesso di lavorarci insieme; del resto è il mio modo di produrre musica, affiancarmi e dialogare con persone dotate di grande sensibilità musicale. Il problema è sempre lo stesso: la musica è sempre più bistrattata e coperta dal rumore di fondo. A volte si assiste a grandi concerti di jazz con la gente che urla o festeggia compleanni e i musicisti fanno sottofondo, o peggio ancora arredamento. Firenze, ahimè, è una città con una certa predisposizione all'apparenza e un po' meno alla sostanza... Quindi, tanti locali ma poco ascolto e sempre più voglia di generi musicali d'intrattenimento. Vivere di musica non è facile, ci si deve adattare a fare un po' di tutto».

Nel suo insieme il disco non ha cedimenti. C'è però qualche brano di cui sei particolarmente orgoglioso?

«Il brano di cui sono e sarò sempre orgoglioso è sicuramente "Van Gogh"; anche se non è recentissimo, continua ad emozionare le persone che lo ascoltano e questa per me è la vittoria più importante».

Qual è la tua dimensione ideale: in studio o dal vivo?

«Esattamente 50 e 50: lo studio mi appassiona, perché ciò che produci rimane nel tempo, ma senza il live non potrei farcela, tenderei ad un isolamento troppo forzato. Alla fine ho sempre suonato e cantato per la gente e andare in giro per l'Italia, anche ad accompagnare pianisticamente i cantautori che produco, mi permette di vivere come ho sempre sognato. Mi dà l'occasione di fare conoscenze e di sentirmi uno 'zingaro felice', tanto per citare un altro mio punto di riferimento, Claudio Lolli. Ma per quanto io sia un cantautore legato alla tradizione, si anima dentro di me una passione profonda per il rock, in particolar modo per quello di Lou Reed e di Federico Fiumani, mio concittadino e fonte di grande ispirazione».

L'album si chiude con "Van Gogh" a cui ha contribuito anche Stefano Bollani. Come è nata questa collaborazione?

«Stefano Bollani è il più grande musicista che ho conosciuto, dotato non solo di tecnica e conoscenza musicale... È istrionico: talento ed estro allo stato puro. Lo chiamammo per suonare la fisarmonica su "Van Gogh", lui ascoltò il brano e mi disse: ‹Posso suonarci anche il piano?›. In un battibaleno cancellai la mia traccia di pianoforte e lui alla prima la risuonò. Un verso della canzone recita ‹Francia fine ottocento›; mi ricordo che mi disse: ‹E se fosse stato New Orleans anni '50?› e suonò un piano in stile e così via, giocando con epoche e stili. Un grande che ama divertirsi con la musica. Poi mise la fisarmonica, sempre alla prima, e se ascolti bene si sente che canta il solo mentre lo esegue. Non finirò mai di ringraziarlo per la musica che mi ha regalato, nel vero senso della parola: non volle soldi... Ci tengo anche a ringraziare un caro amico comune a Stefano, Lorenzo Piscopo, chitarrista ed arrangiatore: è grazie a lui se ci siamo conosciuti».

In molti testi delle canzoni del disco è presente la figura femminile ("In ogni stanza", "Senza di te", "Finta di niente"), la stessa che abbracciata compare nella bella copertina del disco. È per te una fonte importante di ispirazione e perché?

«La figura femminile in questo disco è centrale, è un lavoro che è ispirato totalmente dalle donne importanti e significative della mia vita: da mia madre alle mie compagne, fino a mia figlia. L'ispirazione non può che nascere dal continuo confronto e approfondimento con l'altro sesso; un confronto antico, come l'illustrazione in copertina di Francesco Chiacchio, che fotografa esattamente lo stato d'animo a cui tenevo: un uomo e una donna stretti in un ballo antico, dolce e nostalgico, anche lievemente assente; del resto l'assenza è un altro tema centrale del lavoro».

Come ti confronti con la tecnologia?

«Devo dire che ho sempre avuto un ottimo rapporto con la tecnologia: da ragazzo ero un patito di videogiochi, crescendo ho perso questa passione, ma non del tutto... (ride)… Sono sempre rimasto affascinato dalla tecnologia, me la cavo abbastanza bene con le macchine; in studio di registrazione devi per forza aggiornarti continuamente e questo fa sì che mi tenga sempre in allenamento. Con l'età ho anche capito che la tecnologia ti può fregare e che ha i suoi limiti: alla fine è sempre meglio fare una bella passeggiata in mezzo alla natura, piuttosto che passare ore davanti ad uno schermo».

