mercoledì 31 luglio 2013

"Sarò libero!", il grido di Fabrizio Zanotti




"Sarò libero!" è il terzo album, il primo dal vivo, di Fabrizio Zanotti, quarantatreenne cantautore piemontese di Ivrea. Il disco riporta la registrazione del concerto che si è tenuto il 24 aprile 2012 al Teatro Giacosa di Ivrea e segue cronologicamente "Il ragno nella stanza", pubblicato nel 2007, e "Pensieri corti" del 2010. Nell'album vi trovano spazio canzoni che appartengono ai diversi periodi della carriera di Zanotti: brani tratti dai primi due album rivisitati con l'aggiunta del quartetto d'archi dell'Ensemble Lorenzo Perosi, gli inediti "Il mare se bagna Milano", "Bandiera" e "Se non ora quando?", questi ultimi due scritti insieme a Valentina La Barbera. Ma anche canzoni di lotta e resistenza come "Fischia il vento" e "O bella ciao", poste strategicamente in apertura e chiusura concerto, e stralci del discorso che Piero Calamandrei pronunciò nell'aprile del 1954 proprio a Ivrea per ricordare l'impresa di un gruppo di partigiani, i "poco di buono" come venivano chiamati coloro che liberarono l'Italia dall'occupazione nazifascita. E proprio la canzone "Poco di buono", scritta nel 2005 e inserita l'anno successivo da Claudio Lolli nel disco "La scoperta dell'America" e successivamente da I Gang in "La rossa primavera", è qui rafforzata dalla presenza del Coro Bajolese diretto da Amerigo Vigliermo e rappresenta uno dei punti più alti dell'album. Il disco è arricchito dalla presenza del chitarrista genovese Matteo Nahum che ha curato anche gli arrangiamenti del quartetto d'archi.
"Sarò libero!" è un album da ascoltare tutto d'un fiato e ne abbiamo parlato con Fabrizio in questa intervista.


"Sarò libero!" non è solo un disco e un concerto ma soprattutto uno spettacolo che porta con sé un messaggio. Ce lo vuoi spiegare?

«È un concerto di storie tra "Resistenze di ieri e di oggi", perché capire il passato significa rafforzare le radici che permettono a una società di crescere ed osare. "Sarò libero" è grido di resistenza, di non rassegnazione. Lottare non solo per la propria vita, ma anche per quella di chi ci sta vicino. Resistere per cambiare una società per molti aspetti ancora miope, resistere per difendere quei sacrosanti diritti che dovrebbero valere per tutti, anche per chi non è nato in questo paese. Resistere per nutrire la speranza che la nostra indolenza possa finire prima o poi».

Cosa è oggi la Resistenza?

«Oggi non si tratta di mettere a rischio la propria vita come nel caso dei partigiani che hanno combattuto contro un esercito armato, ma di lottare contro l'imbarbarimento culturale di cui è saturo il nostro paese. Un'assenza di dignità che ci impedisce di migliorare come esseri umani e che rende le nostre vite sempre più piene di cose inutili e povere di valore».

Nel disco le canzoni sono intervallate da stralci del discorso che Piero Calamandrei pronunciò a Ivrea il 4 aprile del 1954. Perché hai fatto questa scelta?

«Le bobine di quel discorso mi sono state regalate dal partigiano D'Artagnan del quale racconto nella canzone "Poco di buono". Mi ha colpito la parte non commemorativa del discorso perché sembra che parli di oggi. È impressionante pensare che da circa sessant'anni la situazione sia sempre pressappoco la stessa. Allo stesso tempo le parole di Calamandrei sono estremamente incoraggianti: il significato di resistenza, finita la guerra, si traduce nell'"intendersi col battito del cuore al di là dei muri che dividono il mondo". È meraviglioso».

In uno di questi frammenti Calamandrei invita a far ascoltare ai giovani i canti dei partigiani. Ci sono ancora giovani interessati alla storia dei loro nonni?

«Diciamo che diventa interessante quando la trovano su internet! A parte gli scherzi, ho visto che chi ha avuto dei nonni, o meglio dei bisnonni ormai, partigiani sente propria quest'eredità».

Quanto è importante il pensiero politico nella tua arte?

«Troppo».

Nei tuoi lavori e nelle tue canzoni dai voce agli oppressi, ai poveri, a chi è condannato. Così come i losers sono argomento di molta della produzione del genere Americana...

«Innegabilmente amo i folksinger americani e la loro schiettezza, ma per quanto mi riguarda non scrivo di perdenti. Più che altro sono affascinato dalla vita di chi lotta, chi non ha nulla per cui lottare o sceglie di non farlo, non è poi così interessante».

Quale compito ha il cantautore ai giorni nostri?

«Quelli di sempre: essere onesto ed emozionare».

Con il brano "Se non ora quando?" presenti un avvilente spaccato della società italiana. Il titolo è uguale allo slogan adottato dal movimento femminile che ha manifestato nei mesi passati contro il degrado delle istituzioni... Condividi quell'idea?

«Diciamo che la canzone è nata quasi contemporaneamente a "Se non ora quando?", proprio dalla stessa indignazione. È stato quindi naturale dedicarla al movimento. Ricordo che sia io che Valentina (La Barbera, ndr), con la quale collaboro ed è coautrice del brano, avevamo bisogno di sfogare la rabbia che ci creava la situazione di quel momento».

Hai da poco terminato un tour in Germania. Come ti ha accolto il pubblico e cosa ti è piaciuto?

«È stata una bella esperienza umana, i teatri erano pieni, segno che la gente è molto curiosa di ascoltare nuove voci, anche straniere. Amano tantissimo l'Italia, la nostra cultura, ma nello stesso tempo non si spiegano come sia possibile che noi italiani siamo ridotti così».