Dovremo aspettare altri sette-otto anni per vedere il tuo quarto disco solista oppure hai già qualcosa in cantiere?

«Questo lo devi chiedere a Lorenzo Forti e dipende da quanto sarà capace di stimolarmi ed infondermi la voglia di pensare ad un nuovo lavoro. In realtà avevamo appena finito questo e già mi stava proponendo un nuovo progetto, completamente diverso da quello che avevamo  realizzato. Probabilmente stavolta passeranno quattro anni. Se ci prende bene, faremo un disco con influenze swing. Sarà sempre un po' malinconico, ma ci sarà perlomeno un bel 'battere e levare' per dirla alla De Gregori».


Titolo: Gianfilippo Boni
Artista: Gianfilippo Boni
Etichetta: Tumtumpa Records
Anno di pubblicazione: 2014


Tracce
(testi e musiche di Gianfilippo Boni, eccetto dove indicato)

01. Passano
02. Potrei
03. In ogni stanza  [testo Massimo Chiacchio, musica Gianfilippo Boni]
04. Senza di te
05. Ti offro
06. Con la crisi che c'è
07. Senza disturbare  [testo Gianfilippo Boni, musica Lorenzo Forti e Gianfilippo Boni]
08. Finta di niente
09. Completamente senza
10. Van Gogh




giovedì 13 marzo 2014

I Qirsh hanno ripreso il viaggio di "Sola andata"





A volte ritornano ed è una bella notizia. Sul finire degli anni Novanta, nelle vesti di promettente band giovanile, hanno imperversato sulla scena ligure conquistando una discreta notorietà e un buon successo. Ora, dopo un periodo di oblio, complice le inevitabili responsabilità che la vita impone, i Qirsh sono tornati e lo hanno fatto in grande stile pubblicando il loro secondo disco. "Sola andata" è il titolo del cd che ha visto la luce nelle scorse settimane per la Lizard Records, importante e prestigiosa etichetta indie. Disco che è arrivato sedici anni dopo "Una città per noi", uscito in poche copie su cassetta e diventato quindi oggetto da collezione. Il nuovo album è composto da nove canzoni, nate tra il 2009 e il 2011, che spaziano dal rock alternativo al progressive e al pop. Il filo conduttore del disco, registrato artigianalmente ma con grande cura a partire dal 2012, è il viaggio come esperienza di vita. Che sia in un mercato algerino ("Mercato Ghardaia") o in Indonesia ("Malaria"), oppure in una folle corsa in ambulanza ("Rianimazione") o in agghiaccianti episodi di cronaca ("Figli del piccolo padre"). L'album è intrigante, per certi versi esotico, con richiami a suoni degli anni '70 ma difficilmente collocabile nelle anguste e riduttive cellette di classificazione di generi.
Il sestetto savonese è formato da Andrea Torello (basso e voce), Daniele Olia (chitarre, tastiere e voce), Leonardo Digilio (piano e tastiere), Marco Fazio (batteria e percussioni), Michele Torello (chitarre), Pasquale Aricò (synth e cori).
Nell'intervista che segue Andrea Torello ci parla dei Qirsh e del nuovo disco.



Siete insieme dal 1993 e dopo l'avventurosa registrazione di "Una città per noi" del 1997, è finalmente arrivato il momento di tornare in scena con l'album "Sola andata". Cosa è successo in questi anni?

«In sedici anni sono successe tantissime cose: lauree, lavori, viaggi, trasferimenti, matrimoni, figli, e anche problemi esistenziali molto seri. Ad uno di noi si è rotta la tastiera, che non deve essere visto solo come un problema prettamente tecnico. Il motivo per cui è passato così tanto tempo dal primo album è che per alcuni anni siamo stati attirati maggiormente dalle serate live e ci siamo concentrati sulle cover, per accontentare il pubblico e per avere più opportunità di suonare. Inoltre dai primi anni 2000, non appena laureati, quasi tutti contemporaneamente, alcuni di noi si sono trasferiti in altre città per esigenze lavorative, e ciò ha rallentato l'attività del gruppo. Ancora oggi metà band non vive a Savona». 