Ho saputo che tra breve inizierai la produzione del nuovo cd. Cosa ci puoi anticipare?

«Con "Sarò Libero!" è iniziata la collaborazione con Bruno Cimenti e Primigenia, ma questo sarà il primo lavoro prodotto insieme dall'inizio alla fine. Per adesso stiamo lavorando agli arrangiamenti. Quello che posso dire è che sarà un disco divertente, per lottare ci vuole allegria».

Per terminare ecco le dieci domande secche:

- Attonito o estasiato? Estasiato dopo un bel film, dopo un buon caffè, dopo un bella serata con agli amici.
- Harley Davidson o Moto Guzzi? Né l'una, né l'altra, meglio il Ciao.
- Vampiro o licantropo? Licantropo ascendente orso marsicano.
- Roma o Milano? Roma, perché ti coccola e 'se magna' bene.
- Passaggio o tiro diretto? Dipende, quando sono solo tiro diretto.
- Pecora o leone? Leone all'attacco!
- Infissi di legno o alluminio? Legno, altrimenti ti lascio.
- Caffé zuccherato o naturale? Amaro, tranne al bar.
- Ananas o kiwi? Ananasso anche d'inverno.
- Arrivo o partenza? In viaggio è meglio.


Titolo: Sarò libero
Artista: Fabrizio Zanotti
Etichetta: Fabrika Musika/Primigenia
Anno di pubblicazione: 2012

Tracce
(testi e musiche di Fabrizio Zanotti, eccetto dove diversamente indicato)


01. Fischia il vento  [Felice Cascione; Matvei Blanter e Michail Isakovskij]
02. E c'è una storia che ci piace ascoltare  [Fabrizio Zanotti e Nicola Ricco]
03. La mia divisa
04. Olive da friggere forte
05. Inclinato ad Oriente
06. Facce di fango
07. Il ponte
08. Poco di buono  [Fabrizio Zanotti e Nicola Ricco]
09. Bandiera  [Fabrizio Zanotti e Valentina La Barbera; Fabrizio Zanotti]
10. L'universo che ora dorme
11. Sarò libero
12. Matrioska
13. Il mare se bagna Milano  [Fabrizio Zanotti e Nicola Ricco]
14. I giovani
15. Chini Marco
16. Se non ora quando? (mena le mie idee)  [Fabrizio Zanotti e Valentina La Barbera; F. Zanotti]
17. Musicalenta
18. O bella ciao  [anonimo]




martedì 16 luglio 2013

Le "Testuggini" di Rocco Rosignoli




Rocco Rosignoli ha pubblicato in queste settimane il suo terzo album solista. "Testuggini" è stato preceduto da "Le farmacie di turno" del 2009 e "Uomini e bestie" del 2011, concept album dedicato all'immaginario horror. Abbandonato il tema dell'horror, Rosignoli ha scelto di pubblicare una raccolta di brani che hanno come filo conduttore il tempo, la memoria e il sogno. Il legame e l'amore per la terra, rappresentato da animali, esseri centenari, come le testuggini, la gioia e i dolori della vita, le tragedie civili e i miti di riferimento sono gli argomenti che sono stati esplorati in questi dodici brani caratterizzati da una scrittura intensa e poetica. L'artista parmense ha posto al centro del suo lavoro la parola e i testi. Racconti e storie narrate con sensibilità che fanno di Rosignoli un valido interprete della tradizione cantautorale. 
In "Testuggini" Rosignoli si è avvalso della collaborazione di pochi e fidati amici: Francesco Pelosi che ha scritto e cantato "Ode alla giovinezza" ed Enrico Fava che ha suonato il pianoforte in "Ultimo valzer per F. D.".
Forti dei moderni mezzi di comunicazione, abbiamo parlato con Rocco che ha risposto con cortesia alle domande di questa intervista.



Chi è Rocco Rosignoli?

«Forse sono l'ultima persona a cui chiederlo! Ti posso dire che Rocco Rosignoli arriva da un percorso misto di formazione letteraria e accattonaggio musicale che ha trovato il suo sfogo ideale nella forma canzone, che lo perseguita dall'infanzia. L'ha avvicinata goffamente nell'adolescenza e l'ha fatta sua nella presunta maturità. Per quel che ne so io, tutt'oggi Rocco Rosignoli è uno sprovveduto che cerca il suo posto nel mondo».

"Testuggini" è il tuo nuovo album. Ci racconti come è nato?

«"Testuggini" arriva subito dopo un concept album, che si intitola "Uomini e bestie". Era un cd dedicato a personaggi dell'orrore, una serie di canzoni unite da una tematica forte e definita. Con "Testuggini" volevo cambiare, volevo fare un disco che fosse una semplice raccolta di canzoni. Ho iniziato selezionando dei pezzi che avevo in repertorio già da tempo e che non erano mai stati incisi - per esempio "Ultimo valzer per F. D." o "Sui miei passi" -. Mano a mano che procedevo con la selezione e le registrazioni, nascevano altri pezzi, in linea con quello che è lo spirito del disco, molto improntato sui temi del tempo e del sogno».

Nella prefazione al disco scrivi: ‹Macchine da guerra, esseri centenari, liberi dal peso della memoria, del peso dei sogni: questo sono le testuggini›. Cosa ti ha spinto a dedicare un disco a questi animali?

«Nella canzone "Tamperdù" parlo di ‹enormi testuggini, vecchie di secoli, splendide e senza memoria›. Da quel verso prende il titolo il disco. La testuggine se vogliamo sono il simbolo di una natura che guarda impassibile il passaggio della vita umana, e se appena può la ignora. Una natura che c'era prima che l'uomo fosse quel che è oggi, e ci sarà quando l'umanità avrà terminato il suo ciclo. In un attimo questo animale splendido è diventato per me il simbolo del tempo. Inoltre, come ci insegnavano da bambini, la testuggine si porta la sua casa dappertutto, e questo disco nasce in un periodo in cui il mio bisogno di sentirmi "a casa" era tanto. Aggiungo che l'amico Diego Baruffini mi aveva suggerito il sottotitolo "Disfunzione rettile", che è stato cassato, ma molto a malincuore!».

Hai avuto esperienze dirette con le testuggini?

«Ne ho avute due, da bambino, più altre due tartarughe acquatiche. Una delle testuggini di terra si chiamava Birba. Oltre a essere una bestiola estremamente simpatica - e tu che ne hai tante, puoi capire come anche una testuggine possa esserlo -, faceva una cosa assolutamente incredibile. Lei nel giardino aveva un suo recinto, fatto di rete, alto una ventina di centimetri e nel recinto una casetta di legno col tetto spiovente. Un giorno la cercammo nel recinto e non c'era, non era andata lontano, la trovammo nel giardino. Controllammo il recinto e non aveva falle. Curioso, pensammo, e finì lì. Ma capitò di nuovo che scappasse, e allora volemmo vederci chiaro: la osservammo di nascosto e scoprimmo il mistero. Birba si arrampicava lungo la rete fino al tetto della casetta, e da quello si buttava giù, fuori del recinto! Certo che quella bestiola avrebbe meritato la libertà».

Qual è il messaggio del disco?

«Jacques Brel rispondeva: ‹Io non porto messaggi, lo lascio fare ai postini›. Ma ti dirò che per un trimestre io il postino l'ho fatto sul serio. A parte gli scherzi, non saprei dirti qual è il messaggio del cd. Forse un messaggio c'è, ma non riguarda solo il mio cd, ma tutta la musica che faccio - e non solo io, ma anche e soprattutto altri - e cioè che la canzone ha il diritto di rivendicare spazi che non siano di mero intrattenimento, o ancor peggio di sottofondo ma può, a pieno diritto, collocarsi nell'orizzonte delle arti e in quanto tale, chiedere attenzione. Un'attenzione che esiste ancora, anche se indebolita. Mancano luoghi d'aggregazione in cui esercitarla: per chi fa il mio mestiere oggi è difficile farsi trovare da quel pubblico che quest'attenzione non vede l'ora di spenderla».

Guccini, De André, Bubola e chi altro c'è tra i tuoi punti di riferimento?

«Bubola non molto in verità, senza nulla togliere, sia chiaro. Oltre a Guccini e De André, come riferimenti principali ho Leonard Cohen e Max Manfredi. Amo moltissimo Jacques Brel, poi c'è Bob Dylan che, lo si voglia o no - e io lo voglio - è un punto di riferimento imprescindibile. Gian Piero Alloisio, Mauro Palmas, Mauro Pagani, Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Nick Cave... quanti nomi ho a disposizione? La lista sarebbe lunga, e includerebbe anche i punti di riferimento "involontari", quelli che la mia generazione ha subito suo malgrado: per esempio, essere stati martellati da "Hanno ucciso l'uomo ragno" all'età di nove anni ha sicuramente avuto le sue ripercussioni su di me e i miei coetanei; e qui ripeto che si voglia o no, ma in questo caso forse non vorrei…».

Nel disco c'è anche un omaggio a Jacques Brel: "Le plat pays" da te tradotta in "Questa terra". Perché hai fatto questa scelta?

«Io vengo da Parma, ma da meno di un anno vivo a Milano. Mi sono allontanato dalla mia città, dai miei amici, per andare in un posto dove vivo con la ragazza che amo, ma che per il resto mi ha ancora dato poco. La lontananza mi ha fatto sentire in modo particolare il legame con la mia terra; il caso ha voluto che proprio nell'autunno stessi preparando una lezione-concerto su Brel e mi sono riconosciuto nelle parole che lui usò per raccontare il suo Belgio in "Le plat pays". Ho voluto farle mie, infatti la traduzione è molto fedele».

I testi, a volte veri e propri racconti in miniatura, sono elementi fondamentali delle tue composizioni e mi sembra che vengano prima della musica per importanza. È così?

«Forse nei risultati, ma su questi non posso essere obiettivo. Nel processo creativo mi richiede molto più lavoro la ricerca di linee melodiche e armonie, per non parlare poi della fase di arrangiamento che svolgo sempre in solitaria. Ma è chiaro che una formazione letteraria lascia i suoi segni, e sono ben visibili».

Curiosa la storia di "Il cane e la serpe". Qual è il significato?

«Questa canzone nasce da una stramba mattinata. Arrivai a casa di un mio amico, e quando lui mi aprì la porta entrò con me anche il suo cane. Zoppicava e guaiva, lo guardammo, ci parve di vedere un morso di serpente sulla coscia. Fu il panico! Il mio amico chiamò la sua ragazza urlando, saltarono in macchina e corsero dal veterinario, nel paese vicino. Io rimasi a montare la guardia alla casa. Quando tornarono, il veterinario aveva controllato la bestiola e... non aveva nulla. Da questa, che a malapena si può definire un'esperienza, nasce questo brano, che sembra descrivere un cammino iniziatico di stile esoterico; cose in cui non credo, ma che mi affascinano molto».

Come è nata la collaborazione con Francesco Pelosi, autore del brano "Ode alla giovinezza"?