Perché avete voluto riprovarci?

«Ad un tratto ci siamo resi conto che il tempo stava passando, ma avevamo ancora tante cose da dire, e che anzi, praticamente avevamo ancora tutto da dire. Quindi ci siamo rimessi a creare e abbiamo dato alla luce una serie di nuovi brani, che per fortuna sono piaciuti all'etichetta Lizard. Il passo successivo è stato la nascita di "Sola Andata", il nostro primo vero album». 

Non siete tutti troppo grandi per giocare a fare i musicisti?

«Veramente ci sentiamo ancora una boy band e ricordiamo come se fosse ieri il nostro esordio sul palco della festa parrocchiale, era il 1993. Comunque promettiamo che tra 40 anni smetteremo di suonare e ci dedicheremo ad attività più serie». 

Negli anni a cavallo tra il 1998 e il 2001 avete imperversato nei locali e sui palchi di mezza Liguria conquistando anche una discreta notorietà. Cosa ricordi di quel periodo?

«Ricordo tre utilitarie che viaggiano sull'Aurelia caricate di strumenti fino all’inverosimile,  ricordo le fatiche per montare e smontare il palco, la cena col panino offerto dal padrone del locale (o a volte decurtato dal già scarso compenso), le interazioni col pubblico (che spesso invitavamo a suonare con noi... e che spesso risultava più bravo di noi), ricordo un'esibizione in playback su una TV locale (col cavo della chitarra collegato a un tappeto), il nome del gruppo storpiato sui manifesti all'entrata dei locali (Quirsh, Kirsh, Quiershh) ma ricordo anche le innovazioni. Siamo stati tra i primi gruppi giovanili savonesi ad avere un sito internet (1997), a tappezzare la città di volantini colorati plastificati, per la gioia del Comune, a suonare in posti originali: su una motonave in navigazione, all'entrata di una banca, su un camion, sul palco di una lap dance, in un maneggio e anche in un museo. Quest'ultimo in tempi più recenti: il museo storico  dell'Alfa Romeo, ad Arese, nel 2010. Siamo stati anche i primi a suonare la versione integrale di "Shine on you crazy diamond" dei Pink Floyd alla festa dei licei, rischiando il linciaggio».

Qual è ora l'ostacolo più grande che vi tiene lontano dai palchi?

«Rispetto al passato la sensazione è che ci siano sempre meno opportunità per presentare la propria musica originale, e sempre meno locali interessati a fare live. E sicuramente c'è anche meno gente interessata a questo tipo di intrattenimento, molto anni '90. Ma se capitano occasioni non ce le faremo scappare. Nel caso peggiore ci ripresenteremo alle feste parrocchiali con buona pace di tutti». 

Quali sono le vostre fonti di ispirazione?

«Se parliamo di gruppi o artisti che ci hanno influenzato, la lista è lunga (anche perché siamo in sei e ognuno di noi ha le sue preferenze specifiche), ma basti ricordare che la nostra scaletta storica comprendeva cover di Pink Floyd, Queen, U2, CSI, Pooh, Elio, REM, Doors, a cui aggiungiamo Genesis, Battiato, rock progressive anni '70, new wave anni '80… e infatti alla fine il nostro genere è stato definito un mix di pop-rock-progressive. Ma le definizioni sono sempre limitanti, non ci piace inquadrarci».

E le canzoni del nuovo album?

«Il tema dell'album è il viaggio. Siamo molto legati all'idea del viaggio, sia come gruppo che singolarmente. Ognuno di noi viaggia molto, a volte prendendo l'aereo per destinazioni remote, a volte rimanendo nella sua stanza con un paio di cuffie nelle orecchie. Alcune canzoni sono nate sedendosi davanti a una tastiera e cominciando a farsi trasportare dai suoni o dalle sequenze di accordi; altre canzoni invece si sono materializzate nella nostra mente durante qualche viaggio, guardando persone e ambienti che scorrevano fuori dal finestrino». 