«Guarda, sono proprio adesso di ritorno da un concerto di Francesco; si esibiva col suo nuovo progetto, "Merovingi", che sta sviluppando guarda caso con l'altro ospite del mio "Testuggini", il pianista Enrico Fava. "Merovingi" è un progetto che non vedo l'ora diventi disco, perché è molto valido. Francesco, oltre che un ottimo scrittore di canzoni, è un mio caro amico. Ci incontrammo in un posto di Parma che da qualche settimana non esiste più, il MateriaOff. Lui mi diede un suo demo, appena registrato. Mi piacque sì e no. Quando lo rividi, lui mi chiese del demo e io gli dissi la verità. Francesco si offese a morte e poi mi offrì da bere. Perché era sempre meglio che dirgli "carino", come qualcuno aveva appena fatto. Da lì abbiamo intrapreso mille avventure assieme, tra cui merita una menzione il "Canzoniere delle Stagioni", con cui rivisitammo il grande repertorio del canto popolare».

Come si sono svolte le sessioni di registrazione?

«Tra Parma e Milano, con in mezzo un trasloco. Ma sempre in casa. C'è chi senza andare in studio non riesce a lavorare, per me è il contrario: non riesco a lavorare coi ritmi serrati di un lavoro che va concluso nel minor numero di ore possibili, col pensiero fisso del tassametro che sale. Lavoro coi miei tempi, con la possibilità di dare sfogo alle idee nel momento in cui vengono, o di lasciare le cose a raffreddare quando non funzionano subito. Investo sulla post-produzione, è un'idea che mi dà meno ansia».

Perché hai scelto di suonare quasi tutti gli strumenti utilizzati nel disco?

«Fondamentalmente, perché mi diverto da matti. Io, oltre che un cantautore, sono un polistrumentista, amante delle corde etniche soprattutto. Negli anni ho radunato un ottimo arsenale di cordofoni, tra cui un bouzouki e un mandolino costruiti appositamente per me da mio zio Nasario (con la "s", mio zio fu una vittima dell'impiegato dell'anagrafe). Lui oggi non c'è più. Gli ho dedicato il disco, e mi piace pensare che con questo lavoro una parte di lui continuerà a raggiungere tante persone che non hanno avuto la fortuna di incontrarlo».

Quali sono i tuoi progetti futuri?

«Ho scritto un monologo di teatro-canzone dedicato alla crisi, si intitola "Sola gratia", e contiene molti pezzi inediti scritti apposta. Voglio metterlo in scena, e mi piacerebbe molto trarne un DVD. Tutto ancora in via di definizione comunque, tranne il testo, che è pronto e va solo messo in scena».

Per concludere e per scoprire chi è Rocco Rosignoli, ti sottopongo alle dieci domande secche.

- Scacchiera o labirinto? Scacchiera. Il suo potere simbolico di cammino tra luci e ombre mi emoziona, anche se non faccio parte di alcuna loggia!
- Tropicale o mediterraneo? Mediterraneo: bouzouki docet!
- Nido o alveare? Nido di rondine. Un ricordo legato alla montagna, le rondini facevano il nido sotto le grondaie di una casa lungo la via; passavamo tante sere a guardarle.
- Medioevo o Rinascimento? Rinascimento. Anche se il medioevo ha Dante dalla sua!
- Palude o bosco? Il bosco è uno degli ambienti che trovo istintivamente familiari.
- Candela o lampadina? Candela. Quando brucia è una cosa buona e non devi correre in negozio a prenderne un'altra per vedere dove fai pipì.
- "Salve!" o "Buongiorno"? Sono le 2.37, direi buonanotte... ma in generale sono del partito del "Salve", che è un bell'augurio.
- Leonard Cohen o Francesco Guccini? Barabba.
- Piegarsi o spezzarsi? Non mi piego dal lontano 1997. Non c'è scelta, se faccio l'una capita anche l'altra.
- Verde o marrone? Non so scegliere. Anche il gelato lo prendo pistacchio e cioccolato.


Titolo: Testuggini
Artista: Rocco Rosignoli
Etichetta: Rigoletto Records
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Rocco Rosignoli, eccetto dove diversamente indicato)

01. Tamperdù
02. Ultimo valzer per F. D.
03. Sui miei passi
04. Sogni molto forte
05. Canto delle poiane
06. Ode alla giovinezza  [testo e musica di Francesco Pelosi]
07. Oesterheld
08. Il cane e la serpe
09. Questa terra (Le plat pays)  [testo e musica di Jacques Brel, traduzione Rocco Rosignoli]
10. L'ultimo saluto
11. Il canto dei minatori, 1919 (falso storico)
12. Raggiungimi






venerdì 5 luglio 2013

Emiliano Mazzoni, cantautore d'alta quota






È un mondo avvolto da nuvole grigie quello che Emiliano Mazzoni guarda da Piandelagotti, paese montano del modenese a 1.200 metri di altezza. Un mondo che trova spazio nel suo primo disco, "Ballo sul posto", prodotto insieme all'ex bassista degli Ustmamò Luca Rossi. Ballate, ritmi popolari, abbozzi jazz e incursioni nel territorio pop per un lavoro denso e ricco di emozioni che deve essere ascoltato e assaporato con la giusta predisposizione d'animo. Non è un disco da consumare in fretta ma da centellinare negli ascolti per apprezzare appieno la poetica e le sfumature che il pianoforte e la voce calda e profonda di Mazzoni riescono a dare alle canzoni. Mazzoni, già fondatore degli In Limine (apparizione ad Arezzo Wave nel 2004) e dei Comedi Club (3 cd autoprodotti), non si è limitato a utilizzare solo i suoni dei tasti bianchi e neri: chitarre, fisarmonica, batteria, ukulele, synth e padelle hanno lasciato un segno ben marcato costruendo un tappeto sonoro di grande effetto ma mai invasivo. "Ballo sul posto" è un progetto cantautorale classico che presenta dodici canzoni fuori dal tempo e dagli schemi e abbiamo chiesto a Emiliano di presentarlo.



"Ballo sul posto" è il tuo primo CD e arriva dopo le tue esperienze con gli In Limine e i Comedi Club. Far parte di un gruppo ti stava ormai stretto?

«No, non è per quello. Suonare in un gruppo è la cosa più bella al mondo, solo che ogni cosa ha la sua storia. L'idea del progetto solista che avevo non aveva bisogno di band almeno nella fase iniziale, penso comunque che arriverà una band a salvarmi».

Qual è stata la genesi delle canzoni del disco?

«Diciamo che io ho un quaderno dove raccolgo le versioni finali dei pezzi che faccio, da questo quaderno ho registrato un provino di venti canzoni nude che in fase di produzione e registrazione son diminuite, fino ad arrivare a dodici. Poi con Luca abbiamo trovato il vestito più adatto».

De Andrè, Leonard Cohen e Massimo Bubola, che ho ritrovato specialmente nel tuo modo di cantare "Mentre piangono le grondaie". Possono essere questi gli artisti a cui la tua musica più si avvicina?

«Non lo so, sicuramente sì per quanto riguarda vari aspetti della produzione dei primi due, Bubola confesso di non conoscerlo a fondo. Sono fra i miei ascolti, insieme ad altri della stessa barca».

Nel disco non manca un accenno a sonorità della tradizione come in "Buon per te luna". Che valore hanno per te la musica tradizionale e le nostre radici?

«Amo la figura dei cantastorie pur non essendo un cultore di musica popolare. Questo non toglie il fatto che faccia parte dell'essere collettivo, che lo si voglia o no. Sono più vicino al tradizionale, per intenderci, da osteria, ma è un'altra cosa, anzi adesso che lo dico mi rendo conto che non ci son poi così vicino, ma sicuramente certi sapori si riescono a far emergere solamente con quel tipo di approccio. Poi per avvicinarsi alle radici, bisogna scendere dall'albero». 

È sicuramente più facile mantenere il rapporto con la comunità per chi vive lontano dalle grandi metropoli. Non pensi che possa però rappresentare un limite per la tua carriera di musicista?

«Sicuramente! Però non è poi mica obbligatorio fare una vita di merda per agevolare una ipotetica carriera artistica. Io sono un montanaro per ora, poi se si presentassero delle occasioni importanti, non necessariamente artistiche, mi potrei spostare. Ma per ora non ci penso proprio. Preferisco che l'arte serva alla mia vita piuttosto che il contrario e il limite mi sembra abbastanza sottile».

Tu vivi in un paese di montagna, a Piandelagotti, ma tra "Meglio sparire" e "Il dissoluto" si sente il rumore del mare e l'urlo di un gabbiano. Il mare torna anche nel testo di "Il dissoluto". Qual è il rapporto con questo elemento e quale significato ha nell'album?

«Il mare nel disco viene usato in chiave simbolica. Amo il mare, lo amano tutti, anche chi crede di no. A pensarci bene saranno due anni che non lo vedo, ma son convinto che sia ancora là. Ogni volta che penso al mare è come se ci fossi già stato, e questo è bello!».

Come è nata la collaborazione con Luca A. Rossi che ha prodotto il disco?

«Da quel provino di prima. Ci conoscevamo già ed avevamo registrato nel suo studio (U.R.S. Recording Station) con le band. In più non abitiamo lontani e questo ci ha permesso di registrare a casa mia senza fretta. Sono molto soddisfatto di quello che abbiamo fatto, lui ha molta esperienza e mi ha fatto capire parecchie cose. Ormai abbiamo finito di registrare il secondo disco tra le altre cose».

Nel disco suoni piano, chitarra, batteria, fisarmonica e... padelle. La musica allora si può fare con qualsiasi strumento?

«Con tutti gli strumenti di sicuro. Beh, diciamo che penso di sì ma che non è che io lo faccia. Ho suonato in fase di registrazione queste cose ma non sono un fisarmonicista e con la chitarra forse so suonare tre accordi e con la batteria ho suonato piccole cose, in generale non mi ritengo un musicista, mi accompagno. Con le padelle sono un po' più esperto».

"Stronzi tutti" ha quasi il sapore di una filastrocca di altri tempi ma con un testo incisivo che invita a dubitare e a scoprire. E soprattutto mette sotto accusa la politica descritta come ‹il mondo dei più brutti›. Cosa ci puoi dire di questa canzone?

«Che è successa davvero, come è scritto nella canzone ed ero a Lucca. Il lancio me lo ha dato la frase ‹dubita e girovaga› che trovo straordinaria. Comunque non l'ho scritta io ma era scritta su un muro. Poi guardando un film con Tomas Milian ho visto che su un muro c'era scritto ‹Stronzi tutti›. Da lì mi sono ispirato alla colonna sonora del film e prima della fine avevo il pezzo. Non l'ho quasi mai più suonata, però mi sta molto simpatica anche per via di queste vicende coincidenti».

"Ballo sul posto" è un disco a tratti doloroso che si chiude con il brano "Canzone di speranza" che lascia aperta la porta verso il futuro ma con un occhio al passato. È così?

«La porta verso il futuro non si può chiudere finché c'è vita, anche se sarà un brutto futuro. Ma la speranza è un'altra cosa, è più un conforto che un programma».

I testi delle canzoni sono molto interessanti ma perché non li hai inseriti nel booklet?

«Perché ho fatto tutto da solo e lì ho avuto un cedimento di forze che mi ha portato a decidere di andare in stampa senza i testi. Poi mi stava simpatica la cosa in quel momento. Comunque i miei testi hanno senso cantati, non mi piace leggere i testi, l'ho fatto sempre comunque, ma le parole cantate che scappano e che tu non riesci a vedere ti obbligano a immaginarle e ti seducono. Come scusa questa non è male».