Nell'immagine di copertina, seppur nella sua bellezza, vedo un gruppo di sopravvissuti che si sta radunando sul finire di una spiaggia dopo una esplosione nucleare. Ho sicuramente una visione distorta ma cosa te ne pare?

«In realtà quella foto rappresenta solo un gruppo di persone su una spiaggia australiana in una normale giornata infrasettimanale. C'è chi fa due passi per rilassarsi, chi fa volare aquiloni, chi con una tavola da surf sottobraccio pensa a come affrontare le onde nel modo migliore. Tutti viaggi, anche piccoli e di routine, nel quotidiano di ciascuno di noi. Alla strage nucleare in effetti non avevamo pensato». 

Le tragedie, i morti, le malattie, gli abbandoni e i viaggi sono al centro delle vostre canzoni. Qual è la vostra visione del mondo?

«Non è così catastrofica, anzi l'album vuole trasmettere un messaggio positivo: viaggiate, esplorate, aprite la vostra mente. Purtroppo le esperienze tragiche possono lasciare il segno più di quelle positive e riflettersi quindi nelle canzoni in modo più evidente ma bisogna essere capaci di andare avanti... non a caso l'album si intitola "Sola andata"». 

In "Figli del piccolo padre" parlate di Andrei Chikatilo, il mostro di Rostov che ha ucciso 53 persone, e del figlio Yuri che viene aiutato dallo Stato a cancellare il passato e a rifarsi una vita. Cosa vi ha spinto a cantare questa storia?

«Questo brano è uno dei più controversi dell'album. È nata per prima la parte strumentale, che ci ha spinto verso la narrazione di una storia forte; e così il viaggio in questo caso è diventato un viaggio nella cronaca e nella psicologia, che ha toccato alcuni dei risvolti più oscuri della storia russa del secolo scorso». 

"Rianimazione" ha qualcosa di claustrofobico ma allo stesso tempo lo trovo rassicurante. Cosa vi ha ispirato a scrivere questo brano?

«In realtà tutte le persone che hanno ascoltato il brano ci hanno detto che trasmette ansia! D'altra parte è la rappresentazione di una folle corsa in ambulanza... anche quello è un tipo di viaggio... che poi sia un viaggio realmente accaduto o no non è dato sapere».

Come vedi la musica ha tante letture differenti. Passiamo a "Malaria". Qual è il messaggio del testo ‹Devo aspettare, solo aspettare, restare sveglio è fondamentale. Non riesco a parlare›?

«"Malaria" è il classico pezzo che rappresenta una situazione di difficoltà, fisica o psicologica, in cui ciascuno di noi si può trovare e deve far ricorso a tutte le proprie energie per affrontare il viaggio del superamento dell'ostacolo, di qualsiasi natura esso sia. Il testo è parte di questo discorso». 

"Artico" è dedicata a Umberto Nobile e alla tragica avventura al Polo Nord con il dirigibile Italia. Cosa può rappresentare oggi questa storia?

«Quello fu un importantissimo viaggio di esplorazione scientifica, la prima volta al Polo Nord, una conquista tutta italiana. Un esempio che merita di essere ricordato. La missione ebbe un finale tragico ma vide anche l'epica resistenza dei sopravvissuti della "tenda rossa". Questa canzone vuole cogliere proprio lo spirito dell'esplorazione, il desiderio ancestrale dell'uomo di scoprire e spingersi sempre un po' più in là». 

Il disco si chiude con "La nebbia", il racconto di un abbandono…

«Una lunga attesa in aeroporto, e poi la nebbia, forse più metaforica che reale. Una situazione in cui tutti ci siamo trovati almeno una volta nella vita, non solo quelli che partono dall'aeroporto di Malpensa». 

Quando vi rivedremo dal vivo?

«Sabato 15 marzo suoneremo alla Pentola Magica di via Stalingrado a Savona, poi il 5 aprile saremo ospiti in diretta su radio Base Popolare Mestre».


Titolo: Sola andata
Gruppo: Qirsh
Etichetta: Lizard Records
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Daniele Olia, eccetto dove diversamente indicato)

01. Artico
02. Mercato Ghardaia
03. Myflower  [Leonardo Digilio]
04. Figli del piccolo padre
05. 5a, finestrino
06. Rianimazione
07. Malaria  [Michele Torello]
08. Vento delle isole
09. La nebbia