La copertina raffigura una persona nuda seduta su una sedia che guarda le montagne. Qual è il significato?

«La persona nuda sono io. Sono seduto sul crinale dell'alpe su una sedia con un berretto, il tempo è nuvoloso. Il significato è questo e tutto quello che a ognuno viene in mente lo arricchisce. Poi mi faceva ridere, ci ho messo il culo e non la faccia in modo significativo, forse un po' enigmatico. Mi piace insomma».

Quali sono i tuoi progetti futuri?

«Sto finendo di registrare il secondo disco. Faccio alcuni concerti poi vedo se a qualcuno potrà interessare il nuovo lavoro. Sarà la continuazione di "Ballo sul posto", un filo più movimentato e di sapore un po' western».


Titolo: Ballo sul posto
Artista: Emiliano Mazzoni
Etichetta: autoproduzione
Anno di pubblicazione: 2012

Tracce
(testi e musiche di Emiliano Mazzoni)

01. Mentre piangono le grondaie
02. Meglio sparire
03. Il dissoluto
04. La strada del male
05. Buon per te luna
06. Stronzi tutti
07. Oppure gli han sparato
08. Pieni di virtù
09. L'esperto
10. Spirito e potere
11. Con queste regole
12. Canzone di speranza




lunedì 1 luglio 2013

Il cuore dei Madame Blague fa "Pit-a-pat"







Quattro ragazzi savonesi e un sogno: registrare il primo disco. I Madame Blague ci sono riusciti e lo hanno fatto con determinazione e grande forza di volontà. Il risultato di tanto impegno è "Pit-a-pat", un album di dieci canzoni originali che strizzano l'occhio a sonorità rock anni '60/'70, in chiave rinnovata e moderna. Brani che mettono in mostra la voglia di esplorare del gruppo e che hanno il punto di forza nell'energica solarità delle melodie. I Madame Blague sono nati nel 2009 a Varazze dall'incontro del quasi ventenne percussionista Andrea Carattino con i più maturi Andrea Greco (chitarra e voce), Emmanuele Venturino (basso e voce) ed Edoardo Chiesa (chitarra e voce). Un'unione di musicisti di estrazione e gusti differenti che ha potuto contare su tre frontmen. Una peculiarità che ha portato i Madame Blague a un percorso artistico più ragionato, articolato e a tratti sofferto. Fin da subito i Madame Blague hanno preferito le prove in saletta piuttosto che le esibizioni live, facendo una eccezione per i concorsi. La scelta li ha portati a sperimentare e a lavorare su canzoni originali che hanno trovato ufficializzazione in questo disco, uscito sotto etichetta Dreamingorilla Records.
Abbiamo incontrato Andrea Greco, Emmauele ed Edoardo e ci siamo fatti raccontare cosa è "Pit-a-pat".



Quando avete deciso che era ora di fare un disco?

Edoardo: «Il disco è nato di conseguenza al gruppo. Ci siamo formati nel 2009 e abbiamo iniziato a suonare cover ma nello stesso tempo a comporre i primi pezzi originali. Quando abbiamo iniziato ad avere un po' di canzoni le abbiamo registrate per concretizzare il nostro progetto. Abbiamo quindi iniziato a fare delle prove mirate e siamo andati in studio di registrazione. Il disco è nato così».

Il disco è nato per un'urgenza di comunicare oppure è il bilancio di questa prima esperienza insieme?

Andrea: «Non c'è stata urgenza espressiva. Siamo tre autori e c'è il piacere di tutti di esprime le proprie emozioni».

È un disco nato per soddisfare le vostre esigenze o ha uno scopo commerciale?

Andrea: «Il disco, la mia musica non è solo per me, serve per esprimere qualcosa e si sta naturalmente attenti alle esigenze del pubblico che abbiamo davanti. Nella nostra varietà di stili, cerchiamo sempre di accontentare noi e speriamo anche il pubblico».

Cosa significa il titolo?

Emmanuele: «Il titolo è uno dei modi per definire il battito del cuore, la palpitazione. Ci piaceva il significato anche perché le nostre canzoni sono stratificate nel tempo, non vengono da una scrittura immediata. Magari sono brani che abbiamo tenuto nel cassetto per un po' di tempo e poi abbiamo tirato fuori nel momento in cui ci sentivamo di avere un contesto di gruppo in cui potevamo svilupparli. Quindi era come un qualcosa che, rimasta nel nostro cuore, volevamo portare all'esterno. Non eravamo così decisi a chiamare l'album "Pit-a-pat", ma nel momento in cui il grafico ci ha fatto questa proposta di copertina è stato come un segnale che dovessimo dare quel titolo al disco. Altrimenti probabilmente l'album si sarebbe chiamato Madame Blague».

Chi ha avuto l'idea del titolo?

Emmanuele: «Io, ma come tutte le cose è praticamente impossibile che si porti avanti una idea se non piace almeno a tre persone. Spesso questa cosa ci rallenta perché non avendo nel gruppo un leader abbiamo sempre la necessità di ricorrere alle votazioni».

"Pit-a-pat" è un disco eterogeneo, le cui canzoni richiamano però gli anni '60-'70. Come è successo?

Edoardo: «Quello che si ascolta necessariamente diventa parte di quello che si suona. L'inizio di "Before" richiama i motivi degli anni '50 con la tromba e il giradischi rotto. "Realitink" può ricordare un pezzo anni '60. Abbiamo cercato di prendere degli spunti da quel mondo perché ci appartiene e li abbiamo resi attuali a livello di suoni. Avremmo avuto anche la possibilità di registrare il disco solamente in analogico ma non lo abbiamo fatto perché ritenevamo importante guardare al presente».

Come avete scoperto la musica degli anni '60 e '70 voi che siete nati quasi tutti nella seconda metà degli anni '80?

Edoardo: «Sicuramente in casa, tra gli amici».
Emmanuele: «Personalmente la mia raccolta di dati non viene da una esperienza familiare, i miei genitori non mi hanno mai indirizzato verso qualcosa, né forzato verso la musica. Non saprei dire quello che ascoltavano».
Andrea: «Per me è una questione familiare. I miei genitori sono separati e l'ex fidanzato di mia mamma era musicista e mi sono fatto una cultura di blues, soul e rock».

Perché invece non siete stati attirati dalla musica contemporanea?

Edoardo: «Non è questione di qualità ma di fascino. Secondo me le cose buone le trovi anche oggi».
Emmanuele: «A prescindere da dove siamo andati a raccogliere la musica, c'è in tutti noi la volontà di ricercare quella di cui sentiamo di aver bisogno e poi non è detto che non la si trovi anche nel contemporaneo. Se si va a vedere c'è anche molto di buono nella musica attuale, si prenda per esempio Gualazzi che è sicuramente di livello. La differenza sta nel non accettare quello che viene passato dai media ma cercare quello di cui uno ha bisogno».
Andrea: «La nostra varietà nasce dai gusti differenti di tutti i componenti del gruppo. Tutti abbiamo un bagaglio di musica del passato ma magari di un decennio diverso. E in questo legame tra il passato e il presente del nostro lavoro c'è anche la questione delle sonorità e delle registrazioni. C'è stata una storia anche in quel campo e i dischi del passato suonano così e non suoneranno mai più nello stesso modo. Noi abbiamo preso quella musica e gli abbiamo dato sonorità attuali. Forse è nato anche qualcosa di nuovo».

Mi ha colpito la canzone "Tell me" con quelle sonorità californiane e i cori...

Emmanuele: «Ci siamo chiesti quale canzone potesse essere rappresentativa dell'album. Ecco, "Tell me" è forse quella che racchiude un po' l'essenza del disco. È nata un giorno in cui in saletta non eravamo tutti presenti. Io ed Edoardo abbiamo iniziato a strimpellare e abbiamo buttato giù qualcosa, poi lui ha lavorato un po' di più sulla musica, io un po' di più sulle parole e poi abbiamo sottoposto la bozza al gruppo. Tutti hanno contribuito a integrarla e a renderla una canzone. Andrea Greco si è occupato dei cori e di queste armonizzazioni, che sono poi una delle caratteristiche forti del nostro gruppo. "Tell me" è qualcosa di particolare nel senso che è stata una delle canzoni della nostra svolta, insieme a "Realitink". Brani che ci hanno spinti a mollare definitivamente le cover e che ci hanno dato la forza per provare a fare qualcosa di originale».

Le canzoni, come abbiamo detto, sono anche molto diverse tra di loro come sonorità, però sembra esserci un filo conduttore…

Emmanuele: «Con la scelta dei suoni abbiamo cercato di creare quel trait d'union che non c'è tra le canzoni. Una volta trovata la sonorità che potesse essere valida per tutti i pezzi l'abbiamo riproposta in tutte le canzoni. Le equalizzazioni di basso sono le stesse per tutti i pezzi e così anche per quanto riguarda la chitarra. Questo ha fatto sì che anche i pezzi diametralmente opposti suonassero all'interno del cd non come qualcosa di stravagante o buttato lì a caso».

Avete detto che un leader non esiste, come funziona all'interno del vostro gruppo?

Edoardo: «Le proposte vengono sempre vagliate e votate da tutti. Sembra quasi fatto apposta ma siamo sempre divisi equamente e quindi nascono delle situazioni di stallo anche molto lunghe. Dobbiamo quindi studiare una idea alternativa per trovare una maggioranza. Siamo rallentati da questo sistema ma pensiamo di andare avanti così».

Chi ha portato il maggior numero di idee nel disco?

Emmanuele: «Nel cd ci sono sei canzoni equamente divise tra Andrea, Edoardo ed Emmanuele. Poi ci sono "The circus never stops" e "Under a Varazze sun" che sono canzoni del gruppo, "Tell me" e "Realitink" sono delle vie di mezzo. I Madame Blague nascono come un consorzio di solisti, se avessimo fatto un cd di tre canzoni per ogni componente e una di gruppo sarebbe nato un cd troppo disomogeneo».

Perché i Madame Blague si vedono poco suonare dal vivo?

Andrea: «Perché a volte siamo poco propositivi. Abbiamo speso tanto tempo dietro al cd e i live ci sono sfuggiti di mano. Poi c'è un problema mio personale che rende difficile il lavoro di tutti. Da tre anni soffro di acufeni - fischi e ronzii nelle orecchie - che suonando peggiorano e quindi tendo a ricercare meno i live».

Avete programmato un tour promozionale per l'estate?

Edoardo: «Abbiamo qualche data fissata: il 6 luglio saremo al Beer Room a Pontinvrea e il 7 luglio apriremo al grande Paolo Bonfanti a Varazze. Poi a livello di eventi facciamo fatica a inserirci, non siamo molto "piacioni", nel senso che non siamo mondani, non abbiamo tante conoscenze».
Emmanuele: «Oltre a essere figli di nessuno, il problema è che la nostra musica non ha una etichetta definita. Quando suoni un genere paradossalmente assurdo o di nicchia hai più possibilità di emergere che in contesti come il nostro. Perché ti puoi infilare nella scia di un tuo personaggio di riferimento e provare a legarti a questo, oppure abbracciare festival di nicchia, o inserirti in un filone che è già percorso da altri. Non avendo un gruppo di riferimento noi siamo tagliati fuori. Inoltre non siamo politicizzati, e lo si può vedere anche dai testi che sono più introspettivi, di riflessione. E così siamo in quel limbo che non piace a nessuno, in più non siamo estremi e non siamo soft».

Passiamo alla copertina, cosa mi potete raccontare?

Emmanuele: «L'ha realizzata Cikaslab, lo studio di design di Riccardo Zulato a Noventa Vicentina. Ci è piaciuto il lavoro che ha fatto per un gruppo di Genova, i Dresda, e lo abbiamo contattato dopo un enorme delusione su più fronti. Riccardo ci ha presentato alcune bozze e poi, come succede sempre, prima che decidessimo quale potesse essere quella definitiva c'è voluto del tempo. Si tratta di un cuore inserito nei polmoni ma rappresentato come un alveare dentro un albero ribaltato a testa in giù. Riccardo ci ha chiesto se esisteva qualcosa che potesse essere un simbolo del gruppo, un animale o uno spirito guida. Abbiamo scelto il bombo perché è citato nel testo di "Realitink". Nel ritornello della canzone cantiano ‹il bombo, per il rapporto tra le dimensioni del suo corpo e l'ampiezza delle sue ali, secondo le leggi dell'aerodinamica non potrebbe volare, ma il bombo non conosce le leggi dell'aerodinamica per cui vola›, frase che è attribuita a Igor Sikorskij, l'inventore dell'elicottero. Questa frase è un po' il significato del gruppo che vuole lanciarsi oltre le proprie effettive possibilità».

Il disco lo avete registrato a Piacenza, perché siete andati così lontano?

Edoardo: «Avevamo deciso di fare il disco e avevamo deciso che lo avremmo registrato ad agosto perché non c'era altro tempo. Abbiamo contattato 2-3 studi ma ad agosto era impossibile. Abbiamo proseguito nella ricerca e abbiamo trovato l'Elfo Studio di Piacenza che ci ha dato la disponibilità. Abbiamo avuto la fortuna di registrare nella sala più bella e abbiamo conosciuto una persona meravigliosa, il fonico Daniele Mandelli, con cui siamo diventati amici. Ha fatto un lavoro incredibile, siamo stati fortunati. Abbiamo mixato con lui e poi abbiamo fatto masterizzare il disco allo Studiopros di Los Angeles».
Emmanuele: «Le voci le ha però registrate Andrea Greco a Varazze. Ha delle ottime apparecchiature e inoltre ha fatto dei corsi all'Accademia della Scala di Milano tramite lo studio Barzan».

Non avete fatto molte date live ma in compenso avete preso parte a contest locali e nazionali...

Andrea: «Abbiamo partecipato a Rock on the Rocks a Varazze vincendo con il brano inedito "Afraid to forget you" che è poi stato trasmesso per tre mesi da Radio Skylab, abbiamo raggiunto le semifinali del Tour Music Fest a Roma con "Before", siamo arrivati secondi allo Sband di Savona».

Perché avete preferito i concorsi?

Andrea: «Perché vedi dove puoi arrivare. Bisogna accettare il metro di giudizio, e a volte è difficile quando a decidere è il pubblico, però conosci nuove persone, ti rapporti con tante realtà diverse. Mi sono sempre trovato bene, anche se suoni poco. E poi trovi tutto pronto e questo è già un vantaggio per noi musicisti».
Emmanuele: «Ci sono stati contest che ci hanno scoraggiato, altri che nonostante l'esito ci hanno soddisfatto. Il Tour Music Fest, nel quale abbiamo rappresentato il nord ovest e per il quale abbiamo speso una marea di soldi per le trasferte a Milano e Roma, è stata una battaglia con tutta gente di valore, in cui ci poteva stare vincere o perdere. Siamo tornati a casa contenti».
Edoardo: «Dipende dal concorso. Quelli dove devi portare gli amici per essere votato è meglio non farli. Se invece davanti hai una giuria allora ci può stare, anche per capire e vedere cosa ne pensa qualcuno che lavora nell'ambito della musica. Purtroppo i concorsi sembrano essere l'unico modo per far suonare le band emergenti».

Avete già progetti per il futuro?

Edoardo: «Stiamo lavorando a nuove canzoni, ci piace e ci divertiamo. Adesso però dobbiamo concentrarci a promuovere il nostro album. Cercare di far più date possibili».

Ci sono persone che vi hanno seguito nel corso della gestazione di "Pit-a-pat"?

Emmanuele: «I testi sono nati dalle nostre mani in base a quello che volevamo esprimere. Abbiamo però scelto di cantare in inglese e non essendo di madre lingua, abbiamo avuto bisogno di aiuto. Ci sono due persone che ci hanno dato una mano sotto questo punto di vista e che vogliamo ringraziare».
Andrea: «Si tratta di Terrence Agneessens, traduttore e papà di un mio compagno di liceo, e di Mariafelicia Maione che è una amica dell'Aquila che ha studiato da traduttrice. In realtà ci ha dato una mano anche Alessio, figlio Terrence».

Cosa significa Madame Blague?

Andrea: «È il primo nome per cui ci sono stati tre voti a favore. Il primo che ci è venuto in mente è stato Coin Edge ma forse era più da metal. Madame Balgue è più raffinato, alla francese. Era nato come Mister Blague ma ci sono tante band che hanno il nome che inizia con mister e allora abbiamo deciso di cambiarlo in madame. Lo possiamo tradurre come signora scherzo».


Titolo: Pit-a-Pat
Gruppo: Madame Blague
Etichetta: Dreamingorilla Records
Anno di pubblicazione: 2013

Tracce
(testi e musiche di Madame Blague)

01. Join us
02. The circus never stops
03. Escaped whisper
04. Tell me
05. Sweet colors
06. Afraid to forget you
07. Before
08. The story of how I lost my face
09. Realitink
10. Under a Varazze sun